Il processo mediatico e la comunicazione esterna degli uffici giudiziari

Sommario: 1. Il tempo e il processo: il “tempo” del processo è giusto? – 2. La comunicazione esterna degli uffici giudiziari: un approccio proattivo con correttivi reattivi – 3. La delibera del CSM dell’11 luglio 2018- 4. Linee guida per gli uffici requirenti- 5. Linee guida per gli uffici giudicanti

1.     Il tempo e il processo: il “tempo” del processo è giusto?

Negli ultimi tempi, sempre più di frequente l’opinione pubblica, soprattutto nei casi di maggiore rilievo mediatico (nell’anno in corso, a titolo meramente esemplificativo, si pensi alla decisione del Tribunale di Avellino nell’ambito del c.d. disastro del viadotto Acqualonga o alla decisione della Corte d’Assise di Appello di Roma per la morte di Marco Vannini), esprime avversione e talora indignazione per i provvedimenti giudiziari riguardanti gravi fatti criminosi, manifestando sconcerto per la mancata punizione di coloro che i media hanno già additato come presunti colpevoli.

La frattura che si viene a creare fra la “giustizia attesa” (dal popolo e dalle vittime) e il diritto applicato prescinde da ogni valutazione di merito circa la correttezza, o non, delle soluzioni adottate.

La credibilità del (e la fiducia nel) sistema giudiziario è messa in discussione per il solo fatto che la decisione appare impopolare, senza che si proceda – come pure sarebbe doveroso – a una obiettiva riflessione sulla complessità dei fatti e delle prove, sui principi del diritto penale di fattispecie, sulle regole di garanzia del giusto processo e sulla funzione di controllo delle impugnazioni.

All’esito delle indagini preliminari si viene a creare, invece, sempre più repentinamente, una evidente discrasia fra l’ipotesi di accusa e il conseguente pregiudizio mediatico da subito costruito nel processo parallelo per assecondare le ansie securitarie dei cittadini, da un lato, e le conclusioni della verifica giurisdizionale, dall’altro, che talora smentiscono la fondatezza dell’accusa, ma che seguono a distanza di tempo dalle indagini.

Il rapporto fra il tempo e la giurisdizione, per la rilevanza costituzionale dei valori che si esprimono nel giusto processo (art. 111 Cost.), diverge dall’archetipo del comune agire quotidiano ispirato al vivere la realtà nella logica dell'”adesso”, perennemente “connessi” ad un presente continuo, ma esige spazi e tempi, adeguati per lo studio delle questioni di fatto e di diritto, per l’analisi critica delle prove, per la scelta della migliore decisione da adottare e, soprattutto, per la spiegazione delle ragioni della scelta decisoria, secondo criteri di autorevolezza, equità, stabilità e prevedibilità.

Come evidenziato dal Primo Presidente emerito della Corte sono “le cadenze asfittiche del processo penale a giustificare la cedevolezza di questo e, per converso, il privilegio accordato ai pur provvisori esiti delle indagini. Se poi gli organi dell’accusa o i giudici di merito, nell’inchiesta o nel dibattimento, decidono di intessere un dialogo diretto con i media e, tramite questi, con il popolo, anziché con i protagonisti del contraddittorio nel processo, la forbice fra il rito mediatico e quello penale è destinata ancor più ad allargarsi”[1]

2.     La comunicazione esterna degli uffici giudiziari: un approccio proattivo con correttivi reattivi

“Però una cosa importante l’ho imparata.”

– “Cosa ?”

– “Saper disinnescare….” [2]

Anche se il protagonista della conversazione si riferiva ad un diverso contesto (le dinamiche dei rapporti di coppia), il periodo di cui sopra spiega bene la scelta – operata del CSM – in ordine al metodo per realizzare un’efficace comunicazione istituzionale degli uffici giudiziari.

Superando le criticità e le manifestazioni di auto-referenzialità registrate in passato, l’idea-chiave consiste nell’incoraggiare lo sviluppo di un approccio proattivo, sia rispetto a singoli casi giudiziari, sia rispetto al funzionamento dell’intero sistema di giustizia, in modo tale da rendere comprensibili all’esterno il ruolo e l’attività della giurisdizione, le ragioni del suo agire, gli obiettivi, le priorità.

In altre parole, si ammette cioè che, nei rapporti con i mezzi d’informazione e con i cittadini, la comunicazione istituzionale degli uffici giudiziari, caratterizzata da oggettività e trasparenza, debba rivelarsi al contempo corretta, tempestiva ed efficace.

Complementare e (correttiva) rispetto all’approccio proattivo appena descritto è la comunicazione reattiva, finalizzata cioè a contrastare informazioni errate, false o distorte, che recano pregiudizio alle indagini, ai diritti delle persone coinvolte o all’immagine di imparzialità del singolo magistrato e dell’ufficio giudiziario.

Ciò non toglie, e deve essere debitamente sottolineato, che la fonte primaria di percezione all’esterno dell’azione della magistratura e più in generale del servizio giustizia (art. 111, comma 6, Cost.), è (e deve rimanere) il motivato provvedimento giudiziario.

3.     La delibera del CSM dell’11 luglio 2018

Il Consiglio superiore della magistratura, con la delibera plenaria dell’11 luglio 2018 recante “Linee guida per l’organizzazione degli uffici giudiziari ai fini di una corretta comunicazione istituzionale”[3], è finalmente intervenuto per tracciare le linee d’indirizzo in un settore delicato e decisivo per l’immagine della magistratura, nella ferma convinzione che – per usare le parole della delibera – “trasparenza e comprensibilità della giurisdizione non confliggono con il carattere riservato, talora segreto, della funzione. Esse, correttamente interpretate, aumentano la fiducia dei cittadini nella giustizia e nello Stato di diritto, rafforzano l’indipendenza della magistratura e, più in generale, l’autorevolezza delle Istituzioni“.

Fino ad oggi il tema della comunicazione degli uffici giudiziari era stato affrontato solo rispetto alle c.d. prestazioni comunicative che riguardano i rapporti della magistratura con gli avvocati e gli utenti del settore giustizia.

In tale ottica vanno menzionate le esperienze, importanti ma frammentarie, degli Uffici per le relazioni col pubblico (URP), peraltro oggetto di specifica risoluzione consiliare approvata il 26 luglio 2010 e dei Bilanci di responsabilità sociale (BRS)[4], adottati da alcuni uffici giudiziari (si pensi a Milano, Firenze, Brescia).

Ad avviso di chi scrive l’elaborazione delle linee-guida in parola, si inserisce nella diversa ottica delle c.d. prestazioni informative che riguardano i rapporti della magistratura con i mezzi di informazione (in realtà, in via mediata riguardano anche le prestazioni comunicative, in quanto i mezzi di informazione hanno, a loro volta, per destinatari i cittadini i quali dovrebbero mirare ad avere una piena cognizione e comprensione dei fatti e dei documenti).

La circolare vuole essere il punto di partenza, per attuare precise indicazioni sovranazionali[5], dirette ad assicurare che i media abbiano un corretto accesso alle informazioni sull’azione del P.M. e sull’esercizio della giurisdizione (senza alcun pregiudizio – va precisato – per l’autonoma attività giornalistica di ricerca di fonti e informazioni), secondo modelli e prassi applicative tendenzialmente uniformi.

È noto che, in materia, l’elaborazione di principio è assai articolata a livello europeo e consente di individuare una solida base condivisa, pur a fronte di differenze profonde tra gli ordinamenti nazionali.

In tale prospettiva la delibera del CSM si articola in una parte generale, recante indicazioni comuni a tutti gli uffici giudiziari, e in una parte speciale, con indicazioni modulate sulle specificità dei diversi uffici, giudicanti e requirenti, di merito e di legittimità, da attuare mediante lo strumento tabellare o il progetto organizzativo: indicazioni peraltro non statiche, bensì suscettibili di monitoraggio e aggiornamento, dovendosene costantemente verificare obiettivi, risultati e criticità.

La parte generale, che muove dai profili organizzativi, si articola a sua volta in sezioni dedicate alle procedure, ai contenuti e alle modalità, individuando i soggetti che debbono occuparsi della comunicazione e gli schemi d’azione circa i momenti di contatto (conferenze-stampa, incontri meno formalizzati, elaborazione di comunicati e informative di varia natura), fornendo indicazioni in positivo (cosa occorre o è consigliabile comunicare).

Sempre nella cornice generale dei principi, diritti, doveri si avverte che la comunicazione deve essere obiettiva, sia che provenga da tribunali o corti sia che provenga da uffici di procura, poiché anche la presentazione dell’enunciato di accusa, non meno di una decisione giurisdizionale, dev’essere imparziale, equilibrata e misurata.

E proprio in relazione a questo, occorre che gli uffici di procura rappresentino, in maniera chiara e semplice, che quella che viene fuori dalle indagini è un’ipotesi accusatoria che attende la verifica da parte di un giudice.

In tal modo i cittadini possono essere sin da subito consapevoli che quella che emerge dagli atti della Procura o dello stesso Gip, non è una verità consacrata e indiscutibile, di talché l’eventuale smentita che sussegua nelle successive fasi del giudizio non sta ad indicare né l’inadeguatezza del giudice che ha definitivamente deciso sul fatto, né l’inadeguatezza dell’ufficio del pubblico ministero che ha portato avanti quella ipotesi accusatoria.

Vanno perciò evitati alcuni atteggiamenti spesso riscontrabili nella prassi: la discriminazione tra giornalisti o testate; la costituzione e il mantenimento di canali informativi privilegiati con esponenti dei media; la personalizzazione delle informazioni; l’espressione di opinioni personali e giudizi di valore su persone o eventi.

Il c.d. “mercato nero” degli atti giudiziari non giova alla correttezza dell’informazione e nemmeno alla tutela della privacy. Il sistema attuale infatti, aumenta il rischio che la fonte della notizia possa essere interessata e, perciò, non obiettiva, dando luogo a sua volta a una visione parziale della vicenda processuale e quindi a un’informazione anch’essa parziale, talora persino strumentale e dunque distorta.

Proprio in questa ottica, prima della delibera in commento, vi era già stata una proposta per liberalizzare l’accesso agli atti giudiziari non più segreti, fin dal loro deposito, consentendo anche ai giornalisti di chiederne copia[6].

I sostenitori di tale proposta (tra gli altri i procuratori della Repubblica di Roma e Palermo Giuseppe Pignatone e Francesco Lo Voi) ritengono che la liberalizzazione dell’accesso agli atti non più segreti elimina in radice il passaggio – o la presunta dipendenza – dalle fonti più o meno interessate, responsabilizzando sia la magistratura nella redazione dei provvedimenti e nella selezione degli atti da allegare, sia i giornalisti, posti tutti sullo stesso piano di fronte alle carte depositate e “obbligati” a misurarsi con l’oggettività “delle carte” e con i doveri deontologici sulla pubblicazione del solo materiale di interesse pubblico. Inoltre, indagati, testimoni, vittime sarebbero più tutelati nella loro dignità di persone da un sistema di regole trasparenti piuttosto che da “brandelli” di notizie.

Pur potendosi condividere l’opportunità di porre gli atti ostensibili a disposizione della stampa in modo che ciascuno possa esaminarli e trarne le conclusioni che ritiene più opportune, ciò non basta.

Tale prospettiva tende unicamente ad assicurare un principio di parità di trattamento e libera concorrenza fra gli organi di informazione; invece, come autorevolmente rilevato “noi dobbiamo andare oltre. Noi abbiamo l’esigenza non solo di garantire il diritto all’informazione attraverso una stampa che sia messa in condizione di conoscere gli atti del processo non vincolati dall’obbligo della segretezza, ma abbiamo anche il dovere di fare ogni sforzo affinché l’informazione che viene resa poi al pubblico sia un’informazione corretta. E questo ci impegna a fare un passo ulteriore. Dobbiamo farci carico della necessità di garantire all’opinione pubblica – al di là di quelle che possono essere poi iniziative manipolative di quella parte della stampa che intenda non perseguire un’informazione corretta, al di là di questo fenomeno patologico – un accesso più “tecnicamente orientato” agli atti processuali e ai fatti che ne costituiscono oggetto“[7].

In altri termini, il dovere di informare è collegato all’esigenza, sempre più avvertita, che l’ attività giurisdizionale sia più chiara possibile e, soprattutto, sia percepita come tale dall’opinione pubblica perché la legittimazione della magistratura deriva (anche) dalla comprensione dei provvedimenti adottati e, pertanto, non è possibile non farsi carico di questo segmento ineludibilmente connesso allo svolgimento delle funzioni giudiziarie.

Tornando alla circolare, si legge che la comunicazione deve ispirarsi nella tecnica espositiva a criteri di chiarezza, sinteticità e tempestività e deve avere ad oggetto informazioni di effettivo interesse pubblico (v. par. 5 per la precisa individuazione delle informazioni “rilevanti”).

Il catalogo dei doveri elenca, a sua volta: i doveri nei confronti delle persone, fra i quali il rispetto della vita privata, della sicurezza e della dignità dell’imputato e dei suoi familiari, dei testimoni, dei terzi estranei al processo, della vittima e delle persone vulnerabili; i doveri di matrice processuale, fra i quali il rispetto del giusto processo, delle garanzie della difesa e della presunzione di non colpevolezza, la chiarezza nella distinzione di ruoli tra magistratura requirente e giudicante, l’ossequio alla centralità del giudicato rispetto agli altri snodi processuali, il diritto dell’imputato e delle altre parti di non apprendere dai media quanto dovrebbe essere loro comunicato in via formale, il dovere del pubblico ministero di rispettare le decisioni giudiziarie, contrastandole non nella comunicazione pubblica bensì nelle sedi processuali proprie.

Si segnala, inoltre, che la Corte europea dei diritti dell’uomo tutela incisivamente l’informazione nel suo concreto esercizio e ne definisce i contorni nel quadro di un’accurata comparazione con gli altri valori fondamentali, precisando che neppure la rilevanza pubblica del caso può azzerare la tutela della vita privata che compete agli individui.

Nell’ipotesi d’illegittima pubblicazione di informazioni sussiste un dovere dello Stato di adottare misure organizzative e di formazione del personale per prevenirne il rischio e di condurre efficaci investigazioni per rimediare alle violazioni di siffatti doveri.

Sul punto, la prospettiva comparata, offre spunti di riflessione non indifferenti.

Nell’ordinamento inglese l’equilibrio tra libertà di stampa e integrità della giustizia  è talmente avvertito che le pubblicazioni pregiudiziali all’imputato, quando il processo è in corso, possono costituire reato, il c.d. “contempt of the Court” (contempt by publication)[8]

In particolare, il Contempt of Court Act 1981 – sezione 4 – chiarisce ciò che può essere pubblicato prima e durante il processo precisando che costituisce “contempt of the Court” (cioè oltraggio alla Corte) pubblicare tutto ciò che crea un rischio sostanziale che il corso della giustizia nei procedimenti in questione possa essere seriamente impedito o prevenuto, anche se non intenzionalmente (“substantial risk that the course of justice in the proceedings in question will be seriously impeded or prejudiced, even if there is no intent to cause such prejudice”).

Addirittura, la Corte se necessario, per evitare il rischio di pregiudizio per l’amministrazione della giustizia, può ordinare che qualsiasi pubblicazione inerente il procedimento sia postergata.

4.     Linee guida per gli uffici requirenti

Secondo l’ art. 5 del d.lgs. n. 106 del 2006, che attua puntualmente le indicazioni contenute nella legge delega (art. 2, comma 4, lett. f), della l.d. n. 150 del 2005), è il procuratore della Repubblica a mantenere personalmente, ovvero tramite un magistrato dell’ufficio appositamente delegato, i rapporti con gli organi di informazione.

Sul punto le linee guida si limitano a confermare l’impostazione che ha rimodulato in chiave verticistica e gerarchizzata i rapporti tra il procuratore ed i sostituti e, nel contempo, vuole impedire eccessi di protagonismo e di personalizzazione nell’esercizio delle funzioni requirenti, ovvero nella loro riproposizione ad opera degli organi di informazione.

L’articolo appena citato, oltre a riservare al capo dell’ufficio la cura dei rapporti tra la stampa e l’ufficio requirente, pone l’esplicito divieto ai magistrati della procura della Repubblica di rilasciare dichiarazioni o fornire notizie agli organi di informazione circa l’attività giudiziaria dell’ufficio. La violazione del divieto assume anzi rilevanza disciplinare, tanto che il procuratore della Repubblica ha l’obbligo di segnalare al consiglio giudiziario, per l’esercizio del potere di vigilanza e di sollecitazione dell’azione disciplinare, le condotte dei magistrati del suo ufficio che siano in contrasto con tale divieto.

La disciplina di rigore è completata, poi, dalla previsione che ogni informazione inerente alle attività della procura della Repubblica debba essere fornita comunque attribuendola in modo impersonale all’ufficio, escludendo quindi ogni riferimento ai magistrati assegnatari del procedimento.

A livello interpretativo la normativa primaria è stata oggetto di due delibere del CSM assunte rispettivamente in data 20 febbraio 2008 (in tema di Procure della Repubblica di piccole e medie dimensioni), e in data 24 settembre 2008(con ulteriori precisazioni con riguardo alle Procure della Repubblica di grandi dimensioni).

In sintesi si è detto che la normativa primaria è esauriente per gli uffici di piccole o medie dimensioni, in cui dimensione degli affari consente una adeguata informazione del capo dell’ufficio, tale da consentirgli di curare direttamente i rapporti con la stampa, ovvero di delegare in proposito altro magistrato dell’ufficio specificamente determinato.

Negli uffici di grandi dimensioni, in cui la mole degli affari rende effettivamente impraticabile un rapporto esaustivo con la stampa tenuto direttamente e sempre o dal procuratore o dal magistrato all’uopo specificamente individuato – escluso che la delega possa essere attribuita ad un numero indifferenziato di magistrati – è senz’altro consentita, laddove lo impongano o lo rendano opportuno le dimensioni dell’ufficio, una delega nei confronti di un magistrato per ciascun settore predeterminato di attività dell’ufficio: ergo, per ciascuno dei gruppi di lavoro in cui è ripartito l’ufficio (di regola, i procuratori aggiunti incaricati di coordinare i singoli gruppi di lavoro).

Peraltro, con l’ultima delle delibere richiamate (quella del 24.09.2008), il CSM ha invece espressamente escluso la possibilità di prevedere la partecipazione alle conferenze stampa del magistrato titolare del procedimento, quando sia diverso dal procuratore o dal magistrato delegato in via generale a curare i rapporti con la stampa, atteso che tale partecipazione sarebbe configgente con il disposto dell’art. 5 cit., che impone di fornire ogni informazione “in modo impersonale”, attribuendo le attività all’ufficio ed escludendo ogni riferimento al magistrato assegnatario del procedimento.

Ad avviso di chi scrive si tratta di orientamento da superare, anche alla luce della concreta prassi, in cui la complessità delle indagini rende quasi sempre necessario far intervenire nel corso della conferenza stampa anche il sostituto procuratore assegnatario del procedimento.

Le linee guida, in perfetta coerenza con lo stato dell’arte di cui si è dato conto finora, rispettano la soprarichiamata finalità di rigore della disciplina primaria – introducendo la figura del responsabile per la comunicazione in persona del capo dell’ufficio – evitando un indiscriminato accesso ai media di un numero indeterminato di magistrati, ma consente di modulare “meglio” il perseguimento di tale finalità sul piano dell’organizzazione interna dell’ufficio, assicurando che a fornire l’informazione sia un magistrato effettivamente in grado di conoscere la vicenda di interesse.

Alla stregua dei contributi informativi forniti dai singoli magistrati e dell’analisi dei rischi spetta al capo dell’ufficio attuare la più opportuna, tempestiva ed equilibrata strategia di comunicazione per gli affari di particolare gravità e rilevanza, comunque idonei a coinvolgere l’immagine dell’ufficio, per la natura dei fatti criminosi o per la qualità dei soggetti coinvolti o per le questioni di diritto dibattute.

L’informazione, esclusi i canali riservati e ogni impropria o personalizzata rappresentazione dei meriti dell’azione dell’ufficio e della polizia giudiziaria, non deve interferire con le investigazioni e con l’esercizio dell’azione penale, né pregiudicare la tutela dei diritti dei soggetti coinvolti nel procedimento o dei terzi mediante l’ingiustificata diffusione di dati sensibili, lesivi della loro dignità e riservatezza.

Al fine di assicurare il rispetto della presunzione di innocenza, deve evitarsi ogni rappresentazione idonea a determinare nel pubblico la convinzione della colpevolezza dell’indagato ed essere rispettosi del ruolo e delle decisioni del giudice.

Nel quadro della generale esigenza di trasparenza dell’organizzazione giudiziaria, è altresì assicurata la comunicazione dei documenti organizzativi dell’ufficio del pubblico ministero e dei dati relativi ai flussi dei procedimenti (con ciò proseguendo, la virtuosa, ma come si è detto incostante nel tempo e nello spazio, esperienza dei Bilanci di responsabilità sociale[9])

Anche nell’ufficio della Procura generale presso la Corte di cassazione è istituita la figura del responsabile per la comunicazione in persona di un sostituto procuratore generale, delegato dal procuratore generale per i rapporti con la stampa.

Possono costituire oggetto di comunicazione gli atti e i provvedimenti adottati nell’esercizio dell’attività requirente, di coordinamento, in materia disciplinare, sulla base del rilievo economico, sociale, politico, tecnico-scientifico della notizia, nonché le soluzioni organizzative e i provvedimenti rilevanti per gli avvocati, il personale, i giornalisti, i giuristi, i cittadini.

5.     Linee guida per gli uffici giudicanti

La delibera del 11 Luglio 2018 affronta il tema della comunicazione in relazione all’attività giudiziaria, prendendo atto che sarebbe riduttivo affrontare la tematica con esclusivo riferimento alla fase delle indagini (come finora si è quasi sempre fatto).

Le linee guida gettano lo sguardo al di là dello steccato degli uffici inquirenti e delle esigenze delle indagini penali, per riflettere su come il tema della comunicazione attiene al sistema giustizia nella sua interezza, e quindi alla fase delle indagini come alla fase del giudizio, al processo penale come al processo civile.

In quest’ottica nella struttura organizzativa degli uffici giudicanti, sia di merito (Tribunali e Corti di appello) che di legittimità (Corte di cassazione) è istituita la figura del responsabile per la comunicazione, in persona del capo dell’ufficio o di un giudice delegato (due negli uffici di maggiori dimensioni).

Si nota da subito, che a differenza di quanto previsto per gli uffici requirenti, la delibera predetermina ab origine il numero massimo di “deleghe alla comunicazione” (una per il civile e una per il penale).

L’ oggetto della comunicazione è individuato in positivo:

a)      nei casi e nelle controversie di obiettivo rilievo economico, sociale, politico, tecnico-scientifico;

b)      nelle soluzioni organizzative e i provvedimenti dell’ufficio giudicante con rilevanza esterna per gli avvocati, il personale, i giornalisti, i giuristi, i cittadini.

La procedura per gestire il flusso di comunicazioni è articolata secondo scansioni progressive, essendo attivata dal magistrato addetto allo “spoglio” dei procedimenti o dal giudice competente e proseguita dal presidente della sezione fino al responsabile per la comunicazione.

Quanto alle tecniche di comunicazione, se per gli uffici requirenti si legge che “dichiarazioni ed eventuali interviste vanno rilasciate con equilibrio e misura” per gli uffici giudicanti il modello preferito deve essere quello del comunicato stampa, derogabile (in casi specifici e per specifiche esigenze) a favore della conferenza stampa, escludendosi, implicitamente (ad avviso di chi scrive), il ricorso all’intervista.

La ratio sottesa a tale scelta è facilmente intuibile.

Il dovere di comunicazione è essenzialmente un dovere dell’ufficio, e pertanto un dovere che deve essere adempiuto nella forma più spersonalizzata possibile; in quest’ottica la stessa conferenza stampa è una forma alla quale ricorrere con estrema prudenza, solo in presenza di vicende giudiziarie che per il clamore mediatico che hanno suscitato o per il rilievo dell’iniziativa possono richiedere un intervento così diciamo immediato e forte.

Fra le cadenze della procedura assume un originale rilievo la predisposizione da parte dell’organo decidente della notizia di decisione o abstract, contestuale o immediatamente successiva alla deliberazione/decisione, consistente nell’illustrazione sintetica, con linguaggio semplice, chiaro e comprensibile, delle statuizioni decisorie e delle ragioni delle stesse, con riferimento: nel giudizio di primo grado, al fatto, alla valutazione delle prove e alla regola di diritto applicata; nel giudizio di appello, alle ragioni in fatto e in diritto poste a fondamento della conferma o della riforma della sentenza impugnata; nel giudizio di legittimità, alle questioni giuridiche controverse e ai principi di diritto affermati a sostegno della decisione di inammissibilità/rigetto del ricorso ovvero di annullamento, con o senza rinvio, del provvedimento impugnato.

Infine, il responsabile per la comunicazione cura la selezione, la rielaborazione tecnica delle notizie di decisione e la trasmissione della relativa comunicazione alle agenzie di stampa e ai media che ne abbiano fatto richiesta.

Si è evidenziato come la previsione tabellare e la puntuale attuazione da parte degli uffici giudicanti di merito dello schema della notizia di decisione (mutuato dalla tradizionale e consolidata esperienza della Corte di Cassazione con riferimento alla soluzione delle questioni di diritto controverse o di particolare importanza), soprattutto in materia penale, “potrebbe essere idonea a ridimensionare la distanza temporale fra il momento della lettura del dispositivo e quello della pubblicazione della motivazione. Non vi è dubbio, infatti, che l’aspettativa di comprendere il senso e le ragioni della decisione, soprattutto quando essa contrasta con l’esito mediaticamente costruito e pregiudizialmente atteso, è frustrata se quella distanza risulta sproporzionata“[10].

Ad avviso di chi scrive il modulo dell’abstract, da redigere contestualmente o immediatamente dopo la deliberazione/decisione, risulta difficilmente applicabile al di fuori del giudizio di legittimità per le ragioni che si vanno di seguito ad esporre.

In primo luogo, sotto il profilo ontologico, giova osservare che le peculiarità del giudizio innanzi alla S.C. (che è giudizio di legittimità) non si replicano nel giudizio di merito in cui una illustrazione sintetica in ordine “al fatto, alla valutazione delle prove e alla regola di diritto applicata” finisce per somigliare a una “mini-motivazione”.

In secondo luogo, sotto il profilo operativo, lo schema procedimentale proposto dalla delibera del 11 Luglio 2018 risulta assai difficilmente compatibile (soprattutto per il giudizio di merito di primo grado) con una redazione della notizia di decisione contestuale o immediatamente successiva rispetto al dispositivo di udienza.

Non bisogna infatti dimenticare che finanche nello stesso giudizio di legittimità, la notizia di decisione viene redatta non dai giudici che hanno adottato la decisione, ma da magistrati dell’Ufficio del Massimario specificatamente addetti a tale servizio[11]; ciò testimonia il fatto che la redazione della notizia di decisione non è attività di mera appendice del provvedimento giudiziario, ma è compito assai complesso che mal si concilia con i tempi “serrati e asfittici” del procedimento di merito (soprattutto di primo grado).

Con riguardo alla rielaborazione tecnica delle notizie di decisione deve essere sottolineato come, allo stato, si tratta di attività in relazione alla quale non è previsto alcuno specifico percorso formativo, né in relazione alla formazione iniziale dei magistrati in tirocinio, né in relazione alla formazione permanente.

Sul punto un ruolo determinante sarà giocato dalla Scuola superiore della magistratura[12] al fine di “costruire” specifici percorsi di formazione per i magistrati “responsabili della comunicazione”, aperti al confronto interdisciplinare con l’Ordine dei giornalisti e l’Avvocatura.

Proprio in relazione al rapporto con i mezzi di informazione, è stata criticata l’espunzione dalla versione definitiva della delibera di cui sopra della precisazione riguardante il fatto che le indicazioni contenute nel documento non potessero costituire in alcun modo prescrizioni rivolte ai giornalisti.

Anche in seguito a tale obliterazione è pacifico ritenere che una delibera adottata dall’organo di autogoverno dei magistrati, può vincolare sul piano deontologico solo questi ultimi e non già (quantomeno in via diretta) altre categorie, nel caso di specie i giornalisti.

Tuttavia, è bene ribadire che le peculiarità della cronaca giudiziaria, sia per la difficoltà tecnica dei temi trattati, sia per la immediata incidenza sulle situazioni soggettive dei soggetti coinvolti dovrebbe indurre l’Ordine dei Giornalisti a riflettere:

a)      sul sistema di formazione, dei giornalisti che si occupano di cronaca giudiziaria (magari individuando, percorsi formativi specifici e dedicati a chi sceglie di occuparsi di questa delicata, ma preziosissima funzione di informazione);

b)      sulla necessità di trovare soluzioni equilibrate per coniugare la rapidità della moderna informazione on  line (che soppianta ogni giorno di più quella della “vecchia” carta stampata) con il rischio di eccessiva approssimazione nelle informazioni rilasciate.

Santi Bologna


[1] G. Canzio, Un’efficace strategia comunicativa degli uffici giudiziari vs. il processo mediatico, Diritto penale e processo 12/2018, 1537 e ss

[2] dal film “Perfetti Sconosciuti”, estratto dalla conversazione tra Rocco (Marco Giallini) e Eva (Kasia Smutniak)

[3] Il CSM – in ciò dimostrando di voler sposare in pieno la via del superamento dell’approccio auto-referenziale al problema della comunicazione esterna degli uffici giudiziari – si è avvalso del contributo conoscitivo e istruttorio del Gruppo di lavoro costituito da esperti aventi percorsi professionali differenziati: i magistrati Giovanni Canzio -coordinatore-, Antonello Mura e Giovanni Melillo; lo scrittore Gianrico Carofiglio; lo studioso dei problemi della comunicazione Stefano Rolando; i giornalisti Fabrizio Feo, Francesco Giorgino e Giovanni Minoli.

[4] Il Bilancio Sociale è uno strumento di rendicontazione e comunicazione atto ad informare i portatori di interesse (stakeholder) sul comportamento, sui risultati e sulle responsabilità di natura economica e sociale dell’organizzazione. In ambito giudiziario il Bilancio Sociale ha lo scopo di consentire agli uffici giudiziari (giudicanti o requirenti) di rappresentare le proprie attività in un documento che illustri l’entità del lavoro svolto dal singolo ufficio (di cui spesso i cittadini non sono a conoscenza) nonché una ricognizione selettiva dei fenomeni sociali di maggiore rilievo che interessano la comunità territoriale di riferimento in una prospettiva sempre più ampia.

Nell’esperienza di alcuni uffici giudiziari (ad es. Firenze) il bilancio non si è caratterizzato solamente come uno strumento di rendicontazione consuntiva, ma si è cercato di renderlo uno strumento di pianificazione strategica e di gestione delle relazioni con gli interlocutori principali, attraverso l’individuazione e la formalizzazione all’interno del documento di responsabilità e progetti di miglioramento che coinvolgono gli interlocutori esterni.

Sotto un diverso profilo, infine, il bilancio – anche grazie alla comparazione con i bilanci di altri uffici giudiziari – può diventare uno strumento di autovalutazione attraverso cui il singolo ufficio giudiziario inquadra la dinamica evolutiva della propria organizzazione e la sua collocazione all’interno del contesto sociale e territoriale in cui agisce.

A ben vedere nella metodologia BRS appena rassegnata per le vie brevi, la posizione degli Uffici Giudiziari, lungi dall’essere “passiva” in un’ottica di mera rendicontazione, è figlia di quell’ approccio proattivo – sono gli Uffici stessi che devono formulare proposte e progetti – di cui si è detto nel paragrafo 2.

[5] Il par. 19 della Raccomandazione Rec(2010)12 del Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa agli Stati membri, sul tema dell’indipendenza, efficacia e responsabilità dei giudici, adottata il 17 novembre 2010 afferma che “I procedimenti giudiziari e le questioni relative all’amministrazione della giustizia sono di pubblico interesse. Il diritto all’informazione in materia deve però essere esercitato tenendo conto delle limitazioni imposte dall’indipendenza della magistratura. Deve essere incoraggiata la creazione di posti di portavoce giudiziario o di servizi stampa e comunicazione sotto la responsabilità dei tribunali o sotto il controllo dei consigli superiori della magistratura o di altre autorità indipendenti. I giudici devono dar prova di moderazione nei loro rapporti con i media”;

Il par. 14 (Accesso alla giustizia. Trasparenza) della Magna Carta dei giudici approvata il 17 novembre 2010 dal Consiglio consultivo dei giudici europei (CCJE) afferma che;”La giustizia deve essere trasparente e debbono formare oggetto di pubblicazione informazioni sul funzionamento del sistema giudiziario”.

L’ENCJ (European Network of Councils for the Judiciary), da ultimo, nel recente rapporto “Public Confidence and the Image of Justice – Report 2017-2018”, discusso a Lisbona il 1° giugno 2018, sviluppa ampiamente la prospettiva della comunicazione in ambito giudiziario e suggerisce l’adozione di piani d’azione nazionali, verifiche periodiche del livello di fiducia del pubblico, la formazione professionale specifica (per capi degli uffici, giudici, procuratori, personale amministrativo), l’elaborazione di linee-guida sui rapporti tra il giudiziario e i media. In particolare, tra l’altro, raccomanda la nomina come “spokeperson” di giudici o procuratori con specifica formazione in tema di comunicazione e l’istituzione di uno “specialised department” che impieghi professionisti nella comunicazione sotto la direzione del “press judge/prosecutor”.

[6] Si tratta di una proposta, condivisa da molti magistrati e giuristi finalizzata a consentire ai giornalisti l’accesso diretto agli atti giudiziari già depositati e depurati di ciò che riguarda la vita privata delle persone;  http://www.questionegiustizia.it/articolo/intercettazioni_e-non-solo_la-sfida-dell-accesso-diretto-dei-giornalisti-agli-atti-depositati-non-piu-segreti_06-07-2017.php

[7] v. intervento di Ettore Ferrara (Presidente del Tribunale di Napoli) al corso di formazione dal titolo “Il sistema della giustizia nel mondo dell’informazione”, organizzato dalla Scuola Superiore della Magistratura e tenutosi a Roma, dal 5 al 7 giugno 2017

[8] Per una completa disamina della questione v. l’articolo, interamente in lingua inglese, di M. Canepa, D. Mark Ponton, Fair Trial in the Digital Era.English and Italian standpoint, in MediaLaws – Rivista dir. media, 1, 2019.

[9] v. per un esempio, il Bilancio di responsabilità sociale che per la prima volta la Procura Generale presso la Corte d’Appello di Milano, la Procura della Repubblica presso il Tribunale per i Minorenni di Milano e la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Milano hanno unitariamente rappresentato https://www.procura.milano.giustizia.it/files/brs-procura-mi-2017.pdf

[10] G. Canzio, Un’efficace strategia comunicativa degli uffici giudiziari vs. il processo mediatico, Diritto penale e processo 12/2018, 1540

[11] L’Ufficio del Massimario cura la redazione delle notizie di decisione che vengono inserite in rete nel Servizio Novità (ora “Recentissime dalla Corte” del sito web della Corte di cassazione http://www.cortedicassazione.it/).

[12] Deve però essere segnalato come la tematica non è comunque trascurata dalla Scuola, come testimonia, in continuità con quanto avviene da molti anni, l’organizzazione del corso dedicato alla formazione permanente per l’anno 2019 dal titolo “Il dibattito pubblico sui processi e sulle questioni di giustizia” http://www.scuolamagistratura.it/formazione-permanente/2014-11-12-13-09-5/365-formazione/formazione-permanente/formazione-permanente-anno-2019/2095-p19025-il-dibattito-pubblico-sui-processi-e-sulle-questioni-di-giustizia.html