“Chi va piano, va sano… Ma va lontano?” Attualità e prospettive dell’accesso e della formazione dei magistrati

di Eleonora Guido

1. – Introduzione                  

2. – Le modalità di accesso alla magistratura                                

3. – La formazione quale momento fondamentale

4. – Conclusioni


1. Introduzione

Il tema relativo all’accesso alla magistratura e alla formazione dei M.O.T., acronimo che ha sostituito quello di uditore, è particolarmente stimolante e ricco di spunti riflessivi siaperché in questi ultimi anni molto è cambiato per ciò che concerne la fase propedeutica all’accesso al concorso, sia perché può essere proficuo inforcare gli “occhiali”di un giovane magistrato per comprendere in che termini influisce e quanto sia importante la formazione nell’acquisire la giusta consapevolezza del ruolo che si andrà a rivestire al termine del tirocinio.

In questa breve nota verrannotratteggiatidue momenti cruciali della figura del neo-magistrato, principiando dalmomento iniziale, ovvero le modalità di accesso alla magistratura, con un accenno anche alle proposte di riforma, e la tematica concernente lo svolgimento del tirocinio e della formazione del m.o.t., aspetto innovato dapprima dal D.lgs. 26/2006, e, recentemente, dalla legge n. 197 del 2016.

Per entrambi gli argomentisi potrannorichiamare in questa sede unicamentele connotazioni principali,tratteggiando le possibili criticità in relazione alle quali sarebbe opportunoriflettere.

Non è superfluo, pertanto, chiedersi chi èil magistrato in tirocinio oggi e quale potrebbe essere il modello ottimale di formazione di un magistrato che oramai, molto spesso,inizia il proprio percorso professionale avendo superato la soglia dei trent’anni e con pregresse esperienze lavorative alle spalle.

2. – Le modalità di accesso alla magistratura

Com’è a tutti noto, il concorso in magistratura si struttura attualmente quale concorso di secondo livello. Di conseguenza,per poter partecipare alla procedura di selezionenon è più sufficiente la laurea in giurisprudenza (la cui durataèdi cinque anni) perché occorre effettuare un periodo di studioulteriore che richiede non meno di due anni e che può articolarsi alternativamente nell’ottenimento del diploma presso le scuole di specializzazione per le professioni legali,istituite dall’articolo 16 del d. lgs.398/1997, ovvero nel conseguimento del dottorato di ricerca in materie giuridiche o dell’abilitazione all’esercizio della professione forense; ovvero, da ultimo,nella conclusione, positivamente attestata,dello svolgimentodel tirocinio professionale di diciotto mesi presso gli uffici giudiziari o presso l’Avvocatura dello Stato, previsto dall’art. 73 del d.l.69/2013[1].

Ora,pur volendo prendere come parametro di riferimento una sorta di “studente modello”, per quanto costui possa essere brillante negli studi, mediamente conseguirà la laurea a ventiquattro/venticinque anni, cui si sommeranno almeno due/tre anni di formazione ulteriore (a seconda del percorso intrapreso, ovvero se si frequenta una scuola di specializzazione o piuttosto un dottorato), giungendo ad un’età media di ventisette/ventotto anni, unicamente per ottenere la necessaria legittimazione per la presentazione della domanda al concorso.

È evidente, dunque, che nella più rosea aspettativa di un candidato alla prima consegna, si riesce a superare il concorso non prima di aver compiuto trent’anni, prendendo servizio al termine del tirocinio all’età media dei 32/33 anni[2].

Per arginare la “deriva cronologica” dell’età dei candidati, quindi, si è iniziato ad ipotizzare soluzioni in grado di accelerare i tempi, sebbene non è detto che costituiscano una valida curaallo scorrere degli anni.

Al di là, infatti, dei bandi di concorso che si stanno susseguendo in maniera più frequente rispetto al passato (basti pensare che nel biennio 2014-2016 sono state indette ben tre procedure concorsuali, mentre il concorso bandito nel 2013 è giunto dopo due anni di “fermo”)si è proposto di ritornare, come accadeva in passato, ad un accesso diretto al concorso, immediatamente dopo la laurea.

Tale alternativa potrebbe tuttavia creare procedure concorsuali pressoché impraticabili, sia in considerazione del fatto che si presenterebbero a sostenere le prove un numero decisamente elevato di candidati (del resto, non pare possa esser smentita l’affermazione per cui il concorso in magistratura appare, nella congiuntura economica che sta attraversando oggi il nostro Paese, come una delle poche prove grazie alle quali un brillante laureato in legge ha la possibilità di emergere e guadagnarsi uno stipendio decoroso ed un ruolo sociale incisivo) sia con riferimento agli effetti che questo aspetto avrebbe suimagistrati impegnati nelle commissioni di concorso, i quali si assenterebbero per lungo tempo dal posto di lavoro, con inevitabiliricadute in terminidi gestione dei ruoli e dei procedimenti in corso.

Un’altra ipotesi vagliata in sede di riforma è quella di effettuare una preselezione in base al voto di laurea (pari ad almeno 108/110) e alla media dei voti conseguiti nel corso di studi (28/30)nelle materie qualificanti il corso di laurea.

E pur tuttaviala prospettiva retrostanteall’appaiamento voto alto all’esame/valida preparazione per superare le prove scritte del concorso non può considerarsi realmente edificante, essendo ben diversi i due piani, oltre che presentarsi come idonea a creare molteplici distorsioni a livello nazionale,a fronte di un’indiscutibile varietà di offerta formativa da parte delle Università, e per il rischio di legittimare una sorta di “accaparramento”di studenti da parte di Università più “indulgenti”.

Altra proposta di riforma[3]ha riguardato le Scuole di Specializzazione per le professioni legali istituitedall’articolo 16 Decreto legislativo 17 novembre 1997, n. 398 ed entrate in vigore solo nel 2001.

Nel sistema attuale, infatti, queste scuole ricalcano molto spesso il percorso universitario, rappresentandone sovente una prosecuzione, sia a livello di impostazione teorica (tanto è vero che vi sono moduli di materie che esulano dalle canoniche tre richieste per le prove scritte del concorso) sia per quanto concerne la modalità operativa, considerato che non sono tante le esercitazioni pratiche previste per il candidato.

A fronte di tali perplessità, allora, le proposte di riforma delle scuole di specializzazione si sono concentrate su diversi aspetti che vanno dall’istituzione di scuole unicamenteriservate all’accesso in magistratura, parametrandoil numero degli ammessi a scuola ai posti banditi agli ultimi concorsi di magistrato ordinario, prevedendo altresì un esame unico a livello nazionale, alla riduzione della durata dei corsi e delle materie oggetto di studio, alla diminuzione del numero complessivo di istituti di questo tipo sul territorio nazionale al fine di uniformare la preparazione dei candidati.

Inutile dire che il progetto, soprattutto per l’ultimo aspetto a cui si è accennato, ha incontrato la ferma opposizione delle Scuole presenti su tutto il territorio nazionale.

È chiaro che le valutazioni sull’opportunità (o meno) di conservare la previsione di un percorso intermedio, tra la laurea e il concorso, coinvolgono temi eterogenei e complessi, ma una valida alternativa alle problematiche pocanzi accennate potrebbe rifarsi all’esperienza francese dell’“école National de la magistrature”[4].

L’E.N.M. è un ente pubblico che dipende dal Ministero della Giustizia francese: la scuola ha una sede principale ed una distaccata, quindi in termini organizzativi ricorda maggiormente la Scuola Superiore della Magistratura. Attraverso tale via, quindi, si potrebbero selezionare a monte, attraverso un concorso molto selettivo, i candidati che al termine della formazione (che in Francia dura 31 mesi)sosterrebbero un esame meno impegnativo e prenderebbero servizio.

Orbene, gli aspetti tratteggiati sino ad ora attengono unicamente alla legittimazione del candidato alla presentazione della domanda ma per affrontare più compiutamente la tematica dell’accesso alla magistratura non si può omettere di fare un riferimento, per quanto brevissimo, all’espletamento delle prove scritte.

La “montagna da scalare”, nelle otto ore di compito, è costituita tuttora dalla prova declinata in forma di elaborato teorico in diritto civile, penale ed amministrativo.

L’approccio, tuttavia, è decisamente mutato nel tempo. All’indomani della seconda guerra mondiale, infatti, le tracce del concorso erano considerevolmente generaliste e non è un caso: la situazione era diametralmente opposta rispetto a quella odierna. In primo luogo i candidati erano solo di sesso maschile (e lo sarebbero stati fino al 1963); avevano tutti la maturità classica (e così sarebbe stato fino al 1969) ed erano in un numero ridottissimo ed imparagonabilecon la mole di concorrenti attuali, che possono superare i tremila. È evidente, dunque, che i temi che “selezionavano” un tempo, quando i candidati erano pochi e appena usciti dal circuito universitario,oggi non possano più costituire valido strumento a ciò deputato.

Del resto, però, soprattutto in questi ultimi anni, le tracce assegnate in sede concorsuale sono state connotate da un tecnicismo[5]che, se rapportato al diritto civile, com’è stato per la traccia in tema dinegoziazione di strumenti finanziari “aleatori”, o al diritto penale, si pensi a quella relativa al rapporto tra l’accesso abusivo ad un sistema informatico e la rivelazione di segreti d’ufficio, risulta giustificato, quando invece questo tecnicismo è riferito al diritto amministrativo per certi versi pare quasi “esasperato”(si pensi alla traccia relativa all’avvalimento plurimo o frazionato negli appalti pubblici).

Sebbene questo non significhi che un tema che richieda l’approfondimento di istituti molto specialistici non consenta ai partecipanti di mettere in risalto le proprie capacità di ragionamento giuridico quanto e anche più di un tema “istituzionale”, deve pure evidenziarsi che in tal modo si corre il rischio di imporre al candidato uno studio quasi mnemonico e “a tappeto” su tutte le tematiche “papabili”.

Sul punto va conclusivamente aggiunto che la riforma predisposta dalla Commissione Vietti prevede di mutare la tipologia delle prove scritte, affiancandone a due di tipo teorico, una terza “di natura pratica, consistente nella redazione di una sentenza, che postuli conoscenze di diritto sostanziale e di diritto processuale. Peraltro, “l’abbinamento tra i tre elaborati e le tre materie è sorteggiato dalla Commissione”. Tale modifica non è assolutamente di poco momento, considerato che si richiederebbe ai candidati di comporre un provvedimento decisorio caratterizzato da modalità di redazione completamente differenti rispetto a quelle previste per l’elaborazione di un tema.

Se, quindi, fino ad oggi, non sono state oggetto della prova scritta le materie di diritto processuale nelle sue molteplici articolazioni (diritto processuale penale, diritto processuale civile e diritto processuale amministrativo) è chiaro come ciò comporterebbe uno studio maggiormente gravoso per i candidati, chiamati ad approfondire anche per la prova scritta altre tre materie la cui complessità è nota a tutti.

Del resto, la stessa possibilità teorica di redigere una sentenza in tema di diritto amministrativo aggrava inutilmente lo studio del candidato, chiamato a studiare anche il diritto processuale amministrativo con una compiutezza che non è richiesta nemmeno in sede di esame orale, a fronte dell’impossibilità concreta, per un giudice ordinario, di redigere detta tipologia di atto.

3. – La formazione quale momento fondamentale

Venendo, allora, al momento della formazione, e prendendo le mosse da quanto si è anticipato (ovvero che si diventa magistrato dopo aver già fatto qualcos’altro), bisogna riflettere sulle modalità di espletamento deltirocinio iniziale ed anche sulle peculiarità che connotano la tipologia della figura delM.O.T., il quale spesso ha acquisitoesperienzelavorative in altri ambiti perché, ad esempio,ha già praticato le aule di giustizia in qualità di avvocato, ha già ricoperto incarichi di responsabilità presso altre amministrazioni o ha già concluso un percorso di formazione post-universitario: in che cosa dovrebbe consistere, allora, la formazione iniziale?

Una premessa, sul punto, appare d’obbligo: il magistrato non è solo un raffinato giurista, un mero cono­scitore delle norme giuridiche e di come esse si rap­portano astrattamente tra loro, ma è necessario ab­bia un’adeguata comprensione dei plurimi aspetti – economici, sociali e quindi umani – della realtà su cui l’interpretazione e l’applicazione di quelle norme sono destinate ad incidere[6]. Questo postulato impone una molteplicità di conoscenza, estesa ad ambiti di comprensione non coperti dalla sola tradizio­nale preparazione universitaria o postuniversitaria. Da qui, allora, il fondamentale compito della formazione, che rappresenta il primo impattocon il sistema giudiziario “visto dal suo interno” e la necessità che il percorso iniziale si articoli con grande ampiezza e varietà di orizzonti culturali, perché è sostanzialmentein questo periodo che, da un lato, maturano la consapevolezza del ruolo e delle funzioni del magistrato e, dall’altro,si realizza il graduale collegamento tra la preparazione tecnico-giuridica e l’esercizio di tutte le attività (di merito ed organizzative) connesse all’attività giurisdizionale.

Nel complesso si tratta di un’esperienza indispensabile e fortemente suggestiva perché favorisce un concreto confronto con il proprio affidatario, il magistrato collaboratore e più in generale con i colleghi (a vari livelli di anzianità e professionalità) e permette l’instaurazione di relazioni di condivisione, di stima e di affetto reciproco che perdurano nel tempo efanno affiorare la percezione dell’umanità e della dedizione sottesi al lavoro del magistrato.

Tale doverosa premessa, necessaria per evidenziare l’insostituibilità e l’efficacia della formazione iniziale, non implica che non vi siano spazi per provare a migliorarsi nell’attuazione dei programmi formativi[7].

Prima dell’entrata in vigore della legge n. 197 del 2016, di conversione del decreto legge n. 168/2016, la durata del tirocinio era di diciotto mesi ed in linea generale si impernia tuttora sostanzialmente su tre componenti.

Così, alla faserelativa all’affiancamento presso i singoli Uffici giudiziari per un periodo non continuativo di 12 mesi, si accosta la formazione svolta attraverso stage presso enti e istituti esterni nonché le sessioni didattiche presso la Scuola Superiore della Magistratura per un arco temporale pari a 6 mesi.

Inoltre, se da un lato occorre considerare che l’ufficio giudiziario è il luogo deputato all’espletamento della funzione giurisdizionale, e quindi debba essere privilegiato nell’ottica della formazione, dall’altro latoè evidente che al concorso ci si presenta con una preparazione teorica di secondo grado. Il M.O.T., quindi,è portato naturalmente a prediligere le lezioni organizzate presso la Scuola orientate a maggiore “concretezza”, risultando più produttivele sessioni che possono fornire gli strumenti in grado di aiutare il neo-magistrato nelle situazioni reali dell’ufficio che si troverà ad affrontare a breve.

Come pocanzi accennato, tuttavia, sul decorso del tirocinio ha influito, “in via straordinaria” la l.n. 197/2016, unicamente per i magistrati ordinari nominati all’esito dei concorsi banditi negli anni 2014 e 2015.

L’art. 2, comma 3 prevede, infatti, che il tirocinioabbia una durata effettiva didodici mesi,anziché di 18 e sarà articolato prevedendo 11 mesi da svolgersi presso gli uffici giudiziari ed un mese presso la Scuola.

La ratio dell’intervento normativo, se da un lato pare essere ascrivibile alla necessità di consentire ai magistrati vincitori dei predetti concorsi di svolgere quanto prima le funzioni giudiziarie, riequilibrando per tale via anche l’attuale sistema previdenziale, caratterizzato da numerosi pensionamenti frutto delle recenti riforme legislative, dall’altro contrasta con l’opposta necessità di sottrarre la formazione iniziale dei magistrati alle contingenti necessità degli Uffici giudiziari; la stessa peraltro che, nel 2006, aveva indotto a disciplinare mediante norma primaria la durata complessiva del tirocinio e la sua articolazione interna.

Tuttavia, proprio questa drastica riduzione del periodo di formazione da svolgersi presso la Scuola – se dovesse perdurare nel tempo, divenendo una regola anche per i concorsi successivi a quelli del 2014 e 2015 – potrebbe comportare il rischiodi istituire una formazione “chiusa e sostanzialmente “autoreferenziale”, con l’ulteriore pericolo che si perda l’occasione di sviluppare un costante dialogo mirato alla conoscenza degli altri “saperi” e dei “punti di vista” sulla giustizia e sulle sue stesse criticità maturati da altri operatori, nei diversi campi giuridici e giudiziari, e innanzitutto dagli avvocati e dai docenti universitari, chiamati di volta in volta a relazionare a Scuola.

4.Conclusioni.

Si può concludere questa breve notaprovando a rispondere alle domande poste all’inizio:

– chi èil magistrato in tirocinio oggi?

– Quale potrebbe essere il modello ottimale di formazione di un magistrato non più “ragazzino”?”

In maniera sintetica possono svolgersi alcune considerazioni.

La prima attiene alla recente riforma del 2016, la quale si inserisce evidentemente nel solco della riduzione del periodo di formazione teorica all’interno del tirocinio: ben venga una generale rimodulazione degli stages presso enti ed istituti pubblici perché occorre evitarevi siano dispersive frammentazioni del periodo di permanenza nell’ufficio giudiziario, luogo funzionalmente deputato alla “formazione” e alla “vocazione” del magistrato.

D’altro canto, però, non si può(forse in maniera un po’ semplicistica)“sacrificare” tout court la formazione teorica presso la Scuola, perché il fine ultimo, com’è stato osservato, è “il rafforzamento della qualità della formazione professionale dei magistrati e, per questo tramite, il rafforzamento del carattere indipendente della giurisdizione nel nostro Paese[8].

Ancora più a monte, poi, è necessario ripensare ai meccanismi di accesso alla professione.

L’attuale innalzamento dell’età dei M.O.T. avrà infatti inevitabili riflessi nell’organizzazione degli uffici del domani, atteso checoloro che entrano in magistratura avendo compiuto, ad esempio, 35 annidovrebbero rimanere in servizio almeno sino a 75 anni per poter maturare i requisiti pensionistici e ad oggi non èdetto che vi riesca, tenuto conto del complessivo sistemavigente.

Occorre quindi certamente riflettere sin da ora per porre rimedio alla situazione che si verrà a creare nel prossimo futuro, intervenendo per eliminare il forte disagio per una categoria che non potrà, probabilmente, avere un adeguato trattamento pensionistico.


[1] Volutamente non vengono prese in considerazione le altre categorie professionali che possono comunque avere accesso al concorso, quali magistrati amministrativi e contabili; – procuratori dello Stato che non sono incorsi in sanzioni disciplinari; – dipendenti dello Stato, con qualifica dirigenziale o appartenenti a una delle posizioni corrispondenti all’area C, già prevista dal contratto collettivo nazionale di lavoro, comparto Ministeri, con almeno cinque anni di anzianità nella qualifica, che hanno costituito il rapporto di lavoro a seguito di concorso per il quale era richiesto il possesso del diploma di laurea in giurisprudenza conseguito, salvo che non si tratti di seconda laurea, al termine di un corso universitario di durata non inferiore a quattro anni e che non sono incorsi in sanzioni disciplinari; – appartenenti al personale universitario di ruolo docente di materie giuridiche in possesso del diploma di laurea in giurisprudenza che non sono incorsi in sanzioni disciplinari; – dipendenti, con qualifica dirigenziale o appartenenti alla ex area direttiva, della pubblica amministrazione, degli enti pubblici a carattere nazionale e degli enti locali, che hanno costituito il rapporto di lavoro a seguito di concorso per il quale era richiesto il possesso del diploma di laurea in giurisprudenza conseguito, salvo che non si tratti di seconda laurea, al termine di un corso universitario di durata non inferiore a quattro anni, con almeno cinque anni di anzianità nella qualifica o, comunque, nelle predette carriere e che non sono incorsi in sanzioni disciplinari;- abilitati all’esercizio della professione forense e, se iscritti all’albo degli avvocati, non incorsi in sanzioni disciplinari;- coloro i quali hanno svolto le funzioni di magistrato onorario (giudice di pace, giudice onorario di Tribunale, vice procuratore onorario, giudice onorario aggregato) per almeno sei anni senza demerito, senza essere stati revocati e che non sono incorsi in sanzioni disciplinari. Sui “punti di forza” e le “debolezze” del tirocinio previsto dal d. l. 69/2013 si veda I. Licchelli-L. Morciano, Luci e ombre del tirocinio ex art.73, comma 1 d.l. n.69/2013: le esperienze di due stagiste, in La Magistratura, Maggio-Agosto 2017, pp. 32 e ss.

[2]Forniscono una lettura critica dell’attuale modello di accesso alla magistratura D. Mercadante e G. Porzano, in Salvare il concorso di ingresso in magistratura, http://www.forumcostituzionale.it/wordpress/images/stories/pdf /documenti_forum/lettere_forum/0027_mercadante_porzano.pdfi quali sottolineano come “non c’è da stupirsi se l’introduzione del maldestro criterio dell’ulteriore qualificazione cui si è accennato ha dato luogo ad un fenomeno di ‘selezione avversa’ (ovvero di scoraggiamento dalla partecipazione proprio dei candidati migliori, quelli coi voti più alti e che si sono laureati più velocemente). Perché? Perché (…) il concorso in magistratura non sussiste in un vuoto, ma è parte di un ‘mercato delle offerte al talento legale’ nel quale (…) si compete per accaparrarsi quell’1-2% di laureati autenticamente ‘fuoriclasse’ che formeranno l’élite legale della successiva generazione. Quello che accade è disarmante nella sua ovvietà: chi non fa parte dei ‘migliori tra i migliori’, specie in un’Italia assai poco meritocratica e in difficoltà economica, persevera nel cercare di sbancare la lotteria del concorso in magistratura per lunghi anni semplicemente perché non trova migliori alternative. Gli individui realmente dotati, da parte loro, hanno probabilità molto maggiori di cogliere, durante questo lungo periodo, delle opportunità di impiego ugualmente prestigiose e redditizie, considerando anche che tali individui sono generalmente più solleciti degli altri nel cercare attivamente di ‘monetizzare’ le proprie competenze, mossi, nel farlo, da un incentivo economico molto pressante, rappresentato dal fatto che il costo-opportunità del loro tempo è più alto di quello altrui”.

[3]Si vedano, sul punto, i lavori della commissione Vietti, nonché quanto contenuto nel documento della commissione sull’Ordinamento giudiziario depositato al CDC del 14/02/2017 ove si è sottolineato che la “previsione di scuole pubbliche funzionali esclusivamente alla preparazione del concorso appare utile”. Sui lavori della Commissione Vietti si vedano anche D. Mercadante, Una nuova disciplina del concorso in magistratura? Un commento alle proposte della Commissione Vietti per la riforma dell’ordinamento giudiziario, in http://www.academia.edu; S. Pedone, Le procedure di accesso alla magistratura, in http://www.associazionemagistrati.it/doc/2496/le-procedure-di-accesso-alla-magistratura.htm.

[4]La “école” francese (che però, si badi bene, è un ente pubblico sottoposto al Ministero della Giustizia), infatti, ha il compito di reclutare i propri allievi prevalentemente per concorso e prevede tre classi preparatorie:

– prima classe di concorso: nazionalità francese, laurea in giurisprudenza o equipollente, età massima 31 anni;

– seconda classe di concorso: nazionalità francese, stato di dipendente pubblico con almeno 4 anni di servizio, età massima 45 anni e sei mesi;

– terza classe di concorso: nazionalità francese; 8 anni di attività professionale privata, o di mandati elettivi in assemblee rappresentative o di svolgimento di funzioni giudiziarie onorarie; età massima 40 anni.

La selezione avviene durante i concorsi d’accesso all’E.N.M. (i quali sono molto selettivi, atteso anche il ridotto numero di posti messi a concorso: sul sito della scuola, ad esempio, è possibile reperire i dati degli ultimi 5 anni; cfr. https://www.enm.justice.fr/?q=Devenir-magistrat-etudiants) e la formazione iniziale, realizzata nella sede di Bordeaux, riguarda la formazione degli auditeurs de justice, secondo il quadro della rete formativa europea. Nell’insegnamento, peraltro, si privilegiano gli aspetti pratici quali simulazioni di udienza, stage, etc. Nel periodo formativo di 31 mesi gli auditeurs hanno modo di confrontare la teoria e la metodologia con la pratica professionale e con le realtà sociali, economiche ed umane e successivamente, all’esito della preparazione presso la Scuola, affrontano l’ultimo esame finale, assumendo le funzioni all’esito dello stesso. Un utile spunto di riflessione si ritrova in P. Astruc, Devenir magistrataujourd’hui, Lextenso, 2010.

[5] Tecnicismo ritenuto “utile” da D. Mercadante, Sulla natura (e sulla difficoltà) dei temi del concorso in magistratura, in http://questionegiustizia.it/articolo/sulla-natura_e-sulla-difficolta_dei-temi-del-concorso-in-magistratura_27-07-2017.php; prospettiva opposta si ritrova in G. Scarselli, Sui temi che si assegnano per le prove scritte ai concorsi per la magistratura, in http://www.questionegiustizia.it/articolo/sui-temi-che-si-assegnano-per-le-prove-scritte-ai-concorsi-per-la-magistratura_15-05-2017.php.

[6]Basti pensare alla tematica dei “nuovi diritti”, la cui tutela è spesso passata attraverso riconoscimenti e “sensibilità” giurisprudenziali, prima ancora di ricevere copertura legislativa. Sul punto si veda R. Giannaccari, Inuovi diritti, in La Magistratura, Gennaio-Marzo 2018, Anno LXVII, n. 1.   

[7] Ritiene ad esempio proficua l’eliminazione di stage presso vari istituti, visti quali “visite guidate” V. Valerio, Dalla formazione iniziale all’esercizio delle funzioni giurisdizionali, in http://www.associazionemagistrati.it/doc/2647/dalla-formazione-iniziale-allesercizio-delle-funzioni-giurisdizionali.htm.

[8] Così F. Cassano, I caratteri della formazione professionale dei magistrati, in Questione Giustizia, n. monografico, 2016, 1.