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LA RESPONSABILITA’ DISCIPLINARE
La responsabilità disciplinare dei magistrati è regolata dalla L.109/2006, che ha abrogato il R.D. Lgs. n. 511/1946 (cosiddetta legge delle guarentigie).
Il controllo disciplinare risponde ad un’esigenza ineludibile dello Stato: quella di garantire la correttezza, il prestigio e l’autorevolezza di una delle funzioni fondamentali di un’organizzazione statuale, quella giurisdizionale, che possono essere assicurati solo da condotte dei soggetti che la esercitano immuni da inescusabili negligenze, scarso impegno, carenza di professionalità, parzialità, strumentalizzazioni.
La precedente normativa non tipizzava gli illeciti disciplinari, limitandosi a ritenere disciplinarmente rilevanti i comportamenti dei magistrati lesivi del prestigio dell’ordine giudiziario, ovvero dei comportamenti pregiudizievoli della fiducia e della considerazione di cui deve godere la magistratura.
Proprio la assoluta genericità delle ipotesi disciplinarmente rilevanti e la conseguente imprevedibilità delle decisioni emesse dagli organi disciplinari giustificò, con sempre maggiore convinzione, la ripetuta richiesta da parte dell’ANM di un intervento legislativo secondo la direttrice della tipizzazione degli illeciti e della predisposizione delle sanzioni in concreto applicabili.
Tale richiesta associativa sfociò nel D.Lgs. n. 109/2006, che, se da un lato conteneva una analitica tipizzazione delle fattispecie disciplinarmente rilevanti, dall’altro conteneva previsioni particolarmente punitive in relazione ai cosiddetti illeciti “di opinione”, perché lesivi della libertà di espressione cui devono godere tutti i cittadini. Non vi fu però bisogno di investire della questione il giudice costituzionale, posto che, a soli otto mesi dall’approvazione del D.Lgs. n. 109/2006, il legislatore intervenne nuovamente, attraverso la legge n. 269/2006, eliminando i cosiddetti illeciti di opinione ed introducendo la esimente di cui all’art. 3 bis, ovvero la non configurabilità dell’illecito disciplinare quando il fatto è di scarsa rilevanza.
A distanza di quasi dieci anni dall’entrata in vigore della L. 269/2006, è necessario fare un primo bilancio e comprendere in quale direzione deve muoversi la magistratura associata per sollecitare il interventi legislativi volti ad eliminare le criticità e le incongruenze che si sono manifestate nell’applicazione della normativa sulla responsabilità disciplinare dei magistrati.
Tipizzazione degli illeciti disciplinari e rapporti con la L.19/2015 sulla responsabilità civile dei magistrati
Certamente la tipizzazione degli illeciti costituisce una garanzia dell’autonomia e dell’indipendenza dei magistrati, che non possono essere sottoposti a procedimento disciplinare se non per i fatti espressamente previsti come illecito dal legislatore, in analogia con quanto avviene per l’azione penale.
Vanno, pertanto, scongiurate le proposte di introduzione di nuovi illeciti disciplinari incoerenti con l’attuale sistema di fattispecie tipiche.
Desta perplessità, quanto al profilo di indeterminatezza della fattispecie la previsione dell’art. 9 della L. 27.2.2015 n.18 sulla responsabilità civile dei magistrati. L’art. 9, modificato dalla l. 18/15 stabilisce che i titolari, diversi dal ministro, «devono» esercitare l’azione disciplinare «salvo che non sia stata già proposta». La questione forse più delicata che pone l’art. 9 è che con esso è stata introdotta una nuova fattispecie di illecito disciplinare, costituita, in sostanza, dalla condanna dello Stato al risarcimento del danno, salvo che non si ritenga che il fatto generatrice della responsabilità civile debba essere comunque riconducibile alle ipotesi previste dall’art. 2 d.leg. 109/06. Se così fosse, si dovrebbe ritenere la sussistenza di un’ulteriore fattispecie di illecito disciplinare oltre quelle contemplate dall’art. 2 D. Lvo 109/06. In giurisprudenza si rinvengano due decreti di archiviazione della Procura Generale della Cassazione (8 febbraio 2013,proc. n. 370/12/SD1 e 10 febbraio 2014, proc. n. 409/2013-SD1, emessi nella vigenza del precedente testo dell’art. 9), i quali hanno escluso che debba esercitarsi l’azione disciplinare a seguito dell’acquisita conoscenza della domanda risarcitoria.
L’ANM deve sostenere con forza che il principio costituzionale di legalità e tassatività debba essere applicato anche all’illecito disciplinare e manifestare ogni contrarietà alle ipotesi di una azione disciplinare per un fatto che non rientri nelle ipotesi tassativamente previste dal D. Lgs 109/06. L’ANM dovrà farsi carico di monitorare la giurisprudenza disciplinare nell’applicazione della normativa sulla responsabilità civile e, conseguentemente, sui risvolti in sede disciplinare.
Principio di offensività
Nell’ultimo quadriennio ad una interpretazione particolarmente rigorosa da parte della giurisprudenza della Sezione Disciplinare del CSM e delle Sezioni Unite della Cassazione si è accompagnata una tendenza da parte del legislatore di allargare l’area dei comportamenti disciplinarmente rilevanti. A titolo esemplificativo, si pensi all’art. art.81bisdisp. att. c.p.c. un 2° comma, introdotto con la L. d.l. 13 agosto, 2011 n. 138, convertito dalla l. 14 settembre 2011 n. 148, il quale prevede come illecito disciplinare il mancato rispetto dei termini fissati nel calendario del processo, senza tener conto delle innumerevoli difficoltà che quotidianamente il giudice incontra nel fissare le scadenze in caso di ruoli particolarmente gravosi e, a fortiori, nel rispetto dei termini, ove fissati.
Ancora più grave è la paventata previsione dei cosiddetti reati di opinione, che si atteggiano a misure punitive e non finalizzate a perseguire condotte pregiudizievoli per il prestigio e l’autorevolezza della magistratura, oltre che a comprimere la libertà di espressione del pensiero di cui deve godere il magistrato.
Bisogna evitare che l’allargamento delle ipotesi di responsabilità disciplinare e civile inducano il magistrato ad un atteggiamento timoroso delle conseguenze della sua attività e a degenerazioni burocratiche, che sviliscano la natura e l’essenza della funzione giurisdizionale.
Deve essere affermato con vigore il principio secondo cui va evitata ogni sovrapposizione tra responsabilità civile e disciplinare ma soprattutto la convinzione che la sanzione disciplinare ha lo scopo di punire comportamenti che in concreto arrechino pregiudizio al prestigio dell’ordine giudiziario ed alla fiducia che i cittadini ripongono nelle funzioni giurisdizionale.
Va, pertanto, censurato il paradigma “punire per educare” o la tentazione di applicare in modo automatico le ipotesi disciplinari senza che vi sia una effettiva offensività della condotta del magistrato, come è, purtroppo, accaduto negli ultimi anni ( si pensi, a titolo esemplificativo all’ipotesi del ritardo nella scarcerazione di un soggetto detenuto per altra causa o all’ipotesi di ritardi, anche gravi e reiterati, in relazione a provvedimenti che non arrecano pregiudizio al cittadino come le sentenze di cessazione della materia del contendere ecc).
Introduzione dell’istituto della riabilitazione
Una ulteriore proposta di cui la magistratura associata dovrà farsi fautrice è quella relativa all’introduzione dell’istituto della riabilitazione in favore dei magistrati attinti da sanzioni disciplinari più lievi come l’ammonimento o la censura; va accolta con favore la recente richiesta dell’apertura di una pratica ai sensi dell’art.10 L.195/58 da parte dei consiglieri di UNICOST del Consiglio Superiore della Magistratura.
A differenza degli altri pubblici dipendenti la L. 109/206 non prevede l’istituto della riabilitazione, nonostante l’espressa declaratoria di compatibilità dell’istituto con le funzioni giurisdizionali, come espressamente previsto dalla Corte Costituzionale con sentenza N.289/92, che ha tuttavia ritenuta che l’assenza dell’istituto della riabilitazione sia frutto di una espressa scelta legislativa.
L’aumento negli ultimi anni dei procedimenti disciplinari che hanno attinto i magistrati e le sanzioni comminate hanno risvolti negativi nel percorso professionale dei colleghi. Nonostante l’autonomia tra valutazioni di professionalità e sanzione disciplinare, è indubbio che trattasi di elemento di valutazione da parte degli organi di autogoverno, soprattutto nei casi più diffusi di sanzione inflitta per il ritardo nel deposito dei provvedimenti, che incide sul profilo della diligenza (nel quadriennio 2010 – 2014, i procedimenti per ritardi nel deposito di provvedimenti sono stati pari al 32,47% del totale, con sentenze di condanna all’incirca nel 49% dei casi). In molti casi i procedimenti riguardano giovani magistrati alle prese con ruoli particolarmente gravosi in sedi disagiate che, nello sforzo di far fronte ad un impegno gravoso e, spesso per inesperienza, accumulano ritardi consistenti, subendo condanne in sede disciplinare nonostante l’elevata laboriosità. L’esperienza maturata nel Consiglio Giudiziario dimostra, infatti, come magistrati scrupolosi e validi possano incappare nel procedimento disciplinare, con evidente frustrazione personale e con il rischio di burocratizzazione della funzione, in quanto in futuro cercheranno di rispettare i termini diminuendo la produttività o pregiudicando la qualità dei provvedimenti. Ancora più rilevante è l’incidenza della sanzione disciplinare nelle valutazioni per il conferimento degli incarichi direttivi o, talvolta anche per altri incarichi istituzionali (formatore decentrato, affidatario o collaboratore dei MOT).
L’istituto della riabilitazione per i magistrati attinti da sanzioni più lievi come l’ammonimento o la censura (con esclusione di quelle più gravi al fine di evitare la delegittimazione della magistratura nella “riabilitazione” di chi ha commesso gravi illeciti disciplinari) rappresenta un modo per evitare che un comportamento disciplinarmente rilevante costituisca un “marchio” che segni il magistrato in tutto il suo percorso professionale.
Formazione specifica sulla responsabilità civile e disciplinare
Dal contatto con i colleghi (e soprattutto con i giovani magistrati) emerge una scarsa conoscenza del sistema della responsabilità disciplinare, che, invece, appare necessario per comprendere non solo i comportamenti sanzionati ma anche le peculiarità del procedimento disciplinare, e ciò non tanto nell’ottica riduttiva della tutela personale del singolo quanto la necessaria consapevolezza del proprio status che non può prescindere della conoscenza di obblighi e doveri, anche deontologici, nell’ambito e fuori dell’esercizio delle funzioni.
La magistratura associata deve preoccuparsi di promuovere concretamente momenti di approfondimento della materia disciplinare non solo attraverso la formazione in sede istituzionale, ma anche autonomamente, attraverso seminari e convegni, al fine di stimolare la conoscenza della normativa ed il dibattito culturale su come essere magistrati nella società moderna.
Creazione di uno sportello per l’assistenza dei magistrati in caso di esposti, denunce ed apertura di un procedimento disciplinare
Una proposta concreta in chiave sindacale è di istituire uno “sportello” per i colleghi destinatari di denunce, esposti e, soprattutto per i magistrati attinti da procedimento civile e disciplinare, al fine di fornire informazioni sull’iter procedimentale e sulla giurisprudenza disciplinare oltre che fornire assistenza sulle eventuali strategie da adottare. Oltre alla messa a disposizione di materiale conoscitivo, sarebbe opportuno individuare un gruppo di magistrati che, avendo approfondito la materia, possano indirizzare i colleghi mettendo a disposizione la propria esperienza e, eventualmente, assumendo la difesa in sede disciplinare
CONCLUSIONI
UNICOST non è favorevole ad una difesa corporativa della magistratura, in tutte le sedi anche disciplinari, perchè violazioni e abusi devono essere perseguiti e giustamente sanzionati, ed anche situazioni di opacità devono essere verificate ed emendate subito, attraverso il monitoraggio e la vigilanza dei dirigenti degli uffici che devono essere sensibilizzati e responsabilizzati ad agire anche in prevenzione con l’utilizzo degli strumenti organizzativi a disposizione, nella convinzione che la magistratura al suo interno ha la capacità e la forza per affrontare e risolvere le singole situazioni anche laddove non vi siano profili strettamente disciplinari .