Brevi riflessioni a margine della nuova udienza predibattimentale nei procedimenti a citazione diretta: il gioco vale davvero la candela?

A cura di Federico Noschese (giudice penale presso il Tribunale di Nocera Inferiore)

Lo schema di decreto legislativo approvato dal Consiglio dei Ministri in attuazione della Legge 27 settembre 2021, n. 134, recante “Delega al Governo per l’efficienza del processo penale nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari” non ha tradito le aspettative della riforma, e l’impatto sulla struttura del processo penale sarà di certo rumoroso.

Tra le novità di maggiore rilievo, vi è sicuramente l’inedita udienza predibattimentale nei procedimenti instaurati con decreto di citazione diretta del P.M., idea processuale più volte accarezzata dai disegni riformatori ma sin ora mai attuata1.

Al considerevole ampliamento del novero dei reati azionabili nelle forme previste dagli artt. 550 e ss c.p.p.[1]2 si è affiancata l’introduzione di un filtro generalizzato, affidato alle maglie di un’udienza camerale celebrata da un giudice appartenente al medesimo settore del dibattimento ma fisicamente diverso giacché incompatibile con quello deputato alla sua eventuale celebrazione.

L’introduzione della nuova udienza predibattimentale, che sarà disciplinata dagli artt. 554 bis e ss c.p.p., risponde, nell’ottica dei riformatori, alla duplice finalità di “consentire un vaglio preliminare, più snello di quello previsto dagli articoli 416 ss. c.p.p., circa la fondatezza e la completezza dell’azione penale” e “di concentrare in un momento anticipato, precisamente definito nella sua collocazione, tutte le attività prodromiche a quelle propriamente istruttorie e decisorie tipiche della fase dibattimentale, per consentire una più efficiente organizzazione di questo momento dell’attività giudiziaria, liberando il giudice che vi è preposto da incombenze diverse da quelle istruttorie e decisorie3.

Obiettivi condivisibili, ma con qualche perplessità circa la convenienza del mezzo prescelto per raggiungerli.

La previsione di un ulteriore diaframma tra la vocatio e il iudicium, destinato inevitabilmente a dilatare i tempi del procedimento e ad appesantire la forma, anche quella più agile della citazione diretta, stride con le esigenze di economia processuale di cui la stessa Riforma Cartabia si fa portatrice.

Non può non notarsi una contraddizione interna al disegno riformatore, laddove da un lato mira a ridurre gli spazi applicativi dell’udienza preliminare – avendone constatato il sostanziale fallimento nell’ottica deflattiva – dall’altro introduce un modulo procedimentale che di fatto la ricalca, estendendolo anche a quei reati che in passato potevano prescinderne.

Oggi è allora legittimo chiedersi se esista ancora una “citazione diretta a giudizio”, visto l’inserimento di un filtro generalizzato per tutti i reati tra l’accusa e il dibattimento. Quest’ultimo diviene sempre più elitario, riservato alle sole imputazioni che processualmente meritano il dibattimento, fase la cui celebrazione agli occhi dei riformatori non appare più doverosa, bensì garantita solo previo contemperamento di costi e risorse al suo probabile esito.

Il peso di questo bilanciamento viene posto sulle spalle dei giudici del dibattimento, chiamati a sdoppiarsi nell’esercizio della duplice funzione di giudici delle prove e giudici delle indagini, con conseguente aggravio dei carichi di lavoro e ritardo nella definizione dei procedimenti già incardinati, visto il maggior impegno da profondere nella delibazione predibattimentale di quelli di nuova iscrizione.

Tuttavia, ciò che davvero spaventa non sono i nuovi compiti attribuiti ai giudici del dibattimento, ma la concreta utilità della frammentazione degli stessi in due moduli procedimentali separati, affidati a due distinti magistrati del medesimo settore. Il rischio di un farraginoso aggravamento dei giudizi monocratici è dietro l’angolo, ed è lecito domandarsi se fosse evitabile attribuendo allo stesso giudice del dibattimento lo spettro di controlli preliminari che la Riforma Cartabia ha affidato all’udienza predibattimentale, con la sola ovvia eccezione della prognosi sulla probabilità di condanna, la cui reale efficacia deflattiva del contezioso sarà tutta da verificare.

L’anticipazione del termine ultimo per la costituzione di parte civile agli adempimenti previsti dall’art. 554 bis comma 2 c.p.p., altro non è che una specificazione del termine già previsto in via generale dall’art. 79 c.p.p., che correla la decadenza all’esaurimento degli accertamenti di cui all’art. 484 c.p.p., qualora la costituzione della parte civile non avvenga in udienza preliminare o fuori udienza.

L’introduzione di un ulteriore snodo processuale per marcare il termine di decadenza per la costituzione in giudizio della parte civile – che non sarà più consentita oltre l’udienza predibattimentale, anche nelle ipotesi in cui sia stato ancora aperto il dibattimento – sembra una soluzione alquanto eccessiva: bastava superare l’incertezza del contrasto giurisprudenziale tra l’orientamento che fissa inderogabilmente il termine entro l’esaurimento degli accertamenti di cui all’art. 484 c.p.p.4, e quello che ammette la costituzione di parte civile sino alla definizione di tutte le questioni preliminari ex art. 491 c.p.p.5, ovvero sino alla dichiarazione di apertura del dibattimento.

Analogamente può dirsi delle altre questioni preliminari ex art. 491 c.p.p.6, il cui termine di proposizione è già individuabile nella fase immediatamente successiva all’accertamento della regolare costituzione delle parti, e che ben potrebbero essere decise dal medesimo giudice competente per la successiva celebrazione del dibattimento, senza necessità di un’apposita udienza filtro.

Così anche per le richieste di accesso ai riti alternativi (giudizio abbreviato, applicazione concordata di pena, sospensione del procedimento con messa alla prova ed oblazione), formulabili innanzi al medesimo giudice assegnatario del processo alla prima udienza a contraddittorio integro, con incompatibilità per un susseguente ed eventuale dibattimento che discenderebbe direttamente dall’art. 34 c.p.p., più che dalla celebrazione dell’udienza predibattimentale. Incompatibilità tra l’altro maggiore rispetto a quella oggi prevista, posto che non tutte le reiezioni delle richieste di rito alternativo la determinano.

In quest’ottica, è singolare che l’impianto del nuovo art. 554 ter c.p.p., disciplinando l’accesso ai riti alternativi al comma secondo, individui un termine atipico per l’esercizio della facoltà, collocandolo non nella fase immediatamente successiva all’esaurimento degli accertamenti di cui all’art. 484 c.p.p. né in quella delineata dall’art. 491 c.p.p., bensì in un imprecisato arco temporale antecedente all’emanazione della sentenza di non luogo a procedere (“L’istanza di giudizio abbreviato, di applicazione della pena a norma dell’articolo 444, di sospensione del processo con messa alla prova, nonché la domanda di oblazione sono proposte, a pena di decadenza, prima della pronuncia della sentenza di cui al comma 1”).

Si tratta di un termine evidentemente incerto che sconta la mancata previsione nella nuova udienza predibattimentale di un segmento di contraddittorio in cui il giudice dà la parola alle parti, affinché discutano e illustrino le proprie conclusioni, come invece previsto per la fase della discussione in udienza preliminare dall’art. 421 c.p.p..

Un’interpretazione letterale delle norme di nuovo conio porterebbe all’estrema conseguenza di immaginare una decisione meramente cartolare da parte del giudice del predibattimento, il quale assumerebbe le proprie determinazioni sulla base del solo studio del fascicolo del P.M. (trasmessogli ai sensi del riformato art. 553 c.p.p.), senza aver ascoltato le parti. Pertanto, il P.M. non avrebbe la possibilità di perorare la tesi probabilità di condanna all’esito del dibattimento, e il difensore si vedrebbe privato della possibilità di portare all’attenzione del giudice elementi idonei a determinare un immediato proscioglimento dell’imputato. Così ragionando, è concreto il pericolo che il giudice del predibattimento assuma le vesti di un censore solitario dell’operato investigativo dell’organo inquirente, abilitato a stigmatizzarne l’inidoneità a sostenere una condanna in giudizio o, viceversa, a decretarne la probabilità di accoglimento, in assenza di contraddittorio con le parti.

L’ipotesi interpretativa non è da escludere poiché, guardando al tenore letterale delle norme relative all’udienza predibattimentale, manca la disciplina di un momento di effettivo (e necessario) contraddittorio tra le parti in ordine alle possibili determinazioni del giudice del predibattimento.

Gli unici riferimenti all’audizione delle parti si rinvengono nell’interlocuzione che consegue al rilievo da parte del giudice o di un possibile vizio di genericità dell’imputazione (art. 554 bis comma 5 c.p.p.: “In caso di violazione della disposizione di cui all’articolo 552, comma 1, lettera c), il giudice, anche d’ufficio, sentite le parti, invita il pubblico ministero a riformulare l’imputazione e, ove lo stesso non vi provveda, dichiara con ordinanza la nullità dell’imputazione e dispone la restituzione degli atti al pubblico ministero”) o della necessità di interventi ortopedici dell’incolpazione per adeguarla alle risultanze degli atti d’indagine (art. 554 bis comma 6 c.p.p.: “Al fine di consentire che il fatto, la definizione giuridica, le circostanze aggravanti e quelle che possono comportare l’applicazione di misure di sicurezza, siano indicati in termini corrispondenti a quanto emerge dagli atti, il giudice, anche d’ufficio, sentite le parti, invita il pubblico ministero ad apportare le necessarie modifiche e, ove lo stesso non vi provveda, dispone, con ordinanza, la restituzione degli atti al pubblico ministero”).

Quest’ultime previsioni sono certamente apprezzabili, poiché volte ad una definizione preliminare dell’esatto thema decidendum anche nei procedimenti a citazione diretta, evitando regressioni di fase.

Si supera così quell’orientamento che riteneva il dialogo costruttivo tra giudice e P.M. nella emendatio dell’imputazione, come delineato dalle Sezioni Unite n. 5307/2008 Battistella7, limitato alla sola fase dell’udienza preliminare, attribuendo invece al giudice del dibattimento il potere-dovere di dichiarare la nullità del decreto introduttivo del giudizio in caso di genericità della formulazione imputativa, senza la necessità di un previo invito correttivo al P.M.8.

Allo stesso modo appare opportuna l’anticipazione di eventuali modifiche alla descrizione del fatto di reato, alla sua qualificazione giuridica e alla contestazione dei satelliti circostanziali ad un momento antecedente all’inizio del dibattimento, così da cristallizzare il thema decidendum e il thema probandum, anche al fine di prevenire rimessioni in termini dell’imputato per l’accesso a riti alternativi, dovute in base ai ripetuti correttivi apportati dalla Corte Costituzionale agli artt. 516 e 517 c.p.p..

La domanda che sorge è sempre la medesima, ovvero se un tale vantaggio in termini di apparente economia processuale giustifichi l’introduzione di un’apposita udienza filtro, demandata ad un giudice diverso da quello del futuro dibattimento.

Ciò anche considerando le incertezze che governano il transito dall’udienza predibattimentale al successivo giudizio. L’art. 554 ter comma 3 c.p.p. stabilisce che “se non sussistono le condizioni per pronunciare sentenza di non luogo a procedere e in assenza di definizioni alternative di cui al comma 2, il giudice fissa per la prosecuzione del giudizio la data dell’udienza dibattimentale davanti ad un giudice diverso e dispone la restituzione del fascicolo del pubblico ministero”. La norma non chiarisce quale forma debba avere il provvedimento adottato dal giudice dell’udienza predibattimentale per disporre il rinvio innanzi al giudice competente per il dibattimento; può presumersi quella del decreto, vista l’evidenziata assenza di una fase di contraddittorio tra le parti sui possibili esiti dell’udienza, ed è inevitabile che questo sia non motivato per non contaminare la virgin mind del giudice del dibattimento. Potrebbe anche ritenersi sufficiente una mera comunicazione della data e del giudice competente per il dibattimento, ma resta il dubbio delle modalità in cui dovrà essere dato tale avviso alle parti. Si augura che operi il meccanismo sostitutivo di cui all’art. 420 bis c.p.p., con conseguente rappresentanza da parte del difensore dell’imputato dichiarato assente, o che valga la regola di cui all’art. 157 comma 8 bis c.p.p., agevolando così la necessità di un eventuale procedimento notificatorio. Laddove si ritenga invece che il provvedimento terminativo dell’udienza predibattimentale sia da equiparare ad una nuova vocatio in iudicum dell’imputato, con soluzione di continuità rispetto al decreto di citazione diretta a giudizio, dovrà procedersi alla notifica personale nelle forme previste dagli artt. 157 e ss c.p.p., vanificando eventuali sforzi di ritraccio precedenti, con conseguente allungamento dei tempi del processo.

Qualche dubbio residua anche per la posizione della persona offesa cui spetta la notifica del decreto ex art. 552 c.p.p., ma che perde il diritto ad ulteriori avvisi qualora non compaia all’udienza predibattimentale. Tale situazione preoccupa molto meno, poiché la previsione di un termine rigido ex art. 79 c.p.p., circoscritto a pena di decadenza entro l’inizio dell’udienza predibattimentale, fa sì che la persona offesa, ritualmente citata per tale sessione, non possa lamentare alcun pregiudizio dal mancato avviso delle sedute successive, qualora abbia deciso di non costituirsi parte civile in giudizio.

In definitiva, affinché la nuova udienza predibattimentale non si riveli nel tempo una pallida imitazione dell’udienza preliminare, con il solo effetto di aggravare proceduralmente anche i giudizi più snelli, introdotti con citazione diretta ex art. 552 c.p.p., occorrerà un mutamento culturale nell’approccio valutativo dei giudici del filtro: se il parametro per il passaggio al dibattimento è davvero divenuto quello della “ragionevole previsione di condanna” (art. 554 ter comma 1 c.p.p.), occorrerà una delibazione rigorosa degli atti investigativi e una prognosi seria sull’elevata probabilità che gli stessi, laddove confermati e non smentiti da sopravvenienze probatorie contrarie in dibattimento, conducano all’affermazione di responsabilità dell’imputato in ordine all’imputazione cristallizzata nell’udienza predibattimentale.

Giocoforza, dovranno ampliarsi le pronunce di non luogo a procedere, qualora una tale previsione di condanna non sia ragionevolmente probabile, nonché nelle ipotesi in cui il giudice ravvisi, anche nei soli elementi a carico raccolti dal P.M., motivi liquidi per un proscioglimento in rito o in merito. Tra quest’ultimi, particolare rilevanza assumerà la valutazione della particolare tenuità ex art. 131 bis c.p. – non espressamente richiamata dal riformatore, ma sottintesa al richiamo alle cause di non punibilità – posto che l’emancipazione dell’istituto dal limite procedurale del consenso delle parti, previsto dall’attuale art. 469 commi 1 e 1 bis c.p.p., potrà favorirne l’applicazione da parte dei giudici del filtro, chiudendo le porte del dibattimento a tutti i fatti minimamente offensivi, il cui accertamento tardivo all’esito del processo affolla i carichi di ruolo monocratici.

L’obiettivo deflattivo non può ad ogni modo imporsi anche a costo di un totale sacrificio del contraddittorio, principio costituzionale (art. 111 Cost.) e convenzionale (art. 6 CEDU) che informa di sé l’intero sistema processuale penale, e che non può essere obliterato nella fase filtro predibattimentale, non consentendo alle parti di interloquire prima che il giudice assuma le proprie determinazioni. Solo prestando attenzioni a questi moniti, e cercando di darvi concreta attuazione, il gioco della nuova udienza predibattimentale varrà la candela delle risorse che dovranno impiegarsi nella sua celebrazione. 


1 La proposta di un’udienza filtro per i reati a citazione diretta compariva già nell’ambito dei lavori parlamentari precedenti al varo della l. 16 dicembre 1999, n. 479 (c.d. Legge Carotti), ma poi venne abbandonata. L’idea di una udienza anteriore all’apertura del dibattimento veniva poi contemplata dalla Commissione di studio per la riforma del codice di procedura penale, istituita con d.l. 29 luglio 2004 e presieduta dal Professor Andrea Antonio Dalia, e da quella istituita con d.l. 27 luglio 2006 e presieduta dal Professor Giuseppe Riccio.

       2 Si veda l’art. 32 comma 1 lett. a) dello schema di decreto attuativo. Sul tema, si ricorda la scelta espressa nella legge delega, di ampliare il novero delle eccezioni già previste nel secondo comma dell’art. 550 c.p.p. sulla base di due criteri: quello formale, per cui deve trattarsi di delitti puniti con pena edittale detentiva non superiore nel massimo a sei anni, quindi delitti puniti con un massimo edittale di pena detentiva ricompreso tra quattro e sei anni, anche se congiunta alla pena della multa, e quello sostanziale della non complessità di accertamento.

3 La citazione è tratta dalla Relazione illustrativa di accompagnamento allo schema di decreto legislativo approvato dal Consiglio dei Ministri in data 4 agosto 2022.

4 Cfr. Cass. pen., Sez. 3, sentenza n. 15768/2020: “La parte civile, ove non si sia costituita nell’udienza preliminare o sia stata esclusa dal giudice ai sensi dell’art. 81 cod. proc. pen., può costituirsi, nel corso degli atti introduttivi al dibattimento, prima che si concludano gli accertamenti relativi alla regolare costituzione delle parti prevista dall’art. 484 cod. proc.pen. e non successivamente, quando sia iniziata la fase della discussione delle questioni preliminari di cui all’art. 491, comma 1, cod. proc. pen., la quale, facendo riferimento anche a quelle concernenti la costituzione di parte civile, presuppone che, in tale momento processuale, detta costituzione sia già avvenuta”.

5 Cfr. Cass. pen., Sez. 6, sentenza n. 16394/2018: “Il termine ultimo per la costituzione di parte civile deve individuarsi nel momento, antecedente all’apertura del dibattimento, in cui il giudice ha esaurito l’accertamento della regolare costituzione delle parti e deciso le eventuali questioni sollevate al riguardo, ai sensi dell’art. 491, comma 1, cod. proc. pen.”.

6 Il nuovo comma 3 dell’art. 554 bis c.p.p. stabilisce che “Le questioni indicate nell’articolo 491, commi 1 e 2, o quelle che la legge prevede siano proposte entro i termini di cui all’articolo 491, comma 1, sono precluse se non sono proposte subito dopo compiuto per la prima volta l’accertamento della costituzione delle parti e sono decise immediatamente. Esse non possono essere riproposte nell’udienza dibattimentale. Si applicano i commi 3, 4 e 5 dell’articolo 491.”.

7 Cfr. Cass., SS.UU., sentenza n. 5307/2008: “È abnorme, e quindi ricorribile per cassazione, il provvedimento con cui il giudice dell’udienza preliminare disponga la restituzione degli atti al pubblico ministero per genericità o indeterminatezza dell’imputazione, senza avergli previamente richiesto di precisarla. È invece rituale il provvedimento con cui il medesimo giudice, dopo aver sollecitato il pubblico ministero nel corso dell’udienza preliminare ad integrare l’atto imputativo senza che quest’ultimo abbia adempiuto al dovere di provvedervi, determini la regressione del procedimento onde consentire il nuovo esercizio dell’azione penale in modo aderente alle effettive risultanze d’indagine”.

8 Cfr. Cass. pen., Sez. 5, sentenza n. 22140/2022: “In caso di genericità o indeterminatezza del fatto descritto nel capo di imputazione, il giudice del dibattimento deve dichiarare la nullità del decreto che dispone il giudizio, ai sensi dell’art. 429, comma 2, cod. proc. pen. (o del decreto di citazione a giudizio, ai sensi dell’art. 552, comma 2, dello stesso codice), senza alcuna previa sollecitazione, rivolta al pubblico ministero, ad integrare o precisare la contestazione, in quanto non è estensibile alla fase dibattimentale il meccanismo correttivo che consente al giudice dell’udienza preliminare di sollecitare il pubblico ministero alle opportune precisazioni e integrazioni, indicandogli, con ordinanza interlocutoria, gli elementi di fatto e le ragioni giuridiche alla base del rilevato difetto dell’imputazione”.

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