Brevi note critiche dal punto di vista dell’Ufficio Esecuzione Penale del Pubblico Ministero

di David Mancini

Un piano riformatore in tema di ordinamento giudiziario e penitenziario  deve tenere conto sia delle grandi carenze delle strutture e del personale degli uffici giudiziari (in particolare dell’ulteriore carico di lavoro degli uffici esecuzione delle Procure e degli uffici della Sorveglianza) sia, su un piano parallelo, anche degli sviluppi pratici dell’introduzione dei vari istituti normativi. Gli interventi legislativi che nel tempo si sono succeduti fino al 2014, infatti, hanno inteso arginare situazioni contingenti senza peraltro tradursi in provvedimenti coordinati con la normativa vigente. Con una angolazione valutata da parte degli operatori degli uffici di Procura preposti all’esecuzione penale delle sentenze, nella pratica quotidiana si presentano non poche “criticità”, agevolmente superabili grazie ad un intervento normativo organico e sistematico.

Così, ad esempio, la legge n. 165 del 27/05/1998 cosiddetta “Simeone”  ha innovato l’art. 656 c.p.p.  inducendo gli operatori di settore a compiere continui “aggiustamenti” nella emissione degli ordini di esecuzione per l’espiazione della pena nelle varie forme, ulteriormente complicata con l’introduzione, non coordinata, della L. 199/2010, in tema di detenzione domiciliare. Infatti, considerato che l’art. 656 comma 7 c.p.p. non consente la cosiddetta “doppia sospensione” dell’ordine di carcerazione, pone un ostacolo all’applicazione dell’istituto della detenzione domiciliare ex Legge 199/2010 in quei casi in cui il condannato a pena pari o inferiore a 18 mesi, attinto dall’ordine di esecuzione con sospensione, non presenti istanza di misura alternativa nei trenta giorni. In tale ipotesi, pur potendo usufruire della detenzione domiciliare, nella prassi accade non di rado che, a causa dell’ostacolo normativo, si metta in esecuzione l’ordine sospeso ritenendo che non possa procedersi a nuova (doppia o seconda) sospensione. Le contrapposte prassi adottate in tali evenienze dai diversi uffici di Procura, anche facenti parte di un medesimo distretto, costituisce riprova della necessità di un intervento normativo chiarificatore. Risulta, infatti, che molti uffici di Procura, vanificato l’iter della sospensione senza la ricezione dell’istanza, consentono un’ulteriore “doppia” sospensione delle stesse procedure in corso, sussistendone i presupposti normativi, ai sensi della citata L. 199/2010. Di contro, altre Procure in assenza di istanze per misure alternative, revocano i propri decreti di sospensione ripristinando gli ordini di esecuzione. Opportuno precisare che gli indirizzi giurisprudenziali della Suprema Corte contribuiscono a mantenere l’incertezza sulla procedura applicativa da adottare.

Inoltre, la complicata applicazione dei principi e degli istituti normativi nella elaborazione complessa ed articolata dei provvedimenti di unificazione di pene concorrenti con il limite della disciplina del cumulo giuridico e/o con lo sviluppo dei cumuli parziali porta a risultati differenti nella determinazione della pena effettivamente da espiare. Sarebbe auspicabile stabilire precise norme per lo sviluppo di detti provvedimenti da parte del Pubblico Ministero.

A ciò si aggiunga che il controverso istituto della “fungibilità”, comportante la possibilità per il condannato di attribuire periodi di presofferto e/o espiato sine titulo  a procedure diverse da quelle in cui sono maturati, comporta un beneficio per il richiedente che, spesso, si moltiplica impropriamente in sede di adozione dei cumuli stante il difficile (se non impossibile) riscontro da parte del P.M. dei periodi già resi fungibili a causa dell’inadeguatezza degli strumenti che li dovrebbero attestare (mancata indicazione dei decreti di fungibilità con il relativo periodo utilizzato nei certificati penali in particolare quando il decreto è compreso in un provvedimento di cumulo). La previsione di cui alla L. 94/2013 della verifica dell’esistenza di periodi di misure cautelari che importino il beneficio della liberazione anticipata e di periodi di pena fungibile ai fini di poter emettere l’ordine di esecuzione con sospensione ex art. 656 co. 5 c.p.p. importa un faticoso onere in capo al P.M., soprattutto in termini di istruttoria per la fungibilità i cui periodi sono da ricostruire attraverso una minuziosa disamina del certificato del D.A.P. e, a volte, impossibili da conoscere se trattasi di periodi di custodia effettuati ab initio in arresti domiciliari attesa la mancanza di una banca dati nazionali da consultare. Deve, infine, osservarsi che la fungibilità applicata d’ufficio dal magistrato limita la libertà del condannato di poter scegliere a quale procedura esecutiva poterla attribuire nell’ottica di poter ottimizzare il vantaggio che ne deriva. Sarebbe auspicabile in tal senso che la fungibilità venga riconosciuta su richiesta dell’interessato previa verifica del P.M. del rispetto dei criteri di concedibilità (le misure cautelari e la detenzione sofferta “a vuoto” devono seguire e non precedere la commissione del reato su cui operano). Una rivisitazione organica dell’esecuzione penale consentirà di armonizzare e coordinare i diversi istituti in modo da eliminare quelle dissonanze che inducono gli uffici di Procura e di Sorveglianza ad affidarsi ad indirizzi e prassi contrapposte.

Scarica il pdf