di Andrea Venegoni
Come è ormai noto a molti, anche non cultori della specifica materia del diritto penale dell’Unione Europea, l’anno scorso è stato approvato il regolamento dell’Unione per istituire l’Ufficio della Procura Europea[1].
In quanto tale, si tratta ovviamente di un atto ad efficacia diretta negli ordinamenti dei singoli Stati Membri, senza necessità di normativa di recepimento, e quindi può oggi dirsi con chiarezza che l’istituzione della Procura Europea (generalmente indicata come “EPPO” acronimo dell’espressione inglese “European Public Prosecutor’s Office”) è una realtà.
Infatti, le Istituzioni dell’Unione sono già al lavoro per gli adempimenti necessari per il funzionamento del nuovo organismo.
Lo stesso regolamento prevede alcune tappe: la prima è, naturalmente, la nomina dei componenti dell’ufficio, dopodiché si procederà alla creazione di un regolamento interno e poi l’EPPO inizierà concretamente ad operare con l’avvio delle indagini.
A differenza di quanto avvenuto finora a livello sovranazionale, infatti, l’EPPO non sarà un organismo di coordinamento di indagini penali (come, per intenderci, Eurojust), ma sarà un autentico ufficio giudiziario investigativo di dimensione europea.
Non è questa la sede per soffermarsi in dettaglio sul regolamento; basti, al riguardo, evidenziare gli aspetti essenziali del nuovo ufficio, dopo avere ricordato che non tutti i 28 (ormai quasi 27) Stati dell’UE hanno aderito al progetto: l’EPPO quindi opererà per venti Stati, non essendone, al momento, parte, oltre al Regno Unito che si avvia ad uscire anche dalla UE, l’Irlanda, la Danimarca, la Polonia, la Svezia, l’Ungheria, Malta e l’Olanda.
Struttura:
L’EPPO si comporrà, nel suo complesso, di un ufficio centrale e di procuratori europei delegati operanti fisicamente nei singoli Stati Membri, ma appartenenti all’ufficio. L’ufficio centrale è costituito dal Procuratore Europeo, due vice ed il collegio dei procuratori europei, formato da un procuratore per ciascuno Stato membro aderente all’EPPO.
Ogni Paese sarà libero di organizzare la propria struttura di procuratori delegati sul proprio territorio come meglio ritiene, con la sola condizione che siano presenti almeno due procuratori delegati per Stato e che la stessa sia idonea ad assicurare una efficiente ed efficace conduzione delle indagini. I procuratori delegati per ogni Stato saranno scelti dal collegio dei procuratori europei dell’ufficio centrale, a quel punto già costituito
I procuratori delegati sono magistrati appartenenti amministrativamente all’ordine giudiziario nazionale, ma quando essi svolgeranno indagini su reati di competenza dell’EPPO, funzionalmente apparterranno a quest’ultimo ufficio, anche se operanti negli Stati Membri.
Essi rivestono una particolare importanza nell’EPPO perché saranno coloro che condurranno in concreto le indagini. Queste saranno svolte, infatti, essenzialmente a livello decentrato, a partire dalla iscrizione della notizia di reato. Tuttavia, le stesse saranno monitorate e supervisionate a livello centrale dal Procuratore europeo della stessa provenienza geografica del Paese in cui il delegato le starà conducendo.
Il collegio a livello centrale, nella composizione plenaria, si occuperà essenzialmente di questioni amministrative o di politiche generali dell’ufficio. I procuratori europei saranno, tuttavia, anche coinvolti in alcune decisioni operative chiave per l’indagine. Per fare ciò, saranno suddivisi in “camere permanenti”, mini-collegi di tre membri, di cui uno presidente. Il procuratore europeo delegato sarà, quindi, colui che condurrà operativamente l’indagine, peraltro sotto la supervisione del collega dell’ufficio centrale. La camera permanente, però, avrà un ruolo importante in essa, secondo quanto previsto dall’art. 10: sarà infatti coinvolta nella decisione sulla chiusura dell’indagine, e cioè sul rinvio a giudizio o sulla richiesta di rinvio a giudizio, o sull’archiviazione, o sulla definizione con rito alternativo del procedimento. Deciderà, inoltre, sulla valutazione sulla competenza dell’EPPO in merito al reato per cui esso procede, con conseguente invio del caso alle autorità nazionali qualora ritenga che il procedimento non rientri nella competenza dell’ufficio, e sulla riapertura dell’indagine.
Non meno importanti i poteri della camera permanente prima dell’avvio dell’indagine, potendo incaricare un procuratore europeo delegato di avviarla, così come di esercitare il diritto di avocazione dell’indagine, qualora emerga che la stessa riguarda un reato di competenza dell’ufficio, in caso di inerzia del possibile procuratore delegato competente.
Competenza:
Quanto alla competenza, l’EPPO viene, ad oggi, istituito come organo addetto a condurre indagini, esercitare l’azione penale e partecipare ai processi relativi ai reati di cui alla direttiva del Consiglio n. 1371/2017 sulla tutela degli interessi finanziari dell’Unione Europea; il regolamento ha quindi scelto di definire la competenza dell’EPPO mediante rinvio ad un altro strumento giuridico di recente approvato, la c.d. direttiva PIF, entrata in vigore nell’ottobre 2017.
Si tratta della direttiva adottata – dopo lungo dibattito nel Consiglio dell’Unione e nel Parlamento Europeo – sulla base dell’art. 83 TFUE, anziché dell’art. 325 TFUE come originariamente proposto dalla Commissione Europea, finalizzata all’armonizzazione del diritto penale sostanziale per favorire la tutela degli interessi finanziari dell’Unione attraverso il diritto penale. Essa sostituisce la ben nota Convenzione PIF del 1995, che era già stata attuata negli Stati membri nel corso di questi anni. Rinviando per l’analisi della stessa ai testi specifici, basti in questa sede ricordare che la direttiva delinea come reati che colpiscono gli interessi finanziari dell’Unione i tre “classici” individuati fin dai tempi della Convenzione del 1995, e cioè la frode, sia nelle entrate che nelle spese del bilancio dell’Unione, la corruzione ed il riciclaggio. Ad essi, però, aggiunge la frode nelle procedure di appalto e l’appropriazione indebita dei fondi europei da parte di un pubblico ufficiale, in sostanza una sorta di quello che nel nostro sistema si definirebbe come peculato.
E’ stata riaffermata, quindi, nel testo del regolamento la competenza che si potrebbe definire primigenia dell’EPPO, come del resto delineata dallo stesso art. 86 TFUE, e cioè quella della tutela, o protezione, degli interessi finanziari dell’Unione, la già citata c.d. “area PIF”, che si conferma, così, come il settore principe nello sviluppo del diritto penale dell’Unione Europea. L’estensione della competenza ad altri reati, ed in particolare a quelli di terrorismo, che così tanto ha fatto discutere negli ultimi tempi in virtù dei tragici avvenimenti recenti, resta così, per ora, solo una possibilità.
In tema di competenza, è molto interessante notare come il regolamento ha risolto un aspetto relativo al problema dei reati connessi, in particolare quando un “reato EPPO” concorre con un reato non rientrante nella competenza dell’ufficio. Vi era, infatti, il forte rischio che la connessione con reati più gravi sottraesse all’EPPO anche quelli di propria competenza, svuotandone così, di fatto, il campo di azione. Al riguardo, il regolamento prevede espressamente una ipotesi di connessione, quella con il reato di associazione a delinquere finalizzata alla commissione di “reati EPPO”, stabilendo che in tal caso, pur essendo il reato associativo, nella generalità dei sistemi, più grave del reato EPPO, la competenza di quest’ultimo prevale ed attrae il primo (art. 22 comma 2). L’applicazione del principio secondo cui il reato più grave attrae quello meno grave avrebbe, infatti, rischiato di erodere grandemente la reale competenza dell’EPPO, nei casi in cui, invece, i fatti illeciti riguardavano specificamente reati rientranti nella sua competenza. E’ esperienza comune, infatti, che i reati PIF siano spesso “reati satellite” di associazioni a delinquere. Tale disposizione rende, così, l’EPPO competente ad indagare reati di notevole portata.
Il regolamento, tuttavia, non prevede la competenza dell’EPPO sui “reati PIF” come esclusiva. Il regolamento prevede la possibilità che reati astrattamente rientranti nella competenza dell’EPPO possano essere investigati dalle autorità nazionali, se così l’EPPO consente (art 25).
Le frodi iva, poi, devono essere oggetto di particolare attenzione. Sull’inclusione delle stesse all’interno della “area PIF” si è giocata negli anni scorsi una lunga ed estenuante battaglia, essendosi, ad un certo momento, diffusa all’interno di vasti settori dell’Unione l’opinione secondo cui l’iva è essenzialmente un’imposta nazionale che non riguarda gli interessi finanziari euro-unitari. Non è questa la sede per una approfondita disamina della questione; basti, tuttavia, ricordare che, in conclusione, e grazie al ruolo esercitato dal Parlamento Europeo, i relativi reati sono stati inseriti tra quelli della direttiva 1371/2017, e, di conseguenza, di competenza dell’EPPO, ma solo allorché l’importo della frode superi i 10 milioni e la frode sia transnazionale, cioè riguardi almeno due Paesi. Restano, pertanto, escluse dalla competenza EPPO le frodi iva puramente nazionali e di valore inferiore ai 10 milioni di euro.
L’EPPO e la Corte di Cassazione
Premesso tutto quanto sopra, può essere interessante chiedersi quale sarà l’impatto dell’EPPO sul lavoro della Corte di Cassazione, e se vi saranno momenti di contatto tra i due uffici.
Va, innanzi tutto, chiarito che il regolamento EPPO si occupa solo della fase delle indagini fino alla richiesta di rinvio a giudizio. Il primo impatto che esso avrà sugli ordinamenti nazionali coinvolge, quindi, certamente gli uffici del pubblico ministero, perché vi saranno alcuni pubblici ministeri, appartenenti ai sistemi giudiziari nazionali, che si troveranno, in realtà, a lavorare e condurre indagini per una autorità diversa da quella interna, una autorità sovranazionale.
Questo è un aspetto sul quale le autorità dei singoli Stati dovranno certamente riflettere in tema di ordinamento interno.
La funzione giudicante non è, invece, oggetto di disciplina da parte del regolamento EPPO; essa continua a restare puramente nazionale.
Ciò non vuol dire, tuttavia, che l’azione del nuovo ufficio non possa avere riflessi su di essa, anche a livello di Corte di Cassazione.
Ad una primissima riflessione, alcuni temi appaiono rilevanti per gli organi giudicanti:
a) Individuazione dello Stato davanti al quale esercitare l’azione penale
Poiché, come visto, la competenza dell’EPPO, all’interno del campo della tutela degli interessi finanziari dell’Unione, non sarà esclusiva ma residuerà una competenza nazionale per gli stessi reati, il regolamento disciplina il rapporto tra l’EPPO e le autorità nazionali, con una tendenza a privilegiare i poteri dell’EPPO che, se ritiene che un caso rientri nella propria competenza, può esercitare il diritto di avocazione, che impedisce alle autorità nazionali di proseguire l’indagine (art. 27). Tuttavia, il regolamento prevede la possibilità di conflitto tra l’EPPO e le procure nazionali per la trattazione di un caso.
In tale situazione stabilisce (art. 25 comma 6) che “le autorità nazionali competenti a decidere sull’attribuzione delle competenze per l’esercizio dell’azione penale a livello nazionale decidono chi è competente per indagare il caso. Gli Stati membri specificano l’autorità nazionale che decide sull’attribuzione della competenza”.
La situazione ricorda quella dei contrasti tra pubblici ministeri che, se gli stessi appartengono a distretti diversi, sono risolti dalla Procura Generale presso la Corte di Cassazione. Si tratta di vedere quale autorità lo Stato italiano indicherà per risolvere tali conflitti.
Per quanto riguarda, invece, l’individuazione dello Stato davanti al quale esercitare l’azione penale, secondo il regolamento, questa è una prerogativa dell’EPPO, sebbene, poi, la specifica indicazione dell’organo giudicante in concreto avverrà secondo il diritto nazionale. Nulla è, però, detto sul caso in cui l’organo giudicante dello Stato individuato dall’EPPO ritenga che la giurisdizione spetti all’organo giudicante di altro Stato. Non è prevista, quindi, una ipotesi di soluzione di conflitti tra organi giudicanti, che nel nostro sistema è una delle attribuzioni della Corte di Cassazione. Poiché, però, in linea di principio, non si può escludere un conflitto di giurisdizione ad opera dei giudici, si tratterà di vedere come tale situazione potrà essere risolta.
b) Ammissibilità delle prove
Un tema che certamente si porrà nei processi relativi ad indagini dell’EPPO, sia a livello di merito ma che certamente potrebbe essere oggetto di ricorso in cassazione, è quello della ammissibilità delle prove. L’EPPO, infatti, supera il concetto di mutuo riconoscimento per l’acquisizione delle prove in uno Stato diverso da quello del luogo dell’indagine e del processo (con l’EPPO addirittura è superato lo stesso concetto di “Stato diverso”, attesa la unitarietà dell’ufficio), ma non risolve il problema del fatto che una prova può essere stata acquisita con modalità diverse da quelle con cui sarebbe stata assunta nello Stato del procedimento (e non solo del processo, atteso che il problema si può certamente porre anche per i provvedimenti cautelari, posto che l’art. 42 del regolamento attribuisce alle autorità nazionali il controllo giurisdizionale sugli atti “procedurali dell’EPPO destinati a produrre effetti giuridici nei confronti di terzi”, salvo eccezioni).
Il punto critico è, infatti, che per quanto l’EPPO cerchi di realizzare il compimento di un autentico spazio investigativo europeo, con libera circolazione della prova, alla fine il regolamento ha sì creato un ufficio unitario europeo, ma non un unitario sistema di acquisizione della prova. Per quest’ultimo sarebbe necessario, infatti, se non un codice di procedura penale europeo, quanto meno alcune regole comuni applicabili in tutti gli Stati EPPO. Il regolamento, invece, prevede che le prove saranno acquisite tendenzialmente – oltre che secondo il regolamento che, però, detta al riguardo pochissime regole, in sostanza mirate ad assicurare le maggiori garanzie possibili -, secondo la legge dello Stato in cui l’atto probatorio viene compiuto (lex loci), con possibilità per il procuratore procedente, proprio per rendere la prova il più possibile utilizzabile nello Stato del processo, di indicare particolari modalità di esecuzione secondo la lex fori, che saranno seguite a meno che non contrastino con i principi fondamentali dello Stato del procuratore delegato che procede a compiere l’atto (art. 32). Nonostante quest’ultima previsione, quindi, è alta la probabilità che l’acquisizione di una o più prove transfrontaliere (per usare la terminologia della versione italiana del regolamento, sebbene forse non perfetta sotto questo profilo) sia condotta non completamente in conformità alla legge dello Stato del procuratore titolare del procedimento “principale”, con conseguente rischio di indebolimento del quadro probatorio.
Così, è stata introdotta nel regolamento una norma “di chiusura” (art 37 comma 1) secondo la quale
“Le prove presentate a un organo giurisdizionale dai procuratori dell’EPPO o dall’imputato non sono escluse per il solo motivo che sono state raccolte in un altro Stato membro o conformemente al diritto di un altro Stato membro”,
con la precisazione (art. 37 comma 2) che
“Il presente regolamento non pregiudica la facoltà dell’organo giurisdizionale di merito di valutare liberamente le prove presentate dall’imputato o dai procuratori dell’EPPO”.
Il tema, in realtà, non è nuovo perché è proprio di tutti i procedimenti dove si pongono problemi di transnazionalità e si pone il costante dilemma tra lex fori e lex loci. Infatti la Corte ha sviluppato una propria giurisprudenza pluriennale in tema di rogatorie e la svilupperà verosimilmente anche in tema di ordine investigativo europeo (OIE), il nuovo strumento per l’acquisizione della prova all’interno della UE (peraltro, non applicabile nei procedimenti EPPO che, proprio perché in essi si supera il principio di mutuo riconoscimento su cui si fonda l’OIE, hanno una disciplina specifica sul tema negli artt. 31 e 32 del regolamento).
Sussiste, però, una differenza significativa tra i procedimenti in tema di rogatorie o OIE e quelli che saranno i procedimenti EPPO. Nei primi, esiste una normativa nazionale che rappresenta il primo punto di riferimento per le decisioni (il codice di procedura penale, eventuali accordi bilaterali ratificati, o atti di recepimento di convenzioni internazionali o provvedimenti legislativi dell’Unione non direttamente applicabili, come decisione quadro e direttiva).
Nei procedimenti EPPO ciò non dovrebbe avvenire perché, come detto, gli stessi sono disciplinati da un regolamento, atto direttamente efficace, il quale, però, sulle modalità di acquisizione della prova e l’utilizzabilità non si diffonde in maniera eccessiva.
Non è escluso, quindi, che vengano presentate al giudice, nell’ambito di un procedimento dell’EPPO, prove assunte da un procuratore sito in altro Stato, con modalità differenti da quelle che si dovrebbero applicare nello Stato del giudice che deve prendere una decisione nel merito o cautelare.
Le questioni sulla ammissibilità di tali prove dovranno essere decise, però, applicando direttamente il regolamento dell’Unione (e la legge nazionale solo ove esso a questa rinvii), con conseguente disapplicazione della normativa nazionale difforme. Questo, è prevedibile, anche ad opera della Corte di Cassazione quando sarà investita dei ricorsi contro sentenze, o anche in fase cautelare.
Per quanto, probabilmente, ciò non porterà a grossi mutamenti nelle posizioni giurisprudenziali, – attesa la comunanza di molti principi – il fatto di avere come riferimento diretto per una decisione in materia penale una normativa sovranazionale rappresenta, comunque, una situazione piuttosto nuova, di cui si è avuto solo un tormentato, e non felicissimo, assaggio – sebbene con alcune differenze – nell’ormai notissimo “caso Taricco”.
Queste costituiscono primissime riflessioni, ma è opportuno avere presente fin da ora tali questioni perché, come accennato in apertura, le procedure per la creazione materiale dell’ufficio sono ormai in movimento e si ipotizza l’operatività del medesimo nel giro di due-tre anni al massimo, e quindi con esse ci si dovrà confrontare nella pratica a breve.
E’ una nuova significativa evoluzione nei rapporti tra ordinamento dell’Unione e sistemi nazionali, di fronte alla quale è bene essere preparati per tempo.
[1] Regolamento 2017/1939(UE) DEL CONSIGLIO del 12 ottobre 2017 relativo all’attuazione di una cooperazione rafforzata sull’istituzione della Procura europea («EPPO»), in GUUE del 31.10.2017