CEDU 14.12.2017 Orlandi vs. Italia: Mancanza di riconoscimento delle unioni fra persone dello stesso sesso

a cura di Giuseppe De Marzo

Corte europea dei diritti dell’uomo; I Sezione, 14 dicembre 2017; Orlandi e altri c. Italia

La I sezione della Corte, nella decisione indicata, ha deciso a maggioranza (cinque voti a due, con due dissenting opinion), che si è realizzata una violazione dell’art. 8 (diritto al rispetto della vita privata e familiare) della Convenzione nei casi Orlandi e altri c. Italia, nei quali sei coppie omosessuali lamentavano di non avere potuto ottenere la trascrizione o il riconoscimento in qualunque forma di unione dei loro matrimoni contratti all’estero, in tal modo rimanendo privati di protezione legale e dei correlati diritti.

Fra l’altro, essi deducevano, come motivo di doglianza, la discrimazione subita a causa del loro orientamento sessuale.

La Corte europea ha rilevato che gli Stati dispongono di ampia discrezionalità in merito alla possibilità di consentire o non matrimoni tra persone del medesimo sesso, ma ha aggiunto che le coppie formate da persone dello stesso sesso hanno diritto al riconoscimento legale e alla protezione della loro relazione.

Pertanto, ha ritenuto che ci fosse stata una violazione dei diritti delle coppie che avevano contratto matrimonio all’esteso, dal momento che la legge italiana non aveva garantito alcuna protezione legale o riconoscimento prima del 2016, ossia prima dell’entrata in vigore della legge sulle unioni civili (l. n. 76 del 2016).

La Corte, nel compiere la valutazione sull’equo bilanciamento degli interessi dello Stato e delle coppie, prima dell’entrata in vigore della l. n. 76, ha sottolineato il rapido sviluppo avvenuto in questo campo, in quanto 27 dei 47 Stati del Consiglio d’Europa oggi dispongono di normative che riconoscono le unioni tra persone del medesimo sesso come matrimonio o unione civile o relazione registrata. Essa ha anche precisato che esiste una significativa diversità di valutazioni, quanto alla registrazione di matrimoni tra persone dello stesso sesso contratti all’estero, alla luce dell’ampio margine di apprezzamento degli Stati in materia.

Tuttavia, l’assenza di qualunque riconoscimento aveva lasciato le coppie in una situazione di vuoto normativo, che aveva trascurato di prendere in considerazione la realtà sociale delle stesse e le aveva costrette ad affrontare ostacoli nella vita quotidiana, senza che fosse emerso alcun interesse della comunità idoneo a giustificare tale conclusione.

La Corte ha condannato lo Stato italiano a pagare a ciascun ricorrente 5.000,00 euro per danni non patrimoniali, oltre alle spese processuali.