CEDU – Legge Pinto e istanza di prelievo

[classificazione]

CONVENZIONE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO E DELLE LIBERTÀ FONDAMENTALI – EQUA RIPARAZIONE PER IRRAGIONEVOLE DURATA DEL PROCESSO – GIUDIZIO AMMINISTRATIVO – ISTANZA DI PRELIEVO – ILLEGITTIMITA’ COSTITUZIONALE DELL’ARTICOLO 54, COMMA 2, D.L. 112/2008, COME CONVERTITO E SUCCESSIVAMENTE MODIFICATO

[riferimenti normativi]

Convenzione EDU, artt. 6 e 13

Costituzione, artt. 111 e 117

Legge n. 89/2001

D.L. n. 112 del 2008 (convertito in legge con L. n. 133 del 2008), art. 54, comma 2, come modificato dalla legge di conversione e, successivamente,  dal D. Lgs.  n. 104 del 2010.

[sentenza segnalata]

Cass., Sez. II civ., ord. n. 22096 del 4 settembre 2019 

Cass., Sez. II civ., ord. n. 22453 del 9 settembre 2019 

Con le due ordinanze in rassegna (deliberate nella medesima camera di consiglio del 22 maggio 2019), la Seconda Sezione civile della Corte di cassazione ha dato seguito alla sentenza della Corte costituzionale n. 34 del 6 marzo 2019, dichiarativa della illegittimità costituzionale dell’art. 54, comma 2, del d.l. n. 112 del 2008 e successive modificazioni.

La Corte costituzionale era stata investita della questione di legittimità costituzionale della suddetta disposizione da quindici ordinanze della stessa Seconda Sezione civile della Corte di cassazione (per tutte, ord. n. 26221/17, massimata), di contenuto sostanzialmente identico, emesse in relazione ad altrettanti ricorsi per cassazione avverso sentenze di corti di appello che, in ragione della mancata presentazione di una «istanza di prelievo» nei processi amministrativi presupposti, avevano dichiarato improponibili le corrispondenti domande di equa riparazione per irragionevole durata dei processi medesimi.

L’articolo 54, comma 2, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112,  convertito, con modificazioni, nella legge 6 agosto 2008, n. 133, come modificato in sede di conversione  e, successivamente, dall’art. 3, comma 23, dell’Allegato 4 al codice del processo amministrativo (decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104) e, ancora successivamente, dall’art. 1, comma 3, lettera a), n. 6, delle  Disposizioni correttive ed integrative al codice del processo amministrativo (decreto legislativo 15 novembre 2011, n. 195) recita: « La domanda di equa riparazione non è proponibile se nel giudizio dinanzi al giudice amministrativo in cui si assume essersi verificata la violazione di cui all’articolo 2, comma 1, della legge 24 marzo 2001, n. 89 non è stata presentata l’istanza di prelievo di cui all’articolo 71, comma 2, del codice del processo amministrativo, né con riguardo al periodo anteriore alla sua presentazione».

Nelle ordinanze con cui ha sollevato la questione incidentale di legittimità costituzionale la Cassazione  ipotizzava un contrasto tra la suddetta disposizione e gli artt. 6, par. 1, 13 e 46, par. 1, della Convenzione EDU (come interpretate dalla giurisprudenza della Corte EDU, in particolare nelle sentenze 2 giugno 2009,  Daddi contro Italia, e  22 febbraio 2016, Olivieri contro Italia) e, per interposizione, con l’art. 117, primo comma, Cost.,  sul rilievo che  il diritto della parte ad ottenere l’equa riparazione per la violazione dell’art. 2, comma 1, della legge n. 89 del 2001 risulterebbe impedito dal prescritto (ed ineludibile) assolvimento della suddetta condizione di proponibilità, ancorché l’istanza di prelievo non sia idonea a consentire una efficace accelerazione della decisione di merito.

Sottolineava, sul punto, la Cassazione: « mentre nella giurisprudenza della Corte EDU il rimedio preventivo è tale se efficacemente sollecitatorio, l’interesse alla risposta giurisdizionale derivando dalla stessa pendenza del processo, nel sistema integrato della legge n. 89/01 e del più volte citato art. 54, comma 2, il rimedio preventivo non è sollecitatorio, ma puramente dichiarativo di un interesse altrimenti già incardinato nel processo. Non è possibile un’interpretazione convenzionalmente orientata di tale norma che non si traduca nella sua sostanziale e intera disapplicazione. E’ l’idea stessa del prelievo quale condizione d’accesso all’istanza indennitaria a soffrire la contraddizione».

La Corte costituzionale, nella sentenza 34/2019,  ha in primo luogo ricordato che, secondo la Corte EDU:

– i rimedi preventivi, volti ad evitare che la durata del procedimento diventi eccessivamente lunga, sono ammissibili, o addirittura preferibili, eventualmente in combinazione con quelli indennitari, ma ciò solo se effettivi e, cioè, nella misura in cui velocizzino la decisione da parte del giudice competente (sent. 29.03.2006, Scordino contro Italia);

– una prassi interpretativa riferita all’art. 54 c. 2 d.l. 112/2008 che si opponga all’ammissibilità dei ricorsi ex lege Pinto, per il solo fatto della mancata presentazione di un’istanza di prelievo, va  considerata scorretta perché, in tal modo opinando, alcune categorie di ricorrenti vengono private della possibilità di ottenere una riparazione adeguata e sufficiente (sent. 02.06.2009 Daddi contro Italia);

la procedura nazionale per lamentare la durata eccessiva di un giudizio dinanzi al giudice amministrativo non può  essere considerata un rimedio effettivo, ai sensi dell’art. 13 della CEDU,  soprattutto perché  il sistema giuridico nazionale non prevede alcuna condizione volta a garantire l’esame dell’istanza di prelievo (sent. 22.02.2016, Olivieri contro Italia).

Sulla scorta dei suddetti precedenti  della Corte EDU, la Corte costituzionale ha concluso che «mentre per la giurisprudenza europea il rimedio interno deve garantire la durata ragionevole del giudizio o l’adeguata riparazione della violazione del precetto convenzionale ed il rimedio preventivo è tale se efficacemente sollecitatorio, l’istanza di prelievo, cui fa riferimento l’art. 54, comma 2, del d.l. n. 112 del 2008 (prima della rimodulazione, come rimedio preventivo, operatane dalla legge n. 208 del 2015), non costituisce un adempimento necessario ma una mera facoltà del ricorrente (ex art. 71, comma 2, del codice del processo amministrativo, la parte «può» segnalare al giudice l’urgenza del ricorso), con effetto puramente dichiarativo di un interesse già incardinato nel processo e di mera “prenotazione della decisione” (che può comunque intervenire oltre il termine di ragionevole durata del correlativo grado di giudizio), risolvendosi in un adempimento formale, rispetto alla cui violazione la, non ragionevole e non proporzionata, sanzione di improponibilità della domanda di indennizzo risulta non in sintonia né con l’obiettivo del contenimento della durata del processo né con quello indennitario per il caso di sua eccessiva durata».

Nella stessa sentenza n. 34/2019, peraltro, la Corte costituzionale rileva  che la mancata presentazione dell’istanza di prelievo può costituire elemento indiziante di una sopravvenuta carenza, o di non serietà, dell’interesse della parte alla decisione del ricorso e chiarisce che tale elemento, se  non può condizionare la proponibilità della domanda di equa riparazione ex lege n. 89 del 2001, può, tuttavia «assumere rilievo ai fini della quantificazione dell’indennizzo»,.

Con le due ordinanze in rassegna la Corte di cassazione – investita di ricorsi per cassazione avverso sentenze  di merito che avevano  dichiarato improponibili domande ex lege n. 89 del 2001 proposte in relazione a giudizi amministrativi presupposti nei quali  non era stata presentata istanza di prelievo – ha dato atto dell’intervenuta declaratoria di illegittimità dell’art. 54, comma 2, del decreto-legge n. 112/2008, come successivamente convertito e modificato,  ed ha, conseguentemente, cassato con rinvio le sentenze impugnate, mandando al giudice di rinvio di valutare se la mancata presentazione dell’istanza di prelievo nel giudizio  presupposto possa costituire elemento indiziante di una sopravvenuta carenza, o di non serietà, dell’interesse della parte alla decisione del ricorso.