CEDU sent. Altay: Colloquio del condannato con il difensore

CLASSIFICAZIONE

ORDINAMENTO PENITENZIARIO – DETENUTO – CONDANNA ALL’ERGASTOLO – DELITTO DI ATTENTATO ALL’ORDINE COSTITUZIONALE – COLLOQUI COL DIFENSORE – LIMITAZIONI – PRESENZA DI UN FUNZIONARIO DELL’AMMINISTRAZIONE PENITENZIARIA – DIRITTO ALLA RISERVATEZZA DEI COLLOQUI – VIOLAZIONE – ART. 8 CEDU – DECISIONE DELL’AUTORITA’ GIUDIZIARIA – CONTRADDITTORIO – ASSENZA – FASE DI OPPOSIZIONE – CONTRADDITTORIO – ASSENZA – DIRITTO AL GIUSTO PROCESSO – VIOLAZIONE – ART. 6 CEDU

RIFERIMENTI NORMATIVI

CONVENZIONE EDU, artt. 6 e 8

PRONUNCIA SEGNALATA – Corte E.D.U., 9 APRIL 2019, Application no. 11236/09 Altay v. Turkey

Abstract

1. Il ricorrente (sig. Mehmet Aytunc Altay) ha lamentato la violazione del diritto di cui all’art. 8 della Convenzione in ragione della restrizione che gli fu imposta nei suoi colloqui col difensore; e la violazione del diritto al giusto processo (art. 6) per essere stata la relativa decisione assunta senza aver consentito a lui e al suo difensore di intervenire preliminarmente e di contro-dedurre sulla richiesta del pubblico ministero.

1.1. Il ricorrente, condannato all’ergastolo per il delitto di attentato all’ordine costituzionale, ricevette in carcere dal suo difensore del materiale di lettura (un libro, una rivista ed un giornale) ritenuto pericoloso ed estraneo all’ambito d’esercizio dei diritti di difesa e per tale ragione non gli fu consegnato.

Egli fece quindi reclamo che fu respinto.

1.2. Nel frattempo, su richiesta del pubblico ministero, il giudice dell’esecuzione dispose che i colloqui tra il detenuto e il suo difensore dovessero svolgersi, dato che l’avvocato era venuto meno ai suoi doveri professionali, alla presenza di un funzionario dell’amministrazione penitenziaria.

Il giudice dell’esecuzione, senza sentire l’interessato e il suo difensore e senza accordare loro la possibilità di contro-dedurre sulla richiesta del pubblico ministero, dispose questa misura di restrizione ai colloqui carcerari col difensore e non fissò peraltro nemmeno un termine di durata.

1.3. L’interessato propose quindi ricorso, che fu rigettato senza dare luogo a udienza o a altra forma di contraddittorio.

Successivamente, negli anni seguenti, l’interessato fece più volte ricorso al giudice per una revisione della decisione e più volte la sua richiesta senza che lui e il suo difensore fossero sentiti.

Ciò avvenne anche dopo la riforma legislativa del giudizio di esecuzione, perché il giudice ritenne che le nuove norme sulla partecipazione dell’interessato fossero applicabili soltanto alla materia delle sanzioni disciplinari, e tale non poteva essere considerata la restrizione ai colloqui difensivi.

2. La Corte Edu ha anzitutto ribadito che i detenuti continuano a godere dei diritti e della libertà fondamentali che la Convenzione riconosce, salva ovviamente la compressione del diritto alla libertà personale per effetto dello stato detentivo.

I detenuti sono titolari, oltre che del basilare diritto alla vita, della libertà di espressione, del diritto di praticare il proprio culto religioso, il diritto alla libertà della corrispondenza (v.s entenze Dickson c. Regno Unito [GC], n.44362/04,§§67-68,CEDU 2007-v, e i casi ivi citati, Khoroshenko c. Russia [GC], n.41418/04, §§ 116-117, CEDU 2015), che per ragioni di sicurezza e di prevenzione dei reati, possono subire restrizioni, purché giustificate nel caso concreto (Vedi Biržietis c. Lituania,n.49304/09,§45, 14 giugno 2016 con riferimento a Dickson c. Regno Unito, cit.,§§67-68).

Le restrizioni ai diritti dei detenuti devono essere giustificate sulla base del criterio della necessità e devono essere proporzionate. Su questo piano di valutazione occorre considerare che gli Stati godono di un margine di apprezzamento ma grava su di loro dimostrare la necessità dell’intervento.

3. In merito al diritto alla riservatezza nelle comunicazioni con il difensore, la Corte ha ribadito che la nozione di “vita privata” di cui all’art. 8, par. 1, della Convezione, ha un significato ampio non suscettibile di letture tassative.

In quest’ambito rientrano le comunicazioni di una persona con il proprio avvocato nell’esercizio del mandato difensivo in una controversia sia civile che penale o nell’espressione di una consulenza, dato che il fine di queste comunicazioni è quello di assicurare alla persona la possibilità di assumere decisioni consapevoli di rilievo per la propria vita.

4. Si è allora domandata se le diverse forme di comunicazione con l’avvocato rientrino nella tutela dell’art. 8 ed ha affermativamente concluso, dopo aver rilevato che gli avvocati occupano una posizione essenziale nell’amministrazione della giustizia perché sono gli intermediari necessari tra le parti e il giudice.

Ha sottolineato che lo stesso art. 8 ammette delle limitazioni/compressioni alle condizioni previste dalla Convenzione, sempre che queste siano necessarie in una società democratica (ovvero proporzionate alla finalità che puntano a realizzare).

Ad un esame delle circostanze del caso concreto ha rilevato che non è in dubbio che una compressione del diritto c’è stata, evidenziando allora che occorre valutare se sia stata legittima in riferimento al parametro di cui all’art. 8.

5. L’art. 8 ammette limitazioni quando previste dalla legge; tuttavia, a soddisfare il parametro convenzionale non è solo l’esistenza di una norma domestica ma anche la qualità della sessa, dato che è necessario che l’applicazione che le Corti danno delle norme sia prevedibile.

6. I giudici nazionali hanno fatto riferimento alla legge interna come base per adottare le misure di restrizione. Quel dato normativo, però, ha contenuto eccezionale: elenca casi tassativi che legittimano le restrizioni alla riservatezza delle comunicazioni tra difensore e clienti, come quando attraverso i colloqui si possa fondatamente temere che si mantengano i contatti con un’organizzazione terroristica o si prepari la commissione di un reato.

7. L’interpretazione data dal giudice interno è stata pertanto manifestamente irragionevole e quindi non prevedibile ai sensi di quanto statuito dal par. 2 dell’art. 8 della Convenzione, secondo cui «non può esservi ingerenza di una autorità pubblica nell’esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria per la sicurezza nazionale, per la pubblica sicurezza, per il benessere economico del paese, per la difesa dell’ordine e per la prevenzione dei reati, per la protezione della salute o della morale, o per la protezione dei diritti e delle libertà altrui».

Si è allora consumata una violazione dell’art. 8 par. 1 della Convenzione, che esime la Corte dall’esaminare se l’interferenza con lo spazio di riservatezza sia stata giustificata da uno più finalità legittime e sia stata dettata da una necessità apprezzabile in una società democratica.

8. La Corte ha poi riscontrato la violazione dell’art. 6, par. 1, della Convenzione perché l’interessato non è stato posto nelle condizioni di interloquire prima della decisione che ha limitato il suo diritto alla riservatezza nelle comunicazioni con il difensore.

Data la natura non penale del procedimento che si è concluso con il contestato provvedimento e considerato che è stato coinvolto un diritto civile, nel senso ampio che si è strutturato nella giurisprudenza della Corte Edu, il riferimento è all’art 6 par. 1 della Convenzione.

9. L’udienza non è un requisito strutturale inderogabile e in alcune condizioni eccezionali può anche farsi a meno di una pubblica udienza. Peraltro la parte interessata può anche rinunciare consapevolmente al diritto di essere ascoltata.

Ma, nel caso in esame, non v’è stato alcun contraddittorio né prima della decisione né nella fase dell’opposizione e tale mancanza, in uno con l’importanza del diritto coinvolto, hanno determinano la violazione del diritto convenzionale.

10. Il sistema italiano, fino a qualche anno fa, prevedeva limitazioni in riferimento al rapporto con il difensore per i detenuti che si trovassero sottoposti al regime speciale di cui all’art. 41-bis ord. pen.

Le limitazioni, definite con la novella del 2009 alla disciplina delle condizioni del regime speciale, consistevano nel contenimento numerico dei colloqui.

La disposizione era che i detenuti potessero avere con i difensori «fino a un massimo di tre volte alla settimana, una telefonata o un colloquio della stessa durata di quelli previsti con i familiari» (pari, rispettivamente, a dieci minuti e a un’ora) – art. 41- bis, comma 2- quater, lett. b ), ultimo periodo, della legge 26 luglio 1975, n. 354, come modificato dall’art. 2, comma 25, lett. f), numero 2), della legge 15 luglio 2009, n. 94 –.

11. La Corte costituzionale, con sentenza n. 143 del 17 giugno 2013, ha dichiarato costituzionalmente illegittimo, per violazione dell’art. 24, Cost., la menzionata disposizione.

Dopo aver ricordato l’essenzialità costituzionale del diritto di difesa, ha fatto richiamo alla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, “secondo la quale il diritto dell’accusato a comunicare in modo riservato con il proprio difensore rientra tra i requisiti basilari del processo equo in una società democratica, alla luce del disposto dell’art. 6, paragrafo 3, lettera c), della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (tra le molte, Corte europea dei diritti dell’uomo, 13 gennaio 2009, Rybacki contro Polonia; 9 ottobre 2008, Moiseyev contro Russia; 27 novembre 2007, Asciutto contro Italia; 27 novembre 2007, Zagaria contro Italia)”.

Ha poi evidenziato che “il diritto del detenuto a conferire con il difensore forma oggetto di esplicito e puntuale riconoscimento in atti sovranazionali, tra i quali la raccomandazione R (2006)2 del Consiglio d’Europa sulle «Regole penitenziarie europee», adottata dal Comitato dei Ministri l’11 gennaio 2006, che riferisce distintamente il diritto stesso tanto al condannato (regola numero 23) che all’imputato (regola numero 98)”.

12. Già prima il tema del diritto al colloquio difensivo del detenuto è stato affrontato dal punto di vista costituzionale.

Con sentenza n. 212 del 1997, la Corte costituzionale aveva ritenuto l’illegittimità dell’art. 18 ord, pen. nella parte in cui non prevedeva il diritto del condannato a conferire con il difensore fin dall’inizio dell’esecuzione della pena. In quell’occasione la Corte aveva avuto modo di chiarire «il diritto di conferire con il proprio difensore non può essere compresso o condizionato dallo stato di detenzione, se non nei limiti eventualmente disposti dalla legge a tutela di altri interessi costituzionalmente garantiti (ad esempio attraverso temporanee, limitate sospensioni dell’esercizio del diritto, come quella prevista dall’art. 104, comma 3, cod. proc. pen. […]), e salva evidentemente la disciplina delle modalità di esercizio del diritto, disposte in funzione delle altre esigenze connesse allo stato di detenzione medesimo: modalità che, peraltro, non possono in alcun caso trasformare il diritto in una situazione rimessa all’apprezzamento dell’autorità amministrativa, e quindi soggetta ad una vera e propria autorizzazione discrezionale».

13. Successivamente a tale pronuncia, la legge n. 279 del 2002 aveva modificato il comma 2-quater, lettera b), dell’art. 41-bis ord pen. prevedendo limiti relativi alla frequenza, alla qualità degli interlocutori, al luogo di svolgimento (locali attrezzati in modo da impedire il passaggio di oggetti) e a possibili forme di controllo sui contenuti delle conversazioni (controllo auditivo e registrazione); ma ha escluso espressamente che dette disposizioni limitatrici si applicassero «ai colloqui con i difensori», con la conseguenza che anche per i detenuti soggetti al regime speciale restava fermo il diritto incondizionato a conferire in modo riservato con il proprio difensore.

14. Con la novella del 2009, invece, il sistema delle restrizioni per il detenuto in regime speciale si è irrigidito e le limitazioni hanno avuto ad oggetto anche, nei termini sopra evidenziati, i colloqui col difensore.

15. La Corte costituzionale ha allora affermato che la norma novellata nel 2009, introducendo limiti di durata e di frequenza dei colloqui visivi e telefonici con i difensori – limiti che operavano a prescindere non solo dalla natura e dalla complessità dei procedimenti giudiziari nei quali il detenuto era coinvolto e dal grado di urgenza degli interventi difensivi richiesti, ma anche dal loro numero e, quindi, dal numero dei legali patrocinanti con i quali il detenuto si dovesse consultare – determinava una compressione del diritto in modo “automatico e indefettibile all’applicazione del regime detentivo speciale”.

Ha quindi escluso che tale limitazione potesse trovare giustificazione nel bilanciamento tra il diritto di difesa e interessi di pari rilevanza costituzionale, quali la protezione dell’ordine pubblico e della sicurezza dei cittadini.

Con il richiamo alla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, secondo la quale la limitazione dei contatti confidenziali tra una persona detenuta e il suo avvocato può avvenire solo se assolutamente necessario, ha statuito che nelle operazioni di bilanciamento non può esservi un decremento di tutela di un diritto fondamentale se ad esso non fa riscontro un corrispondente incremento di tutela di altro interesse di pari rango, cosa che non ha ravvisato nel caso di specie.

Ha così dichiarato illegittimo il criterio di automaticità della limitazione dei colloqui, ma non la limitazione degli stessi in ragione di particolari esigenze, che ben possono essere concretamente assunte dalle autorità.

16. Per quel che poi concerne il diritto al reclamo e ad un contraddittorio per la decisione, è appena il caso di osservare che l’art. 41-bis ord. pen. prescrive che il detenuto e il suo difensore hanno diritto di rivolgersi al Tribunale di sorveglianza di Roma per impugnare il provvedimento di sottoposizione (o di proroga) al regime speciale. Il Tribunale è tenuto a decidere in camera di consiglio con la partecipazione necessaria del difensore, oltre che del pubblico ministero. Per la partecipazione dell’interessato è previsto che si faccia applicazione delle disposizioni generali che regolano la partecipazione a distanza nei procedimenti in camera di consiglio. Con la recente riforma del 2018, d. lgs. n. 123 del 2018, si è previsto che, su richiesta dell’interessato, l’udienza sia tenuta in forma pubblica.

Contro la decisione del Tribunale di sorveglianza è ammesso ricorso per cassazione, per violazione di legge.