CSM VI Comm. – 16.07.2015 – Concorso II grado accesso in magistratura

Il Consiglio Superiore della Magistratura, nella seduta di oggi, ha approvato la delibera della VI Commissione (relatore Cons. MOROSINI), condivisa sin dalla fase preparatoria anche con la VII Commissione (presieduta dal Cons. ARDITURO), relativa a “disposizioni in materia di organizzazione degli uffici giudiziari e di Giustizia, nell’ambito del procedimento di conversione in legge del decreto 27 giugno 2015, n.83”. E’ importante sottolineare i punti fondamentali della risoluzione (qui allegata), che qualora accolti dal Legislatore, potranno avere risvolti positivi immediati sull’organizzazione e sul funzionamento degli uffici giudiziari. Nella risoluzione ci sono pure alcuni passaggi relativi a nuove proposte per l’accesso in magistratura. Si tratta di una risposta agli effetti negativi dell’attuale assetto normativo che ha dato vita ad un concorso sostanzialmente di II grado che penalizza gli aspiranti provenienti dai ceti meno abbienti. In plenum sul punto si è registrato un vivace dibattito dopo la presentazione da parte dei laici di centro-sinistra di un emendamento soppressivo della parte di delibera relativa alla proposta di riassetto del quadro normativo sui presupposti per la partecipazione al concorso. Quell’emendamento è stato bocciato a maggioranza, con i voti della componente togata del Consiglio.

PIANO STRAORDINARIO DI APPLICAZIONI EXTRADISTRETTUALI PER PROCEDIMENTI CONNESSI A IMMIGRAZIONE

Si sollecita un intervento normativo per l’introduzione di una norma che consenta applicazioni straordinarie di magistrati nelle realtà giudiziarie che devono fronteggiare l’emergenza connessa ai procedimenti di riconoscimento dello status di persona internazionalmente protetta e altri procedimenti giudiziari connessi al fenomeno della immigrazione. Le criticità del sistema di accoglienza dei tanti migranti in arrivo aumentano a dismisura quando sono ritardati i passaggi giudiziari connessi. Gli effetti sono sotto gli occhi tutti in termini non solo di costi per lo Stato e di interessi del crimine organizzato (v. inchiesta Mafia Capitale) ma soprattutto di condizioni di vita delle persone a causa del sovraffollamentodelle strutture di accoglienza.

Nella prospettiva di ricerca delle soluzioni che possano fronteggiare le situazioni più critiche, il CSM prevede la possibilità di predisporre un piano straordinario di applicazioni extradistrettuali, fino a un massimo di venti unità, previa ricognizione degli uffici maggiormente interessati e stabilendo “secondo criteri di urgenza le modalità per la procedura di interpello e la sua definizione”. L’applicazione potrà avere una durata di diciotto mesi, rinnovabile per un periodo non superiore ai 6 mesi, e al fine di incentivare le disponibilità si prevede un punteggio di anzianità aggiunto nelle procedure di trasferimento che riguardano per i magistrati
impegnati.

EFFICIENZA E DECENTRAMENTO – L’emendamento n.3, proposto nella delibera, punta a rendere più spedito ed efficiente il corso della giustizia penale e civile e dell’attività di autogoverno della magistratura. In primo luogo attraverso uno stretto raccordo e un’integrazione tra il programma per la gestione dei procedimenti pendenti che i capi degli uffici redigono ogni anno, ai sensi dell’art. 37 D.L. n.98/2011, e il documento organizzativo predisposto con cadenza triennale, in occasione della formulazione del progetto tabellare. Il capo dell’ufficio giudiziario in questo modo avrà la possibilità di determinare gli obiettivi di riduzione della durata dei procedimenti in un orizzonte temporale più ampio rispetto a quello contemplato dalla norma attualmente in vigore e parametrato al periodo di vigenza del progetto tabellare. Nello stesso emendamento sono contenute disposizioni volte a rendere più tempestiva la redazione dei pareri relativi alle procedure di valutazione comparativa per il conferimento degli incarichi direttivi e semidirettivi. Infine nell’ ottica dell’ “autogoverno di prossimità” e del decentramento, nell’emendamento in oggetto è prevista una “norma di copertura” per il Consiglio Superiore della Magistratura rispetto alla formulazione di atti di indirizzo con cui può delegare ai Consigli Giudiziari l’autorizzazione per lo svolgimento di incarichi di insegnamento per poche ore.

CADE L’ULTIMO DIVIETO PER MAGISTRATI DI PRIMA NOMINA L’emendamento n.4 affronta il tema del divieto di impiego dei magistrati ordinari in prima nomina nelle funzioni monocratiche penali, prevista dall’art.13 del decreto legislativo 160/2006. Un divieto rivelatosi irrazionale a livello ordinamentale e foriero di notevoli disfunzioni organizzative; soprattutto negli uffici di piccole dimensioni nelle sedi disagiate e con complesse composizioni tabellari con forte presenza di giovani magistrati. In buona parte quel divieto è stato eroso dall’intervento del legislatore del 2009 sulle funzioni di pubblico ministero. Ma l’irrazionalità della norma permane. Soprattutto per il divieto di funzioni monocratiche nel dibattimento penale proveniente da udienza preliminare, spesso esercitate da giudici onorari e negate a giudici professionali ancorchè di prima nomina.
Ma certamente andrebbe rivisto anche con riguardo alle ricadute sulle funzioni di giudice delle indagini preliminari e dell’udienza preliminare.
La proposta del Consiglio in questo caso prevede l’abrogazione dell’art.13 del decreto legislativo 5, ma vengono suggerite anche soluzioni alternative che distinguono le funzioni di giudice monocratico del dibattimento penale da quelle di giudice delle indagini preliminari e della udienza preliminare.
In altri termini, è una proposta che guarda alla efficienza organizzativa dei nostri uffici, e quindi alla durata ragionevole dei processi, senza intaccare giuste istanze di formazione progressiva di magistrati alle prime esperienze.

UTILIZZABILI LE DICHIARAZIONI GIA’ ACQUISITE ANCHE SE CAMBIA IL GIUDICE – L’emendamento n.5 si propone di rendere utilizzabili nell’ambito dei processi penali le prove dichiarative già rese nel corso del dibattimento, in caso di mutamento della persona del giudice monocratico o della composizione del giudice collegiale. Attraverso la modifica proposta all’art.511 del c.p.p., sarà il giudice a disporre che le dichiarazioni siano rinnovate soltanto se ne ravvisi l’esigenza o qualora riguardino fatti e circostanze diverse da quelle oggetto delle precedenti. Viene così superata una soluzione di matrice giurisprudenziale che ha determinato notevoli disfunzioni soprattutto nelle realtà di “frontiera” connotate da un frequente turn over del magistrati senza un effettivo incremento delle garanzie dell’imputato (il riesame dei testi quasi sempre si riduce ad un pigro “confermo quanto già dichiarato”, dopo una laboriosa attività di nuova citazione dei testi o delle persone di cui all’art.210 c.p.p.).

In questo modo si opta per una soluzione che bilancia gli interessi alla durata ragionevole del processo e al contraddittorio nella formazione della prova con l’interesse all’immediatezza, ponendo un rimedio alla spesso laboriosa e faticosa attività di citazione dei testimoni già escussi. E’ una proposta che mira, tra l’altro, a contrastare forme di “abuso del processo” che mirano alla prescrizione del reato.

Scarica il pdf