CEDU : Ritardo ingiustificato autorizzazione mutamento nome transgender e violazione diritto della persona

[CLASSIFICAZIONE]

DIRITTO AL RISPETTO DELLA VITA PRIVATA E FAMILIARE –  DIVIETO DI DISCRIMINAZIONE – RICHIESTA DI MUTAMENTO DEL NOME – RIFIUTO PRIMA DELL’ADEGUAMENTO CHIRURGICO DEI CARATTERI SESSUALI –

[RIFERIMENTI NORMATIVI]

Costituzione,artt.2, 3, 32;

Convenzione EDU, artt. 8, 14;

Normativa nazionale:l. 14 aprile 1982, n. 164

[SENTENZA SEGNALATA]

Corte e.d.u., I sezione, 11 ottobre 2018 (nn. 55216/08) S.V. c. Italia

Diritto al rispetto della vita privata e familiare – Ritardo ingiustificato nell’autorizzare il mutamento del nome di una persona transgender -Violazione.

Abstract.

La Corte europea dei diritti dell’uomo, con la sentenza in esame, ha ritenuto sussistente una violazione dell’art. 8, a causa del ritardo di oltre due anni e mezzo nel disporre il mutamento del nome di una personatransgenderche aveva intrapreso da anni il trattamento ormonale necessario per poter procedere all’intervento chirurgico di adattamento dei caratteri sessuali, autorizzato, ma non ancora eseguito alla di richiesta di rettifica.

1. Il ricorrente, iscritto nei registri di stato civile come soggetto maschile, si era sempre identificato come soggetto femminile e aveva vissuto come donna, con un diverso nome, con il quale era conosciuto dai colleghi di lavoro. Anche nella fotografia presente nel documento di identità, l’aspetto del ricorrente era quello di una donna.

Il prefetto aveva respinto la richiesta di mutamento del nome, rivoltagli nel 2001, dopo che da due anni il ricorrente aveva iniziato il trattamento con ormoni femminili, parte del processo di transizione di genere, e dopo che era stato autorizzato dal Tribunale l’intervento chirurgico di adattamento dei caratteri sessuali, In definitiva, il ricorrente aveva dovuto attendere la decisione giudiziaria del 10 ottobre 2003, che, preso atto dell’intervenuto adeguamento dei caratteri sessuali, aveva pronunciato la rettificazione di sesso.

Il ricorrente, invocando l’art. 8  (diritto al rispetto della vita privata e familiare) e l’art. 14 (divieto di discriminazione) della Convenzione, si era lamentato del rifiuto opposto dal prefetto.

La Corte ha osservato: a) che il caso rientrava nell’ambito applicativo dell’art. 8; b) che non veniva in questione la scelta del legislatore italiano di affidare la decisione in esame all’autorità giudiziaria, anziché a quella amministrativa; c) che l’indisponibilità dello stato civile nonché la coerenza e affidabilità dei registri relativi e, in generale, il bisogno di certezza giuridica rispondono al pubblico interesse e giustificano la predisposizione di procedure rigorose volte a verificare le motivazioni sottostanti alla richiesta di mutamento della identità legale.

Essa ha, tuttavia, notato che il rifiuto opposto al ricorrente era basato su ragioni puramente formali, che non avevano preso in considerazione la specifica situazione del ricorrente e, in particolare, il fatto che egli si stesse sottoponendo ad un processo di transizione di genere da vari anni e che l’apparenza fisica, al pari dell’identità sociale, erano femminili. In tale contesto, è apparso ingiustificato il ritardo di oltre due anni e mezzo intercorso prima che il nome presente sui documenti fosse reso coerente con la realtà della situazione, quale accertata dallo stesso provvedimento che aveva autorizzato l’intervento chirurgico nel maggio del 2001. Ciò aveva posto il ricorrente in una situazione di vulnerabilità, umiliazione e ansia. La Corte ha richiamato la raccomandazione CM/Rec (2010) 5 sulle misure per combattere la discriminazione basata sull’orientamento sessuale o sulla identità di genere, con la quale il Comitato dei Ministri ha sollecitato gli Stati a rendere possibile il cambiamento del nome e del genere nei documenti ufficiali, con modalità veloci, trasparenti e accessibili.

Per queste ragioni, la Corte ha concluso per la violazione dell’art. 8, nella prospettiva dell’inadempimento dell’obbligo dello Stato di adoperarsi in positivo per garantire il diritto al rispetto della vita privata e familiare.