Cass. pen. Sez. II su Dichiarazioni spontanee coimputati in assenza di difensore in giudizio abbreviato

Segnalazione Sergio Beltrani

[CLASSIFICAZIONE]

DIRITTO AL CONTRADDITTORIO – GIUDIZIO ABBREVIATO

[RIFERIMENTI NORMATIVI]

Costituzione, art. 111;

Convenzione EDU, art. 6, §§ 1 e 3, lett. D);

Codice di procedura penale, artt. 438 ss. e 350 c.p.p.

[SENTENZA SEGNALATA]

Cass. pen., Sez. II, sentenza 13.3.2018, dep. 28.3.2018, n. 14320, Basso

Giudizio abbreviato – Dichiarazioni rese in assenza di contraddittorio – Dichiarazioni spontanee rese in assenza del difensore – Utilizzabilità.

Abstract. La II sezione penale (sentenza n. 14320 del 13/03/2018, dep. 28/03/2018, allo stato non massimata) ha esaminato il tema dell’utilizzabilità o meno, nell’ambito del giudizio abbreviato, delle dichiarazioni spontanee rese (nel caso di specie, dal coimputato) in assenza del difensore, ritenendone conclusivamente l’utilizzabilità, ed evidenziando che tale tesi non si pone in contrasto con la normativa dell’UE, ed in particolare con la Direttiva 2012\13\UE, né con la giurisprudenza della Corte EDU.

1. Premesso che il giudizio abbreviato <<si risolve in una espressa e personalissima rinuncia dell’imputato al diritto al contraddittorio, sicché diventano utilizzabili tutti gli atti formati nel corso delle indagini preliminari e, dunque anche le dichiarazioni spontanee, destinate altrimenti a perdere efficacia in caso di progressione processuale ordinaria>>, si è ribadito che <<la rinuncia al diritto al contraddittorio effettuata volontariamente e spontaneamente, nei casi in cui l’imputato sceglie di definire la sua posizione con un rito a prova contratta, non è in contrasto con l’art. 6 della Convenzione EDU, come interpretato dalla Corte di Strasburgo; la Corte EDU in numerose e convergenti pronunce, ha infatti affermato la compatibilità di tale rinuncia con le garanzie della Convenzione EDU, così definendo un principio inquadrabile come “diritto convenzionale consolidato” e idoneo ad orientare l’interpretazione del giudice nazionale ai sensi della sentenza della Corte costituzionale n. 49 del 2015>>.

1.1. Ed invero la Corte EDU, Grande Chambre, caso Scoppola c. Italia,17 settembre 2009, ha osservato che né la lettera né lo spirito dell’art. 6 della Convenzione EDU <<impediscono che una persona vi rinunci spontaneamente in maniera espressa o tacita. Tuttavia, per essere presa in considerazione sotto il profilo della Convenzione, tale rinuncia deve essere stabilita in maniera non equivoca ed essere accompagnata da un minimo di garanzie corrispondenti alla sua importanza>>; la rinuncia al contraddittorio non deve, inoltre, essere contraria ad alcun interesse pubblico importante (Corte EDU, Grande Chambre, caso Sejdovic v. Italia, 1° marzo 2006, § 86).

Trattasi di principi consolidati, successivamente ribaditi anche in relazione alla “transazione penale” (assimilabile alla nostra applicazione di pena concordata) da Corte EDU, Sez. III, caso  Natsvlishvili e Togonidze c. Georgia, 29 aprile 2014).

2. Si è poi osservato chel’art. 350, comma 7, cod. proc. pen., secondo l’interpretazione dominante in giurisprudenza, consente alla polizia giudiziaria di ricevere le dichiarazioni spontanee rese dall’indagato, anche in assenza di difensore ed in difetto degli avvisi previsti dall’art. 64 cod. proc. pen., prevedendone una inutilizzabilità soltanto “relativa”, ovvero limitata al dibattimento, e conseguentemente la piena utilizzabilità nell’ambito del giudizio abbreviato.

Il collegio ha affermato che tale orientamento è compatibile con le indicazioni contenute nella Direttiva 2012\13\UE in materia di diritti di informazione dell’indagato, attuata con il D. Lgs n. 101 del 2014, che non ha modificato l’art. 350 cod. proc. pen.

2.1. In particolare, premessa la necessità di verificare se la predetta Direttiva imponga una interpretazione conformativa oppure, in ipotesi, la disapplicazione dell’art. 350, comma 7, cod. proc. pen., ed evidenziato che <<l’art. 3 della Direttiva 2012\13\UE indirizza gli Stati aderenti all’Unione a conformare le legislazioni in modo da garantire che alla persone indagate o imputate sia «tempestivamente» fornita l’informazione circa il diritto ad avvalersi di un avvocato ed il diritto a restare in silenzio>>, e che <<la disposizione in questione è stata attuata solo attraverso la modifica degli artt. 291 e 369 bis cod. proc. pen.>>, si è ritenuto che la scelta di non modificare anche l’art. 350 cod. proc. pen. <<non urta con la normativa europea d’indirizzo: questa si limita ad indicare la necessità di una tempestiva informazione,<asciando agli Stati membri un margine di discrezionalità nell’apprezzamento della richiesta “tempestività”. Il legislatore italiano ha ritenuto di individuare il momento in cui è necessario fornire le informazioni di garanzia in quelli dell’applicazione delle misure cautelari e del compimento di atti ai quali il difensore ha diritto di assistere; ha ritenuto invece di lasciare all’indagato la possibilità di entrare in contatto con la polizia giudiziaria procedente in modo spontaneo e deformalizzato nel corso di tutta la attività processuale. Si tratta di una scelta che trova la sua giustificazione nel fatto che le dichiarazioni spontanee non sono funzionali a raccogliere elementi di prova, ma piuttosto a consentire all’indagato di interagire con la polizia giudiziaria in qualunque momento egli lo ritenga, esercitando un suo diritto personalissimo>>.

2.2. Si è, inoltre, ritenuto che la disciplina dettata dall’art. 350, comma 7, cod. proc. pen., sia compatibile con le indicazioni fornite dalla Corte EDU: <<nel caso Navone ed altri c. Monaco (Corte EDU, Sez. I, 24 ottobre 2013) la Corte di Strasburgo rimarca l’importanza che l’indagato sia protetto da ogni forma di coercizione quando viene “escusso” (§§ 71 e ss. della sentenza), ma non tratta il caso in cui questi decida liberamente di rendere dichiarazioni. Anche nel caso Stoycovic v. Francia e Belgio (Corte EDU, Sez. V, 27 ottobre 2011) la Corte europea rimarca la necessità che sia garantita l’assenza di coercizione nel corso dell’interrogatorio disposto dall’Autorità che procede (nel caso di specie con lo strumento della rogatoria) rilevando che tale garanzia può essere assicurata attraverso la presenza del difensore e l’avviso circa la titolarità del diritto ai silenzio. Le argomentazioni sono centrate ancora una volta sulla necessità di salvaguardare la libera determinazione dell’indagato che dichiara su sollecitazione: si verte dunque, ancora una volta, in un caso diverso da quello delle dichiarazioni spontanee>>.

D’altro canto, la regola prevista nell’art. 350, comma 7, cod. proc. pen. <<si fonda proprio sulla valorizzazione della “spontaneità” della dichiarazione laddove le pronunce della Corte EDU, mirano a garantire da ogni pressione il dichiarante sollecitato>>; e, naturalmente, spetta al giudice <<<accertare anche d’ufficio, sulla base di tutti gli elementi a sua disposizione, la effettiva natura spontanea delle stesse, dando atto di tale valutazione con motivazione congrua ed adeguata>>.

Si è, pertanto, concluso che <<le dichiarazioni spontanee, anche se rese in assenza del difensore e senza l’avviso di poter esercitare il diritto al silenzio, sono utilizzabili nella fase procedimentaie, nella misura in cui emerga con chiarezza che l’indagato abbia scelto di renderle liberamente, senza alcuna coercizione o sollecitazione. Si tratta di dichiarazioni che hanno un perimetro di utilizzabilità circoscritto alla fase procedimentale e dunque all’incidente cautelare, ed ai riti a prova contratta, ma che non hanno alcuna efficacia probatoria in dibattimento>>.