di Assunta Cocomello e Vittorio Pazienza
Rel. n. 57/15
Roma, 13 ottobre 2015
OGGETTO:
A) 609088 – REATO – ESTINZIONE (CAUSE DI) – IN GENERE -Sospensione con messa alla prova – Limiti edittali di applicabilità – Individuazione – Aggravante ad effetto speciale – Rilevanza – Ragioni – Contrasto di giurisprudenza.
RIF. NORM.:Cod. pen., art. 63. 168-bis; cod. proc. pen., artt. 4, 464 bis, 550.
B) 609088 – REATO – ESTINZIONE (CAUSE DI) – IN GENERE -Sospensione con messa alla prova – Ordinanza di rigetto della istanza di sospensione – Autonoma ricorribilità per cassazione – Contrasto di giurisprudenza.
RIF. NORM.:Cod. pen., art. 168-bis; cod. proc. pen., artt. 464-quater, 586.
La VI sezione penale, con decisione assunta alla Camera di Consiglio del 30 giugno 2015, n. 36687, Fagrouch, ha affermato i principi di diritto così massimati:
A) “In tema di sospensione del procedimento con messa alla prova dell’imputato, quando si procede per reati diversi da quelli nominativamente individuati per effetto del combinato disposto dagli artt. 168 bis, primo comma, cod. pen., e 550, comma secondo, cod. proc. pen., il limite edittale, al cui superamento consegue l’inapplicabilità dell’istituto, si determina tenendo conto delle aggravanti per le quali la legge prevede una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato e di quelle ad effetto speciale. (In motivazione,la Corteha precisato che tale criterio risponde ad una interpretazione sistematica che rispetta la “voluntas legis” – desumibile dal rinvio operato dall’art. 168 bis, comma primo, cod. pen. all’art.550, comma secondo, cod.proc.pen. – di rendere applicabile la messa alla prova a tutti quei reati per i quali si procede con citazione diretta a giudizio dinanzi al giudice in composizione monocratica)”. (Rv. 264045).
B) “L’ordinanza di rigetto dell’istanza di sospensione del procedimento con messa alla prova dell’imputato è autonomamente impugnabile con ricorso per cassazione, in quanto il tenore letterale dell’art. 464 quater, comma settimo, cod. proc. pen., che include nella disciplina dell’autonoma ricorribilità qualsiasi provvedimento decisorio, sia esso ammissivo o reiettivo della richiesta in questione, sottrae questo alla previsione generale di cui all’art. 586 cod. proc. pen.” (RV, 264046).
In relazione ad entrambi i principi qui riportati, si registra un contrasto all’interno della giurisprudenza della Suprema corte.
A) Il problema della individuazione dei criteri per definire il perimetro della sanzione penale, che rende ammissibile la richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova dell’imputato, è affrontato dalla sentenza in esame ponendosi in consapevole contrasto con altro orientamento della giurisprudenza di legittimità.
In particolare, la pronuncia invoca una soluzione interpretativa che risponda a canoni di unità e coerenza del sistema ed afferma la necessità di applicare, ai fini dell’art.168 bis. cod. pen., i medesimi criteri di determinazione della pena specificati all’art. 4 cod. proc. pen. in materia di individuazione della competenza. A detti criteri, infatti, rinviano numerose altre disposizioni del codice di rito, quali quelle contenute nell’art.278 (in materia di applicazione di misure cautelari), nell’art.379 (in tema di arresto e fermo) e 550 (relativa alla individuazione dei casi di citazione diretta a giudizio).
Tali criteri – che prevedono debba tenersi conto della pena stabilita dalla legge per ciascun reato consumato o tentato e che non si tiene conto della continuazione, della recidiva e delle circostanze, fatta eccezione delle aggravanti per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa e di quelle ad effetto speciale – dovranno trovare applicazione, per la sentenza in commento, anche nell’ipotesi prevista dall’art.168 bis cod. pen., non solo in ragione della invocata coerenza ed unicità del sistema, ma anche al fine di rispettare la “logica complessiva della legge di rendere applicabile l’istituto della messa alla prova a tutti quei delitti per i quali si procede a citazione diretta a giudizio dinanzi al giudice in composizione monocratica”.
L’opposto orientamento – che la sentenza in esame espressamente critica, censurandone l’asistematicità – fornisce invece una interpretazione diversa del silenzio del legislatore nell’indicare i criteri per la determinazione della pena nella disposizione di cui all’art. 168 bis cod. pen., e, evidenziando come nel testo della norma manchi qualsiasi riferimento alla possibile incidenza di eventuali aggravanti, afferma che “laddove il legislatore ha voluto che si tenesse conto delle circostanze aggravanti, lo ha espressamente previsto”, così come avvenuto per gli artt. 4, 157, 278 e 134 bis cod. proc. pen. (Sez. VI, 9 dicembre 2014, n. 6483/2015, P.M. in proc. Gnocco, Rv. 262341; Sez. II, 14 luglio 2015, n. 33461, Ardissone; Sez. IV, 10 luglio 2015, n.32787, Jenkins).
In particolare, la pronuncia della Sez. VI, Gnocco, nega che il legislatore abbia inteso far coincidere il perimetro di operatività delle ipotesi per le quali è consentita la citazione diretta a giudizio con quelle per le quali è permessa la “probation”, in quanto “ove il legislatore avesse inteso tracciare una siffatta coincidenza, si sarebbe al fine riportato per intero al disposto dell’art. 550 c.p.p.”. Secondo questa pronuncia, infatti, il legislatore ha intenzionalmente richiamato soltanto il secondo comma dell’art. 550, al fine di evitare di escludere l’applicazione del nuovo istituto a quei reati di competenza collegiale puniti con la pena edittale inferiore nel massimo ai quattro anni. Quanto sopra in coerenza con la funzione deflattiva perseguita dal legislatore con l’introduzione della nuova disciplina, che deve “guidare l’interprete nella puntuale individuazione dei fondamenti oggettivi dell’istituto”.
Sez. IV, Jenkins, poi aggiunge che il mancato richiamo alla possibile incidenza delle aggravanti è coerente con la previsione dell’ammissibilità dell’istanza di sospensione e messa alla prova in una fase in cui al giudice non è consentito pronunciarsi sulla fondatezza dell’accusa così come formulata, se non in termini negativi circa la sussistenza delle condizioni per la pronuncia di non luogo a procedere ex art. 425 cod. proc. pen.
B) Sulla questione dell’autonoma impugnabilità dell’ordinanza di diniego della sospensione del procedimento con messa alla prova, la sentenza in esame ha aderito all’indirizzo, ripetutamente espresso dalla Suprema corte, secondo cui al quesito deve darsi risposta positiva, valorizzando il tenore letterale dell’art. 464 quater, cod. proc. pen.: opinione definita dal Collegio “oramai tendenzialmente maggioritaria”, alla luce delle conformi indicazioni fornite da Sez. II, 12 marzo 2015, n. 14112, Allotta; Sez. II, 6 maggio 2015, n. 20602, Corallo; Sez. V, 23 febbraio 2015, n. 24011, B., Rv. 263777; Sez. III, 24 aprile 2015, n. 27071, Frasca, Rv. 263814.
Tale ultima pronuncia, in motivazione, ha tra l’altro osservato che l’art. 464-quater, prevedendo l’autonoma impugnabilità per cassazione dell’ordinanza che decide sull’istanza di messa alla prova, senza alcuna distinzione tra ordinanze di ammissione e ordinanze di rigetto, si pone in deroga al principio generale espresso dall’art. 586 cod. proc. pen., dell’impugnabilità delle ordinanze emesse in dibattimento solo insieme alla sentenza (principio del resto operante, ai sensi dello stesso art. 586, “salvo che la legge disponga altrimenti”); la stessa decisione ha rinvenuto un ulteriore elemento a sostegno della soluzione positiva nel fatto che, in relazione al diverso istituto della messa alla prova degli imputati minorenni,la S.C.aveva affermato l’immediata ricorribilità per cassazione della sola ordinanza dispositiva della sospensione e la messa alla prova, valorizzando la concatenazione delle specifiche disposizioni dettate in materia (Sez. I, 24 aprile 1995, n. 2429, Rv.201298, inrelazione all’art. 28, secondo e terzo comma, d.P.R. n. 448 del 1988).
Anche in questo caso, la sentenza segnalata si è posta in consapevole contrasto con un diverso orientamento espresso dalla Suprema corte. In particolare, Sez. V, 15 dicembre 2014, n. 5673/2015, A.T., Rv. 262106, quale ha dichiarato l’inammissibilità del ricorso immediato per cassazione, ritenendo operare il richiamato principio generale di cui all’art. 586 cod. proc. pen.. In senso analogo, si sono espresse anche Sez. V, 14 novembre 2014, n. 5656/2015, Ascione, e Sez. V, 3 giugno 2015, n. 25666, Marcozzi, secondo cui l’impugnazione diretta prevista dal settimo comma dell’art. 464-quater ha ad oggetto esclusivamente il provvedimento di ammissione al beneficio, “giacché solo in tal caso alle parti non sarebbe altrimenti consentito alcun rimedio avverso la decisione assunta”. Nella sentenza Marcozzi, si è inoltre osservato che non può darsi rilievo, in senso contrario, al fatto che sia stata espressamente prevista anche la legittimazione dell’imputato (il quale potrebbe ad es. avere interesse ad impugnare prescrizioni ritenute troppo gravose o comunque eccentriche rispetto al programma), né al fatto che il settimo comma dell’art. 464-quater faccia generico riferimento alla «ordinanza che decide sull’istanza di messa alla prova», dal momento che tale disposizione deve essere interpretata alla luce dei commi precedenti, “i quali disciplinano l’oggetto e gli effetti del provvedimento di accoglimento, mentre quello di reiezione viene menzionato solo nel successivo nono comma ed all’esclusivo fine di prevedere la facoltà di riproposizione della richiesta”.
Redattori: Assunta Cocomello – Vittorio Pazienza
Il vice direttore
Giorgio Fidelbo