Articolo a firma della Prof.ssa Antonia Menghini (già uscito sulla rivista telematica Il quotidiano giuridico) sul “Rinvio facoltativo esecuzione penale: il caso Riina”

Detenzione e tutela del diritto alla salute

Caso Riina:il diniego al rinvio facoltativo dell’esecuzione è da motivare adeguatamente

martedì 20 giugno 2017

di Menghini Antonia– Professore aggregato di diritto penitenziario presso l’Università di Trento

La Cassazione ha annullato con rinvio (sentenza 5 giugno 2017, n. 27766) l’ordinanza del Tribunale di Sorveglianza di Bologna che aveva rigettato l’istanza avanzata dal legale del Riina di differimento dell’esecuzione della pena ex art. 147 n. 2 c.p. e, in subordine, di detenzione domiciliare in surroga ex art. 47 ter comma 1 ter o.p., censurando la decisione in punto di motivazione, considerata carente e contraddittoria.

Cassazione penale, sezione I, sentenza 5 giugno 2017, n. 27766

ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI
ConformiCass. pen., sez. I, 13 luglio 2016, n. 52979
Cass. pen., sez. I, 1 dicembre 2015, n. 3262
Cass. pen. sez. I, 17 maggio 2013, n. 23930
Cass. pen., sez. I, 24 gennaio 2011, n. 16681
Cass. pen., sez. I, 8 maggio 2009, n. 22373
DifformiNon vi sono precedenti citati

La sentenza della Cassazione in commento coinvolge una personalità che, come si esprime lo stessoTribunale di Sorveglianza di Bologna (d’ora in avanti TdS), presenta un “notevolissimo spessore criminale” ed è stata fatta oggetto in poco tempo di una rilevante considerazione mediatica. Ne è scaturito un acceso dibattito che ha coinvolto l’intera società. Il sentimento maggiormente percepibile, soprattutto tra i non esperti del settore, oscilla tra lo sconcerto e l’indignazione.

Appare allora fondamentale cercare di fare un po’ di chiarezza. La Cassazione si è infatti limitata a sindacare un vizio di motivazione, giudizio questo consentitole dal nuovo codice di rito, relativo ad un provvedimento di diniego del TdS di Bologna del rinvio facoltativo dell’esecuzione della pena. In particolare, trovando la motivazione incompleta e in parte contraddittoria, ha annullato l’ordinanza e rinviato per un nuovo esame al TdS di Bologna, cui competerà di pronunciarsi nuovamente e di motivare adeguatamente la propria decisione. Nulla di “epocale”, insomma. La Cassazione non ha infatti sindacato la scelta nel merito del TdS, né, quale giudice di legittimità, avrebbe evidentemente potuto farlo, ma si è limitata a ritenere non conforme ai canoni richiesti la motivazione addotta nel provvedimento di diniego.

Ciò detto, la vicenda, da un punto di vista squisitamente giuridico, si inserisce nel macro tema della tutela del diritto alla salute del soggetto detenuto. In particolare il nodo centrale attiene, da un lato, alla definizione del presupposto previsto per la concessione del rinvio facoltativo consistente nella “condizione di grave infermità fisica” e dall’altro, all’utilizzo del potere discrezionale riconosciuto al TdS nell’apprezzamento della pericolosità sociale del detenuto, requisito quest’ultimo tipizzato dal 2001 quale elemento ostativo alla concessione del beneficio.

Con riferimento al concetto di “grave infermità”, la giurisprudenza di legittimità ha dapprima elaborato il requisito della stabilità della grave patologia per poter limitare la concessione del beneficio (stabile, secondo questa impostazione, è ogni quadro clinico che non è in grado di subire miglioramenti ove il soggetto sia rimesso in libertà), in un secondo momento ha integrato detto criterio con quello della praticabilità delle terapie all’interno della struttura carceraria, per giungere infine ad affermare la rilevanza non solo della patologia implicante un pericolo per la vita ma anche di ogni stato morboso o scadimento fisico che implichi un’esistenza al di sotto della soglia di dignità che pure deve essere riconosciuta al soggetto ristretto.

Vediamo nel dettaglio i punti salienti dell’ordinanza. Il TdS di Bologna ritiene, in primo luogo, di non poter concedere il rinvio obbligatorio  sulla base della considerazione che le relazioni sanitarie acquisite agli atti non giungono ad affermare che le pur gravi condizioni possano essere tali da comportare l’inefficacia di qualsiasi tipo di cura (id est: il soggetto non è in fin di vita). Difetta perciò il presupposto espressamente richiesto per la concessione del rinvio di cui all’art. 146 c.p..

Il TdS prende poi in considerazione la concedibilità del rinvio facoltativo di cui all’art. 147 n. 2 o.p., asserendo che lo stesso possa essere disposto “qualora la gravità della malattia determini una situazione di incompatibilità con lo stato di detenzione”, nel senso che lo status detentionis renda impossibile o eccessivamente difficoltoso il ricorso ai trattamenti medici necessari (rectius, diremo noi, che la malattia non sia né possa essere adeguatamente curata in carcere per il tramite del servizio sanitario, né mediante ricovero in centri clinici dell’amministrazione penitenziaria né,exart. 11 o.p., per il tramite del ricovero in luoghi esterni di cura) e che “raggiunga un livello tale da collidere con il senso di umanità che sempre deve connotare la pena e con il principio di tutela della salute” (artt. 27 comma 3 e 32 Cost.). Nel caso di specie, il TdS conclude però sostenendo che le patologie, pur gravi, appaiono adeguatamente trattabili anche in ambiente carcerario e ciò sulla base della tendenziale stabilità del quadro clinico, in quanto le diverse patologie appaiono “stazionarie”, e anche laddove, come nel caso della patologia cardiaca, si siano verificati episodi di aggravamento, si è sempre provveduto ad un trasferimento,exart. 11 o.p., presso l’Azienda ospedaliera universitaria di Parma, dove il Riina si trovava anche al momento della decisione del TdS. Ciò detto, il TdS conclude che il rischio di eventi cardiovascolari infausti non prevedibili non possa di per sé determinare uno stato detentivo contrario al senso di umanità né,exart. 27 Cost., pare al TdS che si possa postulare un diritto a morire fuori dal carcere.

Infine, il TdS richiama la centralità, nel caso di specie, della pericolosità sociale del soggetto istante, tale da integrare quella situazione di “eccezionalità” che impone “l’inderogabilità dell’esecuzione della pena” (in particolare il TdS richiama i gravi fatti commessi e la posizione ricoperta all’interno di Cosa Nostra, l’assenza di dissociazione, una recente condanna del 2013 ed il nutrito numero di carichi pendenti, nonché la recente rinnovazione del regime di carcere duroexart. 41biso.p.). Conclude il TdS con un sollecito a che le deficienze strutturali del carcere dedotte dalla difesa (in particolare si lamentava l’impossibilità, viste le ridotte dimensioni della cella, di poter avere a disposizione un letto rialzabile) siano ovviate nel più breve tempo possibile.

Il ricorso del difensore dell’istante lamenta in particolare:

a) la parzialità della motivazione relativa all’apprezzamento del requisito del “grave stato di infermità del detenuto”, dolendosi dell’assenza di una puntuale motivazione con riferimento alla possibilità che, nel caso concreto, la perdurante permanenza in carcere possa riflettersi in un trattamento contrario al senso di umanità;

b) l’illogicità e la contraddittorietà della motivazione relativa al passaggio finale dell’ordinanza dove lo stesso TdS ammette le deficienze strutturali della Casa di reclusione di Parma.

La Cassazione articola le proprie censure in punto di motivazione su tre livelli. In primo luogoritiene che, nel valutare l’incompatibilità dell’infermità fisica con lo status detentionis, la motivazione non possa limitarsi al profilo relativo alla possibilità di trattamento della patologia in regime detentivo. Il TdS ha dunque omesso di valutare “il complesso stato morboso del detenuto e le sue generali condizioni di scadimento fisico”. Affinché la pena non integri gli estremi del trattamento disumano e degradante in spregio al dettato costituzionale e all’art. 3 CEDU, lo stato di salute incompatibile con lo stato detentivo, idoneo alla concessione dei benefici richiesti, non si limita al caso della patologia implicante un pericolo di vita, “dovendosi avere riguardo ad ogni stato morboso o scadimento fisico capace di determinare un’esistenza al di sotto della soglia di dignità”, profilo quest’ultimo che deve essere dunque adeguatamente tenuto in considerazione.

In secondo luogo, la Cassazione lamenta l’intrinseca contraddittorietà del passaggio finale dell’ordinanza, sottolineando come le deficienze strutturali della Casa di reclusione di Parma, ammesse dallo stesso TdS, debbano avere, a differenza di quanto affermato nell’ordinanza, una sicura rilevanza nel giudizio e come le stesse debbono essere apprezzate in concreto.

Infine, la Corte richiama sulla necessità di meglio motivare circa il profilo dell’attualità della pericolosità sociale.

La palla passa ora nuovamente, come è giusto, al TdS che dovrà adeguatamente motivare, in particolare, con riferimento specifico all’incidenza che la progressiva degenerazione delle patologie possa avere sul profilo della pericolosità sociale.

Lasciamo dunque lavorare il TdS di Bologna, senza gridare allo scandalo.