CLASSIFICAZIONE
DIRITTO ALLA VITA – PROIBIZIONE DELLA TORTURA – DIRITTO A UN EQUO PROCESSO – DIRITTO AL RISPETTO DELLA VITA PRIVATA E FAMILIARE – DIRITTO A UN RICORSO EFFETTIVO
RIFERIMENTI NORMATIVI
CONVENZIONE EDU, artt. 2, 3, 6, §1, 8, 13
PRONUNCIA SEGNALATA
Corte E.D.U., 25 Giugno 2019, Grande Camera, ric. n. 41720/13, Nicolae Virgiliu Tanase c. Romania
Abstract
La Grande Camera della Corte EDU ha deciso il ricorso proposto da un ricorrente (esercente le funzioni di giudice in Romania) il quale, dopo aver subito un grave incidente automobilistico e aver esperito vanamente i rimedi interni per ottenere una pronuncia che definisse le circostanze del sinistro, aveva promosso un giudizio dinanzi alla Corte EDU, prospettando la violazione degli artt. 3, 6 e 13 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo da parte dello Stato rumeno.
La pronuncia merita attenzione per i principi espressi dalla Corte EDU, a proposito delle possibili violazioni convenzionali configurabili nel caso di un incidente che provoca gravi lesioni personali. La Grande Camera, con 13 voti favorevoli, non ha ritenuto sussistente la violazione dell’art. 2 della Convenzione, in quanto l’inchiesta era stata accurata ed il ricorrente aveva avuto accesso al fascicolo ed era stato in grado di avvalersi pienamente dei rimedi a sua disposizione, in base al diritto interno, per contestare le decisioni delle autorità e chiedere ulteriori prove;
La Corte, con 16 voti favorevoli, non ha poi riconosciuto la violazione del diritto ad un equo processo in quanto il ricorrente avrebbe potuto azionare altri giudizi separati per ottenere il riconoscimento dei suoi diritti civili. Infine, con 10 voti favorevoli, i giudici europeo hanno escluso la lesione del termine ragionevole di durata del procedimento, atteso che un periodo di quasi otto anni per completare l’indagine era da ritenersi adeguato e non eccessivo, soprattutto in ragione della complessità del caso, durante il cui esame le autorità avevano costantemente adottato misure volte a chiarire le circostanze che avevano determinato l’incidente.
1. Occorre premettere che il ricorrente era rimasto coinvolto in un incidente stradale dal quale originarono diversi e gravi problemi fisici, in esito ai quali occorsero diverse operazioni e ripetuti soggiorni in ospedale con una durata di cure mediche complessivo tra i 200 e i 250 giorni.
A seguito dell’incidente, la polizia aveva aperto un’inchiesta penale, nel corso della quale erano state acquisiti diversi elementi d’indagine.
2. Sulla dinamica dell’incidente, il danneggiato aveva dichiarato che un terzo si era schiantato con la sua vettura contro il retro della sua macchina, causando come conseguenza lo scontro della sua automobile contro il retro di un camion militare, che lì stazionava. L’altro autista, invece, dopo la collisione con l’auto del ricorrente, si era scontrato con un’altra automobile che stava guidando sulla corsia opposta.
3. Nel corso del procedimento il danneggiato, costituitosi come parte civile, contestò ripetutamente le conclusioni espresse dagli investigatori e dai giudici coinvolti, richiedendo ulteriori relazioni tecniche e specialistiche. Sebbene non fu mai avviato alcun processo penale contro il ricorrente, tuttavia le autorità presero in considerazione l’eventualità che lo stesso fosse stato, almeno in parte, responsabile dell’incidente. Difatti, il suo campione di sangue fu l’unico ad essere risultato positivo all’alcol. L’indagine, però, non chiarì mai questa circostanza.
4. In merito alla responsabilità degli altri due veicoli coinvolti, le autorità decisero successivamente di definire con l’archiviazione il procedimento penale contro i conducenti delle vetture coinvolte. Ritennero che il camion militare fosse stato adeguatamente parcheggiato da parte del suo autista e, pertanto, mancavano gli elementi idonei a configurare una fattispecie di reato. Con riferimento alla posizione del conducente della vettura che si sarebbe schiantato contro quella del danneggiato, non fu possibile stabilire se fosse stato l’impatto dell’automobile di quest’ultimo a cagionare le ferite al ricorrente ovvero la collisione con il camion o, ancora, una combinazione di entrambi gli eventi.
5. Il ricorrente propose, quindi, ricorso alla Corte edu – ai sensi dell’art. 34 della Convenzione – sostenendo che l’indagine condotta dalle autorità nazionali, relativamente alle circostanze del suo incidente, era stata inadeguata e lunga, talché non erano riuscite a salvaguardare in modo adeguato il suo diritto ad un rimedio effettivo.
5.1. Lamentò, in particolare, che l’indagine penale era stata inefficace e molto lunga, non consentendogli perciò di ottenere una decisione – con riferimento al giudizio civile – dal momento che le autorità non avevano esaminato il caso nel merito.
5.2. Sostenne, per di più, che la preoccupazione principale delle autorità era stata quella di nascondere e distorcere la verità, piuttosto che chiarire le circostanze dell’incidente.
Il ricorrente ritenne che ciò costituisse un trattamento umiliante e degradante, in contrasto con quanto i principi stabiliti dalla Convenzione.
6. Vennero quindi prospettate le violazioni degli artt. 3 (proibizione della tortura), 6 (diritto a un equo processo) e 13 (diritto a un ricorso effettivo).
6.1. Il Presidente della Camera invitò il Governo a presentare delle osservazioni scritte con riferimento agli artt. 2 (diritto alla vita) e 8 (diritto al rispetto della vita privata e familiare) della Convezione europea dei diritti dell’uomo.
6.2. La Camera alla quale era stato inizialmente assegnato il ricorso, declinò la propria competenza in favore della Grande Camera, in considerazione del fatto che nessuna delle parti aveva presentato obiezioni alla rinuncia. Difatti, ai sensi dell’art. 30 della Convenzione, la Camera, fino a quando non ha pronunciato la sua sentenza, può rimettere la controversia alla Grande Camera – a meno che una delle parti non vi si opponga- qualora la questione, oggetto del ricorso, sollevi gravi problemi di interpretazione della Convenzione o dei suoi Protocolli ovvero la sua soluzione possa dar luogo ad un contrasto con una sentenza pronunciata anteriormente dalla Corte.
7. La Corte, preliminarmente, ha rilevato che le contestazioni addotte dal ricorrente erano duplici in quanto incentrate, da un lato, sulle modalità di gestione dell’indagine penale e, dall’altro, sul trattamento ricevuto da parte delle autorità coinvolte nell’inchiesta.
Sebbene il ricorso si basasse essenzialmente sull’art. 3 della Convenzione, la Corte EDU ha ritenuto opportuno esaminare la controversia anche ai sensi degli artt. 2 e 8 della Convenzione in considerazione dei rilievi fattuali esposti dal ricorrente, poichè le dichiarazioni espresse dal ricorrente non erano riconducibili solo alle violazioni degli artt. Dallo stesso richiamati ma anche, secondo la Corte, agli artt. 2 e 8.
8. La Corte ha osservato che durante l’indagine il ricorrente non aveva mai sostenuto che le altre due persone intendessero ferirlo di proposito né tale ipotesi era mai stata asseverata da elementi di prova. Non vi era stata, dunque, alcuna intenzione di danneggiare l’integrità fisica e psichica del ricorrente, in ossequio a quanto stabilito dall’art. 8 della Convenzione (“1. Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e della propria corrispondenza. 2. Non può esservi ingerenza di una autorità pubblica nell’esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico del paese, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui”).
La Corte ha chiarito che la guida di un veicolo su una strada pubblica è un’attività che comporta il rischio che potrebbero verificarsi gravi danni alla persona in caso di incidente. Detto rischio, però, deve considerarsi notevolmente ridotto in virtù delle norme sul traffico volte a garantire la sicurezza stradale.
Dunque, il rilievo addotto dal ricorrente sulla presunta violazione dell’art. 8 della Convenzione è stato ritenuto infondato.
9.La Corte è quindi passata ad esaminare i profili concernenti la violazione dell’art.3 CEDU (“Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti”). Le perizie svolte tra il 2005 e il 2007 avevano evidenziato che l’incidente aveva messo in serio pericolo la vita del Sig. Tanase, cagionandogli un forte stress post-traumatico. Tuttavia, le sofferenze subite erano state il risultato del caso o della negligenza e non potevano essere considerate diretta conseguenza del trattamento cui era stato sottoposto, ai sensi dell’art. 3 della Convenzione.
Con riferimento all’art. 3 della Convenzione, la Corte ha stabilito che il trattamento, per poter essere definito “inumano o degradante”, deve raggiungere un livello minimo di gravità. La valutazione di tale livello, tuttavia, è relativa e dipende dalle circostanze del caso.
Il trattamento è inumano o degradante – determinando, pertanto, la violazione dell’art. 3 della CEDU – quando umilia o svilisce un individuo, denota una mancanza di rispetto della dignità umana, suscita sentimenti di paura o angoscia.
La Corte ha quindi precisato che le lesioni fisiche e le sofferenze patite in conseguenza di un incidente stradale, risultato del caso o di un contegno negligente, non possono essere considerate come conseguenza del trattamento ai sensi dell’art. 3 della Convenzione.
10. La Corte è poi passata ad esaminare l’eventuale violazione all’art. 2 della Convenzione, ritenendo che tale disposizione fosse applicabile alla parte del ricorso relativa all’indagine penale.
Ora, secondo l’art. 2 Il diritto alla vita di ogni persona è protetto dalla legge. Nessuno può essere intenzionalmente privato della vita, salvo che in esecuzione di una sentenza capitale pronunciata da un tribunale, nel caso in cui il reato sia punito dalla legge con tale pena. 2. La morte non si considera cagionata in violazione del presente articolo se è il risultato di un ricorso alla forza resosi assolutamente necessario: (a) per garantire la difesa di ogni persona contro la violenza illegale; (b) per eseguire un arresto regolare o per impedire l’evasione di una persona regolarmente detenuta; (c) per reprimere, in modo conforme alla legge, una sommossa o un’insurrezione.
In proposito, la Corte ha ribadito che lo Stato deve adottare le misure appropriate e necessarie in modo da salvaguardare le vite di coloro che rientrano all’interno della sua giurisdizione. Ciò comporta il dovere di predisporre un quadro legislativo e amministrativo che funga da deterrente contro chi minaccia il diritto alla vita. Tale dovere si traduce, altresì, nell’obbligo di disporre una serie appropriata di misure preventive finalizzate a garantire la sicurezza pubblica.
La Corte ha inoltre osservato che sullo Stato incombe non solo il dovere di salvaguardare il diritto alla vita, ma anche, in caso di morte, quello di istituire un sistema giudiziario efficace.
La Corte ha ricordato che, in caso di morte o di lesioni fisiche, il dovere dello Stato di tutelare il diritto alla vita è strettamente connesso all’esistenza di un effettivo apparato giudiziario in grado di stabilire prontamente i fatti, al fine di garantire adeguata riparazione alla vittima.
Riguardo alla morte o alle lesioni provocate a seguito di incidenti stradali, la Corte ha reputato che le autorità debbano adoperarsi, con accuratezza e con la predisposizione di eventuali ed ulteriori risorse, affinché vengano raccolte prove e altri rilievi, in modo da ridurre al minimo le possibilità che vengano compiute omissioni, tali da inficiare l’accertamento delle relative responsabilità.
L’indagine deve, quindi, essere efficace ed approfondita e le autorità investigative devono adottare tutte le misure a loro disposizione per individuare le prove, scoprire le circostanze che hanno causato l’incidente, onde scongiurare l’eventualità di giungere a conclusioni affrettate o erronee.
In caso di ostacoli o difficoltà nell’accertamento dei fatti, la risposta delle autorità è fondamentale per assicurare il mantenimento della fiducia da parte dell’opinione pubblica.
11. Sul punto, la Corte ha evidenziato che l’indagine e la raccolta delle prove erano state svolte in maniera precisa e diligente. Ha osservato che, subito dopo l’incidente, le autorità si erano immediatamente attivate nell’esecuzione dei rilievi di rito e nella raccolta delle prove.
Gli investigatori avevano lavorato lungamente sul caso, accumulando una grande quantità di prove. Pertanto, la decisione da parte delle autorità di interrompere il procedimento non era stata presa frettolosamente o arbitrariamente. Di conseguenza, lo Stato rumeno non poteva essere ritenuto responsabile ai sensi dell’art. 2 della Convenzione solo perché, in ultima istanza, aveva deciso di non procedere.
Dunque la Corte EDU non ha riscontrato la violazione dell’art. 2 della CEDU, non constatando elementi per concludere che le indagini non erano state sufficientemente approfondite.
12. A questo punto la Corte è passata ad esaminare le censure relative al fatto che il ricorrente aveva proposto l’azione civile all’interno dei procedimenti penali contro gli altri due autisti coinvolti nell’incidente. Tale istanza non era mai stata esaminata dal tribunale penale in considerazione dell’interruzione, da parte delle autorità, del procedimento contro gli altri due soggetti.
La Corte ha ritenuto irrilevante il procedimento civile promosso dal ricorrente contro la compagnia assicurativa e la società di leasing, in quanto riguardava la presunta responsabilità per inadempimento degli obblighi concernenti i contratti conclusi, e non la responsabilità civile dei soggetti coinvolti nell’incidente in termini di azioni o omissioni a quest’ultimi imputabili.
Secondo la Corte il danneggiato avrebbe potuto utilizzare altri canali per tutelare i suoi diritti civili, instaurando procedimenti civili separati contro gli altri due individui coinvolti cosicché, in attesa della definizione del procedimento penale, avrebbe potuto avere la sicurezza di ricevere successivamente una pronuncia nel merito. In via alternativa, il ricorrente avrebbe potuto proporre un’azione civile separata, una volta che le sentenze dei tribunali penali avessero ritenuto corretta la decisione delle autorità di interrompere le indagini.
13. La Corte, rammentando quanto stabilito dall’art. 6 § 1 della Convenzione (“Ogni persona ha diritto ad un’equa e pubblica udienza entro un termine ragionevole, davanti ad un tribunale indipendente e imparziale costituito per legge, al fine della determinazione sia dei suoi diritti e dei suoi doveri di carattere civile, sia della fondatezza di ogni accusa penale che le venga rivolta”), ha quindi escluso la violazione del menzionato articolo.
In merito alla presunta lunga durata dell’indagine, la Corte ha puntualizzato che il tempo impiegato (id est sette anni e otto mesi) da parte degli investigatori non era da stimarsi eccessivo in ragione della complessità della controversia. Difatti, gli investigatori avevano dovuto esplorare diversi scenari e, conseguentemente, differenti erano state le perizie richieste agli esperti.
Invero le autorità, sin dall’incidente, si sono dimostrate attive ed operose raccogliendo prove e dichiarazioni e, adoperandosi al fine di comprendere la dinamica dell’incidente e le relative responsabilità.
La Corte è giunta, quindi, alla conclusione che il procedimento aveva rispettato il requisito del “termine ragionevole” sancito dall’art. 6 della CEDU escludendone la violazione.
14. La Corte EDU ha infine ritenuto che non fosse necessario esaminare la violazione dell’art. 13 della Convenzione. Il citato articolo stabilisce che ogni persona i cui diritti e le cui libertà riconosciuti nella presente Convenzione siano stati violati, ha diritto ad un ricorso effettivo davanti ad un’istanza nazionale, anche quando la violazione sia stata commessa da persone agenti nell’esercizio delle loro funzioni ufficiali.
Invero, la Corte non ha riscontrato alcuna questione diversa da quella dell’efficacia penale, già oggetto di discussione ai sensi dell’art. 2.
15. Da ultimo va ricordato che alcuni giudici della Grande Camera hanno espresso un’opinione parzialmente dissenziente.