CEDU : Sanzioni amministrative Consob: non equiparabilità alle sanzioni penali

CEDU : Sanzioni amministrative Consob: non equiparabilità alle sanzioni penali

[CLASSIFICAZIONE]

CONVENZIONE DEI DIRITTI DELL’UOMO E DELLE LIBERTÀ FONDAMENTALI – SANZIONI EX ART. 193, COMMA 3, LETTERA A), T.U.F. – NATURA SOSTANZIALMENTE PENALE – ESCLUSIONE – PROCEDIMENTO SANZIONATORIOEXART. 195 T.U.F. – VIOLAZIONE DEL PRINCIPIO DEL CONTRADDITTORIO ENDOPROCEDIMENTALE – ESCLUSIONE – GIUDIZIO DI OPPOSIZIONE ALLE SANZIONI IRROGATE DALLA CONSOB – TRATTAZIONE CAMERALE – GIUSTO PROCESSO – VIOLAZIONE – ESCLUSIONE – PRINCIPI CONVENZIONALI ENUNCIATI DALLA SENTENZA DELLA CORTE EDU 4 MARZO 2014GRANDE STEVENS- RILEVANZA – ESCLUSIONE -IUS SUPERVENIENS-FAVOR REI- IRRETROATTIVITÀ DELLALEX MITIORIN MATERIA DI SANZIONIEXART. 193, COMMA 3, LETTERA A), T.U.F. – VIOLAZIONE DELL’ART. 7 CEDU – ECCESSO DI DELEGA – IRRAGIONEVOLEZZA – QUESTIONE DI LEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE – MANIFESTA INFONDATEZZA

[RIFERIMENTI NORMATIVI]

Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU): art. 6 §1, art. 7

Costituzione: artt. 3, 76, 77, 111, 117

L. n. 689/1981: art. 1

D.lgs. n. 58/1998 (T.U.F.): artt. 193 e 195

D.lgs. n. 72/2015: artt. 5 e 6

[SENTENZA SEGNALATA] 

Cass., Sez. II, sent. n. 20689 del 9 agosto 2018

Abstract

La sentenza in esame, della II sezione civile della Corte di cassazione,  esclude che le sanzioni amministrative di cui all’art. 193, comma 3, del T.U.F. possano qualificarsi come sostanzialmente penali alla luce dei criteri enucleati dalla giurisprudenza della Corte EDU.

La sentenza, inoltre, . dà seguito al consolidato orientamento secondo cui la disciplina del procedimento sanzionatorio della Consob dettata dall’articolo 195 del decreto legislativo n. 58/1998 (T.U.F.) – anche nel testo, applicabileratione temporis, anteriore alle modifiche recate dal decreto legislativo n. 72/2015 – risulta conforme ai canoni del giusto processo di cui all’art. 6 CEDU, essendo prevista una fase di opposizione davanti ad un giudice imparziale e munito di giurisdizione piena. Ancora, la sentenza afferma l’infondatezza della doglianza relativa alla trattazione del giudizio di opposizione in sede camerale, in quanto non corredata dell’indicazione dello specificovulnusarrecato al diritto di difesa  dalla mancanza di pubblicità dell’udienza.

La sentenza n. 20689/2018, inoltre, esclude l’applicabilità in astratto del principio della retroattività dellalex mitiorin materia di illeciti finanziari, con riferimento alloius supervenienscostituito dal d.lgs. 72/2015 (che, tra l’altro, ha ridotto nel minimo e nel massimo la sanzione applicabile per l’illecito contestato al ricorrente). La Corte dichiara altresì manifestamente infonda la questione di legittimità costituzionale dell’art. 6 del d.lgs. 72/2015, che prevede che le modifiche apportate alla parte V del T.U.F. si applichino solo alle violazioni commesse dopo l’entrata in vigore delle disposizioni di attuazione adottate dalla Consob, escludendone così l’applicazione agli illeciti commessi prima di tale data: la norma, infatti, viene ritenuta non contrastante con la CEDU – atteso che non esiste un vincolo di matrice convenzionale in ordine alla previsione generalizzata del principio di retroattività della legge più favorevole che prescinda dalla preventiva valutazione della natura sostanzialmente penale della specifica sanzione amministrativa – né contrastante con il principio di ragionevolezza, né contrastante con i criteri della legge delega, avendo quest’ultima affidato al legislatore delegato una valutazione autonoma, non «a rime obbligate», in merito all’opportunità di estendere il principio delfavor reia seguito della modifica del sistema sanzionatorio del T.U.F..

1. La sentenza in esame rigetta il ricorso per cassazione proposto dal componente del collegio sindacale di una società per azioni avverso un decreto ex art. 195 T.U.F. di rigetto dell’opposizione dal medesimo proposta avverso una delibera della Consob con cui egli era stato assoggettato alla sanzione amministrativa pecuniaria di cui all’art. 193, comma 3, lett. a), T.U.F.,  per violazione dei doveri di vigilanza di cui agli articoli 149, comma 1, lettere a) e c-bis), T.U.F.

2. Il ricorrente poneva – e la Cassazione conseguentemente affronta –  tre questioni di diritto convenzionale:

a) la questione della mancata comunicazione all’opponente delle conclusioni dell’Ufficio Sanzioni Amministrative, in relazione alla garanzia del contraddittorio procedimentale  di cui all’art. 195, comma 2,  T.U.F., nonché al disposto degli artt. 97, 111 e 117 Cost. e della CEDU, alla luce della  sentenza CEDU Grande Stevens c. Italia del 4.3.2014.

b) la questione della mancanza della garanzia della pubblicità dell’udienza, in relazione al disposto degli artt. 97, 111 e 117 Cost. e  6 §1 CEDU, in ragione del fatto che il giudizio di opposizione ex art. 195 T.U.F. era stato trattato in camera di consiglio;

c)  la questione della retroattività della legge più favorevole introdotta dall’ articolo 5 del decreto legislativo n. 72/2015 (il quale ha sensibilmente ridotto, nei minimi e nei massimi, la sanzione di cui all’art. 193, comma 3, T.U.F.); in particolare il ricorrente dubitava della legittimità costituzionale dell’articolo  6 dello stesso decreto legislativo n. 72/2015 (che detta  retroattività esclude, disponendo che la nuova più mite disciplina si applichi  alle violazioni commesse dopo l’entrata in vigore delle disposizioni di attuazione adottate dalla Consob e dalla Banca d’Italia ai sensi dell’articolo 196bisT.U.F.) sotto un triplice profilo e, precisamente:

– in relazione al parametro degli articoli 117 Cost. e 7 CEDU;

– in relazione al parametro degli articoli 76 e 77 Cost., avendo la legge delega richiesto al legislatore delegato di valutare l’estensione del principio del favor rei ai casi di modifica della disciplina vigente al momento in cui è stata commessa la violazione.

– in relazione al parametro della ragionevolezza di cui all’ articolo 3 Cost.

3. Tutte le suddette questioni vengono risolte negativamente per il ricorrente sul presupposto, che costituisce l’architrave della decisione, che le sanzioni amministrativeexart. 193, comma 3, T.U.F. non hanno natura penale in senso CEDU, giacché esse, anche per l’assenza di sanzioni accessorie e per la mancata previsione di una confisca obbligatoria, non  possono essere equiparate, quanto a tipologia, severità, incidenza patrimoniale e personale, a quelle previste per la   manipolazione del mercato dall’art. 187-ter T.U.F. (alle quali si riferisce la sentenza CEDUGrande Stevens). La sentenza in esame dà espressamente continuità all’orientamento alla cui stregua i principi espressi nella sentenza Grande Stevensnon possono indurre a ritenere che una sanzione, qualificata come amministrativa dal diritto interno, abbia sempre ed a tutti gli effetti natura sostanzialmente penale, con conseguente necessità di assoggettare il relativo procedimento applicativo alle garanzie riservate ai processi penali dall’art. 6 CEDU (Cass. n. 13433/2016, Cass. n.  4114/2016, Cass. n.  3656/2016).

 4. Per quanto specificamente concerne la questione sub a), relativa alla mancata comunicazione all’opponente delle conclusioni dell’Ufficio Sanzioni Amministrative, la sentenza in esame associa alla ratio decidendi fondata sull’esclusione della natura sostanzialmente penale delle sanzioni irrogate l’ulteriore ratio decidendi consistente nell’affermazione che l’assoggettamento del provvedimento sanzionatorio emesso dalla Consob ad un sindacato giurisdizionale pieno, quale il giudizio di opposizione davanti la corte di appello disciplinato dall’art. 195, comma 4 e ss. del T.U.F., è sufficiente a soddisfare le esigenze di garanzia del giusto processo ex art. 6 §1 CEDU. Nella sentenza in esame si argomenta – in continuità con Cass. 25141/2015, Cass. 8210/16, Cass. 770/2017, Cass. 1205/2017 –  che la garanzia del giusto processoexart. 6 CEDU può essere realizzata, alternativamente, nella fase amministrativa – nel qual caso, una successiva fase giurisdizionale non sarebbe necessaria – ovvero mediante l’assoggettamento del provvedimento sanzionatorio – adottato in assenza di tali garanzie – ad un sindacato giurisdizionale pieno, di natura tendenzialmente sostitutiva ed attuato attraverso un procedimento conforme alle  prescrizioni della Convenzione, il quale non ha l’effetto di sanare alcuna illegittimità originaria della fase amministrativa, giacché la stessa risulta comunque rispettosa delle garanzie convenzionali per il fatto di essere destinata a concludersi con un provvedimento suscettibile di controllo giurisdizionale.

5. Per quanto specificamente concerne la questione sub b), relativa alla mancanza della garanzia della pubblicità dell’udienza nel giudizio di opposizione alla sanzione, la sentenza in esame – dopo aver ribadito come la corte di appello debba considerarsi, alla stregua dei parametri indicati nella sentenza Grande Stevens, un giudice indipendente ed imparziale, dotato di giurisdizione piena e davanti al quale è garantita la pienezza del contraddittorio (cfr. Cass. 1658/2017) – associa alla rato decidendi fondata sull’esclusione della natura sostanzialmente penale delle sanzioni irrogate l’ulteriore ratio decidendi consistente nel rilievo che il ricorrente non aveva allegato lo specifico pregiudizio in concreto arrecato al suo diritto di difesa dallo svolgimento del giudizio di opposizione in sede camerale; cosicché la carenza del requisito della pubblicità risultava inidoneo a tradursi in un vizio tale da cagionare la nullità del procedimento, con l’ulteriore conseguenza della manifesta infondatezza della questione di legittimità prospettata dal ricorrente sul punto. Anche tale affermazione risulta allineata alla pregressa giurisprudenza di legittimità (SSUU n. 20935/2009, Cass. n. 27038/2013, Cass. n. 24048/2015, Cass. n. 8210/2016, Cass. n. 770/2017 e Cass. n. 1621/2018, nonché, in tema di contraddittorio nel procedimento tributario, SS.UU. 24823/2015).

6. Per quanto specificamente concerne la questione sub c), relativa al dubbio di legittimità costituzionale dell’ esclusione della retroattività della lex mitior disposta dall’art. 6 d.lgs. n. 72/2015, la sentenza in esame  nega  l’esistenza un obbligo, di matrice costituzionale e/o sovranazionale, che imponga l’ estensione del principio penalistico della retroattività dellalex mitioralle sanzioni amministrative che, come quelle di cui all’articolo 193, comma 3, lett. a), T.U.F., non abbiano natura sostanzialmente penale alla stregua del dritto convenzionale. La sentenza dà quindi continuità al tradizionale principio per cui, in tema di sanzioni amministrative, i principi di legalità, di irretroattività e di divieto dell’applicazione analogica di cui all’art. 1 l. 24 novembre 1982, n. 689 comportano l’assoggettamento della condotta illecita alla legge del tempo del suo verificarsi, con conseguente inapplicabilità della disciplina posteriore più favorevole, sia che si tratti di illeciti amministrativi derivanti da depenalizzazione, sia che essi debbano considerarsi tali ab origine, dovendosi escludere l’applicazione analogica degli opposti principi di natura eccezionale di cui all’art. 2, commi 2 e 3 cod. pen. (Cass. 29411/2011).

7. Per quanto specificamente concerne la materia della intermediazione finanziaria, la sentenza quindi ribadisce che il disposto dell’art. 6 del d.lgs. 72/2015 non può essere superato applicando immediatamente la lex mitior, atteso che il principio del favor rei, di matrice penalistica, non si estende, in assenza di una specifica disposizione normativa, alla materia delle sanzioni amministrative, la quale risponde, invece, al distinto principio del tempus regit actum (Cass. 4114/2016). Tale impostazione, si argomenta nella sentenza, non viola i principi del diritto convenzionale, atteso che, nel quadro delle garanzie apprestato dalla CEDU, come interpretate dalla Corte di Strasburgo, non si rinviene l’affermazione di un vincolo di matrice convenzionale in ordine alla previsione generalizzata, da parte degli ordinamenti interni dei singoli Stati aderenti, del principio di retroattività della legge più favorevole, da trasporre nel sistema delle sanzioni amministrative. Né, si argomenta, sussiste un analogo vincolo di matrice costituzionale, rientrando nella discrezionalità del legislatore, nel rispetto del limite della ragionevolezza, modulare le proprie determinazioni secondo criteri di maggiore o minore rigore.

8. La sentenza in commento risulta allineato alla giurisprudenza della  Corte costituzionale che, con la sentenza n. 193/2016 (dichiarativa della  infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 1 della legge 689/1981, in riferimento agli artt. 3, 117, primo comma, Cost., 6 e 7 CEDU, nella parte in cui non prevede l’applicazione della legge successiva più favorevole agli autori degli illeciti amministrativi) argomenta che la giurisprudenza della Corte EDU che ha fissato il principio di retroattività della legge penale meno severa non ha mai avuto ad oggetto il complessivo sistema delle sanzioni amministrative, bensì singole e specifiche discipline sanzionatorie che, sebbene qualificate come amministrative dal legislatore nazionale, siano potenzialmente considerabili come penali alla stregua dell’ordinamento convenzionale; con conseguente insussistenza di un vincolo di matrice convenzionale in ordine alla previsione generalizzata da parte degli ordinamenti interni dei singoli Stati aderenti, del principio di retroattività della legge più favorevole, da trasporre nel sistema delle fonti amministrative e che prescinda dalla preventiva valutazione della natura sostanzialmente penale della specifica sanzione. Con la successiva sentenza n. 43/2017, peraltro, la stessa Corte costituzionale  ha altresì escluso che sia possibile reputare automaticamente estese alle sanzioni amministrative le garanzie che l’ordinamento statuale riserva alle sole sanzioni penali,  così come qualificate dall’ordinamento interno, pur quando  le stesse siano qualificabili come penali in base alle norme CEDU.

9. Quanto al denunciato contrasto dell’articolo 6 d.lgs. n 72/2015  con l’articolo  3 della Carta costituzionale, la sentenza in commento sottolinea come la discrezionalità del legislatore incontri l’unico limite della ragionevolezza, quanto al maggiore o minore rigore della repressione degli illeciti finanziari; il diverso e più favorevole trattamento riservato ad altre sanzioni, come quelle tributarie e valutarie, trova fondamento nelle peculiarità che caratterizzano le rispettive materie e non è suscettibile di applicazione analogica in virtù del divieto cristallizzato negli artt. 11 e 14 delle preleggi.

10. Infine, secondo la sentenza in esame, l’ esclusione della natura penale delle sanzioni in esame non consente il profilarsi di dubbi di legittimità costituzionale per  eccesso di delega, tenuto conto che “la legge [delega] in questione affidava al legislatore delegato una valutazione autonoma in merito all’opportunità di estendere il  principio delfavor reia seguito della novella, valutazione che però, in assenza di una sanzione qualificabile come penale, non imponeva a rime obbligate la sua attuazione” (paragrafo 5.1., pagina 27).