Abstract provvedimenti CEDU “Caso Dakir c. Belgio” (uso velo islamico)

a cura di Giuseppe Di Marzo

Caso Dakir c. Belgio(ricorso n. 4619/2912)

Con la sentenza del giorno 11 luglio 2017, la Corte europea, all’unanimità, ha ritenuto insussistente la violazione degli articoli 8 (diritto al rispetto della vita privata e familiare) e 9 (diritto alla libertà di pensiero, coscienza e religione), nonché dell’art. 14 (divieto di discriminazione), letto congiuntamente ai due articoli appena menzionati della Convenzione europea, in relazione al provvedimento con il quale tre Comuni belgi avevano vietato l’uso del velo islamico idoneo a nascondere il volto.

La Corte ha rilevato: a) che il divieto contestato dalla ricorrente, la quale aveva dedotto di fare uso del niqab, ossia di un velo che lascia scoperti solo gli occhi, aveva una base giuridica, ossia il provvedimento del quale s’è detto; b) che, come chiarito nel caso S.A.S. c. Francia (n. 43835/11), il fine di assicurare l’osservanza dei requisiti minimi della vita nella società potrebbe essere considerata come parte della protezione dei diritti e delle libertà altrui e che, pertanto, il divieto contestato avrebbe potuto essere giustificato in quanto finalizzato a garantire le condizioni della convivenza; c) che le autorità nazionali, per effetto del loro diretto e continuo contatto con le forze vitali della comunità, si trovano, in linea di principio, nella posizione migliore per valutare i bisogni e le esigenze comuni e, pertanto, devono godere di un ampio margine di discrezionalità, anche in ragione dell’assenza di un consenso tra gli Stati in questa materia.

La Corte ha piuttosto rilevato una violazione dell’art. 6, §1 (diritto all’accesso ad un giudice) e dell’art. 13 (diritto ad un rimedio effettivo), in relazione alla decisione del Consiglio di Stato belga che aveva respinto il ricorso della ricorrente per essere stato fondato esclusivamente sull’art. 113-bise non anche sull’art. 113 del provvedimento adottato dai tre Comuni.

La Corte ha ritenuto che siffatta decisione fosse eccessivamente formalistica e che il diritto della ricorrente fosse stato limitato in misura tale da alterare il giusto equilibrio che deve essere assicurato tra, da una parte, la legittima preoccupazione di garantire il rispetto dei criteri formali di accesso alle corti e, dall’altra, l’esigenza di assicurare tale accesso.

La sentenza della Corte non è definitiva, in quanto entro tre mesi ciascuna parte può chiedere che il caso sia devoluto alla Grande Camera. (A cura di Giuseppe De Marzo)