Cass. SU n. 33208 del 21.12.2018 – Segnalazione CSU su notifiche a persona soggetta a programma di protezione

[CLASSIFICAZIONE]

PROCEDIMENTO CIVILE – NOTIFICAZIONE – ALLA RESIDENZA, DIMORA, DOMICILIO – Notifica a persona sottoposta al programma di protezione previsto per i collaboratori di giustizia – modalità – presso la Direzione centrale di polizia criminale – Servizio centrale di protezione per i collaboratori di giustizia o alla residenza risultante dai registri anagrafici – tutela del diritto di difesa – modalità.

[RIFERIMENTI NORMATIVI]

Costituzione della Repubblica, art. 15, art. 16, art. 24, art. 111

Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, art. 6 co. 1, art. 8

Codice civile, art. 43

Codice di procedura civile, artt. 137, 139, 153 co. 2 e 291

D.l. 15 gennaio 1991, n. 8, conv. con modif. dalla l. 15 marzo 1991, n. 92, art. 7 co. 1 e 3, art. 12 co. 3-bis, art. 13 co. 12, art. 14

[SENTENZA SEGNALATA]

Cass., Sez. U, n. 33208, del 21/12/2018

Abstract

La sentenza segnalata interviene sulle modalità delle notificazioni degli atti del processo civile alle persone sottoposte a programma di protezione (collaboratori o testimoni di giustizia), per affermare la validità non solo di quelle eseguite presso la residenza anagrafica, anche se corrispondente ad un polo fittizio, ma pure di quelle effettuate presso la sede centrale del Servizio di protezione, ricavando da un’interpretazione sistematica costituzionalmente e convenzionalmente orientata (in sintonia con quella della giurisprudenza di legittimità penale) l’obbligo, per il Servizio, di comunicare l’atto al destinatario. Col riconoscimento a quest’ultimo della facoltà di chiedere la rimessione in termini ai sensi dell’art. 153 cpv. cod. proc. civ., è ritenuto adeguatamente contemperato il diritto del destinatario al rispetto della vita privata ed al giusto processo con le esigenze pubblicistiche sottese al programma di protezione e con quelle della controparte notificante.

1. La vicenda processuale ha ad oggetto la domanda dispiegata dai congiunti di una vittima di un brutale omicidio perpetrato da esponenti mafiosi per conseguire il risarcimento del danno nei confronti degli autori e del Fondo di rotazione per la solidarietà alle vittime dei reati di tipo mafioso: l’accoglimento in primo grado, ritenuto non idoneo a riparare il reale pregiudizio patrimoniale e non patrimoniale patito, è stato solo parzialmente riformato in melius  dal giudice di appello, sicché gli originari attori hanno proposto ricorso per cassazione, riuscendo a notificarlo però, quanto ad almeno alcuni degli autori ed in quanto sottoposti a programma di protezione per i collaboratori di giustizia, soltanto presso la sede centrale del Servizio centrale di protezione per i testimoni e collaboratori previsto dal d.l. n. 8/91 e succ. mod. e integr., ove pure, in un primo momento, il tentativo di notifica era stato infruttuoso perché i destinatari non si trovavano, in quel momento, a godere del programma di protezione.

2. L’ordinanza interlocutoria (Cass. ord. 14/06/2018, n. 15689) ha rimesso alle sezioni unite della Corte di cassazione la questione di massima di particolare importanza sulle modalità di notificazione degli atti processuali alle persone soggette a programmi di protezione, una volta rilevato che le due sole pronunce delle sezioni semplici note sul punto avevano ammesso la notificazione alla sola residenza anagrafica – benché a mani di persona addetta alla speciale residenza o polo anagrafico fittizio riservato ai beneficiari del programma di protezione – ed anzi negato validità a quella presso il Servizio centrale di protezione.

3. Dopo un ampio excursus ricostruttivo della disciplina in materia di protezione dei testimoni e collaboratori di giustizia quanto alla sicurezza del beneficiario anche in ordine agli aspetti legati alla loro residenza, la sentenza segnalata ne rileva gli aspetti salienti di concreta limitazione imposta alle costituzionali libertà di movimento e stabilimento nel territorio dello Stato o di intrattenere relazioni sociali o scambi epistolari con terzi (riconducibili ai diritti fondamentali della libertà di corrispondenza e di circolazione, di cui agli artt. 15 e 16 della Costituzione), funzionali però alla sicurezza stessa del collaboratore ed alla effettività del sistema di protezione (Corte cost. n. 227/99); e, ricostruito anche il sistema delle notifiche in ambito penale per i soggetti beneficiari, rimarca che un’espressa previsione sui luoghi dove eseguire le notifiche, con l’obbligo per il Servizio di protezione di successiva consegna e cooperazione col beneficiario per limitare gli effetti pregiudizievoli di quelle limitazioni, è dettata soltanto per il caso della residenza di colui che gode del cambio di generalità: ma ricava poi dal sistema l’estensione di quest’obbligo di cooperazione anche per tutti gli altri casi di notifica di atti processuali al beneficiario del programma di protezione, quando questa avvenga in luoghi coi quali quegli è posto in collegamento per le esigenze del programma, come il c.d. polo residenziale fittizio.

4. In estrema sintesi, la sentenza segnalata contempera le esigenze del notificante (cui non può farsi carico della sostanziale irreperibilità del destinatario della notifica) con quelle del suo destinatario e quelle pubblicistiche di sicurezza ed effettività della protezione, così ammettendo la validità della notifica presso la residenza anagrafica “protetta” (e cioè anche quando questa corrisponda al richiamato polo residenziale fittizio), ma postulando un obbligo di cooperazione del Servizio centrale per la consegna dell’atto all’interessato, desunto, al di là del tenore testuale, dal sistema delle disposizioni in materia. Al contempo, è affrontato il problema delle garanzie per quest’ultimo: e si adotta un’interpretazione in modo espresso qualificata come costituzionalmente e convenzionalmente orientata (riguardo ai cui parametri la sentenza fornisce puntuali riferimenti giurisprudenziali) delle disposizioni normative esaminate, onde salvaguardare la posizione processuale del beneficiario ignaro dell’avvenuta notifica nelle mani del consegnatario e che versi in una condizione di incolpevolezza in ordine alla conoscenza dell’atto al medesimo non consegnato o tardivamente consegnato: protezione che appare necessario garantire al detto beneficiario (collaboratore o testimone) così da consentigli di non subire pregiudizio in ambito processuale dall’intempestività della consegna.

5. La conclusione cui pervengono le Sezioni Unite è che un adeguato contemperamento dei fondamentali diritti dell’interessato (al giusto processo ed alla vita privata) si attua riconoscendo non solo l’obbligo del Servizio di protezione di cooperare fattivamente per la consegna al suo destinatario dell’atto notificato, ma anche una tutela restitutoria di quest’ultimo – e del suo diritto di conoscere gli atti processuali che lo riguardano, al contempo mantenendo la sicurezza imposta dalla sua sottoposizione al programma di protezione – mediante l’istituto generale della rimessione in termini, previsto dall’art. 153, co. 2, cod. proc. civ., opportunamente adeguata dal giudice del merito alle peculiarità della fattispecie; e la conclusione è estesa anche alla fattispecie della notificazione presso il Servizio centrale (oggetto della controversia all’esame del Supremo Collegio), che si riconosce non già sostituirsi, ma affiancarsi a quella ordinaria o presso la residenza (quand’anche fittizia), proprio per la compresenza dell’obbligo di consegna a carico del Servizio medesimo e della salvaguardia dei diritti del beneficiario costituita dalla rimessione in termini.

6. Il contemperamento delle esigenze del notificante e del destinatario della notifica è infine espressamente riconosciuto conforme alla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’Uomo: che ammette, da un lato, limitazioni al diritto alla vita privata di matrice convenzionale purché fondate su di una base legale, proporzionate e necessarie in relazione all’ampio margine di apprezzamento riconosciuto agli Stati in caso di bilanciamento fra diritti fondamentali (Corte edu, 26 marzo 1987, Lender c. Svezia, § 48; Corte edu, 7 luglio 1989, Soering c. Regno Unito, § 89, Corte edu [GC] 10 aprile 2007, Evans c. Regno Unito, § 77; cfr., ancora, sul diritto al giusto processo (Corte edu, 18 marzo 1997, Mantovanelli c. Francia, § 33), ma che tollera, a certe condizioni, anche limitazioni al diritto all’accesso ad un tribunale (Corte edu, 29 luglio 1998, Guérin c. Francia, § 37; Corte edu, 19 dicembre 1997, Brualla Gómez de la Torre c. Spagna, § 33, Corte edu, 2 giugno 2016, Papaioannou c. Grecia, § 49; Corte edu, 15 settembre 2016, Trevisanato c. Italia, § 33). Infatti, la limitazione alla propria sfera privata correlata alla ricezione diretta degli atti giudiziari sottesa all’ammissione al programma di protezione che deriva dall’allontanamento del beneficiario dall’ambiente nel quale egli si trova finirebbe, altrimenti, col risultare sproporzionata se ad essa si aggiungesse l’impossibilità per il suddetto di fare valere la mancata o tardiva consegna dell’atto giudiziario ascrivibile a condotta negligente o comunque ad un disservizio del sistema di protezione che ha in carico il predetto. E la soluzione qui espressa è vista come misura proporzionata al fine di salvaguardare tutti gli interessi in gioco, favorendo soluzioni armoniche ed una piena sintonia fra le gli orientamenti espressi dai plessi giurisdizionali civili e penali della Corte.