CEDU – Ne bis in idem fra giudizio penale e procedimento Consob (Cass. pen. 39999/19)

CLASSIFICAZIONE

NE BIS IN IDEM – SANZIONI TRIBUTARIE – DOPPIO BINARIO

RIFERIMENTI NORMATIVI

art. 649 c.p., art 50 CDFUE, CONVENZIONE EDU, PROTOCOLLO N. 7, art. 4

PRONUNCIA SEGNALATA – Cass. Pen., sez. V, n. 39999 del 2019, pres. Vessichelli, rel. Brancaccio

Abstract

         La Quinta sezione della Corte di cassazione, pronunciandosi in tema di reato di abuso di informazioni privilegiate (insider trading), ha emesso una sentenza molto articolata nella quale sono presenti numerosi elementi di novità relativi alle questioni trattate; in particolare, è stato affermato che:

        –  il reato di cui all’art. 184 T.U.F. è di pericolo e di mera condotta, per cui è sufficiente ad integrarlo l’utilizzo dell’informazione privilegiata per compiere investimenti, sfruttando la conoscenza delle dinamiche finanziarie che stanno per coinvolgere la persona giuridica ed il suo patrimonio azionario, senza che siano necessari l’elisione del margine di rischio dell’investimento e la conseguente realizzazione di un vantaggio e causazione di corrispondente danno;

        – nel concetto di “informazione privilegiata” rientrano anche le informazioni acquisite nelle tappe intermedie del processo che porta alla determinazione della circostanza o dell’evento futuro cui volge l’informazione stessa, tra cui rileva anche l’attività relativa ad un incarico di “due diligence” conferito ad una società di consulenza;

       – la qualifica di insider primario, soggetto a responsabilità penale – a differenza dell’insider secondario, soggetto a sola responsabilità amministrativa – può ravvisarsi anche nel solo fatto di rivestire, all’interno della società di consulenza che tratta l’incarico relativo all’ente, un ruolo di spicco, quale quello di “socio senior”, che permetta, per sua natura, di divenire recettore e collettore delle informazioni relative alle singole attività di consulenza, pur non partecipandovi direttamente;

        Oltre ad esse, una lunga parte della sentenza è dedicata al problema del ne bis in idem, e si è affermato che  ai fini della valutazione della violazione del principio, nel caso di sanzione irrevocabile irrogata dalla Consob,la disapplicazione della norma penale, alla luce della giurisprudenza delle Corti europee, può avere luogo soltanto nell’ipotesi in cui la sanzione amministrativa assorba completamente il disvalore della condotta coprendo sia aspetti rilevanti a fini penali che a fini amministrativi, offrendo pienamente tutela all’interesse protetto dell’integrità dei mercati finanziari e della fiducia del pubblico negli strumenti finanziari.

1. Il caso

La vicenda difatto da cui origina la sentenza è, nella sua storicità, abbastanza semplice ed è, in parte, già stata all’attenzione degli studiosi perché è la stessa nella quale il problema del “ne bis in idem” era già stato sollevato – in sede tributaria – in relazione alle posizioni di due coimputati in procedimenti separati, dando origine ad una sentenza della Corte di Giustizia sul tema (Caso Di Puma e Zecca).

Nel presente procedimento, secondo l’accusa, l’imputato, in virtù della sua qualità di dirigente e socio anziano (senior) dell’area Transaction Services di una primaria società di revisione e di consulenza finanziaria, sarebbe entrato in possesso di informazioni riservate sui progetti di Offerte Pubbliche di Acquisto di azioni di due società per azioni, nonché sul programma di acquisizione del controllo di una terza società, e si sarebbe avvalso di tali conoscenze acquisite in occasione dell’esercizio della sua attività professionale per acquistare azioni di dette società (15.000 della prima; 53.388 della seconda; 84.868 della terza), le cui quotazioni, alla luce delle suddette informazioni, avrebbero ragionevolmente avuto incrementi.

La condanna di primo grado, confermata in appello, prevedeva, altresì, la confisca della somma in sequestro, pari all’equivalente del profitto del reato e dei beni utilizzati per commetterlo (e cioè non solo le plusvalenze realizzate ma anche l’ammontare del capitale investito per ottenerle), e, tra l’altro, il risarcimento dei danni alla parte civile CONSOB quantificati in 100.000 euro oltre alla rifusione delle spese.

L’imputato ricorreva alla Corte di Cassazione con più motivi, aventi ad oggetto le varie questioni sopra indicate.

Con una successiva memoria in vista dell’udienza davanti alla Suprema Corte, deduceva un motivo nuovo riferito al passaggio in giudicato della delibera CONSOB n. 18070 del 2.1.2012, con la quale erano state emesse sanzioni amministrative sostanzialmente penali ai sensi dell’art. 187-bis d. lgs. n. 58 del 1998 (TUF), chiedendo dichiararsi il divieto di bis in idem e di disapplicare la norma penale in ossequio all’art. 50 CDFUE, dichiarando l’improcedibilità dell’azione penale ex art. 529 cod. proc. pen. La difesa rappresentava che in data 7.11.2017 la Seconda Sezione Civile della Corte di cassazione aveva emesso sentenza di inammissibilità dell’impugnazione proposta dall’imputato avverso la decisione della Corte d’Appello di Milano n. 2278 del 2014 di conferma delle sanzioni comminate nei suoi confronti con la delibera CONSOB n. 18070 del 2012, con conseguente irrevocabilità delle sanzioni amministrative disposte nei suoi confronti. Tali sanzioni consistevano in:

– sanzione amministrativa pecuniaria di euro 150.000 ai sensi dell’art. 187-bis TUF (vicenda relativa all’OPA su una prima società);

– sanzione amministrativa pecuniaria di euro 150.000 ai sensi dell’art. 187-bis TUF (vicenda relativa all’OPA su una seconda società);

– sanzione amministrativa pecuniaria di euro 225.000 ai sensi dell’art. 187-bis TUF (vicenda acquisizione controllo di una terza società);

– sanzione amministrativa accessoria, ai sensi dell’art. 187-quater , comma 1, TUF per un periodo di mesi nove;

– confisca dei beni oggetto di sequestro, per 1.193.914 euro, ai sensi dell’art.187- sexies d. Igs. n. 58 del 1998, già in sequestro ai sensi dell’art. 187-octies comma 3, lett. d, dello stesso decreto legislativo.

Alla luce della entità delle predette sanzioni amministrative, la difesa del ricorrente ne deduceva la natura sostanzialmente penale, in ossequio ai principi consolidati dettati dalla giurisprudenza europea (i cd. Engel críteria), e chiedeva che il Collegio dichiarasse l’improcedibilità dell’azione penale nel processo penale in corso, in base all’art. 50 CDFUE.

2. Lo sviluppo del principio del “ne bis in idem”

2.1. I due concetti base

La sentenza dedica al motivo relativo al ne bis in idem un’amplissima trattazione, di quasi venti pagine, ponendosi così come una delle sentenza penali della Corte che più hanno approfondito il tema.

In primo luogo la sentenza inquadra la questione, ripercorrendo gli sviluppi del principio del “ne bis in idem” ed afferma che i due poli di ragionamento “classici” intorno ai quali si è giocata la partita della maggiore o minore espansione dell’operatività del principio del ne bis in idem e della sua stessa definizione si riconoscono da sempre nella nozione di idem factum ed in quella di matière pénale.

Quanto alla seconda, la sentenza cita i ben noti “criteri Engel” che determinano la soglia più ampia di accezione che ad essa riconosce l’ordinamento europeo, analizzando la nozione di illecito penale convenzionale, caratterizzata da una ricerca sostanzialistica della sua natura, che prescinda dalle etichette formali dei sistemi giuridici nazionali.

Sul primo concetto – l’idem factum -, la sentenza afferma che valgono tuttora gli insegnamenti delle Sezioni Unite, nella sentenza n. 34655 del 28/6/2005, Donati, Rv. 231799-231800, e quelli proposti dalla Corte costituzionale, da ultimo nella rilevante sentenza n. 200 del 2016, secondo cui l’identità del fatto sussiste quando vi sia corrispondenza storico-naturalistica nella configurazione del reato, considerato in tutti i suoi elementi costitutivi e con riguardo alle circostanze di tempo, di luogo e di persona, anche nelle ipotesi di concorso formale di reati.

2.2. Il criterio della connessione sostanziale e temporale sufficientemente stretta

Ma la sentenza prosegue ricordando, poi, che accanto a tali due poli di ragionamento, dalla fine del 2016 si è imposto un nuovo parametro valutativo, che sembra tendere ad assorbire del tutto la verifica sulla sussistenza del bis in idem in presenza dei due presupposti dell’idem factum e della natura sostanzialmente penale di un illecito amministrativo che “doppi” l’illecito penale. Con la sentenza della Corte EDU Grande Chambre, A e B contro Norvegia del 15 novembre 2016, infatti, nasce il nuovo paradigma della connessione sostanziale e temporale sufficientemente stretta (sufficiently close connection in substance and time) tra i procedimenti nei quali si discute di bis in idem, cui si affianca quello, fondamentale, della verifica della esistenza di un unico sistema sanzionatorio “integrato” in cui ciò che conta per stabilire se vi sia violazione o meno del superiore divieto di un doppio giudizio sul medesimo fatto è il risultato di proporzionalità complessiva della sanzione inflitta nell’ambito dei due procedimenti.

In estrema sintesi, afferma la sentenza, la pronuncia A e B, pur non sconfessando la giurisprudenza consolidata dei giudici di Strasburgo sulle nozioni di materia penale e di idem factum, utilizza una nuova chiave di valutazione per la verifica della sussistenza di una violazione del divieto di doppio giudizio nell’ordinamento interno di uno Stato membro, nel caso in cui ad una sanzione amministrativa definitiva si affianchi un procedimento penale per lo stesso fatto, nei confronti della stessa persona.

In altri termini, i procedimenti sanzionatori, penale ed amministrativo, possono coesistere qualora si ritenga tra loro una “connessione sostanziale e temporale sufficientemente stretta” che li renda, sostanzialmente, quasi parte di unico sistema sanzionatorio “integrato”.

Tale requisito è stato accolto, ricorda la sentenza, anche dalla giurisprudenza più recente  Corte di Giustizia dell’Unione Europea: significative, a questo riguardo, le sentenze della Grande Sezione della CGUE del 20 marzo 2018 nelle cause Menci (C-524/15), Garlsson Real Estate SA e altri contro Consob (C-537116) e Di Puma contro Consob e Consob contro Zecca (nelle cause riunite C-596/16 e C-597/16). Quest’ultime, per inciso, appartengono alla stessa vicenda di cui si occupa la presente sentenza, riguardano due coimputati.

Anche la Corte costituzionale, del resto, nella recente sentenza n. 43 del 2018, come ricorda la Corte, aveva sottolineato la portata significativamente innovativa della sentenza A e B, mettendo in luce come, nel passato, scarsa eco avevano avuto altre pronunce della Corte EDU con cui si era ritenuta convenzionalmente legittima la conclusione di un secondo procedimento, nonostante il primo fosse già stato definito, in virtù dell’esistenza tra i due di un legame materiale e temporale sufficientemente stretto.

Il nuovo criterio, ora, fa sì che “il ne bis in idem convenzionale cessi di agire quale regola inderogabile conseguente alla sola presa d’atto circa la definitività del primo procedimento, ma viene subordinato a un apprezzamento proprio della discrezionalità giudiziaria in ordine al nesso che lega i procedimenti, perché in presenza di una “dose connection” è permesso proseguire nel nuovo giudizio ad onta della definizione dell’altro”.

La decisione, però, diventa legata al caso concreto ed è rimessa quindi alla valutazione del singolo giudice.

Inoltre, sempre secondo la Corte Costituzionale citata dalla sentenza in oggetto, “neppure si può continuare a sostenere che il divieto di bis in idem convenzionale abbia carattere esclusivamente processuale, giacché criterio eminente per affermare o negare il legame materiale è proprio quello relativo all’entità della sanzione complessivamente irrogata: se, pertanto, la prima sanzione fosse modesta, sarebbe in linea di massima consentito, in presenza del legame temporale, procedere nuovamente, al fine di giungere all’applicazione di una sanzione che, nella sua totalità, non risultasse sproporzionata, mentre nel caso opposto il legame materiale dovrebbe ritenersi spezzato e il divieto di bis in idem pienamente operante.

In conclusione, rileva la sentenza, la Corte costituzionale ha messo in luce il carattere innovativo che la regola della sentenza A e B contro Norvegia ha impresso in ambito convenzionale al divieto di bis in idem: «si è passati dal divieto imposto agli Stati aderenti di configurare per lo stesso fatto illecito due procedimenti che si concludono indipendentemente l’uno dall’altro, alla facoltà di coordinare nel tempo e nell’oggetto tali procedimenti, in modo che essi possano reputarsi nella sostanza come preordinati a un’unica, prevedibile e non sproporzionata risposta punitiva, avuto specialmente riguardo all’entità della pena (in senso convenzionale) complessivamente irrogata», sicché «ciò che il divieto di bis in idem ha perso in termini di garanzia individuale, a causa dell’attenuazione del suo carattere inderogabile, viene compensato impedendo risposte punitive nel complesso sproporzionate».

Preso poi, atto del recepimento di tale ultimo concetto anche nella giurisprudenza della Corte di Giustizia, ed in particolare nelle sentenze Garlsson Real Estate e Menci, e della ulteriore elaborazione da questa compiuta in tema di proporzionalità delle sanzioni alla luce della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea, la sentenza sottolinea il ruolo preminente e decisivo che il giudice interno viene ad avere per valutare la lesione o meno del principio del divieto di “bis in idem”, in particolare per quanto riguarda la proporzione del complessivo trattamento sanzionatorio rispetto alla violazione commessa.

2.3 La proporzionalità

Questo diventa, quindi, un altro aspetto decisivo nella valutazione del principio, secondo la declinazione dello stesso emergente dalle sentenze sopra citate della Corte EDU e della Corte di Giustizia, che sposta il cuore del ne bis in idem dal tema della sola duplicità dei procedimenti a quello della unitarietà della risposta sanzionatoria degli stessi.

In questo senso, la sentenza in commento ripercorre la definizione che del concetto di proporzionalità è stato dato nella giurisprudenza della Corte di Giustizia, in particolare nelle sentenze Garlsson e Menci, e si sofferma sulla sentenza Di Puma e Zecca, che, oltretutto, ha degli elementi di rilevanza specifica con il caso concreto perché chiude una porzione della vicenda che ha riguardato direttamente il processo nel cui ambito è emessa la sentenza in questione, ricordando che essa stabilisce un principio valido qualora vi sia stata pronuncia assolutoria: in essa si è stabilito, infatti, che l’articolo 14, paragrafo 1, della direttiva 2003/6, letto alla luce dell’articolo 50 della Carta, va interpretato nel senso che esso non osta a una normativa nazionale in forza della quale un procedimento inteso all’irrogazione di una sanzione amministrativa pecuniaria di natura penale non può essere proseguito a seguito di una sentenza penale definitiva di assoluzione che ha statuito che i fatti che possono costituire una violazione della normativa sugli abusi di informazioni privilegiate, sulla base dei quali era stato parimenti avviato tale procedimento, non erano provati.

Infine, la sentenza ricorda come la nuova declinazione del ne bis in idem ha già avuto applicazioni pratiche nella giurisprudenza della Corte di Cassazione. Questo, in particolare, in tre sentenze: Sez. 5, n. 49869 del 21/9/2018, Chiarion, Rv. 274604; Sez. 5, n. 45829 del 16/7/2018, Franconi, Rv. 274179; Sez. 5, n. 5679 del 19/11/2019, Erbetta, Rv. 275314, che giungono a condividere ed adottare gli approdi delle sentenze Corte EDU, Grande Chambre, A e B contro Norvegia del 15/11/2016 e della Corte di Giustizia di Lussemburgo del marzo 2018 (in particolare, quelli delle pronunce Menci e Garlsson Real Estate).

Da rilevare, però, che la sentenza Chiarion afferma che, nel caso in cui (come nella fattispecie trattata e come in quella della sentenza in commento) la sanzione divenuta irrevocabile sia quella irrogata da CONSOB, anziché quella penale, la disapplicazione in toto della norma sanzionatoria penale può venire in rilievo in ipotesi del tutto eccezionali, in cui la sanzione amministrativa – evidentemente attestata sui massimi edittali in rapporto ad un fatto di consistente gravità – risponda, da sola, al canone della proporzionalità nelle diverse componenti riconducibili ai due illeciti.

Fuori da tale ipotesi, l’accertamento dell’incompatibilità del trattamento sanzionatorio complessivamente irrogato rispetto alla garanzia del ne bis in idem comporta, nel caso di sanzione amministrativa già divenuta irrevocabile, esclusivamente la rideterminazione delle sanzioni penali attraverso la disapplicazione in mitius della norma che commina dette sanzioni non già in toto, ma solo nel minimo edittale e con il limite insuperabile, quanto alla reclusione, dettato dall’art. 23 cod. pen.

La sentenza dichiara di condividere le conclusioni della sentenza Chiarion ed afferma, pertanto, il principio secondo cui, anche in tema di insider trading e ne bis in idem, la disapplicazione della disciplina penale potrà avere luogo soltanto nell’ipotesi in cui la sanzione amministrativa già inflitta in via definitiva sia strutturata in maniera e misura tali da assorbire completamente il disvalore della condotta, “coprendo” sia aspetti rilevanti a fini penali che a fini amministrativi e, in particolare, offrendo tutela complessivamente e pienamente adeguata e soddisfacente all’interesse protetto dell’integrità dei mercati finanziari e della fiducia del pubblico negli strumenti finanziari, poiché, in tal caso, il cumulo delle sanzioni risulta radicalmente sproporzionato e contrario ai principi sanciti dagli artt. 50 CDFUE e 4 Prot. n. 7 CEDU, come interpretati dalle Corti europee (Corte EDU, GC, A e B contro Norvegia del 2016 e CGUE, Grande Sezione, Menci (C-524/15), Garlsson Real Estate SA e altri contro Consob (C-537/16) e Di Puma contro Consob e Consob contro Zecca (cause riunite C-596/16 e C-597/16).

Nell’applicazione al caso concreto la sentenza afferma ancora che:

Nel valutare la proporzionalità della sanzione dovrà tenersi conto, con riguardo alla pena della multa, del meccanismo “compensativo” previsto dall’art. 187-terdecies TUF, secondo cui, quando per lo stesso fatto è stata applicata a carico del reo o dell’ente una sanzione amministrativa pecuniaria ai sensi dell’articolo 187-septies, la esazione della pena pecuniaria e della sanzione pecuniaria dipendente da reato è limitata alla parte eccedente quella riscossa dall’autorità amministrativa.

La rimodulazione del trattamento sanzionatorio dovrà essere compiuta mediante una verifica complessiva che attenga sia alla pena principale che alla confisca ex art. 187 TUF ed alle pene accessorie. In particolare, quanto alla confisca da reato, dovrà tenersi conto della necessità di ottenere un risultato sanzionatorio che complessivamente non esorbiti da criteri di ragionevolezza e sproporzione rispetto al disvalore in sé del fatto, avuto riguardo in special modo alla porzione confiscata riferita al capitale investito.

Al fine di procedere alla valutazione sul rapporto tra afflittività globale della sanzione integrata e disvalore del fatto commesso, occorre il richiamo ai parametri normativi previsti dall’art. 133 cod. pen., utili a (ri)proporzionare la sanzione complessivamente inflitta, tenendo conto di un “allargamento” dell’oggetto di tali valutazioni, che, per un verso, devono essere estese al trattamento sanzionatorio inteso come comprensivo anche della sanzione formalmente amministrativa e, per altro verso, devono investire il fatto commesso nei diversi aspetti propri dei due illeciti (quello penale e quello “formalmente” amministrativo).

3. Conclusioni

La sentenza si segnala per essere, come detto, una concreta applicazione da parte della Corte di Cassazione del “nuovo corso” del principio del ne bis in idem, quello che non è più contrario alla coesistenza dei due procedimenti per lo stesso fatto, a condizione che essi, per le circostanze di fatto e temporali, possano considerarsi come un’unica risposta “integrata” e proporzionata dello Stato alla violazione commessa.

Si tratta di un concetto che dopo la sentenza A e B contro Norvegia è stato ribadito dalla Corte EDU in altre occasioni, quale la recente sentenza Bjarni Armannsson contro Islanda del 16 aprile 2019.

Il “nuovo” orientamento è certamente apprezzabile per il tentativo di rispondere in maniera meno rigida e più flessibile alle diverse situazioni che in ogni Stato si pongono nel rapporto tra procedimento amministrativo e penale, lasciando però un ampio margine di valutazione in concreto a ciascun singolo caso, con possibili riflessi sulla certezza e prevedibilità dell’applicazione del principio.