Cass. pen., Sez. II, n. 23043/2018 – Inoperatività divieto ne bis in idem sanzioni penali e sanzioni disciplinari

Segnalazione di Sergio Beltrani

[CLASSIFICAZIONE]

DIVIETO DI BIS IN IDEM

[RIFERIMENTI NORMATIVI]

Convenzione EDU, Protocollo addizionale n. 7, art. 4, § 1;

Codice di procedura penale, art. 649 c.p.p.

[SENTENZE SEGNALATE]

Cass. pen., Sez. II, sentenza 16.2.2018, dep. 23.5.2018, n. 23043, P.G. c. Gentile

Cass. pen., Sez. II, sentenza 20.6.2017, dep. 21.9.2017, n. 43435, P.G. c. Cataldo

Divieto di un secondo giudizio per lo stesso fatto – Procedimento penale avente ad oggetto fatto già sanzionato disciplinarmente – Ne bis in idem– Operatività – Esclusione – Fattispecie.

Abstract. La II sezione penale (sentenza n. 23043 del 16/02/2018, dep. 23/05/2018, allo stato non massimata), esaminando la possibile operatività del divieto di bis in idem tra procedimenti (e sanzioni) penali e procedimenti (e sanzioni) disciplinari, ha ritenuto (ribadendo principi già affermati dalla stessa Sezione con la sentenza n. 43435 del 20/06/2017, dep. 21/09/2017, non massimata) che il predetto divieto non è configurabile tra procedimento penale e procedimento disciplinare.

1. Nel caso esaminato dalla sentenza n. 23043/18 cit., il Tribunale territorialmente competente aveva dichiarato non doversi procedere nei confronti dell’imputato, in ordine al reato ascrittogli di danneggiamento aggravato, per ne bis in idem, in quanto per lo stesso fatto, egli – ristretto in carcere – aveva già subito un procedimento disciplinare ex art. 81, comma 2, d.P.R. n. 230 del 2000, all’esito del quale gli era stata irrogata,exartt. 39 Ord. penit. e 77 Reg. pen., la sanzione disciplinare dell’esclusione temporanea dall’attività comune.

Contro questa sentenza, il Procuratore Generale distrettuale aveva proposto ricorso per cassazione, denunciando violazione dell’art. 649 c.p.p., indebita essendo, a suo avviso, l’assimilazione della sanzione disciplinare irrogata ad una sanzione penale.

2. Il collegio hapremesso che, in ordine all’ambito del divieto di bis in idem (sancito, nel diritto interno, dall’art. 649 c.p.p., ed a livello convenzionale dall’art. 4, § 1, del Protocollo addizionale n. 7 alla Convenzione EDU), è di recente intervenuta la Corte EDU, Grande Chambre, sentenza 15 novembre 2016, ric. A. e B. c. Norvegia, che ha rigettato il ricorso di due contribuenti, i quali, per la medesima evasione fiscale, avevano riportato condanna in sede penale ed in sede amministrativa (ad una sanzione tributaria).

A fondamento della ritenuta esclusione – nel caso concreto – della dedotta violazione della predetta garanzia convenzionale, la Grande Chambre ha valorizzato seguenti elementi:

– l’agevole prevedibilità, secondo la normativa norvegese, del fatto che, in conseguenza dell’accertata evasione fiscale, potessero essere instaurati in danno dei ricorrenti due distinti procedimenti, finalizzati l’uno all’irrogazione della sanzione penale, l’altro di quella amministrativa (tributaria);

– la sostanziale contestualità dei due distinti procedimenti;

– l’intervenuto richiamo, nell’ambito del procedimento penale, dei fatti accertati nel procedimento amministrativo;

– l’intervenuta determinazione della sanzione penale irrogata in concreto tenendo conto anche della sanzione amministrativa (tributaria) già applicata ai ricorrenti.

2.1. Per tali ragioni, la Corte EDU ha conclusivamente ritenuto che, pur essendo stati formalmente celebrati in danno dei ricorrenti, per lo stesso fatto, due procedimenti, che avevano conclusivamente comportato l’irrogazione di due sanzioni, in concreto, i predetti procedimenti avevano costituito distinti segmenti di un medesimo, complesso, unitario iter giudiziario.

2.1.1. La citata decisione della Grande Chambre ha ribadito la necessità di fare riferimento, per qualificare la natura sostanziale delle sanzioni irrogabili per uno stesso fatto (costituente presupposto di operatività del divieto de quo) ed evitare che, per eludere il divieto, sanzioni sostanzialmente penali vengano qualificate (con una sorta di “frode delle etichette”) come formalmente amministrative dagli ordinamenti interni, ai cc. dd. “criteri Engel” (così definiti in riferimento alla sentenza che per prima li enunciò: Corte EDU, 8 giugno 1976, Engel c. Paesi Bassi):

– la qualificazione giuridica dell’infrazione nel diritto interno;

– la natura dell’infrazione o dell’illecito;

– il grado di severità della sanzione applicabile.

Trattasi di criteri rilevanti anche alternativamente, e che non devono, quindi, necessariamente concorrere.

2.1.2. La Grande Chambre ha, inoltre, ritenuto che la violazione del divieto di bis in idem è esclusa (e che, quindi, distinti procedimenti, finalizzati all’irrogazione di sanzioni penali ed amministrative per uno “stesso fatto”, possono essere portati entrambi a conclusione) quando tra essi sussista un «nesso materiale e temporale sufficientemente stretto».

In particolare, è configurabile l’esistenza di un nesso sufficientemente stretto dal punto di vista materiale tra due (o più) procedimenti aventi ad oggetto uno “stesso fatto”:

– se i diversi procedimenti perseguono scopi complementari e riguardano in tal modo, non soltanto in astratto ma anche in concreto, gli aspetti diversi dell’atto pregiudizievole per la collettività del quale si discuta;

– se il carattere misto dei procedimenti in questione sia una conseguenza prevedibile, sia in diritto che in pratica, dello stesso comportamento sanzionato;

– se i procedimenti in questione siano stati condotti in maniera da evitare per quanto possibile qualsiasi ripetizione nella raccolta e nella valutazione degli elementi di prova, soprattutto grazie ad una interazione adeguata tra le diverse autorità competenti, risultando che l’accertamento dei fatti compiuto in uno dei procedimenti è stato ripreso nell’altro;

– se la sanzione imposta all’esito del procedimento conclusosi per primo sia stata tenuta presente nell’ambito del procedimento che si è concluso per ultimo, in modo da non finire con il far gravare sull’interessato un onere eccessivo, rischio, quest’ultimo, che è meno suscettibile di presentarsi se esiste un meccanismo compensatorio concepito per assicurare che l’importo globale di tutte le pene pronunciate sia proporzionato.

Sotto il profilo strettamente temporale, inoltre, tale nesso è stato ritenuto configurabile quando tra i due procedimenti sussista anche un collegamento di natura cronologica; ciò non rende, peraltro, necessario, che i due procedimenti siano condotti simultaneamente dall’inizio alla fine.

2.1.3. Ha, pertanto, concluso che la celebrazione di distinti procedimenti e la conclusiva irrogazione di più sanzioni, aventi natura sostanzialmente penale, non violano necessariamente il divieto di bis in idem convenzionale, sancito dall’art. 4, Protocollo 7, Convenzione EDU, in quanto la previsione normativa di un doppio binario sanzionatorio – quando sussista tra i procedimenti un nesso sostanziale e temporale “sufficientemente stretto”, nei termini fin qui illustrati – si traduce in un sistema integrato che permette di affrontare i diversi aspetti dell’illecito in maniera prevedibile e proporzionata nel quadro di una strategia unitaria.

3. Nel caso esaminato dalla II Sezione, si poneva preliminarmente il problema di determinare la natura dei rapporti tra le decisioni della Corte EDU e l’interpretazione delle norme interne.

3.1. La II Sezione, in proposito, ha condiviso e ribadito quanto già affermato in argomento dalla stessa Sezione con la sentenza n. 43435 del 20.6.2017, dep. 21.9.2017, P.G. c. Cataldo, non massimata, sulla base di ampia disamina della giurisprudenza costituzionale (sentenze n. 348 del 2007; n. 311 del 2009; n. 317 del 2009; n. 113 del 2011; n. 49 del 2015) e di legittimità (Sez. un., sentenze n. 34472 del 2012; n. 41694 del 2012; n. 27620 del 2016), ovvero che:

<<Il giudice nazionale (anche di legittimità), nell’interpretazione delle norme interne, è vincolato dai soli orientamenti consolidati della Corte di Strasburgo. Il giudice nazionale non può disapplicare una norma interna per contrasto con una norma convenzionale come interpretabile secondo un orientamento consolidato della Corte di Strasburgo, ma ha l’onere di sollevare questione di costituzionalità della norma interna da disapplicare, per contrasto con l’art. 117, comma primo, della Costituzione, onde consentire alla Corte costituzionale (unica attributaria del relativo potere-dovere) di verificare «se la norma della Convenzione EDU, nell’interpretazione data dalla Corte europea, non si ponga in conflitto con altre norme conferenti della nostra Costituzione» (Corte cost., n. 311 del 2009), «ipotesi nella quale dovrà essere esclusa la idoneità della norma convenzionale a integrare il parametro considerato» (Corte cost., n. 113 del 2011), ovvero di valutare «come ed in qual misura il prodotto dell’interpretazione della Corte europea si inserisca nell’ordinamento costituzionale italiano. Infatti, la norma CEDU – nel momento in cui va ad integrare il primo comma dell’art. 117 Cost. – da questo ripete il suo rango nel sistema delle fonti, con tutto ciò che segue, in termini di interpretazione e bilanciamento, che sono le ordinarie operazioni cui questa Corte è chiamata in tutti i giudizi di sua competenza» (Corte cost., n. 317 del 2009)>>.

3.2. La citata sentenza n. 43435 del 2017 aveva anche evidenziato che

<<Il divieto dibis in idemsancito dall’art. 4, Prot. n. 7, Conv. EDU, nell’interpretazione della consolidata giurisprudenza della Corte di Strasburgo, ha natura processuale, non sostanziale, poiché consente l’applicazione, per lo “stesso fatto”, di più sanzioni, anche tutte da ritenersi sostanzialmente penali alla stregua dei criteri Engel, purché all’esito del medesimo procedimento, ovvero di procedimenti legati da un nesso sostanziale e temporale “sufficientemente stretto”>>.

La natura processuale, e non sostanziale, del divieto di bis in idem, già espressamente ritenuta dalla Corte costituzionale (sentenza n. 102 del 2016), è stata successivamente confermata anche dalla Corte EDU (Sez. IV, 13 giugno 2017, Simkus c. Lituania), in un caso nel quale il ricorrente lamentava di essere stato sottoposto ad un processo penale dopo che gli era stata inflitta una sanzione amministrativa per il medesimo fatto posto a fondamento dell’accusa: la Corte EDU ha ravvisato la denunciata violazione dell’art. 4, Prot. 7, Conv. EDU, perché le due procedure avevano ad oggetto essenzialmente lo “stesso fatto”, espressamente ritenendo priva di rilievo la circostanza che il ricorrente – all’esito del procedimento penale (conclusosi con la declaratoria di estinzione per prescrizione dei reati contestati) – non avesse riportato condanna alla sanzione penale, in quanto il divieto di bis in idem comporta che non si possa essere processati (non che non si possa essere condannati) due volte per lo “stesso fatto”.

D’altro canto, <<non si è mai dubitato che, all’esito del medesimo procedimento, per lo stesso fatto l’imputato possa riportare condanna ad una pena principale, ad una pena accessoria (anche particolarmente afflittiva) ed alla confisca per equivalente (la cui natura sanzionatoria può ritenersi ormai pacifica: Sez. U, sentenza n. 18374 del 31/01/2013, Rv. 255037)>> (Sez. II, sentenza n. 43435/17 cit.).

4. Mai la giurisprudenza di legittimità risulta aver ravvisato violazione del divieto di bis in idem con riferimento a procedimenti penali e disciplinari.

4.1. La giurisprudenza civile (Sez. un., sentenza n. 4004 del 29 febbraio 2016, Rv. 638596 – 01) ha, in un caso, ritenuto che il procedimento disciplinare nei confronti di un magistrato (nel caso di specie, incolpato di corruzione in atti giudiziari) può proseguire e condurre all’irrogazione della sanzione disciplinare (nel caso di specie, della rimozione) anche dopo il giudicato penale di condanna con pena accessoria dell’estinzione del rapporto d’impiego, senza violare il divieto di bis in idem, in considerazione della diversa natura della sanzione disciplinare e di quella (accessoria) penale: «nell’avere (…) diversa natura, ed in sintonia con il principio secondo cui “l’azione disciplinare è promossa indipendentemente (…) dall’azione penale relativa allo stesso fatto”, risiede la ragione dell’applicabilità congiunta delle due sanzioni. Per connotare la diversa natura della sanzione disciplinare rispetto alla pena accessoria è sufficiente ricordare che quest’ultima, come la generalità delle sanzioni penali, nel corso del tempo può estinguersi, in forza di amnistia (art. 151, primo comma, del codice penale) o per effetto della riabilitazione (art. 178 c.p.), laddove la permanenza degli effetti della sanzione disciplinare ne rivela, con evidenza nel caso della più severa di esse qual è la rimozione, la specifica afflittività>>.

4.1.1. In tema di giudizio disciplinare nei confronti dei professionisti (nella specie, a carico di un notaio: Sez. II, sentenza n. 2927 del 3 febbraio 2017, Rv. 643161 – 01), si è ritenuto che, nel caso in cui l’incolpato abbia già riportato condanna ad una sanzione penale per i medesimi fatti oggetto del procedimento disciplinare, non può ipotizzarsi la violazione del divieto di bis in idem, in quanto la sanzione disciplinare ha come destinatari gli appartenenti ad un ordine professionale ed è preordinata all’effettivo adempimento dei doveri inerenti al corretto esercizio dei compiti loro assegnati, sicché ad essa non può attribuirsi natura sostanzialmente penale.

4.2. La giurisprudenza penale (Sez. III, sentenza n. 36350 del 23 marzo 2015, Rv. 265636) ha, in una prima occasione, ritenuto manifestamente infondata l’eccezione di legittimità costituzionale dell’art. 649 c.p.p., sollevata per violazione degli artt. 24 e 117 Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 4 Prot. n. 7 alla Convenzione EDU nella parte in cui non prevede l’applicazione del divieto di bis in idem anche quando, dopo un procedimento disciplinare davanti agli organi della giustizia sportiva conclusosi con l’applicazione di una sanzione, faccia seguito per lo stesso fatto l’attivazione di un procedimento penale.

In motivazione, premesso che si verteva in una materia (quella dei rapporti tra un illecito disciplinare di competenza della giustizia sportiva ed un illecito penale) mai esaminata dalla Corte di Strasburgo, e che, per la formulazione della questione di costituzionalità, sarebbe occorso il presupposto di una sentenza della Corte EDU che avesse preso posizione sul genere di illecito de quo(quello di cui agli artt. 1 e 6 del Codice di giustizia sportiva) e sulla natura giuridica della sanzione (formalmente) disciplinare in ipotesi inflitta, è stata esclusa la configurabilità della violazione del divieto di bis in idem per il rilievo che la sanzione disciplinare inflitta dagli organi della giustizia sportiva non ha nemmeno natura amministrativa, in quanto non esercita alcuna efficacia al di fuori dell’ordinamento di settore.

4.2.1. Una decisione (Sez. 2, sentenza n. 9184 del 15/12/2016, dep. 24/02/2017, Rv. 269237) ha ritenuto che non sussiste la preclusione all’esercizio dell’azione penaleexart. 649 c.p.p., quale conseguenza della già avvenuta irrogazione, per lo stesso fatto, di una sanzione formalmente amministrativa, ma sostanzialmente “penale”, ai sensi dell’art. 4 del Prot. n. 7 alla Convenzione EDU (come interpretato dalla sentenza della Corte EDU, Grande Chambre, 15.11.2016, A. e B. c. Norvegia), allorquando le due procedure risultino complementari, in quanto dirette al soddisfacimento di finalità sociali differenti, e determinino l’inflizione di una sanzione penale “integrata”, che sia prevedibile e nel complesso proporzionata al disvalore del fatto. In applicazione del principio, è stato disposto l’annullamento con rinvio della sentenza che aveva dichiarato non doversi procedere per il reato di danneggiamento aggravato (anche in quella occasione commesso da un detenuto nella Casa circondariale in cui era ristretto), sulla base della considerazione che l’imputato aveva già subìto la sanzione disciplinare della esclusione dalle attività in comune per cinque giorni.

Premesse la medesimezza del fatto e la natura sostanzialmente penale della sanzione disciplinare irrogata, è stata, in particolare, negata l’operatività, in concreto, del divieto di bis in idem, in considerazione della contiguità temporale dei distinti procedimenti (disciplinare e penale) cui l’interessato era stato separatamente sottoposto (anche se la sanzione disciplinare era stata applicata nell’immediatezza del fatto, mentre il procedimento penale, per effetto del disposto rinvio alla Corte d’appello, risultava ancora in corso circa quattro anni dopo).

4.2.2. Altra decisione (Sez. 6, sentenza n. 31873 del 09/05/2017, Rv. 270852) ha, successivamente, ritenuto che non integra una violazione del principio del “ne bis in idem” l’irrogazione, per un fatto corrispondente a quello oggetto di sanzione penale, di una sanzione disciplinare che, per qualificazione giuridica, natura e grado di severità non può essere equiparata a quella penale, secondo l’interpretazione data dalla sentenza emessa dalla Corte EDU il 4 marzo 2014 nella causa Grande Stevens c. Italia.

In applicazione del principio, la S.C. ha annullato la sentenza di non luogo a procedere in ordine al reato previsto dall’art. 341- bis c.p. (oltraggio a pubblico ufficiale), commesso da un detenuto, fondata sul presupposto che, per lo stesso fatto, fosse stata già inflitta all’imputato la sanzione disciplinare dell’ esclusione dall’attività in comune: l’indicata sanzione disciplinare non poteva, infatti, essere equiparata alle sanzioni penali previste per il predetto reato.

5. La sentenza n. 23043/18 della II Sezione ha evidenziato (come già la sentenza n. 43435/17 della stessa Sezione) che la Corte di Strasburgo, in materia di rapporti tra separati procedimenti finalizzati all’irrogazione di sanzioni penali e disciplinari, fin qui non ha mai affermato l’operatività del divieto di bis in idem sancito dall’art. 4 del Prot. n. 7 alla Conv. EDU.

5.1. Inparticolare, Sez. II, n.43435 del 2017, non massimata, aveva evidenziato che la Corte di Strasburgo aveva addirittura, in più occasioni, espressamente escluso l’operatività del divieto di bis in idem nella predetta materia:

<<12.1.1. Come dedotto dal Governo norvegese nel caso deciso dalla Corte EDU, Grande Chambre, sentenza 15 novembre 2016, caso A. e B. c. Norvegia (§ 67), dal rapporto esplicativo del Protocollo n. 7 risulta che il contenuto dell’art. 4 del Protocollo «è stato concepito per riguardare i procedimenti penalistricto sensu». Tale rapporto indicherebbe nel suo paragrafo 28 che non era sembrato necessario definire l’illecito come “penale” in quanto il contenuto dell’articolo 4, che contiene già i termini “penalmente” e “procedimento penale”, rendeva questa precisazione inutile nel testo stesso dell’articolo. Nel paragrafo 32, il rapporto sottolineerebbe che «l’articolo 4 del Protocollo n. 7 non vieta che si tengano procedimenti “di natura diversa (ad esempio un procedimento disciplinare, nel caso di un funzionario)”. Inoltre, l’articolo 6 e l’articolo 4 del Protocollo n. 7 perseguivano scopi diversi, se non addirittura opposti, dato che il primo aveva lo scopo di rafforzare le garanzie procedurali in materia penale».

12.1.2. La prospettazione non è stata contestata dallaGrande Chambre, ma si è rivelata improduttiva di conseguenze ai fini della decisione, perché il caso esaminato non riguardava sanzioni di natura disciplinare.

12.1.3. D’altro canto, in più occasioni laGrande Chambredella Corte EDU (sentenza 21 febbraio 1984, caso Ozturk c. Germania, § 53; sentenza 10 febbraio 2009, caso Sergey Zolotukhin c. Russia, § 55), ai fini dell’attribuzione della natura sostanzialmente penale ad una sanzione formalmente non penale, ha evidenziato, quale elemento atto ad incidere negativamente sulla configurabilità del terzo dei criteri Engel (gravità delle conseguenze in cui l’incolpato può incorrere in conseguenza della commissione dello “stesso fatto” costituente oggetto di due distinti procedimenti), che la sanzione “sostanzialmente penale” si caratterizza per la circostanza di essere diretta alla generalità dei consociati («towards all citizens rather than towards a group possessing a special status»; la prima delle sentenze citate precisa, inoltre, «in the manner, for example, of disciplinary law»). In tal modo, risulta, all’evidenza, da escludere, per converso, la possibilità di attribuire natura sostanzialmente penale alle sanzioni disciplinari, in quanto esse sono valide ed efficaci soltanto all’interno di una ristretta cerchia di consociati, e fino a che il soggetto sanzionato ne faccia parte>>.

5.2. Questa ricostruzione degli orientamenti della Corte di Strasburgo è stata condivisa e ribadita  dalla sentenza n. 23043 del 2018.

6. Tutto ciò premesso, l’impugnato proscioglimento è stato ritenuto illegittimo per due ordini di ragioni.

6.1.La giurisprudenza della Corte EDU e quella di legittimità sono sostanzialmente concordi nell’escludere la configurabilità dei presupposti di operatività del divieto di bis in idem tra procedimento penale e procedimento disciplinare, <<poiché quest’ultimo può comportare unicamente l’applicazione di sanzioni mai sostanzialmente penali, in quanto conseguenti alla violazione di regole di comportamento valevoli unicamente nell’ambito di una cerchia ristretta di soggetti, ma non anche della generalità dei consociati, essendo finalizzate unicamente a regolare l’ordinato svolgersi dei reciproci rapporti in determinati contesti e/o settori. Pur facendo applicazione dei “criteri Engel”, alla sanzione disciplinare de qua non può essere attribuita natura sostanzialmente penale, in particolare quanto alla sua “gravità”, decisivamente condizionata, in senso negativo, dal fatto che detta sanzione esercita efficacia afflittiva soltanto nel contesto carcerario e fino a che il soggetto sanzionato ne faccia parte, ma non esercita alcuna efficacia al di fuori di tale contesto>> (Sez. II, n. 43435 del 2018; nei medesimi termini si è espressa anche Sez. II, n . 23043 del 2018).

6.1.1. Nel caso in esame, inoltre, la sanzione disciplinare già applicata all’imputato – tenuto conto delle sue specifiche connotazioni – è stata ritenuta priva di quei caratteri di marcata afflittività che potrebbero indurre l’interprete a qualificarla, in concreto, come sanzione di natura “sostanzialmente penale”.

6.2.Infine, <<l’espresso riferimento operato dall’art. 649 c.p.p. – come presupposto del divieto di bis in idem nel diritto interno – all’esistenza di una sentenza o di un decreto (penale) di condanna divenuti irrevocabili (non anche di una decisione sanzionatoria irrevocabile di natura amministrativa) avrebbe comunque reso necessario – in ipotesi – sollevare questione di legittimità costituzionale dell’art. 649 c.p.p. per contrasto con l’art. 117, comma 1, Cost., assumendo, quale norma interposta, quella di cui all’art. 4 del Protocollo n. 7 cit.; il giudice nazionale non è, infatti, legittimato a disapplicare immediatamente la disposizione, poiché in tal modo egli spoglierebbe la Corte costituzionale delle sue esclusive prerogative quanto alla valutazione dell’eventuale conflitto tra la predetta norma convenzionale ed altre norme conferenti della nostra Costituzione ed alla valutazione sul come ed in qual misura il prodotto dell’interpretazione della Corte europea si inserisca nell’ordinamento costituzionale italiano. Invero, le regole proprie di una procedura amministrativa sanzionatoria non possono essere equiparate a quelle che regolano la cognizione penale (peraltro assistita da principi e garanzie molto più ampi), se non sacrificando il principio di “irretrattabilità dell’azione penale”, sancito dall’art. 112 Cost., per privilegiare – in ipotesi – l’azione precedentemente (come nel caso di specie) avviata da un organo amministrativo, in tal modo violando, altresì, il principio di “soggezione alla legge”, sancito dall’art. 101, comma 2, Cost., «per l’effetto di disapplicazione di una norma penale sul cui carattere imperativo sarebbe destinato a prevalere, per la sua anteriorità, il definitivo acertamento in altra e meno garantita sede di giudizio, di un fatto illecito ritenuto “sostanzialmente” penale». D’altro canto, questa Corte ha già chiarito che la non procedibilità ex art. 649 c.p.p. «consegue alla preclusione determinata dalla consumazione del potere già esercitato dal P.M.» (Sez. un., sentenza n. 34655 del 28/06/2005, Rv. 231800) e «si delinea all’esito di una valutazione che presuppone, e richiede, la preventiva disamina del contenuto di un provvedimento “tipico” emesso dal giudice, non certo da un’autorità amministrativa». Trattasi di ostacoli insormontabili per il giudice (di merito, come di legittimità), che potrebbero essere superati (non in via d’interpretazione bensì) soltanto attraverso la proposizione di una questione di legittimità costituzionale dell’art. 649 c.p.p. per contrasto con l’art 117, comma primo, Cost., assumendo quale norma interposta quella di cui all’art. 4 del Prot. 7 alla Conv. EDU , secondo l’interpretazione consolidata che ne fornisca, in ipotesi la Corte di Strasburgo (che, peraltro, come premesso, non si è mai pronunciata con specifico riferimento al caso in esame)>> (Sez. II, n. 43435 del 2018; anche in ordine a questo profilo, si è espressa nei medesimi termini Sez. II, n. 23043 del 2018).