CEDU – L’usucapione nelle ipotesi di occupazioni illegittime

[CLASSIFICAZIONE]

POSSESSO – AZIONI A DIFESA DEL POSSESSO – AZIONI POSSESSORIE (NOZIONE, DIFFERENZA CON LE AZIONI DI NUNCIAZIONE, DISTINZIONI) – AMMINISTRAZIONE PUBBLICA – AZIONI CONTRO LA P.A. DETENZIONE DEL BENE DA PARTE DELLA P.A. – TRASFORMAZIONE IN POSSESSO UTILE “AD USUCAPIONEM” – CONDIZIONI – INTERPRETAZIONE CONFORME ALLA CEDU –

 [RIFERIMENTI NORMATIVI]

Costituzione: art.42

Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU): art. 1 Prot.n.1 annesso alla CEDU

Cod.civ.art.1141 c.2

[SENTENZA SEGNALATA]

Cass., Sez. I civ., sent. n. 27197 del 23 ottobre 2019.

Abstract

La prima sezione della Corte di cassazione, con la sentenza n.27197/2019, ha fatto il punto sulle condizioni e sugli spazi di operatività dell’istituto di diritto privato dell’usucapione nell’ipotesi di occupazioni illegittime, ponendosi in linea di continuità con quanto affermato da Cass.n.10297/2018 e confermando un indirizzo sul punto interpretativo restrittivo e coerente con i principi di matrice convenzionale affermati dalla giurisprudenza della Corte edu in tema di privazione sine titulo del diritto dominicale.

In un giudizio promosso dall’Azienda territoriale per l’edilizia residenziale della provincia di Treviso nei confronti dei proprietari di alcune aree e diretto all’accertamento dell’intervenuto acquisto per usucapione dei terreni dei convenuti sui quali l’ente aveva realizzato nell’anno 1977, su delega del comune di Castelfranco Veneto- che dopo essere stato evocato in giudizio spiegava a sua volta domanda di usucapione delle aree medesime- cinque fabbricati all’esito di procedura espropriativa, i giudici di primo e di secondo grado rigettavano, per quel che qui interessa, le domande di usucapione, pronunziandosi su ulteriori domande proposte da altri soggetti pure parti del giudizio.

In particolare la Corte di appello riteneva che l’animus possidendi necessario per l’usucapione dovesse intendersi quale intento del preteso usucapiente di tenere la cosa come propria mediante attività corrispondente all’esercizio della proprietà, o altro diritto reale, prescindendo dall’esistenza o conoscenza di tale diritto. Aggiungeva che non potendo il privato in ipotesi di occupazione acquisitiva fruire del rimedio reipersecutorio, diversamente da quanto previsto nella ipotesi di cd. occupazione usurpativa, la Corte di appello non riconosceva all’Amministrazione occupante la possibilità di acquisire la proprietà attraverso il possesso ad usucapionem.

Cass.n.27197/2019 ha confermato la decisione impugnata.

Per quel che qui rileva la Cassazione ha fatto il punto sulle condizioni e sugli spazi di operatività dell’istituto di diritto privato dell’usucapione nell’ipotesi di occupazione illegittima.

Dopo avere ricordato i precedenti di legittimità favorevoli alla configurazione di condotte materiali di occupazione e di manipolazione del bene immobile di un privato da parte dell’Amministrazione anche ai fini della loro usucapibilità, senza distinzione tra le fattispecie dell’occupazione acquisitiva e di quella usurpativa (Cass. n. 1804/2013 e SU n. 735/2015), si è sottolineato che tale indirizzo consentirebbe in astratto, a partire dalla configurazione dell’illecito, la possibilità per l’Amministrazione occupante di maturare un possesso integrativo dell’usucapione in applicazione delle norme di diritto privato in presenza di un animus possidendi necessario ad usucapire che si manifesta attraverso un atto di interversione del possesso.

Ed infatti, venuto meno l’agire secondo modelli pubblicistici l’amministrazione potrebbe acquisire come un qualsiasi privato, in ragione di condotte di occupazione e manipolazione, la proprietà del bene per usucapione.

Ma la Cassazione si premura a chiarire le condizioni che possono giustificare siffatto modo di acquisto della proprietà, conseguente ad un illecito di diritto comune lesivo dell’altrui diritto di proprietà ed alternativo rispetto alle ipotesi della restituzione dell’area, della transazione, della rinunzia abdicativa e non traslativa del proprietario al suo diritto che resta implicitamente contenuta nella richiesta di risarcimento dei danni per equivalente, o del provvedimento amministrativo D.P.R. n. 327 del 2001, ex art. 42-bis.

La implicita premessa di base dalla quale muove la pronunzia in esame è costituita da un lungo ed accidentato percorso giurisprudenziale, fortemente condizionato dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo – a partire dai noti casi Carbonara e Ventura e Belvedere Alberghiera c. Italia del maggio 2000- e dai “seguiti” interni( Corte cost.nn.348 e 349 del 2007, Cass.S.U. n.735/2015) ed ormai stabilizzato nel senso della natura permanente dell’illecito perpetrato in danno del privato attraverso condotte riconducibili alle figure(di matrice pretoria) dell’occupazione acquisitiva e/o usurpativa o in via di mero fatto.

Ora, secondo Cass. n.27197/2019 perché le condotte di occupazione acquisitiva ed usurpativa o in via di mero fatto possano dare luogo all’acquisto della proprietà del bene in favore dell’espropriante per usucapione, nei casi in cui il potere di fatto sulla cosa sia esercitato inizialmente dalla P.A. come detenzione – in presenza di validi provvedimenti amministrativi (dichiarazione di p.u., decreto di occupazione d’urgenza, ecc.) -, occorre l’allegazione e la prova da parte della P.A. della trasformazione della detenzione in possesso utile “ad usucapionem”, ex art. 1141 c.c., comma 2, cioè il compimento di idonee attività materiali di opposizione specificamente rivolte contro il proprietario-possessore, non essendo sufficienti né il prolungarsi della detenzione né il compimento di atti corrispondenti all’esercizio del possesso che di per sé denunciano unicamente un abuso della situazione di vantaggio determinata dalla materiale disponibilità del bene.

Cass. n.27197/2019 pone dunque un limite alla concreta operatività dell’usucapione nelle vicende di cui si è detto, ritenendo che l’occupazione illegittima non può “integrare il requisito del possesso utile ai fini dell’usucapione, sortendosi altrimenti l’effetto di reintrodurre nell’ordinamento interno forme di espropriazione indiretta o larvata, in violazione dell’art. 1 del Protocollo addizionale annesso alla Cedu”.

Ed infatti, il possesso che pure si accompagna alla permanenza dell’illecito non può valere, senza soluzione di continuità, agli effetti dell’usucapione destinati ad operare fin dal momento dell’iniziale esercizio della relazione di fatto con il fondo altrui, con estinzione retroattiva della tutela reale ripristinatoria e di quella indennitaria del proprietario del fondo.

Sul punto, Cass.n.27197/2019 si discosta da quanto affermato, sia pur in ambito di regolamento di competenza e rispetto ad una vicenda nella quale si discuteva di diritto di servitù, da Cass. n. 19294/2006, laddove era stato ritenuto che “l’accertamento dell’avvenuto usucapione della servitù di un elettrodotto esclude il presupposto del risarcimento da illecito, retroagendo gli effetti dell’usucapione, quale acquisto del diritto reale a titolo originario, al momento dell’iniziale esercizio della relazione di fatto con il fondo altrui, e togliendo ab origine il connotato di illiceità al comportamento di chi abbia usucapito”. Indirizzo, quest’ultimo, formatosi sotto la precedente giurisprudenza che riconosceva l’occupazione acquisitiva ma non per i diritti reali minori (v. infatti, Cass. 25.3.1998 n. 3153).

La circostanza che nella specie non fosse stata fornita alcuna allegazione di fatto ai fini dell’interversio ha quindi giustificato il rigetto del ricorso.

La Cassazione ha poi approfittato per evidenziare che la censura del comune, laddove era partita dall’idea che i mutamenti giurisprudenziali sul tema degli effetti dell’occupazione c.d. acquisitiva non fossero applicabili al caso di specie, in quanto successivi all’epoca in cui avrebbe potuto decorrere il possesso necessario all’usucapione che si sarebbe potuta quindi realizzare nell’anno 1997, prima dei detti mutamenti giurisprudenziali ai quali si è accennato era destituita di fondamento.

Sul punto la Corte ha rigettato la ricostruzione difensiva dell’amministrazione comunale, evidenziando che quella prescelta dal ricorrente costituiva una prospettiva non convincente, non essendo diretta al perseguimento di “un percorso ermeneutico di progressivo adattamento dell’istituto dell’usucapione a principi costituzionali e convenzionali presenti nel sistema, ma di una sorta di overruling sostanziale, creativo di un diritto che, destinato a valere per il futuro, non varrebbe a qualificare nei presupposti applicativi, e a disciplinare negli effetti, fattispecie maturate nel pregresso.”

In definitiva, l’insufficienza dell’allegazione in punto di interversione del possesso “che nato in un quadro di legittimità del modello ablatorio adottato dall’Amministrazione occupante avrebbe dovuto proseguire in discontinuità con i precedenti presupposti prospettando una vera e propria interversio possessionis” ha giustificato il rigetto del ricorso.

Cass.n.10289/2018, che costituisce il prodromo rispetto alla pronunzia qui ricordata, aveva già sottolineato la necessità di restringere l’ambito di operatività dell’usucapione in vicende successive a forme di occupazioni illegittimi (nell’accezione ampia di cui qui si è detto), ricordando l’indirizzo sul punto restrittivo del giudice amministrativo secondo il quale l’occupazione illegittima di un fondo da parte della P.A. e la conseguente trasformazione di un bene privato, al di fuori di una legittima procedura espropriativa o di un procedimento sanante ex art. 42 bis cit., costituisce illecito permanente e non è idonea ad integrare il requisito del possesso utile ai fini dell’usucapione, rischiandosi altrimenti di reintrodurre nell’ordinamento interno forme di espropriazione indiretta o larvata, in violazione dell’art. 1 del Protocollo addizionale alla Cedu (Cons. di Stato, sez. IV, n. 3838/2017, n. 329/2016, 3988/2015).

Nella stessa occasione, Cass.n.10298/2018 aveva ulteriormente sottolineato come tale conclusione fosse coerente con la capacità di diritto privato della P.A., il cui corollario è la soggezione della stessa alle conseguenze ripristinatorie e risarcitorie previste dal diritto comune quando essa sia responsabile di illeciti, sia con la tipicità dei modi con cui la P.A. può acquistare la proprietà dei beni nell’ambito del procedimento espropriativo. Per tale motivo, aggiungeva Cass.n.10289/2018, sarebbe risultato incongruo, in mancanza di alcun espresso referente normativo, che dall’esercizio illegittimo di poteri di imperio l’amministrazione potesse ricavare un utile, divenendo proprietaria del bene, senza erogare alcunché al privato spogliato.