Contributo per il programma elettorale di Antonio Sangermano – Sostituto procuratore della Repubblica Prato (2)

Nel tratteggiare il mio intervento sul tema della organizzazione degli uffici del P.M. intendo partire da una sintetica premessa di analisi politico-culturale; credo sia importante infatti ricordare il contesto storico in cui fu partorita la riforma dell'Ordinamento Giudiziario, e ciò per individuare le finalità che le forze politiche di maggioranza perseguivano, nel quadro di un attacco pervicace e scomposto contro la magistratura, che si poneva come il virulento epilogo di una attività di costante delegittimazione e contrasto contro l'Ordine Giudiziario, la cui origine va individuata negli anni ottanta, con la campagna referendaria per la cosiddetta "giustizia giusta".

Elezioni per il rinnovo del Comitato Direttivo Centrale 6, 7, 8 marzo 2016

PREMESSA

 ANALISI POLITICA

Nel tratteggiare il mio intervento sul tema della organizzazione degli uffici del P.M. intendo partire da una sintetica premessa di analisi politico-culturale; credo sia importante infatti ricordare il contesto storico in cui fu partorita la riforma dell’Ordinamento Giudiziario, e ciò per individuare le finalità che le forze politiche di maggioranza perseguivano, nel quadro di un attacco pervicace e scomposto contro la magistratura, che si poneva come il virulento epilogo di una attività di costante delegittimazione e contrasto contro l’Ordine Giudiziario, la cui origine va individuata negli anni ottanta, con la campagna referendaria per la cosiddetta “giustizia giusta”. La rievocazione della genesi della riforma dell’Ordinamento Giudiziario non serve ad alimentare polemiche, recriminazioni o ad allettare nuovi scontri, bensì ad avere chiara la memoria di come oggi sia divenuta realtà giuridica vivente, sostanzialmente accettata e metabolizzata a livello sociale e culturale, una riforma che è nata da istanze chiaramente punitive, se non addirittura con la volontà di annichilire l’autonomia e l’indipendenza dei magistrati del pubblico ministero e della intiera magistratura, prevedendo addirittura una progressione in carriera per concorsi. L’ attenuazione degli aspetti più macroscopicamente abnormi, ed ai limiti della compatibilità costituzionale, della riforma dell’Ordinamento Giudiziario apportati dal Decreto Mastella, non ha deprivato la gerarchizzazione delle Procure di una valenza ontologicamente riduttiva del ruolo del magistrato del pubblico ministero, quanto meno a livello potenziale.

L’ impegno dell’ Associazione Nazionale Magistrati in questi difficili anni ha costituito un presidio fondamentale di tutela democratica dei valori costituzionali, non solo nell’ interesse della magistratura ma a vantaggio della libertà ed eguaglianza dei cittadini. Proviamo infatti ad immaginare quale sarebbe oggi l’ assetto ordinamentale della magistratura in assenza dell’ impegno profuso dall’ ANM a tutela dei valori costituzionali, ed analizziamo, nell’ ambito di questo esperimento, quale sarebbe il “tasso di libertà democratica” di cui godrebbero i cittadini se a talune iniziative politico-legislative non si fosse tenacemente opposta, con i mezzi del confronto democratico, la magistratura associata.

L’ impegno unitario della ANM ha arricchito il dibattito civile del Paese, promuovendo e tutelando valori di primaria ed esiziale importanza, e non già limitandosi a tutelare meri interessi di categoria.   

Io credo pertanto vada innanzitutto respinta con forza un’ idea, ed una correlativa progettualità,  riduzionista, minimalista, del ruolo dell’ ANM nella dialettica democratica del Paese, una prospettiva questa che vorrebbe ridurre la funzione dell’ ANM a mero “associazionismo di categoria”, proiezione della esigenza naturale di tutelare specifici “interessi sindacali”, prioritariamente intesi nella accezione direttamente od indirettamente economica del termine. Tale operazione di ridefinizione del ruolo dell’ ANM, e di riposizionamento strategico, sostenuta da talune componenti della magistratura associata, focalizza l’ obbiettivo di ridurre il tasso di (pretesa) politicità dell’ attività associativa, ritenendo che il ruolo dell’ ANM sia andato progressivamente appropriandosi di funzioni “improprie”, perdendo, e quindi sacrificando, la propria autentica ragion d’ essere.

E’ davvero paradossale che in nome della contestata “politicità”  dell’ ANM si compia una operazione inversamente, e sottilmente, politica, tesa a ridurre lo spazio di agibilità ed il ruolo della magistratura associata a mero “sindacato di categoria”, con ciò determinando una automatica riespansione solitaria del ruolo della politica, a quel punto sostanzialmente priva di termini di confronto dialettico, nel definire l’ assetto ordinamentale della magistratura di fronte alle sfide della modernità. E del pari degno della massima attenzione appare questo medesimo progetto “politico” laddove, a fronte della ritenuta e denunciata incapacità dell’ ANM, nella sua dimensione esecutiva e maggioritaria, di cogliere e comprendere le “reali” esigenze dei colleghi, propugna una perniciosa divisione della rappresentanza associativa, che ove avverata, porrebbe fine ad una straordinaria esperienza civile. Che poi queste prospettive strategiche provengano da componenti della magistratura associata che hanno annoverato tra le proprie fila personalità che partecipano all’ attuale compagine di governo, seppur certamente ormai distaccate dalle attività associative, è un ulteriore paradosso che fa riflettere.

Il primo punto dell’ impegno associativo che intendo assumere è pertanto quello di rivendicare, e battermi, per la unitarietà dell’ Associazione Nazionale Magistrati, compiendo ogni utile sforzo per recuperare una rappresentanza unitaria di tutte le componenti, pur nella loro ineludibile differenziazione culturale.

L’ ANM non può limitarsi a sostenere esclusivamente i pur legittimi interessi “sindacali” della categoria rappresentata, nell’ accezione “riduzionistica” sopra declinata, per la semplice ed insuperabile ragione che fondamento dell’ attività giurisdizionale sono principi e valori costituzionali, la cui lesione comporterebbe un irreparabile “vulnus” per l’ equilibrio democratico del Paese. Oggi più che mai è importante preservare l’ assetto ordinamentale voluto dalla Carta da pulsioni “riformatrici” che  sulla scorta di istanze modernizzatrici di fatto vadano a minare l’ autonomia e la indipendenza della magistratura.

La legge sulla responsabilità civile dei magistrati da questo punto di vista costituisce il più insidioso degli attacchi, con il concreto pericolo che essa incida subdolamente sullo stesso processo formativo delle nuove leve di colleghi.

Naturalmente la rivendicazione della più ampia agibilità politica per l’ ANM non deve andare in nulla a detrimento della tutela anche di quegli interessi “sindacali”  di cui ho prima accennato, “in primis” quelli attinenti ai coefficienti previdenziali ed alla ferie. Anzi, UNICOST deve assolutamente sviluppare una più percepibile attenzione a queste tematiche, sviluppandone la tutela nel quadro di una articolata azione di politica associativa.

La integrità stipendiale e previdenziale del magistrato non costituiscono inaccettabili privilegi di casta, ma ulteriori ed inderogabili manifestazioni della esigenza di tutela della autonomia e delle indipendenza, la cui espressione proietta in suoi effetti anche dopo il collocamento a riposo del magistrato. Ogni riforma che riduca la integrità previdenziale del magistrato è pertanto un atto che ne mina l’ autonomia e l’ indipendenza, esponendo lo stesso ad una oggettiva insicurezza economica incompatibile con la delicatezza del ruolo svolto. I valori costituzionali non si tutelano con gli slogans e le slides, ma con atti concreti, espressione di una visione profonda e completa degli equilibri costituzionali.

Spiegare ai cittadini che 15 giorni in meno di ferie non hanno affatto reso il sistema più efficiente, ma semmai il contrario, privando i magistrati di un prezioso periodo privo di impegni di udienza in cui dedicarsi alla stesura ed al completamento di atti giudiziari, non è una “battaglia persa”,  ma l’ attuazione di un dovere di verità che valga a contrastare le semplificazioni di quanti intenderebbero trattenere la complessità del reale in un tweet.

Con la risoluzione del 5 luglio 2006, e le  delibere del 12 luglio 2007 e del 21 luglio 2009, nonché con una serie di interventi scaturiti da quesiti e questioni, di cui l’ultimo perspicuo in data 4 novembre 2015, il Consiglio Superiore della Magistratura ha progressivamente attuato una interpretazione costituzionalmente orientata della riforma dell’Ordinamento Giudiziario, espandendo al massimo i profili di ortopedia innovativa, certamente più democratici, apportati dalla Legge Mastella.

Questa la premessa di un ragionamento che valga ad individuare le coordinate di un impegno associativo, che senza timori e remore, ma soprattutto senza sudditanze e collateralismi, sappia essere propositivo con senso della realtà e nella consapevolezza delle genesi politico-normativa della riforma dell’ Ordinamento Giudiziario.

Dico questo perché oramai la gerarchizzazione delle Procure è realtà giuridica vivente, culturalmente metabolizzata, emendabile nei suoi aspetti più rigidi ma non più eliminabile, e forse questo anche, parzialmente, a causa di taluni, soggettivi, casi di improprio protagonismo ed individualismo di qualche magistrato.

Ciò induce ad una riflessione sulla trasversalità programmatica e politica nel varare riforme che in qualche modo contengano quello che evidentemente la classe dirigente di questo Paese vive come un pericolo, ovvero l’autonomia e l’indipendenza dei magistrati.

In questi anni le componenti moderate della magistratura associata, e segnatamente UNICOST, si sono trovate in mezzo ad una sorta di “doppio estremismo”, quello di certa politica che ha fatto dello scontro e dell’annientamento del magistrato partorito dalla Carta Costituzionale quasi l’ “ubi consistam” del proprio operato, e quanti, in nome di una speculare ed opposta iper-politicità nell’analisi del reale e nella stessa considerazione della giurisdizione quale alta, elevata ma pur sempre subalterna, proiezione della politica, hanno agito in questo scontro con una eccessiva caratterizzazione ideologica, talvolta mostrando di ritenere che una certa omogeneità storico-culturale con determinate aggregazioni politiche potesse servire a mantenere inalterato un determinato assetto ordinamentale.

Sia pur con oggettive ed ineludibili differenze, prima fra tutte la distinzione tra chi ha agito anche a tutela dei propri interessi e chi agisce in nome di una progettualità, l’intera classe di governo ha prodotto, con accezioni e sensibilità diverse, ed in un quadro di insieme di diverso peso e valenza riformatrice, alcune Leggi che hanno oggettivamente depotenziato l’autonomia e l’indipendenza della magistratura. Tra di esse si distingue la Legge sulla responsabilità civile, che aldilà dei casi concreti che potrà determinare e che ha già determinato, rischia di produrre un macro-condizionamento psicologico e culturale sui giovani magistrati, inducendo gli stessi alla paura, al conformismo, al quieto vivere, e di fatto incidendo sull’obbligatorietà dell’azione penale e sul connesso principio di eguaglianza.

La gerarchizzazione delle Procure, come dato acquisito, deve essere analizzata in stretta connessione con il testo unico sulla dirigenza, poiché nella misura in cui il Consiglio Superiore della Magistratura, nel quadro di un confronto dialettico fisiologico, corretto e trasparente tra le diverse componenti, saprà selezionare una classe dirigente all’altezza del delicato compito che l’aspetta, potrà essere riassorbita nel quadro costituzionale, ed al limite divenire potenziale risorsa. 

Da questo punto di vista acquisiscono una importanza fondamentale i pareri di idoneità alle funzioni direttive e le valutazioni sul quadriennio svolto dal dirigente. Più incisive, attente, concrete sapranno essere le suddette valutazioni, più l’ autoriforma della magistratura saprà produrre una classe dirigente all’ altezza delle aspettative.

Non tutti i magistrati sono idonei a fare i dirigenti, laddove oltre alle attitudini gestionali e manageriali, così valorizzate dal Testo Unico sulla dirigenza, rilevano quei profili di equilibrio, indipendenza ed imparzialità che sono il prodotto di una corretta interiorizzazione della giurisdizione e di insuperabili connotazioni di moderazione caratteriale e comportamentale.

Nella mia esperienza ho avuto modo di conoscere magistrati dalle spiccate attitudini investigative, dotati di una assoluta integrità etica, e tuttavia inadatti al ruolo dirigenziale per una marcata autoreferenzialità, per una propensione divisiva e per una caratterialità inidonea ad individuare corretti momenti di mediazione e di confronto.

Da questo punto di vista le culture che alimentano la “forma mentis” del magistrato non sono indifferenti, laddove la moderazione non è una irrefrenabile propensione al compromesso ma un’attitudine psicologica e culturale idonea ad individuare punti di mediazione corretti e plausibili, un’apertura al dialogo priva di pregiudiziali ideologiche, alimentata da un’indeclinabile rigore morale. Da questo punto di vista la magistratura associata, auspicabilmente unita pur nella irrriducibile differenze delle sue componenti, può dare un contributo fondamentale all’arricchimento di una nuova classe dirigente sempre più consapevole dei propri doveri e dei propri limiti, attenta alle esigenze della produttività ma non ad esse subalterna, tanto da disperdere, talora persino inconsapevolmente, la coscienza della ineliminabile, ontologica differenza tra fare giurisdizione e produrre una cosa.

Il Congresso di Orvieto ha segnato da questo punto di vista un momento di sintesi politica e progettuale di grande pregio, laddove senza enfasi, senza forzature, ha saputo individuare il profilo di un magistrato capace di proiettare e tutelare i valori della giurisdizione e dell’autogoverno nella modernità, coniugando efficienza, responsabilità, rigore, impermeabilità ambientale, assenza di pregiudiziali ideologiche e consapevolezza della ineludibile specificità della propria missione. 

L’impegno associativo non può ridursi a mera attività di protesta. Né l’impegno associativo può mutuare modelli di politicità seduttiva e di affiliazione personalistica. Il populismo è un male che dilaga non solo nella politica.

L’ impegno politico-associativo ha una sua specificità etica, simmetrica a quella che contraddistingue il magistrato.
 

ORGANIZZAZIONE DEGLI UFFICI DEL P.M.

Il fulcro della gerarchizzazione delle Procure va individuato nella opzione legislativa che attribuisce al Procuratore della Repubblica “la titolarità esclusiva dell’ azione penale”. Il D.Lvo 106/2006 ha soppresso l’ importante inciso per cui il Procuratore doveva esercitare tale prerogativa costituzionale, oltre che “nei modi e nei termini fissati dalla Legge”, “sotto la propria (esclusiva) responsabilità”, con ciò potendosi conseguenzialmente inferire che la responsabilità nell’ esercizio dell’ azione penale riacquista la sua valenza di “potere diffuso” mediante l’ “assegnazione” del procedimento al sostituto. La Legge 269/2006 peraltro, novellando lo stesso D.Lvo 106/2006, ha previsto che il Procuratore della Repubblica debba esercitare l’ azione penale personalmente o“mediante assegnazione” ad uno o più magistrati dell’ Ufficio. Il passaggio dalla nozione di “delega” a quella di “assegnazione”  ha ricondotto la riforma dell’ ordinamento giudiziario nell’ alveo della Costituzione.  

Alla luce delle delibere del CSM del 12 luglio 2007 e del 21 luglio 2009, e secondo la interpretazione costituzionalmente orientata del ruolo del Procuratore di cui le suddette delibere sono chiara espressione, deve ritenersi che il fulcro dei poteri gerarchici del Capo dell’ Ufficio si incentri nell’ esercizio di “poteri organizzativi”, ovvero si caratterizzi in termini di “gerarchia organizzativa”. Il Procuratore dovrà cioè esprimere un pregnante potere di indirizzo unitario che valga ad assicurare l’ esercizio dell’ azione penale in modo puntuale e uniforme. Tali poteri di indirizzo si traducono in un correlativo e leale dovere di informativa da parte dei sostituti, funzionale a consentire al Procuratore la verifica circa la puntuale attuazione dei criteri organizzativi dettati.

La revoca dell’ assegnazione in tale ottica dovrebbe porsi come la “extrema ratio” determinata dalla violazione da parte del magistrato assegnatario del fascicolo dei “criteri generali” pre-individuati per la trattazione di affari omogenei nell’ ambito del progetto organizzativo, ed eventualmente specificati in relazione ad un determinato procedimento, quale indicazione di dettaglio di una direttiva a carattere generale.

Se questa lettura costituzionalmente orientata ha un senso, essa non dovrebbe consentire  la revoca dell’ assegnazione del procedimento da parte del Procuratore per contrasti di contenuto sul merito delle opzioni definitorie, richiesta di archiviazione od esercizio dell’ azione penale, né su specifiche opzioni investigative adottate dal magistrato assegnatario ( espletare intercettazioni, fare interrogatori, perquisizioni, etc.), se non quando tali scelte si pongano in contrasto con i criteri organizzativi generali stabiliti dal Capo dell’ Ufficio. Al riguardo il principio dell’ autonomia del P.M. in udienza  ex art. 53 c.p.p. costituisce una ineludibile parametro di valutazione sistemica del ruolo del P.M., laddove non si comprende per quale ragione l’ ordinamento processuale continui a preservare la piena autonomia del P.M. chiamato a svolgere funzioni requirenti e non anche quello, che sia lo stesso od altro, chiamato a svolgere funzioni inquirenti. Questa interpretazione costituzionalmente orientata trova avallo nella risposta a quesito formulata dal CSM in data 6 marzo 2013, laddove l’ Organo di Autogoverno ha inteso evitare che con la designazione da parte del Procuratore di uno o più sostituti a rappresentare la pubblica accusa in udienza, da affiancare all’ originario titolare del fascicolo, si possa interferire con le conclusioni adottabili dal magistrato che ha diretto le indagini.      

Il positivo avviso espresso dal CSM con delibera del 21/9/2011 in ordine alla ricorrenza del potere di revoca da parte del Procuratore qualora insorga contrasto con il sostituto assegnatario circa le opzioni giurisdizionali da adottare, ovvero non nel caso di imputata violazione di regole  a carattere generale, a prescindere dai fatti concreti che ne hanno costituito il presupposto, non può che lasciare perplessi, laddove anche di recente, in data 4 novembre 2015, il Consiglio, rispondendo ad un quesito sul potere di visto del Procuratore in materia di richiesta di proroga alle operazioni di intercettazione, e valutando al riguardo la previsione organizzativa dell’ Ufficio interessato che consegnava al Dirigente tale prerogativa a partire dalla terza richiesta di proroga “, e ciò “ai fini di controllo dell’ impegno di spesa oltrechè di valutazione sulla opportunità investigativa”,  ha ritenuto di ribadire la natura di “mero strumento conoscitivo del visto”, analogamente alle eventuali previsioni organizzative sull’ “obbligo di riferire” da parte dei sostituti, “visto di conoscenza” strutturalmente diverso dall’ “assenso” legislativamente previsto in materia di misure cautelari.  Correttamente la pronunzia sopra citata richiama l’ orientamento espresso dal CSM in data 14/10/2009, laddove rispondendo ad un quesito in tema di liquidazione dei compensi ai CTU, l’ organo di Autogoverno ha rimarcato l’ autonomia del sostituto titolare del fascicolo nel provvedere alla liquidazione con decreto, e la conseguente impossibilità per l’ Aggiunto di “revocare” il provvedimento emesso dal magistrato assegnatario, obliterandone l’ autonoma valutazione giurisdizionale.

Queste pronunce segnano un confine di autonomia dei sostituti procuratori che dovrebbe essere rispettato.

L’ adozione di sequenze procedimentali regolamentate nella formazione dei progetti organizzativi e nella stessa adozione delle opzioni giurisdizionali più pregnanti, mediante il preventivo coinvolgimento di tutti i magistrati dell’ Ufficio,  potrà, naturalmente, prevenire i conflitti, stemperare le tensioni, al tempo stesso isolando i protagonismi e le distonìe personalistiche.

Tuttavia, ed occorre a mio parere rimarcarlo, anche considerata l’ attuale assenza di una normazione consiliare organica ed esaustiva in materia di Procure, soltanto la reintroduzione della disciplina prevista dall’ art. 7 ter dell’ Ordinamento previgente, con piena restituzione al CSM delle competenze costituzionalmente previste, potrebbe produrre un effetto di piena compatibilità tra indipendenza ed autonomia, anche interna all’ Ufficio, dei singoli magistrati del pubblico ministero e gerarchizzazione della Procure. In definitiva il Consiglio dovrebbe disporre di un effettivo potere di verifica ed eventuale indirizzo adeguativo laddove il progetto organizzativo non corrisponda ai precetti di Legge ed al complessivo assetto costituzionale della magistratura, valutazione questa non limitata al sindacato di professionalità del dirigente in vista della scadenza del quadriennio direttivo, ma finalizzata vieppiù a conformare e rettificare le aporìe  di un progetto organizzativo che valga a legittimare una interpretazione della gerarchizzazione in senso eccessivamente rigido. 

Il fulcro della mia riflessione finisce pertanto per incentrarsi essenzialmente sui criteri e le prassi di selezione della dirigenza da parte del Consiglio e sull’ ineliminabile contributo che le componenti culturali della magistratura associata possono dare alla promozione di quei magistrati che sappiano coniugare efficienza e valori della giurisdizione, tra cui “in primis” quello dell’ equilibrio, della continenza, della moderazione, del rigore e della assoluta trasparenza.

PROPOSTE FINALI 

  1. creazione di uno “statuto del Pubblico Ministero” che razionalizzi e sistematizzi tutti gli interventi consiliari in tema di Procure, di fatto normando anche quei profili rimasti in ombra, quali il ruolo ed i correlativi poteri dei Procuratori Aggiunti. Tale impegno di sistematizzazione dovrebbe estendere, ampliare i principi e le garanzie a tutela della autonomia dei sostituti, esplicitando e rendendo inequivoca la interpretazione costituzionalmente orientata del ruolo dei dirigenti e del complessivo assetto ordinamentale delle Procure.
     
  2. in questo impegno di rivisitazione sistemica, da compiersi a cura del CSM, dovrebbe essere introdotta anche una disciplina unitaria dei “visti” non espressamente previsti dalla Legge, come in materia di intercettazioni, riconducendo ad unitarietà una diversificazione tra Uffici davvero singolare, e ciò sempre in ossequio ad linea interpretativa che riconduca il ruolo e le prerogative del Dirigente alla sfera organizzativa e non al sindacato di merito delle opzioni giurisdizionali adottate dai sostituti.
     
  3. restituzione al CSM di un potere di sindacato effettivo dei progetti organizzativi varati dai Dirigenti, con  possibilità di emanare direttive cogenti che valgano a rendere conforme il progetto ai criteri generali contenuti nello Statuto;
     
  4. procedimentalizzazione compartecipativa nel varo del progetto organizzativo, con adeguato, e disciplinato, ruolo delle osservazioni formulate dai sostituti. Democratizzare gli Uffici di Procura non può significare volerne l’ anarchizzazione, ne sostenere un surrettizio depotenziamento delle prerogative del Dirigente, ma semmai formalizzare prassi virtuose già sperimentate, disciplinandone in maniera omogenea la cogenza.

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