Delibera CSM 20.4.2016 sui poteri del Procuratore Generale

3) – 924/VV/2015 – APPROVATA IN PLENUM IL 20 APRILE 2016

Limiti e modalità di esercizio delle competenze del Procuratore generale della Repubblica presso la Corte d’Appello ai sensi dell’art. 6 D. legs. 106/2006 – quesito del Procuratore della repubblica presso il Tribunale di Torino (relatore ARDITURO – CANANZI)

Con nota del 14 dicembre 2014, il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Torino, ha formulato il seguente quesito, con richiesta al Consiglio Superiore della magistratura di volere ulteriormente precisare:

– i limiti delle competenze del Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte d’Appello ai sensi dell’art. 6  D. Lgs. 20 febbraio 2006 n. 106 ;

– se gli sia consentita dalla norma, oltre quella con i Procuratori della Repubblica del Distretto e con il Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione, una interlocuzione “esterna” con gli organi di polizia giudiziaria, persino con comunicazioni (e con direttive di fatto) dai contenuti non condivisi dai titolari dell’azione penale nel territorio di competenza.

Il quesito prendeva spunto da una vicenda che traeva origine dalla riunione tenutasi presso la procura generale di Torino in data 29 novembre 2015 convocata dal Procuratore generale con tutti i Procuratori della Repubblica presso i Tribunali del Distretto con all’ordine del giorno la “Adozione di eventuali linee guide in applicazione a seguito dell’entrata in vigore il 29 maggio 2015 della L. 22 maggio 2015 n. 68, inerente Disposizioni in materia di delitti contro l’ambiente”.

La riunione si concludeva senza che i presenti raggiungessero un orientamento comune sull’interpretazione della complessa disciplina ed in particolare sull’ambito di applicazione della normativa, discutendosi sul tipo di contravvenzioni a cui la nuova legge ed il relativo procedimento fosse applicabile, in relazione al tipo di pena prevista (questione controversa in dottrina e oggetto allo stato di diverse interpretazioni anche in altre sedi giudiziarie … ndr).  

Il Procuratore della Repubblica di Torino ha lamentato che il Procuratore generale, pur preso atto delle differenti opinioni ed interpretazioni su questo significativo punto, inviava ai Prefetti di tutto il Piemonte, al Presidente della giunta regionale della Valle d’Aosta, al Direttore dell’A.R.P.A. Piemonte e, per conoscenza, a tutti i Procuratori della Repubblica del Distretto, una nota con la quale rappresentava “la propria interpretazione di normative che hanno dato e continuano a dar luogo a disparate interpretazioni destinate a tradursi in sconcertanti diversità operative nell’ambito dello stesso distretto, se non addirittura all’interno di ciascun ufficio di Procura”.  La missiva terminava altresì con l’ invito ai destinatari “..di voler portare a conoscenza della presente tutte le forze di polizia giudiziaria e degli organi di vigilanza operanti nei territori di competenza”

Il Procuratore di Torino, evidenziando che in fatto tale missiva anche per il riferimento a tale ultimo punto si traduceva in una direttiva rivolta anche alle forze di polizia giudiziaria ed agli organi di vigilanza aventi poteri di accertamento, inviava agli stessi destinatari del circondario di Torino una sua nota nella quale ribadiva la propria diversa interpretazione, evidenziava che la nota de P.G. non poteva essere considerata come direttiva a cui le forze di polizia giudiziaria dovessero attenersi, ed allegava le proprie linee guida sul punto.

Orbene, va premesso che la risposta che spetta al Consiglio formulare non tocca minimamente il contenuto della diatriba interpretativa sulla portata della specifica legge, in quanto non è competenza consiliare quella di intervenire ex professo sull’interpretazione della legge processuale, tantomeno se sollecitato in questo senso da un ufficio giudiziario.

Si tratta invece di rispondere a quesiti di stretta natura ordinamentale che involgono pienamente le attribuzioni del Consiglio, anche in quanto attinenti al rapporto fra ufficio requirente di primo grado e ufficio requirente di secondo grado.

Del resto non può sfuggire che i fatti riportati e documentati hanno potuto determinare sconcerto negli autorevoli destinatari istituzionali delle missive cui si è fatto cenno, in quanto venivano comunicati indirizzi interpretativi e, di conseguenza, operativi contrastanti provenienti dalle diverse autorità requirenti del Distretto incidenti sul medesimo circondario di Torino.

Occorre tenere conto delle norme effettivamente incidenti sul tema in questione che possono così ricordarsi:

a)     l’art. 2 del decreto legislativo n. 106 del 2006, attribuisce al Procuratore della Repubblica, in quanto “titolare esclusivo dell’azione penale”  il dovere ex art. 1 co. 2 di “assicurare il corretto, puntuale ed uniforme esercizio dell’azione penale; il Procuratore determina fra l’altro anche “i criteri generali ai quali i magistrati addetti all’ufficio devono attenersi nell’impiego della polizia giudiziaria”e definisce “i criteri generali da seguire per l’impostazione delle indagini in relazione a settori omogenei di procedimenti”.

b)    L’art. 6 D.Legs 106/2006 attribuisce al procuratore generale un potere di vigilanza e di sorveglianza al fine di “verificare il corretto ed uniforme esercizio dell’azione penale ed il rispetto delle norme del giusto processo, nonché il puntuale esercizio da parte dei Procuratori della Repubblica dei poteri di direzione, controllo e organizzazione degli uffici ai quali sono preposti”. A tal fine acquisisce dati e notizie dalle Procure della Repubblica del distretto  e  sul punto invia al Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione  una relazione almeno annuale.

Ebbene, quanto al potere ex art. 6 del Procuratore generale, il Consiglio Superiore della Magistratura si è recentemente espresso con la delibera del 16 marzo 2016 che, sebbene avesse ad oggetto la materia specifica dell’antiterrorismo, contiene principi di carattere generale a cui può farsi integrale richiamo.

In quella sede si è chiaramente escluso un potere di coordinamento investigativo del Procuratore Generale e, contestualmente, si è inteso il potere ex art. 6 come un potere di vigilanza di cui in concreto e nella prassi si è declinata una accezione positiva di  ricognizione e di diffusione delle buone prassi, nonché di costante impulso e sollecitazione alla condivisione di comuni moduli organizzativi ed alla procedimentalizzazione della collaborazione fra uffici in alcuni settori strategici o in quelli che fisiologicamente esulano da competenze territoriali settoriali[1].

Tali sollecitazioni devono auspicabilmente trovare attuazione in protocolli o intese a livello distrettuale che, solo laddove risultino il frutto della unanime e condivisa  valutazione di tutti i procuratori del distretto, potranno pervenire a direttive di carattere generale distrettuale anche in materia di protocolli investigativi in senso stretto e di interpretazione condivisa di norme[2].

Ancora una volta, come da ultimo nella delibera del 16 marzo 2016 in materia di coordinamento antiterrorismo, deve richiamarsi il generale dovere di collaborazione istituzionale fra le diverse autorità giudiziarie, che si declina come uno spirito di coordinamento che, prima ancora che da disposizioni cogenti o di indirizzo, deve derivare naturalmente da una avanzata e matura cultura delle indagini che fa della collaborazione istituzionale e della ricerca di soluzioni condivise, uno dei degli elementi più nitidi della professionalità del pubblico ministero nel nostro ordinamento.

Dunque il perimetro del potere ex art. 6 D. Legs 106/2006 va in questi termini correttamente inquadrato e non consente al Procuratore generale di svolgere una funzione di coordinamento investigativo, se non nei casi e con gli stretti limiti in cui tale funzione è prevista espressamente dalla legge (cit. art. 118 bis disp.att., dell’art. 372 co. 1 bis) in forma sussidiaria, organizzativa e in ultima analisi “patologica” attraverso il potere di avocazione, ed in ogni caso attinente al rapporto interno fra uffici requirenti del Distretto.

Deve escludersi, di conseguenza,  un potere di direttiva esterna – rivolta agli organi di polizia giudiziaria ed a quelli amministrativi con poteri di accertamento  – che abbia ad oggetto protocolli investigativi o linee guida per l’interpretazione delle norme che incidano sullo svolgimento delle indagini, essendo tale potere demandato esclusivamente al Procuratore della Repubblica nell’ambito del più generale potere di assicurare il corretto puntuale ed uniforme esercizio dell’azione penalenel circondario.

Nell’ esercizio delle proprie competenze di vigilanza sul corretto, puntuale ed uniforme esercizio dell’azione penale nei circondari del Distretto, il Procuratore generale presso la Corte d’Appello ha invece il potere – dovere di richiedere informazioni, di riferire  al Procuratore generale della Corte di Cassazione sull’esito delle attività ex art. 6 svolte nel Distretto, nonché un più generale potere – dovere di operare per favorire soluzioni condivise, attivandosi attraverso atti di impulso e di coordinamento volti a pervenire a tale positivo ed auspicabile risultato.

In questi termini può rispondersi al quesito formulato ed indicato in premessa.


[1] Così testualmente nella delibera del 16 marzo 2016:  Si tratta, invero di poteri che vanno riconosciuti al procuratore generale nell’ambito della migliore interpretazione dell’art. 6 del D.l.vo 106/2006, che ha visto nel tempo stratificarsi, per effetto dell’azione del Procuratore generale presso la Corte di Cassazione, e con l’osservazione attenta della settima commissione consiliare, più che una interpretazione del contenuto di una norma apparsa inizialmente come una sorta di cuneo nelle maglie dell’autonomia degli uffici di primo grado, un vero e proprio metodo di lavoro, fatto della paziente e diffusa attività di armonizzazione, prima a livello distrettuale e poi a livello nazionale, delle migliori prassi di organizzazione applicate al settore investigativo e requirente.

[2] Ancora dalla citata delibera:Si tratta dunque di un compendio normativo che va maneggiato con cura in una doppia direzione, solo apparentemente antitetica e che invece, a ben guardare, rappresenta la corretta lente di osservazione di un delicato meccanismo nell’architettura dell’ordinamento: da un lato quella della precisa e puntuale interpretazione delle norme, che affidano al procuratore generale poteri circoscritti e procedimentalizzati, da interpretarsi senza tentazioni estensive che apparirebbero una forzatura rispetto al sistema; dall’altro quella della prassi virtuosa dell’applicazione dell’art. 6 e dei poteri di impulso e di vigilanza che, ben lungi dall’utilizzare la spuntata arma del principio di autorità e di gerarchia, affida all’autorevolezza del lavoro di coordinamento organizzativo il metodo per puntare all’uniformità dell’azione penale nel rispetto dell’autonomia dell’ufficio del pubblico ministero di primo grado.

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