Codice rosso ed emergenza Covid-19

di Gabriella Viglione in collaborazione con il Centro Studi “Nino Abbate” di Unità per la Costituzione

Sommario: – 1.#Iorestoacasa e le famiglie da codice rosso. -2.  La riduzione delle notizie di reato. -3. Il codice rosso e il legislatore dell’emergenza Covid-19. – 4. La fase delle indagini: l’urgenza da codice rosso.

1.   #Iorestoacasa e le famiglie da  codice rosso.

#Iorestoacasa, è il “refrain” che in questo periodo da ogni parte sentiamo, leggiamo, scriviamo.

L’epidemia ci ha posto di fronte improvvisamente alla necessità di rimanere tutto il giorno in casa, di limitare grandemente i movimenti, nella quasi totalità dei casi ci è stato precluso di andare al lavoro almeno con le consuete modalità.

In concreto questo vuol dire che le persone si sono trovate forzosamente relegate a casa ovvero con i propri familiari per l’intera giornata e per un lungo periodo, oltretutto senza poter coltivare rapporti personali esterni.

Pur tralasciando qui ogni considerazione sociologica sulle conseguenze di tali forzati stravolgimenti nelle abitudini di tutti noi, vale la pena di soffermarsi sull’impatto che la nuova condizione di vita, indotta dalla normazione dell’emergenza, ha determinato in relazione alle situazioni familiari critiche, con particolare riferimento al contesto delle vittime di quotidiane prevaricazioni dell’ambito familiare e parafamiliare. Parlo cioè del mondo, purtroppo tutt’altro che marginale, che ha ricevuto di recente particolare attenzione legislativa con l’emanazione della Legge 69/2019, il cosiddetto “codice rosso”.

Che ne è in questi giorni di quel mondo?  E di tutta l’attenzione mediatica ma anche istituzionale che anni di tragiche vicende drammaticamente assurte alle cronache nazionali, nonché di encomiabile lavoro di enti e strutture, a tutela delle fasce deboli hanno convogliato in quell’impianto normativo faticosamente costruito e di recente perfezionato nel “codice rosso”? E ancora, quale risposta giudiziaria in questo periodo possiamo e riusciamo a dare?

2.   La riduzione delle notizie di reato.

Senza alcuna pretesa di completezza e dal mio osservatorio di pubblico ministero, tento una qualche analisi.

Il primo dato che salta all’occhio è che le notizie di reato relative ai reati di violenza familiare o comunque “di genere” sono vertiginosamente diminuite nel periodo dell’emergenza Coronavirus. Ciò ho constatato personalmente nell’ufficio in cui lavoro (ove tali notizie di reato hanno subito una riduzione che rasenta l’80%), ma è dato che possiamo dare per generale, pur con ovvie differenze: le altre Procure del distretto piemontese sono in situazioni analoghe, le forze dell’ordine confermano la vistosa riduzione di interventi in materia, la situazione a livello nazionale segna comunque una importante flessione delle segnalazioni.

Ma tutto questo, come è ragionevole pensare, non è affatto indicativo di una riduzione effettiva del fenomeno delle violenze familiari; al contrario, la forzata costante convivenza all’interno delle mura domestiche, la impossibilità di uscire per cercare momenti di “distacco” o per andare al lavoro, le inevitabili ulteriori tensioni legate al generale clima di costrizione, preoccupazione e spesso anche difficoltà economica sono tutti fattori facilitanti e favorenti  la prevaricazione nell’ambito familiare.

Violenze e maltrattamenti quindi non sono calati[1]; e ben ne sono consapevoli sia  le associazioni di tutela delle donne e dei minori, sia  le istituzioni preposte, tanto che il Ministero dell’Interno in coordinamento con quello delle Pari Opportunità e Famiglia il 21 marzo scorso ha emesso una circolare diretta ai Prefetti e volta a sollecitare la ricerca di soluzioni a supporto dei centri anti violenza e delle case rifugioper risolvere il delicato e grave problema dell’ospitalità di donne vittime di violenza che non possono essere accolte per motivi sanitari in applicazione delle misure emergenziali per il contenimento del contagio da Coronavirus (Covid19)”[2].

Nel contempo lo stesso Ministro dell’Interno ha pubblicamente rivolto un appello alle donne vittime di violenza,  perché anche in questo periodo di emergenza si rivolgano alle istituzioni e agli organi di polizia per denunciare e ricevere adeguata tutela,  e l’appello è stato ripreso altresì dalla polizia di Stato che ha ripetutamente pubblicizzato nell’attuale frangente  l’implementazione della  applicazione YOUPOL, utilizzabile per segnalazioni effettuabili dal proprio cellulare.

Ma a fronte dell’obiettiva riduzione delle segnalazioni di reati da “codice rosso” pervenute in questo periodo, c’è da attendersi, ad emergenza cessata, una corrispondente impennata delle denunce sui fatti di questi mesi di forzata convivenza.

3.   Il codice rosso e il legislatore dell’emergenza Covid-19.

Merita qui occuparci, seppur brevemente,  della risposta che il servizio Giustizia può e deve dare al fenomeno comunque presente, tenuto conto della legislazione emergenziale in atto.

Il tema della violenza di genere ha indubbiamente visto fortemente impegnato il legislatore recente, come ben testimonia in primo luogo la legge 69/2019 .

Il legislatore dell’emergenza invece non ha preso in particolare considerazione il fenomeno, quanto meno per quanto riguarda il settore penale. E ben si può comprendere, tenuto conto della grave situazione di necessità ed urgenza che ha determinato i provvedimenti emergenziali anche nel settore Giustizia, dovendosi fronteggiare le primarie esigenze di evitare la diffusione del contagio, tutelare operatori ed utenti, salvaguardare diritti e facoltà processuali, e nel contempo salvaguardare il funzionamento delle attività di assoluta urgenza che vanno comunque garantite anche nel periodo di “congelamento” dell’attività ordinaria.

Ma occorre dunque chiedersi se e in che modo si possano o si debbano trattare i procedimenti da “codice rosso” nell’attuale fase emergenziale.

Senza voler qui riprendere la normativa nel dettaglio, possiamo riassumere dicendo che il  D.L. 18/2020 (confermando ed integrando il precedente D.L. 11/2020) ha disposto in primo luogo:

  1. il rinvio d’ufficio delle udienze civili e penali dal 9 marzo al 15 aprile [3] (data poi modificata in quella dell’11 maggio, col D.L. 23/2020)[4]; disciplina che interessa evidentemente – in generale e salve le eccezioni di cui  si dirà – anche le udienze relative ai processi per reati di violenza di genere, come tutte le altre. Le udienze relative, quale ne sia lo stato e il grado, hanno dunque subito un necessitato rinvio d’ufficio;
  2. la sospensione del decorso dei termini per il compimento di qualsiasi atto dei procedimenti civili e penali (nello stesso periodo già indicato al punto 1), ivi compresi – come espressamente specificato –“i termini stabiliti per la fase delle indagini preliminari[5]; anche tale disposizione interessa, in generale e salve le eccezioni di cui  si dirà, i procedimenti per reati di violenza di genere, come tutti gli altri.

Le due disposizioni sopra indicate trovano nello stesso articolo 83 specifiche e tassative eccezioni, previste nell’articolato comma 3:

  • alla lettera a) vengono indicate una serie di cause di competenza del tribunale per i minorenni ovvero dei giudici civili ritenute urgenti ed indilazionabili anche dal legislatore dell’emergenza, in quanto afferenti all’irrinunciabile tutela dei minori, degli incapaci o comunque dei diritti fondamentali della persona, anche nell’ambito infrafamiliare; per quanto oggetto della nostra analisi non è indifferente notare che tra tali  procedimenti ritenuti urgenti vengono specificamente indicati, tra gli altri, i “procedimenti per l’adozione di ordini di protezione contro gli abusi familiari“;
  • alla lettera b) vengono invece indicati i procedimenti penali ritenuti urgenti, ovvero i procedimenti di convalida dell’arresto del fermo o dell’ordine di allontanamento immediato della casa familiare[6], quelli per i quali scadono  nel periodo di sospensione i termini  di cui all’articolo 304 c.p.p., i procedimenti per la consegna all’estero ai fini estradizionali [7], quelli in cui sono applicate o richieste misure di sicurezza e – solo se vi è richiesta espressa degli imputati o dei loro difensori -altresì i procedimenti a carico di persone detenute, quelli in cui sono applicate misure cautelari o di sicurezza, quelli in cui sono richieste o applicate misure di prevenzione;
  • alla lettera c), vengono indicati infine  i procedimenti che presentano carattere di urgenza, per la necessità di assumere prove indifferibili, nei casi di cui all’articolo 392 c.p.p..”

In questo quadro normativo di generale sospensione dell’attività, che ne è quindi dei procedimenti di “codice rosso”?

Per quanto riguarda la fase dibattimentale ed altresì quella dell’udienza preliminare sembra potersi dire che, salvo che ricorrano i casi eccezionali indicati alla lettera b) (prossima scadenza del termine massimo di custodia cautelare, oppure procedimenti con misure di sicurezza), le udienze previste nel periodo di sospensione vengono rinviate d’ufficio, sempre che non vi sia espressa richiesta di procedere da parte dell’imputato o del suo difensore .  Il legislatore non considera in alcun modo la possibilità che la richiesta di procedere venga dalla persona offesa,  ovvero dal pubblico ministero. Si tratta di scelta certamente significativa dell’esigenza di ridurre al massimo i processi durante l’epidemia, forse anche sostenuta dalla ragionevole considerazione che nella fase dibattimentale le eventuali ragioni di tutela della persona offesa (anche dei reati di violenza di genere) dovrebbero aver già trovato adeguata protezione.

4.   La fase delle indagini: l’urgenza da codice rosso.

Per la fase delle indagini, come si è visto, sono espressamente indicati quale eccezione alla generale sospensione dell’attività giudiziaria, oltre ai già menzionati casi del comma 3 lettera b) (certamente aspecifici rispetto ai processi di “codice rosso”), altresì i procedimenti che presentano carattere di urgenza, per la necessità di assumere prove indifferibili, nei casi di cui all’articolo 392 c.p.p.”[8]

Si riconosce qui espressamente il carattere di urgenza e conseguentemente la possibilità di procedere anche nella fase emergenziale laddove si debba raccogliere una prova indifferibilema esclusivamente con le forme dell’incidente probatorio. Caso questo che certamente ricorre frequentemente nei procedimenti relativi reati di violenza di genere, laddove il ricorso all’incidente probatorio per l’assunzione della testimonianza di minore ovvero di persona offesa in condizioni di particolare vulnerabilità è prassi ricorrente ed elettiva.

E qui, diversamente da quanto accade per le udienze d’altro genere, dove la richiesta di procedere può venire solo dall’imputato o del suo difensore, la dichiarazione di urgenza “è fatta dal giudice o del presidente del collegio con provvedimento motivato (e non impugnabile), su richiesta di parte, cioè di una qualsiasi delle parti, pubblico ministero compreso quindi (eventualmente sollecitato dalla persona offesa ex art. 394 c.p.p.).

Si tratta certamente di una metaforica “boccata d’aria” per i procedimenti di “codice rosso” nei quali l’assunzione della dichiarazione della persona offesa in incidente probatorio è atto di particolare delicatezza anche nella scelta dei tempi, spesso necessitati dall’urgenza ma altresì da coordinare con il percorso psicologico e l’adozione di un supporto adeguatamente  tutelante per persone offese particolarmente sensibili e, appunto,  vulnerabili quali sono i minori ma anche quelle vittime maggiorenni con particolari fragilità.

Ma l’incidente probatorio, come ben sanno gli inquirenti, è spesso un (primo) punto di arrivo di altre più o meno corpose ma certamente irrinunciabili attività di indagine, volte all’acquisizione di documentazione ma soprattutto di dichiarazioni delle persone informate sui fatti e di quant’altro serva a definire l’effettiva portata, gravità ed urgenza della situazione denunciata.

Né si può trascurare che soprattutto dopo l’inequivoco intervento legislativo della legge 69/2019, il sistema Giustizia, e in prima battuta il pubblico ministero, sono chiamati a una risposta giudiziaria sollecita ed efficace a fronte delle segnalazioni, denunce, querele per reati di violenza di genere.

Basti qui ricordare, a riprova dell’urgenza,  la necessità dell’”immediata” trasmissione della notizia di reato disposta dall’articolo 347 comma tre c.p.p.,  nonché la coerente, seppur discussa, disposizione dell’articolo 362, comma 1 ter c.p.p., secondo cui , quando procede per i delitti di “codice rosso” “ il pubblico ministero assume informazioni dalla  persona offesa e da chi ha presentato denuncia, querela o istanza, entro il termine di tre giorni dall’iscrizione della notizia di reato, salvo che sussistano imprescindibili esigenze di tutela di minori di anni diciotto o della riservatezza delle indagini, anche nell’interesse della persona offesa.”.

All’indomani dell’entrata in vigore della L. 69/2019 le Procure si sono dotate di strumenti organizzativi per rispondere adeguatamente alle nuove previsioni legislative, nell’ottica di conciliare la praticabilità dei nuovi incombenti da evadere in termini strettissimi e la sostanziale auspicata efficacia dell’intervento giudiziario, come inequivocabilmente ricercata dal legislatore. Tali strumenti organizzativi, pur nella varietà delle risposte dei diversi uffici, hanno comunque previsto linee guida di intervento nel delegare e anche nel formare la polizia giudiziaria alla più rapida, efficace e lungimirante raccolta probatoria.

Che ne è di tutto questo, ora che il Coronavirus ha determinato la sospensione dei termini per il compimento di qualsiasi atto dei procedimenti penali e, in particolare, dei termini per la fase delle indagini preliminari ?

Si possono o no svolgere le indagini ineliminabili e spesso urgenti che solitamente venivano delegate a pioggia immediatamente dopo aver ricevuto la notizia di reato e aver proceduto all’assunzione delle informazioni dalla persona offesa o dal querelante ex art.  362 comma 1ter c.p.p.?

E ancora, il tanto discusso termine dei tre giorni previsto appunto dalla norma appena citata, è anch’esso sospeso ex  art. 83 comma 2 del D.L. 18 del 2020?

La norma emergenziale, necessariamente sintetica e generale, non fornisce indicazioni specifiche.

Anche stavolta le Procure si sono dotate di documenti organizzativi di indirizzo e di interpretazione della normativa sopraggiunta.

Se è pacifico che sono sospesi (anche) i termini relativi alla fase delle indagini all’infuori delle eccezioni previste, non si possono in linea di principio compiere atti di indagine che prevedano la partecipazione della persona indagata o comunque l’avviso alla stessa e al suo difensore.

Ma è indubbio che tutto il provvedimento legislativo emergenziale tende a ridurre il più possibile le occasioni di “socialità giudiziaria”; pertanto anche le attività di indagine rispetto alle quali non vi siano termini da rispettare (come solitamente è, per esempio, per l’assunzione di dichiarazioni di persona informata sui fatti ovvero per le acquisizioni presso uffici e così via), sono da ridurre al massimo, quanto meno tutte le volte che prevedano la partecipazione di terze persone ed  in ogni caso anche al fine di tutelare la salute della polizia giudiziaria delegata.

Tuttavia va detto che l’attività di indagine davvero urgente ed indifferibile si può ed anzi si deve svolgere,  previa rigorosa valutazione della effettiva improcrastinabilità e con l’adozione di tutti i possibili presidi di sicurezza per le persone coinvolte.

In tal senso dunque vanno  valutate anche le segnalazioni  relative ai reati di violenza di genere, che richiederanno – come sempre del resto – un immediato vaglio della loro effettiva gravità ed urgenza, sussistendo le quali il pubblico ministero può effettuare, disporre,  delegare attività di indagine, in primis al fine di dare adeguata  tutela alla sicurezza della persona offesa (specie laddove occorra procedere ad una richiesta di misura cautelare o coercitiva) e poi nell’ottica di svolgere quegli atti che possano portare quanto meno a quella richiesta di incidente probatorio ritenuta “urgente” anche dal legislatore emergenziale. Ovviamente si deve aver cura di dare le opportune disposizioni affinché le attività di indagine avvengano nelle condizioni di massima sicurezza possibile sia per gli operatori sia per i loro interlocutori (distanziamento, mezzi di protezione, laddove possibile utilizzo di sistemi informatici e telematici per assunzione di dichiarazioni a distanza con video registrazioni).

Il termine di cui all’articolo 362 comma 1 ter c.p.p. è per sua natura, così come l’ha disegnato il legislatore del 2019, indifferibile, tanto che ordinariamente il pubblico ministero può rinviare l’atto solo se “ sussistano imprescindibili esigenze di tutela di minori di anni diciotto o della riservatezza delle indagini, anche nell’interesse della persona offesa.”.

Se non vi è grave urgenza,nell’attuale situazione emergenziale, si potrà certamente ricorrere alla clausola di salvaguardia nel caso che si debba escutere un  minore, non potendosi dubitare che tra le esigenze di tutela del medesimo vi siano anche quelle di preservarlo il più possibile dal rischio di contagio da COVID-19; lo stesso rischio può talora sostenere il ricorso alla medesima clausola di salvaguardia anche con riferimento all’esame di persona maggiorenne, posto che le particolari restrizioni imposte alla libertà di movimento  dalla legislazione emergenziale possono rendere più evidenti le uscite e gli spostamenti di chi deve andare, per esempio, in caserma o presso un centro di ascolto per essere sentito,  situazione che può  nuocere, come richiesto dalla norma, alla riservatezza delle indagini; ma soprattutto nell’interesse della persona offesa“, che in questi tempi di forzata convivenza con familiari e di quasi impossibilità di muoversi potrebbe trovarsi in una condizione di maggior rischio proprio ove uscisse per l’atto istruttorio. Sarà dunque cura del pubblico ministero vagliare attentamente i casi in cui risulti davvero imprescindibile procedere all’esame della persona offesa o del querelante nei primi tre giorni.

Si tratta di termine ben diverso dagli ordinari termini processuali, fissati per consentire l’esercizio di un diritto o di una facoltà. Come già è stato  osservato  in altri contesti, questo termine non è stato posto “per” consentire un’attività o l’esercizio di una prerogativa ad una parte; al contrario è stato posto per imporre un limite temporale al pubblico ministero, ovvero per impedire ingiustificati ritardi nel considerare una notizia di reato ritenuta ex lege grave e meritevole della massima attenzione.

Se così è, non sembra ragionevole ritenere applicabile la sospensione. L’esame della persona offesa ex art.  362 comma 1 ter c.p.p.  è atto urgente per definizione e per scelta legislativa e va svolto sia pur con le necessarie cautele, quanto meno se, al primo esame, la notizia di reato risulti effettivamente avere profili di grave serietà e di urgenza.

D’altronde la tesi opposta potrebbe portare, sia pure in casi estremi,  a risultati paradossali e nefasti. Si pensi se il pubblico ministero, ricevuta la notizia di reato relativa ad un reato di “codice rosso”, non procedesse  – in periodo di epidemia – all’atto previsto dall’articolo 362 comma 1 ter c.p.p. e di conseguenza non proseguisse  immediatamente le indagini correlate. Potrebbe invocare certo la generale sospensione dei termini di indagine. Ma di questa sospensione certo non si curerebbero affatto il marito maltrattante o l’ex  fidanzato respinto e stalkerizzatore che potrebbero, indisturbati e nell’assoluta assenza di risposta giudiziaria, alla richiesta di aiuto da parte delle denuncianti, porre in atto ulteriori gravi episodi delittuosi ai loro danni,  in extremis anche arrivando all’omicidio della persona offesa.

Non è rischio che un pubblico ministero possa accettare, né processualmente, né eticamente.

Neppure in epoca, di Coronavirus.


[1] in tal senso si vedano anche i molti articoli di stampa sul fenomeno;  tra gli altri:

https://espresso.repubblica.it/attualita/2020/03/30/news/violenza-di-genere-ai-tempi-del-coronavirus-la-crisi-e-mondiale-e-l-italia-non-e-messa-meglio-1.346388;
https://tg24.sky.it/cronaca/2020/03/27/violenza-donne-coronavirus.html;
Coronavirus e violenza di genere, in tutta Italia “non sei sola”

[2] dal comunicato stampa pubblicato sul sito del Ministero dell’Interno..

[3] articolo 83 comma 1 del D.L. 18 del 2020.

[4] articolo 36 D.L. 23/2020.

[5] articolo 83 comma 2 del D.L.  18 del 1020

[6] modifica inserita-significativamente-in sede di conversione del decreto-legge.

[7] vedi nota precedente.

[8] articolo 83 comma 3 lettera c) D.L. 18/2020

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