Ricordando Alessandro Criscuolo

“È un grande patrimonio morale, che abbiamo il dovere di preservare, non per esercitare un potere ma per rendere un servizio, nell’interesse della comunità di cui siamo parte”.

Alessandro Criscuolo ci ha lasciati.

Ha saputo interpretare nel modo più alto e nobile i valori costituzionali, sia nella pratica quotidiana della giustizia, sia nello svolgimento degli importanti incarichi che ha ricoperto, mai perdendo quel tratto di umanità che sempre colpiva i suoi interlocutori.

Esprimiamo la nostra affettuosa vicinanza ai suoi familiari.

Sandro è stato uno dei padri fondatori di Unità per la Costituzione, vogliamo ricordarlo con un suo intervento al Congresso dell’ANM di Genova del novembre 1987.

Le sue parole sono ancora oggi di una attualità straordinaria, rappresentano un modello di magistrato, di giurisdizione, di associazionismo nel quale ci riconosciamo e che sempre tendiamo a realizzare. Nel 1987 la sfida era stata quella referendaria per introdurre la responsabilità civile dei magistrati, oggi abbiamo dinanzi sfide altrettanto importanti per l’indipendenza della magistratura e per il servizio da rendere ai cittadini.

“Quando si parla di garanzie della giurisdizione si intende dire, o almeno così intendo io, che il magistrato deve essere il primo garante dei diritti e delle libertà dei cittadini. Non giudice di lotta, dunque, non giudice di scopo, ma giudice e basta, la cui funzione non è quella di combattere contro questo o quel fenomeno, ma di render giustizia secondo le regole del processo e nel rispetto di tali regole (…) Abbiamo ora il dovere di dire che c’è una parte cui nessun legislatore – per quanto attento, preciso e dettagliato sia – potrà mai giungere ed è la coscienza del giudice. Essa deve alimentare in lui la continua consapevolezza della difficoltà della sua funzione, che persegue necessariamente ed istituzionalmente un fine di giustizia e di verità attraverso il processo. Le disfunzioni che si sono registrate nell’uso del potere di coercizione hanno indubbiamente destato allarme nell’opinione pubblica (al di là delle strumentazioni che ci sono state), le cadute di legalità devono costituire all’interno dell’ordine giudiziario motivo di attenta riflessione, riprendendo e sviluppando il discorso utilmente, senza alcuna tentazione corporativa ma con la consapevolezza che anche in tal modo si difende e si rafforza la credibilità dell’istituzione e quindi se ne difende l’indipendenza. (….) Si deve escludere nel modo più fermo e tassativo che l’Associazione possa trasformarsi in una sorta di partito dei giudici, antagonista o collaterale o in qualsiasi modo inserita nel sistema dei partiti. Ma essa deve certamente rendersi portatrice e interprete delle tante esigenze che la complessità dell’esperienza giuridica e giudiziaria oggi sollecita, e per far ciò non può isolarsi ma deve saper mantenere un continuo colloquio con tutti i centri di riferimento istituzionali e sociali interessati alle problematiche della giustizia. In questo senso, e solo in questo, essa può esser definita soggetto politico, ovviamente e in via esclusiva sui temi della giustizia, in ordine ai quali occorre lavorare molto per far crescere la cultura istituzionale nel nostro Paese, come proprio la vicenda referendaria s’è incaricata di dimostrare, con le approssimazioni, le distorsioni, a volte i veri e propri errori di grammatica giuridica che l’hanno caratterizzata. L’Associazione deve far capire alla gente che i valori e le garanzie della giurisdizione non sono categorie esoteriche riservate ad una cerchia ristretta di addetti ai lavori, ma sono prerogative di tutti i cittadini che come tali devono concepirle, conoscerle e difenderle.

Deve chiedere con forza al Parlamento e al Governo di fare fino in fondo la loro parte, nell’ambito dell’assetto costituzionale previsto per l’ordine giudiziario e rifiutando forme più o meno surrettizie di burocratizzazione che per esempio certe letture dell’art. 28 Cost. sottendono, come se in Costituzione non fossero scritti anche gli art. 101 e segg.

Deve spiegare quanto c’è di strumentale o di culturalmente arretrato nella polemica sulla cosiddetta politicizzazione, che tenta di far passare per una sorta di correntismo partitico quello che è invece un pluralismo reale presente nell’ordine giudiziario e che è stato fattore fecondo di crescita ideale e professionale. Certo, anche le correnti dell’Anm registrano cadute, debolezze, disfunzioni. Ma la ricetta giusta è quella di curare codesti mali senza compromissione dei principi, non già quella di riportare la magistratura ad un blocco omogeneo funzionale agli interessi del potere dominante, come talune ventilate riforme del sistema elettorale per il rinnovo del Csm ad esempio lasciano intravedere. Deve poi, l’Associazione, mantenere un contatto continuo ed efficace con tutti i colleghi, potenziando molto più di quanto è avvenuto finora la vita associativa nei singoli distretti e rafforzando la partecipazione. La magistratura, che da anni è nella tempesta, vive oggi un momento particolarmente travagliato della sua esperienza. Ma quando si ripenserà a questo periodo della nostra storia morale e civile con mente sgombra da pregiudizi, non potrà essere negato il contributo importante che essa ha saputo dare al consolidamento delle istituzioni democratiche; un contributo che ha purtroppo registrato la perdita di tanti nostri colleghi ed amici caduti nel perseguimento di un ideale di giustizia. È un grande patrimonio morale, che abbiamo il dovere di preservare, e dal quale in ogni momento possiamo attingere forza sufficiente per continuare nello studio, nell’impegno, nel lavoro non per esercitare un potere ma per rendere un servizio nell’interesse della comunità di cui siamo parte.”

Per quanto hai fatto per le Istituzioni repubblicane e per la Magistratura italiana, per l’Associazionismo giudiziario e per Unità per la Costituzione, per la tua testimonianza e il tuo pensiero,

Grazie Sandro!

Il Presidente – Mariano Sciacca
Il Segretario Generale – Francesco Cananzi