Il cd. “allarme pensioni”: qualche breve riflessione sul tema dell’applicabilità del disposto di cui all’art. 2, comma 18, della Legge n. 335/1995 s.m.i. al personale non contrattualizzato alle dipendenze della Pubblica Amministrazione

di Marco Pietricola

Com’è noto, l’art. 2, comma 18, della Legge n. 335/1995 s.m.i. prevede, per quanto in questa sede maggiormente interessa, che “Per i lavoratori, privi di anzianità contributiva, che si iscrivono a far data dal 01 gennaio 1996 a forme pensionistiche obbligatorie e per coloro che esercitano l’opzione per il sistema contributivo, ai sensi del comma 23 dell’articolo 1, è stabilito un massimale annuo della base contributiva e pensionabile di lire 132 milioni con effetto sui periodi contributivi e sulle quote di pensione successivi alla data di prima assunzione ovvero successivi alla data di esercizio dell’opzione. Detta misura è annualmente rivalutata sulla base dell’indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati così come calcolato dall’ISTAT.Il Governo  della  Repubblica  è  delegato ad emanare, entro centoventi giorni  dalla  data  di entrata in vigore della presente legge, norme relative al trattamento fiscale e contributivo della parte di reddito eccedente   l’importo   del   tetto  in  vigore  ove  destinata  al finanziamento  dei  Fondi  pensione  di cui al Decreto Legislativo 21 aprile 1993, n. 124 e successive modificazioni ed integrazioni, seguendo criteri di coerenza rispetto ai principi già previsti nel predetto decreto e successive modificazioni ed integrazioni”.

In sostanza, l’art. 2, comma 18, della Legge n. 335/1995 s.m.i. (cd. “Riforma Dini delle pensioni”) ha stabilito, nell’intento di implementare il ricorso a forme di previdenza ed assistenza complementare e garantire così – anche per tale via – una migliore e più attenta sostenibilità dell’intero sistema pensionistico italiano, che oltre un certo livello di reddito (cd. “massimale contributivo”), ad oggi fissato in €100.000/00 circa, il lavoratore (privato ovvero pubblico contrattualizzato) non è più tenuto a pagare i relativi contributi previdenziali (né lo è, specularmente, il datore di lavoro per quanto di propria competenza) e gli enti previdenziali e/o assistenziali interessati sono conseguentemente tenuti, a  loro volta, a calcolare i correlativi trattamenti pensionistici tenendo conto del detto limite di reddito, ma tutto ciò solo a condizione che ricorrano, nel caso concreto, i presupposti stabiliti dalla suddetta Legge n. 335/1995 s.m.i. nel corpo dello stesso comma 18 dell’art. 2.

Ciò posto sinteticamente in termini generali al fine di inquadrare meglio le questioni costituenti oggetto specifico della presente trattazione, occorre tuttavia a questo punto evidenziare come siffatta diposizione abbia sollecitato, in particolare nel corso degli ultimi mesi, un ampio dibattito sul tema della sua applicabilità o meno anche al personale non contrattualizzato alle dipendenze della Pubblica Amministrazione e, segnatamente e per quanto in questa sede maggiormente interessa, al personale appartenente ai ruoli della magistratura ordinaria.

Si tratta, invero, del tema del cd. “allarme pensioni”, tema evidentemente non privo di concrete e rilevanti ricadute applicative (basti pensare, a mero titolo d’esempio, al fatto che l’applicazione del cd. “massimale contributivo” può comportare un evidente e significativo peggioramento della futura condizione pensionistica dei giovani lavoratori e, in particolare e sempre per quanto in questa sede maggiormente interessa, dei giovani magistrati con una riduzione dell’ammontare delle pensioni future in alcuni casi anche importante).

Ebbene, sono fondamentalmente due le soluzione ermeneutiche allo stato prospettate con riguardo alla questione del cd. “allarme pensioni” dagli interpreti e studiosi che si sono occupati funditusdella materia (tra questi e salvo altri, l’Avv. Guido Rossi, interessatosi alla tematica de qua su incarico dell’A.N.M.-Associazione Nazionale Magistrati).

In particolare, secondo un primo orientamento interpretativo, il presupposto di legge per l’applicazione del cd. “massimale contributivo” di cui alla cd. “Riforma Dini delle pensioni”, in linea generale, non è solo quello consistente nel fatto di essere iscritti ad una determinata forma pensionistica obbligatoria a partire dal 01.01.1996 o da data successiva, ma è anche quello di essere “privi di anzianità contributiva” anteriore, e, in presenza di tali presupposti di legge, le previsioni di cui al comma 18 dell’art. 2 della Legge n. 335/1995 s.m.i. trovano applicazione anche nei confronti del personale non contrattualizzato alle dipendenze della Pubblica Amministrazione tra cui, per quanto qui maggiormente interessa, il personale appartenente ai ruoli della magistratura ordinaria. 

Con l’espressione “forme pensionistiche obbligatorie” inoltre, sempre secondo la soluzione ermeneutica in esame, la disposizione in commento fa riferimento genericamente ad ogni forma di gestione previdenziale senza distinguere tra l’assicurazione generale tradizionalmente gestita dall’INPS-Istituto Nazionale della Previdenza Sociale e le gestioni esclusive o sostitutive della stessa (purché si tratti di pensioni soggette interamente al sistema contributivo), mentre l’espressione “anzianità contributiva” impiegata dall’art. 2, comma 18, della Legge n. 335/1995 s.m.i. deve essere intesa anch’essa in senso ampio, ossia come concernente qualsiasi forma di anzianità contributiva anteriore al 01.01.1996, in qualunque modo maturata, e la cui presenza, appunto e come già evidenziato, escluderebbe l’applicazione del cd. “massimale contributivo”.

A sostegno di siffatta interpretazione militerebbero una serie di argomenti che possono schematicamente indicarsi come segue:

–         il dato letterale della norma in commento, così come poc’anzi illustrato con particolare riferimento alle predette espressioni “forme pensionistiche obbligatorie” ed “anzianità contributiva” impiegate dallo stesso art. 2, comma 18, della Legge n. 335/1995 s.m.i.;

–         le finalità perseguite dal legislatore con l’introduzione nel sistema giuridico italiano della disposizione de qua e di cui sopra (in sintesi, stabilizzazione della spesa pensionistica italiana);

–         un’interpretazione sistematica della norma, che tenga conto anche del disposto di cui all’art. 1, comma 6, della Legge n. 335/1995 s.m.i. (il quale ha sostanzialmente introdotto il sistema di calcolo contributivo nell’assicurazione generale obbligatoria e nelle forme sostitutive ed esclusive della stessa. In altri termini, sostengono i fautori di tale opzione ermeneutica tra cui il già citato Avv. Guido Rossi, sebbene la norma in commento sia contenuta nell’art. 2, comma 18, della Legge n. 335/1995 s.m.i. rubricato “Armonizzazione” e contenente soprattutto disposizioni dirette ad estendere le previsioni normative relative al regime generale dell’assicurazione obbligatoria ai regimi sostitutivi ed esclusivi della medesima, essa costituisce in realtà ed a ben vedere una specificazione delle disposizioni contenute nell’art. 1 della medesima Legge n. 335/1995 s.m.i. in quanto volta a stabilire, più propriamente, una specifica regola di calcolo e di finanziamento della pensione (interamente) contributiva in relazione a tutte le gestioni previdenziali rispetto alle quali trova applicazione tale forma di pensione) nonché del disposto di cui all’art. 2, comma 23, lett. b) della Legge n. 335/1995 s.m.i. (che contiene una delega normativa in favore del Governo in vista dell’emanazione di norme intese alla “armonizzazione ai principi ispiratori della presente legge dei trattamenti pensionistici” del personale non contrattualizzato alle dipendenze della Pubblica Amministrazione “tenendo conto, a tal fine ed in particolare, delle peculiarità dei rispettivi rapporti di impiego e dei differenti limiti di età previsti per il collocamento a riposo …(…omissis…) …“.Pertanto, sempre secondo l’opinione dei fautori di siffatto orientamento interpretativo tra cui il citato Avv. Guido Rossi e sempre alla stregua della detta delega normativa, per il suddetto personale l’applicazione delle disposizioni della Legge n. 335/1995 s.m.i. qui in commento, ivi incluse quelle sull’introduzione della cd. “pensione contributiva” e del connesso limite del cd. “massimale contributivo”, richiedeva, benché le stesse fossero dichiarate applicabili a tutte le gestioni previdenziali, l’intervento di un apposito provvedimento legislativo di armonizzazione secondo i criteri ed i principi generali di cui sopra. Le norme di armonizzazione de quibus, quindi, sono state adottate con il D.Lgs. n. 165/1997 s.m.i. che, dopo aver dettato criteri specifici di armonizzazione per le forze armate e le forze di polizia nonché assimilate (cfr. artt. 1-8 del detto D.Lgs. n. 165/1997 s.m.i.), in merito alla categoria dei magistrati (ordinari) ha sostanzialmente previsto, al comma 1 dell’art. 10, che nei confronti del personale appartenente a tale categoria ed “il cui limite di età per il collocamento a riposo d’ufficio sia superiore al 65° anno di età e che acceda al trattamento pensionistico successivamente al 65° anno di età ovvero al 60° anno di età se donna”  trovano applicazione le disposizioni in materia di pensione di vecchiaia nonché, al comma 2 dello stesso art. 10, che “In considerazione del più elevato limite di età per il collocamento a riposo dei soggetti di cui al comma 1, con decreto del Ministro del Lavoro e della Previdenza Sociale, di concerto con il Ministro del Tesoro, sono stabiliti coefficienti di trasformazione integrativi di quelli indicati nella Tabella A allegata alla citata Legge n. 335/1995 in relazione all’età dell’assicurato … (…omissis…)…” e che”Ai trattamenti pensionistici del personale di cui al presente decreto, per quanto non diversamente da esso disposto, trovano applicazione le disposizioni di cui alla Legge 08 agosto 1995, n. 335“. In tal modo e con tali norme il legislatore, da un lato, avrebbe ritenuto che l’unica peculiarità, sotto il profilo pensionistico, del rapporto di servizio della suddetta categoria di dipendenti pubblici sia costituita dalla previsione di un limite di età per il collocamento a riposo più elevato rispetto a quello stabilito per la generalità dei lavoratori e per questo, dopo aver precisato che le prestazioni pensionistiche conseguite a tali limiti di età più elevati si considerano comunque pensioni di vecchiaia, avrebbe altresì previsto l’introduzione di coefficienti di trasformazione integrativi rispetto a quelli stabiliti per la generalità dei lavoratori proprio al fine di tenere conto del più elevato limite di età per il collocamento a riposo di siffatti lavoratori del settore pubblico essendo i coefficienti previsti appunto per la generalità dei lavoratori, all’epoca contenuti nella Tabella A allegata alla stessa Legge n. 335/1995 s.m.i., individuati solo fino al compimento dell’età di 65 anni, e, dall’altro lato e fatta eccezione per la suddetta peculiarità, avrebbe stabilito che per il resto trovano applicazione ai magistrati (ordinari) tutte le restanti disposizioni sui trattamenti pensionistici contenute nella Legge n. 335/1995 s.m.i. medesima. Stante l’ampiezza di tale rinvio, deve ritenersi, concludono i fautori di siffatta corrente ermeneutica tra i quali il più volte citato Avv. Guido Rossi, che esso abbia esteso ai magistrati (ordinari) sia il sistema di calcolo contributivo introdotto dalla Legge n. 335/1995 s.m.i. (e ciò anche in considerazione del fatto che tale sistema costituisce il fondamentale principio ispiratore della stessa Legge n. 335/1995 s.m.i. al quale occorreva armonizzare, come detto, il regime previdenziale del personale pubblico non contrattualizzato) sia le disposizioni della Legge n. 335/1995 s.m.i. relative al cd. “massimale contributivo” in presenza dei relativi presupposti applicativi di cui sopra);

–         le previsioni di cui alla Lettera Circolare resa dall’allora INPDAP-Istituto Nazionale di Previdenza dei Dipendenti della Pubblica Amministrazione (oggi assorbito nell’INPS-Gestione Separata Dipendenti Pubblici) del 18 dicembre 2008 (ove è sostanzialmente precisato che, al fine di individuare le anzianità contributive anteriori al 01.01.1996 che escludono l’applicazione del sistema di calcolo delle pensioni interamente contributive e del connesso meccanismo del cd. “massimale contributivo”, devono essere considerati tutti i periodi coperti da contribuzione, sia essa effettiva o figurativa, ivi compresi il lavoro svolto all’estero, la maternità obbligatoria al di fuori del rapporto di lavoro e l’eventuale servizio militare, e ciò anche nel caso in cui tali pregressi periodi di contribuzione non vengano valorizzati presso l’ultima gestione pensionistica ) e le analoghe previsioni di cui alla Lettera Circolare INPS-Istituto Nazionale della Previdenza Sociale (adottata in relazione ai lavoratori del settore privato ma da reputare applicabile in via di interpretazione estensiva ovvero analogica anche al caso di specie) n. 49 del 17 marzo 2009 (la quale ha chiarito, per quanto in questa sede maggiormente interessa, che la contribuzione versata anteriormente al 01.01.1996 presso qualsiasi gestione pensionistica obbligatoria, anche se diversa da quella di iscrizione al 01.01.1996, comporta la non applicazione del cd. “massimale contributivo”). Ebbene, questi principi devono ritenersi evidentemente applicabili, a detta dei fautori della tesi in commento tra i quali il citato Avv. Guido Rossi, anche ai magistrati ordinari ai quali, per effetto delle norme di armonizzazione contenute nel già ricordato D.Lgs. n. 165/1997 s.m.i., devono appunto riferirsi le dette disposizioni normative anche in senso lato secondarie relative al cd. “sistema contributivo” ed al cd. “massimale contributivo” di cui alla Legge n. 335/1995 s.m.i. e di cui alle predette menzionate Lettere Circolari dell’ex INPDAP del 18 dicembre 2008 e dell’INPS n. 49 del 17 marzo 2009. Allo stesso modo e per le dette ragioni, deve ritenersi che trovino applicazione nei confronti dei magistrati ordinari anche quelle previsioni contenute nelle citate Lettere Circolari dell’ex INPDAP e dell’INPS nella parte in cui si dispone che il cd. “massimale contributivo” non si applichi neppure nell’ipotesi di anzianità contributive anteriori al 01.01.1996 maturate per effetto del riscatto, totale o parziale, del periodo del corso di laurea ovvero dei periodi di eventuali corsi e scuole di specializzazione post lauream, avendo la collocazione temporale dei periodi riscattati effetto, in forza delle diposizioni di legge sul cd. “riscatto” (cfr., in particolare, le previsioni di cui al D.Lgs. n. 184/1997 s.m.i., secondo quanto evidenziato in particolare dal citato Avv. Guido Rossi) su ogni aspetto del relativo regime pensionistico applicabile (sicché ed in altri termini, se il periodo riscattato è anteriore al 31.12.1995, troveranno applicazione tutte le regole pensionistiche previste per i lavoratori con anzianità anteriore a tale data).

Queste, dunque, le argomentazioni a sostegno della tesi dell’applicabilità delle previsioni di cui al comma 18 dell’art. 2 della Legge n. 335/1995 s.m.i. anche nei confronti del personale non contrattualizzato alle dipendenze della Pubblica Amministrazione tra cui, per quanto qui maggiormente interessa, il personale appartenente ai ruoli della magistratura ordinaria. 

Secondo un diverso e diametralmente opposto orientamento interpretativo, viceversa e come sopra già accennato, le previsioni di cui all’art. 2 della Legge n. 335/1995 s.m.i. non troverebbero applicazione nei confronti del personale non contrattualizzato alle dipendenze della Pubblica Amministrazione e, quindi e per quanto in questa sede maggiormente interessa, neppure nei confronti del personale appartenente ai ruoli della magistratura ordinaria. 

Invero, secondo i fautori di questo diverso orientamento interpretativo, occorre considerare i seguenti argomenti:

–         dal punto di vista del dato letterale, il comma 18 dell’art. 2 della Legge n. 335/1995 s.m.i. contiene un riferimento testuale alle sole “forme pensionistiche obbligatorie” sicché, al fine di valutare e stabilire l’applicabilità o meno al personale non contrattualizzato alle dipendenze della Pubblica Amministrazione e, segnatamente e per quanto in questa sede maggiormente interessa, al personale appartenente ai ruoli della magistratura ordinaria del limite del cd. “massimale contributivo”, occorre in ogni caso considerare la singola e specifica tipologia di gestione previdenziale che di volta in volta viene in rilievo nel caso concreto;

–         dal punto di vista teleologico, la tesi dell’inapplicabilità del cd. “massimale contributivo” al personale appartenente alle categorie in commento discende poi, sempre secondo i fautori di tale teoria, dalla radicale inapplicabilità dell’intero sistema contributivo rispetto a siffatto personale, e ciò in forza della mancata attivazione, in relazione in particolare al personale appartenente ai ruoli della magistratura ordinaria, di adeguate forme di previdenza complementare (ossia, il cd. “secondo pilastro” del sistema pensionistico italiano così come riformato ad opera della Legge n. 335/1995 s.m.i.);

–         da punto di vista sistematico, le previsioni di cui al comma 18 dell’art. 2 della Legge n. 335/1995 s.m.i. si caratterizzano per il fatto di avere natura e contenuto speciale rispetto alle restanti disposizioni di cui alla detta Legge n. 335/1995 s.m.i. e conseguentemente, sempre per quanto in questa sede maggiormente interessa, le stesse non sono per tale ragione ed a tali fini sussumibili nell’alveo delle disposizioni, di natura e portata più generale, di cui all’art. 1, comma 6, della Legge n. 335/1995 s.m.i. e di cui all’art. 2, comma 23, lett. b) della Legge n. 335/1995 s.m.i., entrambe in precedenza già ricordate. Ne deriva che la delega normativa di cui al detto art. 2, comma 23, lett. b) della Legge n. 335/1995 s.m.i., delega esercitata con l’emanazione del predetto D.Lgs. n. 165/1997 s.m.i., non può appunto reputarsi come riferibile, a ben vedere e sempre alla stregua dell’orientamento interpretativode quo, alla specifica disposizione in commento;

–         infine, le citate Lettere Circolari dell’ex INPDAP del 18 dicembre 2008 e dell’INPS n. 49 del 17 marzo 2009 non possono fornire convincenti e decisivi argomenti a sostegno della diversa tesi dell’applicabilità del cd. “massimale contributivo” al personale appartenente ai ruoli della magistratura ordinaria per via della loro collocazione nella cd. “gerarchia delle fonti normative” del sistema giuridico italiano, che impedisce loro di prevalere sulle disposizioni legislative sopra richiamate e qui in commento da interpretarsi alla stregua dei canoni ermeneutici fatti propri dalla teoria in esame, nonché per via della data risalente della loro adozione e della sopravvenuta soppressione – nelle more – dell’INPDAP con il conseguente suo confluire nell’INPS-Gestione Separata Dipendenti Pubblici e della connessa necessità di rileggerle ed interpretarle quindi alla luce del mutato contesto socio-economico e normativo di riferimento.    

Queste essendo le principali tesi attualmente sul campo in ordine al tema qui in commento dell’applicabilità o meno delle previsioni di cui al comma 18 dell’art. 2 della Legge n. 335/1995 s.m.i. anche nei confronti del personale non contrattualizzato alle dipendenze della Pubblica Amministrazione tra cui, per quanto qui maggiormente interessa, il personale appartenente ai ruoli della magistratura ordinaria e le varie argomentazioni avanzate a sostegno rispettivamente dell’una e dell’altra, occorre a questo punto interrogarsi sulle possibili conseguenze applicative dell’adesione all’una o all’altra di tali teorie interpretative.

Ebbene, aderendo alla tesi dell’applicabilità delle previsioni di cui al comma 18 dell’art. 2 della Legge n. 335/1995 s.m.i. anche nei confronti del personale appartenente ai ruoli della magistratura ordinaria, ne deriva anzitutto la necessità, o comunque l’opportunità, di diffidare l’Amministrazione di appartenenza e/o l’Ente previdenziale di riferimento alla restituzione dei prelievi eventualmente già operati indebitamente sulla parte di reddito eccedente il cd. “massimale contributivo” maggiorati dei relativi interessi di legge e tenendo conto altresì del relativo termine prescrizionale (in linea di massima pari a cinque anni) ovvero, a seconda dei casi, la necessità o l’opportunità di diffidare l’Amministrazione di appartenenza e/o l’Ente previdenziale di riferimento dall’effettuare (ulteriori) prelievi sulla quota di reddito eccedente appunto il cd. “tetto contributivo” o cd. “massimale contributivo” che dir si voglia.

In secondo luogo, potrebbe risultare opportuno procedere altresì alla cd. “retrodatazione dell’anzianità contributiva” a mezzo, ad esempio, del già ricordato riscatto, totale ovvero parziale, degli anni del corso di laurea ovvero degli anni di eventuali corsi e/o scuole di specializzazione post lauream nel rispetto delle relative disposizioni legislative e regolamentari nonché nel rispetto delle previsioni anche applicative di cui alle citate Lettere Circolari dell’ex INPDAP del 18 dicembre 2008 e dell’INPS n. 49 del 17 marzo 2009 (quest’ultima adottata in relazione ai lavoratori del settore privato ma da ritenere applicabile, secondo i fautori di tale corrente ermeneutica e per quanto già detto, anche nel caso di specie in via di interpretazione estensiva ovvero analogica e nei limiti della compatibilità).

In ogni caso, qualunque sia la scelta effettuata, va comunque evidenziato che la stessa può comportare significative ripercussioni anche sotto altri e differenti profili del complessivo trattamento pensionistico del personale in oggetto sia da un punto di vista giuridico che economico (si pensi, a mero titolo d’esempio, al correlativo trattamento fiscale; alle diverse modalità di erogazione dei benefici, anche e soprattutto economici, successivamente al pensionamento; alla diversa regolamentazione dei presupposti di accesso alla cd. “pensione anticipata”; e così via).

 Aderendo viceversa all’opposta tesi dell’inapplicabilità delle previsioni di cui al comma 18 dell’art. 2 della Legge n. 335/1995 s.m.i. al personale appartenente ai ruoli della magistratura ordinaria, occorrerà allora adottare ogni più opportuna ed adeguata iniziativa per la tutela, anche in sede contenziosa, dei diritti dei soggetti interessati dalle vicende normative qui in commento (ad esempio, avviando apposito contenzioso in vista del riconoscimento del proprio diritto a non vedersi assoggettato al disposto normativo de quo) ovvero attivarsi nelle competenti sedi per la costituzione di un apposito fondo di previdenza integrativa ovvero complementare in favore degli stessi appartenenti ai ruoli della magistratura ordinaria.

Questo essendo il quadro di riferimento, pare opportuno a questo punto sviluppare alcune brevi riflessioni in ordine alle conclusioni cui prevengono le due teorie poc’anzi ricordate in ordine, appunto, alla questione dell’applicabilità o meno delle previsioni di cui al comma 18 dell’art. 2 della Legge n. 335/1995 s.m.i. nei confronti del personale non contrattualizzato alle dipendenze della Pubblica Amministrazione e, segnatamente, nei confronti del personale appartenente ai ruoli della magistratura ordinaria.

Invero, la tesi dell’applicabilità del cd. “massimale contributivo” anche al personale appartenente ai ruoli della magistratura ordinaria pare fondata su più solide basi giuridiche.

In particolare e procedendo con ordine, l’argomento testuale patrocinato dai sostenitori dell’altro e diverso orientamento ermeneutico di cui sopra si è detto circa il tema qui in esame, ossia quell’argomento alla stregua del quale il comma 18 dell’art. 2 della Legge n. 335/1995 s.m.i. contiene un riferimento testuale alle sole “forme pensionistiche obbligatorie” sicché occorre considerare la singola e specifica tipologia di gestione previdenziale di volta in volta in rilievo nel singolo caso concreto al fine di valutare e stabilire l’applicabilità o meno al personale non contrattualizzato alle dipendenze della Pubblica Amministrazione (e, segnatamente e per quanto in questa sede maggiormente interessa, al personale appartenente ai ruoli della magistratura ordinaria) del limite del cd. “massimale contributivo”, parrebbe potersi ritenere superato in considerazione della circostanza che laratiodelle previsioni normative di cui allo stesso art. 2, comma 18, della Legge n. 335/1995 s.m.i. (cd. “Riforma Dini delle pensioni”) deve propriamente individuarsi nell’intento legislativo di implementare progressivamente il ricorso a forme di previdenza ed assistenza complementari e garantire così – anche per tale via – una migliore e più attenta sostenibilità dell’intero sistema pensionistico italiano (in sintesi, stabilizzazione della spesa pensionistica italiana), ratio legis emergente chiaramente dall’impianto complessivo della riforma de qua e dai relativi lavori parlamentari preparatori da leggersi anche alla luce del contesto storico e socio-economico di riferimento.

In questo contesto e fatte queste premesse, allora, non può che concludersi nel senso che il cd. “massimale contributivo” costituisce per sua stessa natura – nell’impianto complessivo della cd. “Riforma Dini delle pensioni” – una delle principali regole di calcolo pensionistico deputate, in prospettiva, ad assicurare appunto l’equilibrio finanziario dello stesso intero sistema pensionistico italiano così come tratteggiato nei suoi elementi costituivi dalla citata Legge n. 335/1995 s.m.i..

Ne deriva, sotto lo specifico profilo qui in esame e per quanto in questa sede maggiormente interessa, che tale regola di calcolo pensionistico non può che ritenersi applicabile – in quanto tale – ad ogni forma di gestione previdenziale senza distinzione alcuna tra l’assicurazione generale tradizionalmente gestita dall’INPS-Istituto Nazionale della Previdenza Sociale e le gestioni esclusive o sostitutive della stessa (purché si tratti, appunto, di pensioni soggette interamente al sistema contributivo nella detta prospettiva di riequilibrio del sistema pensionistico italiano).

L’espressione “forme pensionistiche obbligatorie” di cui al comma 18 dell’art. 2 della Legge n. 335/1995 s.m.i., allora, non può che essere intesa nel senso ampio – sopra già ricordato – fatto proprio dalla tesi dell’applicabilità delle previsioni di cui allo stesso predetto comma 18 dell’art. 2 della Legge n. 335/1995 s.m.i. anche nei confronti del personale non contrattualizzato alle dipendenze della Pubblica Amministrazione e, segnatamente, nei confronti del personale appartenente ai ruoli della magistratura ordinaria, senza che sia dato distinguere sotto questo profilo a seconda della natura della singola e specifica tipologia di gestione previdenziale di volta in volta in rilievo nel singolo caso concreto (come viceversa sostenuto dai fautori del diverso orientamento ermeneutico formatosi in ordine alle questioni qui in esame e di cui in precedenza si è già detto).

Ancora e nella medesima prospettiva, poi, va evidenziato, con riguardo all’argomento teleologico patrocinato dai sostenitori della tesi dell’inapplicabilità del cd. “massimale contributivo” al personale appartenente alle categorie di lavoratori in commento e consistente sostanzialmente nel rilievo della mancata attivazione – in relazione in particolare al personale appartenente ai ruoli della magistratura ordinaria – di adeguate forme di previdenza complementare (ossia, il cd. “secondo pilastro” del sistema pensionistico italiano così come riformato ad opera della Legge n. 335/1995 s.m.i.), che siffatto argomento necessiterebbe di essere adeguatamente valorizzato, per così dire, attraverso un’eventuale pronuncia di illegittimità costituzionale della disposizione in commento per asserita violazione del principio di uguaglianza di cui all’art. 3 Costit. rispetto ad altre categorie di lavoratori (in particolare, rispetto ad altre categorie di lavoratori del settore pubblico).

Ebbene, a prescindere dall’eventuale fondatezza o meno di una simile eccezione di legittimità costituzionale delle norme de quibus e dall’opportunità di attivare o meno le procedure legislative e normative a ciò funzionali, sembra in ogni caso degno di nota il fatto che, come evidenziato dai molti studiosi ed esperti occupatisi della materia, simili difficoltà interpretative, e le connesse difficoltà applicative, potrebbero adeguatamente superarsi, in un’ottica collaborativa, mediante la costituzione di un apposito tavolo tecnico con le istituzioni ed i soggetti tutti a vario titolo interessati dalle vicende normative in commento nel tentativo di individuare la soluzione più consona, eventualmente anche mediante l’istituzione e regolamentazione di adeguate forme di previdenza complementare in favore del personale appartenente ai ruoli della magistratura ordinaria, così da non svilire la ratio della cd. “Riforma Dini delle pensioni” e, al tempo stesso, assicurare normativamente un adeguato trattamento pensionistico anche in favore di siffatta categoria di lavoratori del settore pubblico soprattutto con riferimento alle future generazioni e, pertanto e ancora una volta, nella prospettiva di una sempre maggiore sostenibilità dell’intero sistema pensionistico italiano senza trascurare le legittime pretese degli stessi lavoratori de quibus(sostenibilità, evidentemente, da intendersi ed apprezzarsi anche in questi termini ed in questa prospettiva).

 Da un punto di vista sistematico, poi, i fautori della tesi dell’inapplicabilità del cd. “massimale contributivo” al personale appartenente alle categorie di lavoratori in commento evidenziano la circostanza che le previsioni di cui al comma 18 dell’art. 2 della Legge n. 335/1995 s.m.i. si caratterizzano per il fatto di avere natura e contenuto speciale rispetto alle restanti disposizioni di cui alla detta Legge n. 335/1995 s.m.i. e conseguentemente, sempre per quanto in questa sede maggiormente interessa, le stesse non possono per tale ragione ed a tali fini essere ricomprese e sussunte nell’alveo delle disposizioni, di natura e portata più generale, di cui in particolare all’art. 1, comma 6, della stessa Legge n. 335/1995 s.m.i. e di cui all’art. 2, comma 23, lett. b) della medesima Legge n. 335/1995 s.m.i. (come già ricordato, l’art. 1, comma 6, della Legge n. 335/1995 s.m.i. ha sostanzialmente introdotto il cd. “sistema contributivo” per il calcolo delle pensioni in relazione a tutte le gestioni previdenziali ivi meglio specificate, mentre l’art. 2, comma 23, lett. b) della detta Legge n. 335/1995 s.m.i. contiene una delega normativa in favore del Governo in vista dell’emanazione di norme intese alla “armonizzazione ai principi ispiratori della presente legge dei trattamenti pensionistici” del personale non contrattualizzato alle dipendenze della Pubblica Amministrazione “tenendo conto, a tal fine ed in particolare, delle peculiarità dei rispettivi rapporti di impiego e dei differenti limiti di età previsti per il collocamento a riposo …(…omissis…) …”), e ciò con la conseguenza che la delega normativa di cui al suddetto art. 2, comma 23, lett. b) della Legge n. 335/1995 s.m.i., delega esercitata con l’emanazione del D.Lgs. n. 165/1997 s.m.i., non può appunto reputarsi come riferibile, per tutte le suddette ragioni e sempre alla stregua dell’orientamento interpretativo de quo, alla specifica disposizione in commento (ossia, il comma 18 dell’art. 2 della stessa Legge n. 335/1995 s.m.i.).

Ebbene, occorre al riguardo evidenziare, anzitutto, il fatto che la delega di cui al citato art. 2, comma 23, della Legge n. 335/1995 s.m.i. è stata, come detto, esercitata mediante l’emanazione del D.Lgs. n. 165/1997 s.m.i. (pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 139 del 17.06.1997 e le cui disposizioni sono entrate in vigore in data 02.07.1997, salve quelle di cui al Titolo I – relativo al trattamento pensionistico del personale militare delle Forze Armate, compresa l’Arma  dei  Carabinieri, del Corpo della Guardia di Finanza nonché del personale delle Forze di  Polizia ad Ordinamento Civile e del Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco – entrate viceversa in vigore in data 01.01.1998).

Tale D.Lgs. n. 165/1997 s.m.i., poi, prevede all’art. 9, per quanto in questa sede maggiormente interessa, che “Le  disposizioni  di  cui  al  presente  titolo  armonizzano ai principi ispiratori della Legge 08 agosto 1995, n. 335, il trattamento pensionistico dei  magistrati  ordinari, amministrativi e contabili, degli  avvocati e procuratori dello Stato, del  personale della carriera diplomatica e della carriera prefettizia, a partire, rispettivamente,  dalle qualifiche di segretario di legazione e di vice-consigliere di prefettura, dei dirigenti generali, nonché dei professori e ricercatori universitari”, all’art. 10 che”1.Nei  confronti del personale appartenente alle categorie di cui all’articolo  9  il  cui  limite di età per il collocamento a riposo d’ufficio sia superiore al 65 anno di età, che acceda al trattamento pensionistico successivamente al 65 anno di età ovvero al 60 anno di età se donna, al  relativo trattamento trovano applicazione le disposizioni in materia di pensionamento di vecchiaia. 2.In  considerazione del più elevato limite di età per il collocamento a riposo dei soggetti di cui al comma 1, con Decreto del Ministro del Lavoro e della Previdenza Sociale, di concerto con il Ministro del Tesoro, sono stabiliti coefficienti di trasformazione integrativi di quelli indicati nella Tabella A allegata alla citata Legge n. 335 del 1995, in relazione all’età dell’assicurato, superiore a 67 anni, al momento del pensionamento” ed all’art. 11 che”Ai trattamenti pensionistici del personale di cui al presente decreto, per  quanto non diversamente da esso disposto, trovano applicazione le disposizioni di cui alla Legge 08 agosto 1995, n. 335″.

Dunque, nessun dubbio pare sussistere in ordine al fatto che la delega legislativa di cui al citato art. 2, comma 23, della Legge n. 335/1995 s.m.i. sia stata esercitata mediante l’emanazione del detto D.Lgs. n. 165/1997 s.m.i. anche con riferimento al personale appartenente ai ruoli della magistratura ordinaria.

Nessun dubbio, poi, pare sussistere anche con riferimento al fatto che, per effetto della detta delega legislativa, il cd. “massimale contributivo di cui al comma 18 dell’art. 2 della Legge n. 335/1995 s.m.i. trovi applicazione anche rispetto a tale categoria di lavoratori.

Invero, sebbene la norma in commento sia contenuta nell’art. 2, comma 18, della Legge n. 335/1995 s.m.i. rubricato “Armonizzazione” e contenente soprattutto disposizioni dirette ad estendere le previsioni normative relative al regime generale dell’assicurazione obbligatoria ai regimi sostitutivi ed esclusivi della medesima, essa costituisce in realtà, ed a ben vedere, una mera specificazione delle più generali disposizioni contenute nell’art. 1 della medesima Legge n. 335/1995 s.m.i., in quanto volta a stabilire – più propriamente – una specifica regola di calcolo e di finanziamento della pensione (interamente) contributiva in relazione a tutte le gestioni previdenziali rispetto alle quali trova applicazione tale forma di pensione, nonché una mera specificazione del più generale disposto di cui all’art. 2, comma 23, lett. b) della stessa Legge n. 335/1995 s.m.i., che contiene appunto una delega normativa in favore del Governo in vista dell’emanazione di norme intese alla “armonizzazione ai principi ispiratori della presente legge dei trattamenti pensionistici” del personale non contrattualizzato alle dipendenze della Pubblica Amministrazione “tenendo conto, a tal fine ed in particolare, delle peculiarità dei rispettivi rapporti di impiego e dei differenti limiti di età previsti per il collocamento a riposo …(…omissis…)…”.

Pertanto, per il suddetto personale l’applicazione delle disposizioni della Legge n. 335/1995 s.m.i. qui in commento, ivi incluse quelle sull’introduzione della cd. “pensione contributiva” e del connesso limite del cd. “massimale contributivo”, richiedeva e richiede, benché le stesse fossero dichiarate applicabili a tutte le gestioni previdenziali, l’intervento di un apposito provvedimento legislativo di armonizzazione secondo i criteri ed i principi generali di cui sopra.

Le norme di armonizzazione de quibus, quindi, sono state appunto adottate con il suddetto D.Lgs. n. 165/1997 s.m.i. che, dopo aver dettato criteri specifici di armonizzazione per le forze armate e le forze di polizia nonché assimilate (cfr. artt. 1-8 del detto D.Lgs. n. 165/1997 s.m.i.), in merito alla categoria dei magistrati (ordinari) ha sostanzialmente previsto, al comma 1 dell’art. 10 e come già precisato in precedenza, che nei confronti del personale appartenente a tale categoria ed “il cui limite di età per il collocamento a riposo d’ufficio sia superiore al 65° anno di età e che acceda al trattamento pensionistico successivamente al 65° anno di età ovvero al 60° anno di età se donna”trovano applicazione le disposizioni in materia di pensione di vecchiaia nonché, al comma 2 dello stesso art. 10, che “In considerazione del più elevato limite di età per il collocamento a riposo dei soggetti di cui al comma 1, con decreto del Ministro del Lavoro e della Previdenza Sociale, di concerto con il Ministro del Tesoro, sono stabiliti coefficienti di trasformazione integrativi di quelli indicati nella Tabella A allegata alla citata Legge n. 335/1995 in relazione all’età dell’assicurato … (…omissis…)…” e che “Ai trattamenti pensionistici del personale di cui al presente decreto, per quanto non diversamente da esso disposto, trovano applicazione le disposizioni di cui alla Legge 08 agosto 1995, n. 335 …(…omissis…) …”.

Dunque, in tal modo e con tali norme il legislatore, da un lato, ha ritenuto che l’unica peculiarità, sotto il profilo pensionistico, del rapporto di servizio della suddetta categoria di dipendenti pubblici sia costituita dalla previsione di un limite di età per il collocamento a riposo più elevato rispetto a quello stabilito per la generalità dei lavoratori e per questo, dopo aver precisato che le prestazioni pensionistiche conseguite a tali limiti di età più elevati si considerano comunque pensioni di vecchiaia, ha altresì previsto l’introduzione di coefficienti di trasformazione integrativi rispetto a quelli stabiliti per la generalità dei lavoratori proprio al fine di tenere conto del più elevato limite di età per il collocamento a riposo di siffatti lavoratori del settore pubblico essendo i coefficienti previsti appunto per la generalità dei lavoratori (all’epoca contenuti nella Tabella A allegata alla stessa Legge n. 335/1995 s.m.i.) individuati solo fino al compimento dell’età di 65 anni, e, dall’altro lato e fatta eccezione per la suddetta peculiarità, ha stabilito che per il resto trovano applicazione ai magistrati (ordinari) tutte le restanti disposizioni sui trattamenti pensionistici contenute nella Legge n. 335/1995 s.m.i. medesima.

Orbene, stante l’ampiezza di tale rinvio, deve ritenersi, come evidenziato appunto dai fautori di tale orientamento ermeneutico tra cui il citato Avv. Guido Rossi, che esso abbia esteso ai magistrati (ordinari) sia il sistema di calcolo contributivo introdotto dalla Legge n. 335/1995 s.m.i. (e ciò anche in considerazione del fatto che tale sistema costituisce il fondamentale principio ispiratore della stessa Legge n. 335/1995 s.m.i. al quale occorreva ed occorre armonizzare, come detto, il regime previdenziale del personale pubblico non contrattualizzato) sia le disposizioni della Legge n. 335/1995 s.m.i. relative al cd. “massimale contributivo” in presenza dei relativi presupposti applicativi e di cui sopra.

Del resto, fermo restando tutto quanto precede, va poi ricordato che, ritenendo la detta delega legislativa di cui all’art. 2, comma 23, lett. b), della Legge n. 335/1995 s.m.i. come caratterizzata da una portata generale e, pertanto, non idonea a ricomprendere anche le disposizioni di cui al comma 18 dell’art. 2 della stessa Legge n. 335/1995 s.m.i. in quanto diposizioni di portata speciale e quindi derogatoria rispetto alle altre e rispetto altresì a quella di cui al comma 6 dell’art. 1 della Legge n. 335/1995 s.m.i. (come sostenuto dai fautori della tesi dell’inapplicabilità del cd. “massimale contributivo” al personale appartenente alle categorie di lavoratori in commento), dovrebbe allora concludersi nel senso dell’inapplicabilità ai lavoratori non contrattualizzati alle dipendenze della Pubblica Amministrazione dell’intero cd. “sistema contributivo” (in luogo di quello cd. “retributivo”) – di cui fanno appunto parte, evidentemente, anche le disposizioni sul cd. “massimale contributivo” per quelle ragioni di carattere letterale, teleologico e sistematico in precedenza già ricordate – così come delineato dalle stesse disposizioni di cui alla detta Legge n. 335/1995 s.m.i., ciò che, proprio per tutte le dette ragioni e motivazioni, non pare viceversa giuridicamente sostenibile.

Infine, con riferimento a quell’argomento (anch’esso fatto proprio dai sostenitori della tesi dell’inapplicabilità del cd. “massimale contributivo” al personale appartenente alle categorie di lavoratori in commento) alla stregua del quale le Lettere Circolari dell’ex INPDAP del 18 dicembre 2008 e dell’INPS n. 49 del 17 marzo 2009 non possono fornire convincenti e decisivi argomenti a sostegno della diversa tesi dell’applicabilità del cd. “massimale contributivo” al personale appartenente ai ruoli della magistratura ordinaria per via della loro collocazione nella cd. “gerarchia delle fonti normative” del sistema giuridico italiano (che impedisce loro di prevalere sulle disposizioni legislative sopra richiamate) nonché per via della data risalente della loro adozione e della sopravvenuta soppressione – nelle more – dell’INPDAP con il conseguente suo confluire nell’INPS-Gestione Separata Dipendenti Pubblici e della connessa necessità di rileggerle ed interpretarle quindi alla luce anche del mutato contesto socio-economico e normativo di riferimento, non possono che richiamarsi tutte le argomentazioni fin qui già sviluppate a sostegno della diversa tesi dell’applicabilità del cd. “massimale contributivo” anche al personale appartenente alle categorie di lavoratori in commento, argomentazioni che, considerate nel loro insieme, inducono appunto a ritenere non convincente questo solo ultimo profilo richiamato dai fautori del contrapposto orientamento ermeneutico poc’anzi ricordato.

Né argomenti in senso contrario sembra possano poi trarsi, fermo restando tutto quanto precede, dalla recente pronuncia della Corte Suprema di Cassazione, a Sezioni Unite, n.17742/2015, secondo cui “In conclusione, debbono affermarsi i seguenti principi di diritto: A) Nel regime dettato dalla Legge 08.08.1995, n. 335 (legge di riforma del regime pensionistico obbligatorio e complementare), gli enti di previdenza privatizzati di cui al D. Lgs. 30.06.1994, n. 509 (tra cui rientra la Cassa Nazionale di Previdenza ed Assistenza a favore di Ragionieri e Periti Commerciali) non possono adottare, in funzione dell’obiettivo di assicurare l’equilibrio di bilancio e la stabilità delle proprie gestioni, provvedimenti (quale la delibera 28.06.1997 del Comitato dei Delegati della Cassa, approvata con decreto 31.07.1997 del Ministro del Lavoro e della Previdenza Sociale) che, lungi dall’incidere sui criteri di determinazione del trattamento pensionistico, impongano un massimale allo stesso trattamento e, come tali, risultino incompatibili con il rispetto del principio del cd. “pro rata” previsto dall’art. 3, comma 12, della stessa Legge 08.08.1995 n. 335, in relazione alle anzianità già maturate rispetto all’introduzione delle modifiche derivanti dagli stessi provvedimenti; B) Nel regime previdenziale dettato dalla Legge 08.08.1995, n. 335 (legge di riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare), per le prestazioni pensionistiche erogate dagli enti previdenziali privatizzati ai sensi del D. Lgs. 30.06.1994, n. 509 (tra cui rientra la Cassa Nazionale di Previdenza ed Assistenza a favore di Ragionieri e Periti Commerciali) ed in relazione alle anzianità già maturate rispetto all’introduzione delle modifiche imposte dalla legge di riforma, per i trattamenti pensionistici maturati prima del 01 gennaio 2007 trova applicazione l’art 3, comma 12, della Legge n. 335 del 1995 nella formulazione originaria, che prevedeva l’applicazione rigorosa del principio del cd. “pro rata”; C) Nel regime previdenziale e per gli enti indicati al capo che precede, per i trattamenti pensionistici maturati dal 01 gennaio 2007 in poi trova applicazione l’art. 3, comma 12, della Legge 08.08.1995, n. 335 nella formulazione introdotta dall’art 1, comma 763, della Legge 27.12.2006, n. 296, che prevede che gli enti previdenziali suddetti emettano delibere che mirano alla salvaguardia dell’equilibrio finanziario di lungo termine, “avendo presente” – e non più rispettando in modo assoluto – il principio del cd. “pro rata”, tenendo conto dei criteri di gradualità e di equità fra generazioni. Con riferimento agli stessi trattamenti pensionistici maturati dopo il 01 gennaio 2007, sono fatti salvi gli atti e le deliberazioni in materia previdenziale già adottati dagli enti medesimi ed approvati dai Ministeri vigilanti prima della data di entrata in vigore della Legge n. 296 del 2006, ai sensi dell’ultimo periodo del detto art. 1, comma 763, della  Legge n. 296 del 2006, come interpretato dall’art 1, comma 488, della Legge 27.12.2013 n. 147, il quale ha contenuto chiarificatore del dettato legislativo e non viola i canoni legittimanti l’intervento interpretativo del legislatore desumibili dalla Costituzione e dalla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo; D) Il diritto al pagamento dei ratei delle prestazioni pensionistiche liquidate dagli enti previdenziali privatizzati ai sensi del D. Lgs. 30.06.1994, n. 509 (tra cui rientra la Cassa Nazionale di Previdenza ed Assistenza a favore di Ragionieri e Periti Commerciali), oggetto di richiesta di riliquidazione, non si prescrive nel termine quinquennale di cui all’art. 2948, n. 4, c.c., ma in quello decennale ordinario previsto dall’art 2946 c.c.” (in questo senso, testualmente, cfr.: Cass., Sez. Un., n.17742/2015).

Invero, gli enti di previdenza privatizzati di cui al D.Lgs. n. 509/1994 s.m.i. (cui fa riferimento la citata sentenza di legittimità) sono indicati nella Tabella A allegata al detto provvedimento normativo, tabella che fa riferimento a sua volta ai seguenti Enti: Cassa Nazionale di Previdenza ed Assistenza Avvocati e Procuratori Legali; Cassa di Previdenza tra Dottori Commercialisti; Cassa Nazionale di Previdenza ed Assistenza Geometri; Cassa Nazionale di Previdenza ed Assistenza Ingegneri ed Architetti Liberi Professionisti; Cassa Nazionale del Notariato; Cassa Nazionale di Previdenza ed Assistenza Ragionieri e Periti Commerciali; Ente Nazionale di Assistenza per gli Agenti ed i Rappresentanti di Commercio (ENASARCO); Ente Nazionale di Previdenza ed Assistenza Consulenti del Lavoro (ENPACL);  Ente Nazionale di Previdenza ed Assistenza Medici (ENPAM); Ente Nazionale di Previdenza ed Assistenza Farmacisti (ENPAF); Ente Nazionale di Previdenza ed Assistenza Veterinari (ENPAV); Ente Nazionale di Previdenza ed Assistenza per gli Impiegati dell’Agricoltura (ENPAIA); Fondo di Previdenza per gli Impiegati delle Imprese di Spedizione ed Agenzie Marittime; Istituto Nazionale di Previdenza Dirigenti Aziende Industriali (INPDAI); Istituto Nazionale di Previdenza dei Giornalisti Italiani (INPGI); e Opera Nazionale Assistenza Orfani Sanitari Italiani (ONAOSI).

Dunque, già da un punto di vista soggettivo, la citata sentenza della Corte Suprema di Cassazione a Sezioni Unite (ossia: Cass., Sez. Un., n. 17742/2015) non pare riferibile al caso di specie.

Da un punto di vista oggettivo, poi, il massimale cui si riferisce la detta pronuncia del Giudice di Legittimità sembra essere, più propriamente, un massimale pensionistico e non un massimale contributivo, sicché i limiti di cui la Corte Suprema di Cassazione tratta nella sentenza de quapaiono essere limiti concernenti segnatamente il trattamento pensionistico ivi esaminato su cui, evidentemente, un eventuale massimale contributivo certamente potrebbe influire ma solo in maniera indiretta e, soprattutto, in relazione esclusivamente e conseguentemente ai soli criteri di determinazione del futuro trattamento pensionistico medesimo e non rispetto ad un suo eventuale limite, o tetto che dir si voglia, massimo.

Ancora, nel caso di specie il cd. “massimale contributivo” di cui all’art. 2, comma 18, della Legge n. 335/1995 s.m.i. pare trovare applicazione in presenza di due condizioni normative soltanto, ossia o nel caso in cui il lavoratore interessato è iscritto ad una determinata forma pensionistica obbligatoria a partire dal 01.01.1996 o da data successiva ed è altresì privo di anzianità contributiva anteriore o in caso di opzione da parte dello stesso per il cd. “sistema contributivo”.

Dunque, nel primo caso non vengono in rilievo anzianità già maturate ed eventuali diritti quesiti rispetto all’introduzione delle modifiche normative de quibus da tutelare mediante l’applicazione – rigorosa ovvero attenuata – del principio del cd. “pro rata”, come appunto pare potersi argomentare a contrario dalla lettura della citata sentenza n.17742/2015 della Corte Suprema di Cassazione, mentre nella seconda ipotesi (ossia, opzione per il sistema contributivo) si tratta evidentemente di una libera e volontaria scelta del singolo lavoratore interessato e non già di un’imposizione normativa come tale suscettibile di eventuali rilievi critici sotto i profili qui in esame, con la conseguenza che anche per tali ragioni – e per quanto in questa sede maggiormente interessa – non sembra che la detta pronuncia n. 17742/2015 della Corte Suprema di Cassazione a Sezioni Unite possa trovare applicazione – sia pure solo in via indiretta e per le enunciazioni di principio in essa contenute – anche nel caso di specie.

Infine, va evidenziato che il profilo afferente il termine prescrizionale del diritto al pagamento dei ratei delle prestazioni pensionistiche liquidate dagli enti previdenziali privatizzati ai sensi del suddetto D.Lgs. n. 509/1994 s.m.i. oggetto di richiesta di riliquidazione, profilo anch’esso affrontato dalla detta pronuncia di legittimità, non sembra evidentemente assumere rilievo ai fini in esame se non in modo del tutto indiretto ed eventuale.

 Dunque, alla luce di tutte le osservazioni e considerazioni che precedono pure in ordine al contenuto ed ai principi ispiratori della suddetta sentenza n. 17742/2015 della Corte Suprema di Cassazione a Sezioni Unite, pare più corretto concludere nel senso dell’applicabilità delle previsioni di cui al comma 18 dell’art. 2 della Legge n. 335/1995 s.m.i. anche nei confronti del personale non contrattualizzato alle dipendenze della Pubblica Amministrazione tra cui, per quanto qui maggiormente interessa, il personale appartenente ai ruoli della magistratura ordinaria, e ciò con tutte le relative conseguenze di legge – anche di carattere applicativo – di cui si è già detto in precedenza. 

Da ultimo, pare utile, a conclusione di questo excursus storico-normativo sul tenore e sul contenuto nonché sulla portata della disciplina de qua (ossia, in particolare, il comma 18 dell’art. 2 della Legge n. 335/1995 s.m.i.), dare conto del fatto che, a parere dello scrivente, è possibile un’ulteriore interpretazione che, nel tentativo di mediare tra le due contrapposte soluzioni ermeneutiche fin qui illustrate e facendo leva sugli argomenti dalle stesse rispettivamente impiegati a questi fini adeguatamente rimeditati e rivalutati nella prospettiva di una loro più attenta lettura ed accurata combinazione comunque rispettosa delle relative intrinseche peculiarità, porta ugualmente a ritenere applicabile il disposto di cui allo stesso comma 18 dell’art. 2 della Legge n. 335/1995 s.m.i. anche nei confronti del personale appartenente ai ruoli della magistratura ordinaria, ma a decorrere dalla data di entrata in vigore delle norme di armonizzazione di cui al D.Lgs. n. 165/1997 s.m.i. così come sostanzialmente richiamato dall’art. 2, comma 23, lett. b) della stessa Legge n. 335/1995 s.m.i., e ciò con tutte le relative conseguenze di legge.

Invero,  l’art. 2, comma 23, lett. b) della Legge n. 335/1995 s.m.i. contiene – come più volte ricordato – una delega normativa in favore del Governo in vista dell’emanazione di norme intese alla “armonizzazione ai principi ispiratori della presente legge dei trattamenti pensionistici” del personale non contrattualizzato alle dipendenze della Pubblica Amministrazione “tenendo conto, a tal fine ed in particolare, delle peculiarità dei rispettivi rapporti di impiego e dei differenti limiti di età previsti per il collocamento a riposo …(…omissis…) …”, e tale delega di cui al citato art. 2, comma 23, della Legge n. 335/1995 s.m.i. è stata esercitata – come pure già evidenziato – mediante l’emanazione del detto D.Lgs. n. 165/1997 s.m.i. pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 139 del 17.06.1997 e le cui disposizioni sono entrate in vigore in data 02.07.1997, salve quelle di cui al Titolo I – relativo al trattamento pensionistico del personale militare delle Forze Armate, compresa l’Arma  dei  Carabinieri, del Corpo della Guardia di Finanza nonché del personale delle Forze di  Polizia ad Ordinamento Civile e del Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco – entrate viceversa in vigore in data 01.01.1998.

Dunque, nel rispetto dei principi generali in materia di applicazione delle leggi nel tempo e nel rispetto altresì dei fondamentali principi ispiratori delle riforme normative in commento nonché delle peculiarità dei rispettivi rapporti di impiego, potrebbe ritenersi che solo a partire dal 02.07.1997 (data, appunto, di entrata in vigore dello stesso D.Lgs. n.165/1997 s.m.i. rispetto al personale appartenente ai ruoli della magistratura ordinaria) le previsioni di cui al cd. “massimale contributivo”, contenute nel comma 18 dell’art. 2 della Legge n. 335/1995 s.m.i. così come armonizzate per effetto del citato D.Lgs. n. 165/1997 s.m.i. rispetto ai trattamenti pensionistici del personale non contrattualizzato alle dipendenze della Pubblica Amministrazione in forza delle peculiarità dei rispettivi rapporti di impiego e dei differenti limiti di età previsti per il collocamento a riposo dello stesso, trovino applicazione anche rispetto al personale appartenente, per quanto in questa sede maggiormente interessa, ai ruoli della magistratura ordinaria, con tutte le relative conseguenze di legge nonché con tutti i correlativi risvolti applicativi di cui si è già detto in precedenza a proposito della tesi – da reputare appunto maggiormente condivisibile per tutte le riferite ragioni tecnico-giuridiche – dell’applicabilità del disposto di cui al medesimo comma 18 dell’art. 2 della Legge n. 335/1995 s.m.i. anche nei confronti di siffatta categoria di lavoratori del settore pubblico (sia pure a decorrere dal 02.07.1997).   

Si tratta, tuttavia, di una soluzione ermeneutica bisognosa di un maggiore approfondimento sia dal punto di vista tecnico-giuridico che sotto il profilo delle sue possibili ricadute applicative.   

In altri termini, come risulta evidente da tutto quanto fin qui esposto, trattasi di tematica estremamente complessa e delicata involgente molteplici aspetti ed interessi tutti ugualmente meritevoli di tutela giuridica e, pertanto, da approfondire con spirito costruttivo e collaborativo eventualmente anche mediante la costituzione di un tavolo tecnico con le istituzioni ed i soggetti tutti a vario titolo interessati dalle vicende normative in commento nel tentativo di individuare la soluzione più adeguata rispetto alle varie problematiche tecnico-giuridico-applicative in rilievo nel caso di specie, tavolo tecnico la cui costituzione si è già auspicata nelle precedenti righe di questo contributo al tema de quo anche in funzione dell’istituzione e regolamentazione di adeguate forme di previdenza ed assistenza complementari in favore del personale appartenente ai ruoli della magistratura ordinaria, così come già avvenuto rispetto ad altre categorie di lavoratori del settore pubblico, nella prospettiva di assicurare una sempre maggiore sostenibilità dell’intero sistema pensionistico italiano e, al tempo stesso e come richiesto anche dal contesto europeo in cui l’Italia si trova attualmente a vivere ed operare, una congrua tutela giuridica in favore delle future generazioni pure sotto il profilo in esame (tutela evidentemente funzionale anch’essa, in ultima istanza, al perseguimento dell’obiettivo – avuto principalmente di mira dal Legislatore della cd. “Riforma Dini delle pensioni” – di assicurare la sostenibilità del sistema pensionistico italiano medesimo).

Non resta, allora, che attendere eventuali futuri sviluppi normativi e giurisprudenziali.

Isernia, lì 20 settembre 2015

Dott. Marco Pietricola     

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