CEDU: Negazione rinnovazione attività istruttoria in appello imputato condannato

[CLASSIFICAZIONE]

DIRITTO AL GIUSTO PROCESSO – DIRITTO DI OTTENERE LA PRESENZA E L’ESAME DEI TESTIMONI – ANNULLAMENTO SENTENZA DI PRIMO GRADO – NUOVO GIUDIZIO DAVANTI A GIUDICE DIVERSO – RICHIESTA DI INTEGRALE RINNOVAZIONE ISTRUTTORIA – DINIEGO – CONSEGUENTE IMPOSSIBILITA’ DI CONTROESAMINARE I TESTIMONI A CARICO – VIOLAZIONE – ESCLUSIONE – LETTURA DELLE TRASCRIZIONI DELLE DEPOSIZIONI TESTIMONIALI GIA’ ASSUNTE DAVANTI AL PRIMO GIUDICE E RIASSUNZIONE DELLA SOLA VITTIMA – SUFFICIENZA.

[RIFERIMENTI NORMATIVI]

Costituzione, art. 24 e 111;

Convenzione EDU, artt. 6, §§ 1 e 3 (c) e (d);

Normativa nazionale: Artt. 525, comma secondo, 603, 604, comma ottavo e 623, cod. proc. pen.

[SENTENZA SEGNALATA]

Corte e.d.u., Sez. V, (dec.) 2 maggio 2019 (n. 30180/11)

Diritto al giusto processo – Diritto di ottenere la presenza e l’esame dei testimoni – Annullamento della sentenza di primo grado – Nuovo giudizio davanti a giudice diverso – Richiesta di integrale rinnovazione istruttoria – Diniego – Conseguente impossibilità di contro-esaminare i testimoni a carico – Art. 6, Convenzione e.d.u. – Violazione – Esclusione – Lettura delle trascrizioni delle deposizioni testimoniali già assunte davanti al primo giudice e riassunzione della sola vittima – Sufficienza.

Abstract. La Corte europea dei diritti dell’uomo, pronunciandosi in una vicenda in cui si discuteva della legittimità della decisione assunta dalle autorità giudiziarie ucraine di negare la rinnovazione istruttoria (costituita dall’esame dei testi già sentiti in contraddittorio), richiesta da un imputato, condannato per rapina aggravata, la cui sentenza di condanna, inflitta in primo grado, era però stata annullata dalla Corte d’appello con rinvio al giudice di primo grado in diversa composizione, per nuovo giudizio, ha, seppure a maggioranza, inammissibile il ricorso.

Il ricorrente sosteneva che i procedimenti svoltisi nei suoi confronti per rapina aggravata erano ingiusti e, in particolare, che la sentenza era stata annullata con rinvio per un nuovo giudizio davanti ad un altro giudice, senza la possibilità di riesaminare i testimoni a carico.

La Corte e.d.u. ha ricordato il principio per cui, per garantire l’equità nei procedimenti penali, un imputato dovrebbe essere in grado di esaminare un testimone alla presenza del giudice che è chiamato a decidere il processo. La Corte ha rilevato, tuttavia, che, in questo caso, erano state concesse sufficienti garanzie procedurali idonee a controbilanciare il fatto che il ricorrente non era stato in grado di riesaminare nuovamente i testimoni durante il nuovo processo da-vanti al diverso giudice, sufficienti a garantire dunque che il procedimento, nel complesso, fosse stato giusto. In particolare, egli aveva avuto la possibilità di esaminare in maniera completa i testimoni a carico durante il primo processo, mentre il giudice del rinvio aveva avuto la disponibilità delle trascrizioni delle deposizioni testimoniali, che aveva esaminato nel nuovo giudizio, ed aveva altresì esaminato personalmente il testimone chiave, ossia la vittima.

1. Il caso

Il caso, deciso il 2 maggio u.s., traeva origine da un ricorso (n. 30180/11) contro l’Ucraina, presentato alla Corte europea dei diritti dell’uomo, ai sensi dell’articolo 34 della Convenzione e.d.u., da Pavel Famulyak, un cittadino ucraino residente a Lviv (Ucraina).

Il Famulyak era stato arrestato nel luglio 2007 con l’accusa di aver aggredito e derubato un uomo. In sede di interrogatorio, aveva reso dichiarazioni alla polizia, riferendo di essere stato in compagnia della vittima la notte dell’aggressione, ma aveva negato di aver commesso il fatto illecito contestatogli. Durante l’interrogatorio non era stato assistito da un avvocato, ma era stato avvertito del diritto, costituzionalmente garantitogli, di non rilasciare dichiarazioni auto-incriminanti. Egli aveva ribadito la sua versione dei fatti nel corso delle diverse fasi processuali, essendo stato rinviato a giudizio con l’accusa di rapina aggravata.

Famulyak veniva quindi condannato secondo l’accusa originaria nel dicembre 2007 alla pena di nove anni di reclusione. Il tribunale si era basato sulla testimonianza rilasciata dalla vittima, dalla moglie e dagli agenti di polizia che avevano svolto l’indagine, unitamente al fatto che il telefono cellulare della vittima fosse stato rinvenuto sulla persona dell’imputato e su alcuni referti medici che attestavano le lesioni della vittima.

La Corte d’appello aveva annullato la sentenza, rinviando per nuovo giudizio davanti ad un giudice diverso. Il giudice d’appello aveva richiesto in particolare che venissero approfonditi alcuni aspetti relativi all’aggressione, vale a dire il fatto che ricorrente aveva lanciato un mattone contro la vittima e lo aveva colpito con una bottiglia. Il Famulyak veniva però condannato nuovamente nel giugno 2009. Il giudice, nel nuovo processo, aveva riesaminato la vittima oltre che le trascrizioni di tutte le prove testimoniali assunte nel primo processo. Tuttavia, la difesa non aveva avuto la possibilità di contro-esaminare la vittima né i poliziotti che avevano svolto le indagini. Nel dicembre 2009 e nell’aprile 2011, rispettivamente, la Corte d’appello e la Corte suprema avevano respinto i ricorsi del Famulyak con cui si eccepivano delle irregolarità procedurali (mancata assistenza difensiva durante lo stato di arresto; mancata possibilità di contro-esaminare la vittima o gli agenti della polizia nel nuovo processo).

2. Basandosi in particolare sull’art. 6 §§ 1 e 3 (c) (diritto a un processo equo/diritto all’assistenza di un legale di propria fiducia), il Famulyak si doleva del fatto che tanto lui quanto il coimputato erano stati interrogati durante i primi giorni in cui si trovavano in stato di arresto senza un avvocato e che le dichiarazioni rese erano state usate nei loro confronti. Il ricorrente, inoltre, si doleva ai sensi dell’articolo 6 §§ 1 e 3 (d) (diritto a un processo equo/diritto di ottenere la presenza e l’esame dei testimoni) per il fatto che il suo caso era stato rinviato per un nuovo processo, ma ad altro giudice, e quindi questi avrebbe dovuto procedere a riesaminare tutti i testimoni dell’accusa.

Il ricorso veniva presentato alla Corte europea dei diritti dell’uomo il 6 maggio 2011.

3. La Corte ha anzitutto ribadito che, consentire ad un imputato di esaminare un testimone in presenza del giudice che è chiamato a decidere il caso, costituisce un’importante garanzia procedurale nell’ambito del processo penale. Pertanto, un mutamento nella composizione dell’organo giudiziario dopo l’esame di un teste importante, come nel caso del ricorrente, dovrebbe normalmente portare ad un riesame del testimone.

4. Nel caso in questione, tuttavia, la Corte EDU ha rilevato che vi erano state sufficienti garanzie procedurali idonee a compensare il fatto che il ricorrente non avesse avuto la possibilità di esaminare nuovamente i testimoni.

In primo luogo, il ricorrente aveva avuto la possibilità di esaminarli appieno durante il processo di primo grado, tanto la vittima quanto i testi di p.g.

Inoltre, il giudice del nuovo processo aveva avuto la disponibilità delle trascrizioni di tutte le dichiarazioni testimoniali rese nel corso del giudizio di primo grado, così potendo essere sicuro di comprendere adeguatamente quanto riferito dalle prove dichiarative.

Egli aveva, inoltre, esaminato la vittima nel corso del nuovo processo e aveva quindi potuto osservarla e formarsi un’opinione su tale prova testimoniale. Ciò per la Corte e.d.u. era stato importante, perché la testimonianza della vittima rappresentava un elemento chiave nel compendio probatorio a carico dell’imputato ricorrente. Le prove dichiarative, rappresentate dalle deposizioni degli agenti della polizia, d’altronde, non avevano apparentemente svolto un ruolo decisivo nella condanna del ricorrente, e la Corte d’appello, annullando la sentenza di condanna inflitta in primo grado, non aveva richiesto alcun chiarimento sul contenuto della testimonianza della p.g.

In ogni caso, le ragioni per le quali la Corte d’Appello aveva disposto l’annullamento della sen-tenza di primo grado erano in gran parte tecniche. In effetti, i giudici di appello non avevano messo in dubbio la colpevolezza del ricorrente, ma avevano ritenuto opportuno un nuovo giudizio al fine di acquisire ulteriori informazioni sull’aggressione perpetrata dal ricorrente nei confronti della vittima.

5. La Corte EDU ha dunque ritenuto che l’equità complessiva del processo non fosse stata pregiudicata dal fatto che il ricorrente non era stato assistito da un avvocato durante i colloqui avuti con la polizia. In particolare, la dichiarazione resa durante quell’interrogatorio non aveva sostanzialmente influenzato la sua posizione e non poteva essere considerata auto-incriminante. I giudici nazionali non avevano direttamente fondato il giudizio su nessuno degli elementi contenuti nelle dichiarazioni autoincriminanti, né su eventuali contraddizioni tra quanto dichiarato inizialmente in sede di tale interrogatorio e quanto invece dichiarato successivamente dal ricorrente. Inoltre, il ricorrente non aveva mai ritrattato la sua dichiarazione iniziale.

Allo stesso modo, la dichiarazione del co-imputato non lo incriminava direttamente né aveva rappresentato un decisivo elemento nel processo a suo carico.

6. In conclusione, la Corte ha ritenuto che tutti i motivi di ricorso ai sensi dell’articolo 6 §§ 1 e 3 (c) e (d) fossero manifestamente infondati e li ha respinti in quanto inammissibili.

7. La giurisprudenza della Corte di Strasburgo, con la decisione qui segnalata, si arricchisce di un ulteriore, importante, tassello, in quanto – per quanto consta – è la prima volta che la Corte EDU si confronta sul tema della rinnovazione istruttoria a seguito dell’annullamento della sentenza di primo grado.

8. In sintesi, i giudici europei giungono ad affermare alcuni importanti principi.

9. Il primo, di rilievo, è quello secondo cui costituisce un preciso diritto dell’accusato quello di ottenere che le prove dichiarative vengano assunte dal giudice che dovrà assumere la decisione finale. Si tratta di un principio che, nel nostro ordinamento processuale, è garantito dalla regola della c.d. immutabilità del giudice, disciplinata dall’art. 525, cod. proc. pen. che, al comma 2, stabilisce espressamente che “Alla deliberazione concorrono, a pena di nullità assoluta, gli stessi giudici che hanno partecipato al dibattimento”.

10. Il secondo, altrettanto importante, principio, è quello per cui non sempre il nuovo e diverso giudice, chiamato a decidere il processo dopo un annullamento da parte del giudice dell’impugnazione (ciò che di regola avviene nel nostro processo, prevedendo espressamente l’art. 604, comma 8, cod. proc. pen., che in caso di annullamento della sentenza di primo grado da parte della Corte d’appello, il giudice di rinvio “deve essere diverso da quello che ha pronunciato la sentenza annullata”; lo stesso peraltro prevede, in caso di annullamento da parte della Corte di Cassazione, l’art. 623, cod. proc. pen.), deve riassumere integralmente le prove dichiarative già assunte nel corso del primo giudizio, quando esistano adeguate garanzie procedurali idonee a controbilanciare il vulnus al diritto di difesa costituito dalla impossibilità di non espletare il controesame dei testi già sentiti.

Tali “contromisure” idonee sono individuate dalla Corte e.d.u.: a) nel riesame del teste chiave, costituito dalla vittima del reato (anche se, nel caso qui segnalato, l’imputato si doleva del fatto di non averla potuta contro-esaminare davanti al nuovo giudice); b) nella sufficienza della disponibilità delle trascrizioni contenenti le deposizioni testimoniali già assunte.

11. La giurisprudenza della Corte EDU in materia è abbastanza ricca di precedenti.

12. Anzitutto, si ricorda come la Corte e.d.u. di regola sostiene che l’opportunità per l’imputato di esaminare il testimone in presenza del giudice che deciderà il processo è un elemento importante per poter definire “giusto” un processo penale.

Il c.d. principio di immediatezza è una garanzia importante nei procedimenti penali, in cui le osservazioni che il collegio giudicante o il giudice monocratico fanno sul comportamento e sulla credibilità di un testimone possono avere conseguenze importanti per l’imputato. Pertanto, un mutamento nella composizione del collegio giudicante o del giudice investito del processo dopo l’esame di un importante testimone, dovrebbe normalmente portare alla riassunzione di quel testimone (caso P.K. v. Finlandia (dec.) del 9 luglio 2002), n. 37442/97). Ciò, tuttavia, non comporta il divieto di eventuali cambiamenti nella composizione di un collegio nel corso di una causa (caso Škaro c. Croazia del 6 dicembre 2016, n. 6962/13). In alcuni casi possono esserci dei motivi amministrativi o procedurali che rendono impossibile la partecipazione continua di un giudice alla causa (caso Cerovšek e Božičnik c. Slovenia del 7 marzo 2017, nn. 68939/12 e 68949/12). Si possono assumere misure per garantire che i giudici, chiamati successivamente a seguire il caso, abbiano la possibilità di comprendere adeguatamente le prove ed i fatti, ad esempio rendendo disponibili le trascrizioni – laddove la credibilità del testimone in questione non sia in discussione – o prevedendo la riassunzione di importanti testimoni su argomenti rilevanti davanti al giudice in diversa composizione (caso Cutean c. Romania del 2 dicembre 2014, n. 53150/12).

13. Il caso qui segnalato si caratterizza per una sostanziale differenza, peraltro opportunamente sottolineata dalla Corte EDU (v. § 36), che riguarda il mutamento nella composizione del giudice di primo grado disposto a seguito dell’annullamento della sentenza da parte del giudice di appello. Purtuttavia, sottolinea la Corte EDU, la situazione è sufficientemente simile a quella descritta nei precedenti di cui supra, da rendere superflua per la stessa Corte l’adozione di una diversa soluzione. 

14. Inoltre, i principi affermati dalla Corte EDU riguardanti il ​​diritto di contro-esaminare i testimoni sono rilevanti anche in casi come quello sottoposto all’esame della Corte EDU nella presente vicenda.

La Corte ha già indicato da tempo i principi generali applicabili nel caso in cui un testimone dell’accusa non abbia preso parte ad un processo, ma le sue dichiarazioni, precedentemente rese, siano state ammesse come prove (caso Al-Khawaja e Tahery c. Regno Unito [GC] del 15 dicembre 2011, nn. 26766/05 e 22228/06; caso Schatschaschwili c. Germania ([GC] del 15 dicembre 2015, n. 9154/10).

15. Per riassumere, l’applicazione dei principi Al Khawaja e Tahery e Schatschaschwili comporta, in generale, la risposta a tre domande: (i) se vi fosse una buona ragione idonea a giustificare la mancata presenza del testimone e per ammettere come prova la testimonianza dell’assente (vedi Schatschaschwili, citata sopra, §§ 119-125); (ii) se la prova costituita dalle dichiarazioni del testimone assente fosse la base unica o decisiva per la condanna (ibid., §§ 119 e 126-147); e (iii) se vi fossero sufficienti fattori di contro-bilanciamento, ivi incluse delle effettive garanzie procedurali, per compensare gli handicap affrontati dalla difesa a seguito dell’ammissione di prove dichiarative non sottoposte a contraddittorio e per garantire che il processo, complessivamente considerato, fosse “giusto” ( ibid., § 147).

16. In quest’ultimo contesto, la Corte EDU ha affermato che la possibilità di esaminare in fase di indagine un testimone a carico, assente dal processo, costituisce un’importante garanzia procedurale che può compensare gli svantaggi che la difesa deve affrontare a causa dell’assenza di tale testimonianza dal processo (caso Chmura c. Polonia del 3 aprile 2012, n. 18475/05; caso Aigner v. Austria del 10 maggio 2012, n. 28328/03; caso Gani c. Spagna del 19 febbraio 2013, n. 61800/08).

Sulla base di questo principio, la Corte, per esempio, non ha riscontrato alcuna violazione dell’articolo 6 §§ 1 e 3 (d) della Convenzione EDU in un caso in cui il ricorrente aveva avuto la possibilità di esaminare il testimone nella fase predibattimentale, anche in assenza della dimostrazione di validi motivi che ne giustificassero l’assenza durante il processo e anche se la sua dichiarazione sia stata decisiva per la condanna (caso Palchik c. Ucraina del 2 marzo 2017, n. 16980/06).