Contributo del segretario generale di Unita’ per la Costituzione al 33° Congresso Nazionale ANM “La Giustizia, i diritti, le nuove sfide.”

Siena 20-21-22 ottobre 2017
  1. Premessa.

Il Congresso nazionale dell’A.N.M. rappresenta un momento fondamentale della vita della nostra associazione: in questi tre giorni siamo chiamati a confrontarci tra di noi ed, in particolare, ad aprirci verso le esterno attraverso momenti di dibattito con i rappresentanti delle altre Istituzioni del Paese e con la società civile sui temi della Giustizia. 

Ringrazio la G.E.C., non solo per essere riuscita ad articolare il dibattito in una serie di momenti aventi ad oggetto tematiche attualissime ed interessanti che coinvolgono quotidianamente l’esercizio della giurisdizione, ma anche per avere voluto riservare questo spazio alle rappresentanze culturali che compongono la nostra associazione e della quali la stessa Giunta nazionale è espressione. In queste occasioni, difatti, dobbiamo provare a riflettere sul rapporto sul rapporto fra A.N.M. e correnti ed anche sul rapporto che deve instaurarsi fra l’A.N.M., le sue componenti ed il C.S.M.

 2. Il ruolo ricoperto dall’associazionismo giudiziario nella politica per la giustizia.

La vita dell’associazionismo giudiziario italiano, strettamente connessa con le dinamiche interne delle sue componenti, ha contrassegnato la storia del nostro Paese, offrendo alle Istituzioni un contributo di riflessione nel percorso di attuazione della Costituzione repubblicana ed in particolare nella costruzione del modello italiano di autogoverno della Magistratura. La dialettica sviluppatesi all’interno della Magistratura secondo regole democratiche ha consentito al C.S.M. di ergersi a difesa del singolo giudice contro il predominio dei governi e della politica. Se oggi i magistrati italiani possono essere liberi da condizionamenti esterni, se tante cose nella nostra carriera sono cambiate, ciò lo si deve, in larga misura, all’azione della nostra associazione ed alle battaglie che essa ha saputo condurre in difesa dell’autonomia e dell’indipendenza della Magistratura.

L’A.N.M. è stata e, credo, continuerà ad essere un soggetto di stimolo e trasformazione di una delle più delicate istituzioni di uno Stato democratico: costante nel tempo è stato l’impegno per la modernizzazione del sistema giustizia e la rivendicazione degli interventi necessari per assicuragli efficienza. I magistrati, anche in seguito all’azione della comune associazione, hanno nel tempo acquisito una nuova consapevolezza della loro autonomia ed indipendenza; ciò ha consentito, in momenti drammatici della nostra storia, l’impegno di tanti colleghi, in molti casi fino all’estremo sacrificio, a difesa dello Stato democratico aggredito da pericolose forme di eversione.

Il C.S.M., organo di rilevo costituzionale che esprime al suo interno oltre alla componente laica, le diverse sensibilità culturali esistenti nella Magistratura, ha assicurato al Paese l’attività di questi magistrati, che oggi hanno la possibilità di svolgere liberamente il proprio lavoro senza dovere ricorrere a protettori di qualunque specie.

L’A.N.M., in tutte le sue articolazioni locali e nazionali ed attraverso le sue componenti, è un luogo di incontro e di dibattito fra i magistrati: è il luogo dove fare crescere la nostra cultura istituzionale, intesa come rapporto dell’Istituzione giudiziaria con gli altri poteri dello Stato; perché la giurisdizione è un potere diffuso di cui sono titolari, allo stesso modo, tutti gli appartenenti all’ordine giudiziario, dal Primo Presidente della Corte di Cassazione all’ultimo M.O.T. con funzioni. L’attività associativa deve fortificare il senso dell’indipendenza, intesa non come un privilegio di casta, ma come una prerogativa inalienabile della giurisdizione, come una trincea da difendere ad ogni costo, perché è funzionale alla difesa dei diritti, di tutti i diritti e specialmente di quelli dei più deboli.  

Per queste ragioni io credo che la Magistratura associata debba sempre essere unita su posizioni comuni di difesa dell’autonomia e dell’indipendenza e che debba provare ad  essere altrettanto unita, forte ed autorevole nell’azione di stimolo alla politica per un reale rinnovamento, nell’interesse dei cittadini, della macchina della giustizia.

 3. L’A.N.M. e le correnti.

In passato esistevano divisioni ideali e culturali che attraversavano la Magistratura e si ripercuotevano anche sui contenuti dell’attività giurisdizionale: ciò rappresentava la giustificazione e la legittimazione dell’esistenza di una pluralità di gruppi associativi – le cosiddette correnti dell’A.N.M. Oggi che queste divisioni sono cadute, nel senso che non dovrebbero esistere più fra di noi divisioni sul modo di intendere la Magistratura e la giurisdizione, dovrebbe essere irreversibile, in ogni occasione, l’unità dell’Associazione.

Nella qualità di responsabile di un gruppo associativo ho ripetutamente chiesto, fin dall’inizio del mandato del C.D.C. in carica, più associazione e meno correnti e mi sono, unitamente al gruppo che ho l’onore di rappresentare, impegnato in questa direzione favorendo la nascita di una giunta unitaria dopo un periodo, a mio avviso troppo lungo, di giunte di maggioranza alla guida dell’Associazione.

L’esistenza di diverse componenti deve essere oggi reale sintomo di pluralismo e democrazia; deve trattarsi di vere aggregazioni di idee, non di semplici nuclei di potere, destinate a trovare una sintesi unitaria nell’unica associazione dei magistrati italiani. Le correnti devono tornare ad essere un luogo di aggregazione culturale ed ideale fra i magistrati; devono favorire il dibattito interno all’A.N.M. e la formulazione di proposte da condividere e portare all’esterno.

 4. La formazione della Giunta unitaria.

Nella direzione che ho cercato di indicare all’inizio del mandato del C.D.C. fu siglato, fra tutte le componenti, un “patto di legislatura”, un patto di lealtà allo schema della giunta unitaria, prescindendo dai soggetti che, di volta in volta, ne sarebbero stati chiamati a farne parte. Si è cercato, in quella sede, di privilegiare gli interessi generali della categoria e della nostra unica associazione rispetto alle pur legittime differenze esistenti tuttora fra i diversi gruppi che la compongono. Insieme abbiamo provato ad impostare un’azione associativa fatta di protesta, ma anche di proposta, che sappia salvaguardare gli interessi dei cittadini nel cui nome quotidianamente amministriamo giustizia, senza sottovalutare l’interesse dei magistrati al rispetto della loro dignità e professionalità.

Sono convito che questo cammino non si sia bruscamente ed improvvisamente interrotto, perché sono destinati ancora a prevalere i valori che ci uniscono rispetto alle diverse sensibilità che ci dividono, ma che non devono mai far perdere di vista il vero obiettivo del nostro impegno: la tutela dell’autonomia e dell’indipendenza della Magistratura, valori che rappresentano non un fine, ma un mezzo per l’attuazione dei principi fissati nella prima parte della Costituzione, primo fra tutti il principio di uguaglianza e quello ad esso servente di legalità.

5. I rapporti fra l’A.N.M. ed il C.S.M.

In questa comunanza d’intenti che, ritengo, ci unisce tutti, sapremo affrontare, nel rispetto delle diverse sensibilità, anche la difficile tematica dei rapporti fra A.N.M. e C.S.M., quella che pare dividerci e che sembrerebbe, ma in concreto non si è capito perché, avere comportato la rottura della tanto faticosamente ricostruita – con la presidenza di Piercamillo Davigo – unità associativa.

Io penso che prima di parlare di nomine, di correntismo e di altre degenerazioni del sistema dell’autogoverno, occorre riflettere sulla formazione del C.S.M. o meglio sulle modalità attraverso le quali i gruppi associativi dell’A.N.M. contribuiscono alla sua composizione. Ed allora la prima riflessione va fatta sul sistema elettorale che il legislatore ha introdotto nel 2002 e che oggi è ancora in vigore ed in base al quale, in mancanza di poco prevedibili colpi di scena, sarà rinnovata nel 2018 la composizione dell’organismo. Il suddetto sistema ha evidenziato fortissime criticità con riguardo al ruolo dei gruppi associativi ed alla necessità di mantenere, in seno all’Istituzione, l’esistenza di una rappresentanza culturale della Magistratura.

Nel dichiarato intento di ridurre il peso delle correnti in Magistratura, il sistema vigente ha conseguito l’effetto di disarticolare la rappresentanza culturale della Magistratura con evidente danno al prestigio dell’Istituzione ed all’autorevolezza degli eletti; quel sistema ha favorito accordi personali fra i candidati non sempre improntati alla massima trasparenza e per nulla fondati su scelte di valore ed ha consentito l’intervento di gruppi di potere. Tutto ciò ha avuto diretta ed immediata incidenza sul funzionamento dell’organismo, sul suo prestigio e sulla qualità delle scelte operate.

Certo non può negarsi che troppe volte le scelte effettuate in sede di autogoverno si sono rivelate ispirate, non soltanto dall’interesse generale dell’Istituzione, ma anche, quando non esclusivamente, da criteri di appartenenza correntizia.  Ma, al di là delle scelte concrete che possono sempre essere criticate ed al di là delle alleanze fra questo o quel gruppo, destinate a trovare consonanze negli ambienti politici, quel che preoccupa è la caduta di tensione ideale dei Magistrati e degli stessi gruppi che vorrebbero rappresentarli rispetto alle tematiche dell’autogoverno. Il problema delle nomine attiene, più che alle scelte concrete effettuate, ai percorsi seguiti per arrivarci. Al di là della legittima la critica delle decisioni del C.S.M., va evitata la delegittimazione dell’Istituzione e con essa dell’intero sistema dell’autogoverno che, se non deve subire pressioni dall’esterno, a maggior ragione deve essere immune da pressioni provenienti dal suo interno, sia che si tratti dell’A.N.M. o delle sue correnti, sia che si tratti di istanze provenienti dai singoli magistrati. Ed oggi poi si assiste ad un nuovo fenomeno che considero estremamente preoccupante: la nascita di una corrente dei laici che, al di là delle diverse provenienza, comincia a rivendicare i propri spazi di decisione.

L’A.N.M., grazie all’impegno di tutte le sue componenti,  deve concretamente impegnarsi nella costruzione di un corretto rapporto fra la dimensione associativa ed il circuito istituzionale dell’autogoverno: un rapporto fondato sulla trasmissione di valori, di idee, di un modo di intendere la giurisdizione ed il modello di giudice, un rapporto che imponga l’abbandono di tutte quelle scelte fondate solo sull’appartenenza. Si tratta di una questione che ci coinvolge tutti, che non si presta ad essere strumentalizzata da nessuno e che deve essere affrontata con serenità per conseguire, tutti insieme,  l’obiettivo di migliorare la qualità del nostro autogoverno. Dobbiamo insieme ribellarci alla caduta del livello morale del nostro associazionismo che ha comportato una nostra incapacità di trasmettere dal circuito associativo a quello istituzionale scelte di valore e non di parte.

Forse oggi siamo troppo impegnati nell’assumere posizioni difensive che non riusciamo più a costruire un modello di magistrato e di dirigente che sia, non solo un esempio per tutti i colleghi, ma un punto di riferimento in ragione dello spirito di servizio che ispira ogni sua azione; un magistrato che, nella fedeltà ai valori della terzietà costituzionale, sappia interpretare in un’ottica di servizio, prima che di legittima aspirazione personale, le opportunità previste dalla reintrodotta carriera.  

L’A.N.M. non può entrare, attraverso qualsiasi organismo o osservatorio di sorta, nelle polemiche spicciole che, fisiologicamente, discendono dalle singole nomine: il merito delle scelte effettuate è rimesso alla valutazione dei singoli, i quali, ove si ritengano lesi, possono rivolgersi al giudice amministrativo; viceversa l’azione associativa deve tutelare l’autonomia decisionale del C.S.M. : essa rappresenta la volontà di un organo collegiale che può essere chiamato a decidere secondo logiche di maggioranza e di opposizione.

Occorre ancora ribadire l’assoluta necessita di una netta separazione fra l’attività associativa e quella istituzionale: se l’associazionismo rappresenta tuttora una palestra all’interno della quale esercitare la cultura dell’autogoverno e quindi fare maturare le migliori professionalità che intendono proporsi ai colleghi per un servizio nelle Istituzioni, vanno assolutamente evitati passaggi diretti dall’Associazione all’Istituzione: in passato si era ventilata la possibilità di introdurre nello statuto forme di incompatibilità fra mandati associativi e candidature per organi istituzionali; forse potrebbe bastare un impegno dei gruppi a non favorire candidature al C.S.M. di componenti del C.D.C. in carica, a maggior ragione di chi ha fatto parte della G.E.C. o di chi è stato, nell’immediato, presidente dell’A.N.M. ( a poco valgono dimissioni postume nell’imminenza della presentazione della candidatura). Ed inoltre tutti abbiamo bisogno di ricordarci che chi è eletto al C.S.M. rappresenta l’Istituzione, che è il vertice della Magistratura, e non il gruppo che lo ha espresso.  

 6. Il nuovo ruolo dei gruppi associativi.

I gruppi, per legittimare la loro esistenza, devono riprendere a fare politica, quella vera fatta di analisi, studio, programmazione e proposta; quella che si alimenta della cura dell’interesse generale e che è capace di proporre un modello di giurisdizione e di magistrato al servizio del cittadino, del popolo nel cui nome è amministrata la giustizia. Ed il nostro fare politica deve ispirarsi a modelli diversi da quelli che imperano nell’attuale società e deve porsi, al di la delle diverse appartenenze, in linea con il nostro ruolo di interpreti della terzietà costituzionale, chiamati, attraverso le regole del processo, ad affermare il principio di legalità ed a comporre i conflitti esistenti nella società.

L’A.N.M. e le sue componenti devono saper parlare ai giovani magistrati incentivando il loro impegno nei circuiti associativi ed istituzionali; devono sapientemente opporsi alla crescente fuga e chiusura nel privato motivata, non solo dai carichi di lavoro sempre più pesanti, ma anche dalle disillusioni maturate rispetto a tante esperienze associative che, nel passato, avevano favorito l’impegno e la partecipazione di tanti. Dobbiamo insieme trovare delle forme di coinvolgimento e di partecipazione nuove rispetto al passato, forme che siano in grado di superare vecchi schemi troppo spesso ispirati all’individualismo ed in alcuni casi al narcisismo di singoli protagonisti che hanno occupato la scena associativa in modo del tutto distaccato dal comune sentire della maggioranza dei magistrati.

Ciò è connaturale al primo giuramento fatto da magistrati, nella consapevolezza che ognuno di noi rappresenta un punto autonomo ed indipendente di esercizio del potere giurisdizionale – tutti uguali e diversi solo per la diversità delle funzioni eserciate. Ed allora c’e da domandarsi se sia possibile oggi un impegno fondato su un forte senso della funzione e della fedeltà alle Istituzioni, o se invece i magistrati, nel modificato contesto ordinamentale,  siano portati a organizzare la loro vita professionale con il pensiero costante della carriera, dimenticando i compiti loro affidati dalla Costituzione: amministrare la giustizia in nome del popolo italiano. Gli introdotti sistemi di selezione interna, la giurisprudenza disciplinare, quale interpretata dalla sezione disciplinare della precedente consiliatura, il sovrumano carico di lavoro e, da ultimo, gli ingenerosi attacchi provenienti da certa politica (l’intervento sulla responsabilità civile e l’inspiegabile riduzione delle ferie) non stanno forse favorendo un appiattimento gerarchico della Magistratura verso indirizzi giurisprudenziali tradizionali, che si rivelano più facili da seguire e che non urtano le sensibilità dei “capi”? Non stiamo forse assistendo ad una restaurazione di una gerarchia professionale che si pone in evidente contrasto con l’assetto costituzionale della Magistratura, che vuole i magistrati distinti fra loro solo per la diversità delle funzioni esercitate. Diceva tempo addietro Satta che il carrierismo dei giudici determina “la prima e più grave fuga dal giudizio, cioè soggettivamente il funzionarismo dei giudici, oggettivamente il dottrinarismo delle sentenze: perché le sentenze giudicano, ma servono per essere giudicati, di un giudizio, si intende, necessariamente formale, in quanto non investe né può investire tutta la personalità del giudice, che si manifesta in un campo assai più vasto della mera redazione di una sentenza”.

Dobbiamo insieme ritrovare un cammino comune con la volontà di essere pronti a rinnovare le nostre organizzazioni; questo si era tentato di fare con la formazione della giunta unitaria e la condivisione di linee programmatiche quadriennali,: dobbiamo essere capaci di creare formule nuove che sappiano dare voce ai magistrati come singoli, come appartenenti agli uffici ed espressione delle realtà locali, formule che sappiano immaginare anche nuove e diverse forme di rappresentanza. Solo cosi, attraverso un forte rinnovamento, potrà continuare ad esistere l’associazionismo giudiziario che ci è stato consegnato e che, per il bene della Magistratura e della collettività, abbiamo il dovere di preservare e di trasmettere a chi verrà dopo di noi.

Questa prospettiva di rinnovamento è imposta dalla storia, in quanto occorre tener conto dei significativi mutamenti ordinamentali e generazionali intervenuti negli ultimi anni in Magistratura. Dobbiamo provare a distaccarci dalle logiche di appartenenza del passato; dobbiamo essere in grado di dare credibili risposte alle domande della base, troppo spesso artatamente orientate verso logiche puramente sindacali; dobbiamo insieme costruire un nuovo modo di fare associazione che sia in grado, con il superamento del diffuso senso di disimpegno e disaffezione, di aggregare le nuove generazioni di magistrati. Essi devono potersi riconoscere nell’associazione intera e, nel rispetto delle sensibilità personali di ognuno, nelle sue componenti culturali, fondamentali espressioni della libertà di associazionismo dei magistrati italiani,  le quali devono essere in grado di testimoniare il senso di responsabilità della funzione, unico antidoto alle sempre più diffuse forme di burocratizzazione.

Siena, 21 ottobre 2017

Roberto Carrelli Palombi

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