Deontologia forense di Silvia Vitrò

Profili comparatistici della Magistratura

Testo rielaborato della lezione svolta presso l’Università degli studi di Torino in data 29/3/2019

Il magistrato italiano e le sue principali caratteristiche

L’ordinamento giuridico italiano è un sistema di civil law che si contrappone al common law inglese.

(Civil law: Sistema che si è sviluppato all’interno dell’aerea ove vi era il diritto romano-giustinianeo.

È caratterizzato dalla codificazione dei suoi principi fondamentali la quale funge da fonte primaria della legge (ad es Costituzione italiana). Lo scopo della codificazione è di fornire a tutti i cittadini le consuetudini e la raccolta scritta delle leggi che si applicano loro e che i giudici devono seguire. Il giudice si deve attenere il più possibile alla lettera della disposizione.

Common law: Sistema nativo della Gran Bretagna e in seguito si diffuse in tutte le colonie inglesi. Si tratta di un sistema giuridico di diritto non codificato che attribuisce valore vincolante alle pronunce passate dei giudici su fattispecie identiche o analoghe a quelle in esame -principio dello stare decisis).

Dall’unità d’Italia sino al 1946 la magistratura aveva una struttura gerarchica con al vertice il Ministro di Grazia e di Giustizia il quale si occupava della nomina dei giudici e del controllo del Pubblico Ministero che rappresentava il potere esecutivo presso l’autorità giudiziaria.

Il Pm e il giudice seguivano carriere parallele, ma distinte e il passaggio da una carriera all’altra avveniva solo in casi eccezionali. Solo nel 1890 le due carriere furono unificate.

Prima dell’avvento del fascismo l’organizzazione giudiziaria subì delle modifiche che ne determinarono l’autonomia e l’indipendenza, ma nel 1923 fu accentuata la struttura gerarchica dell’organizzazione giudiziaria; ciò determinò un forte controllo sulla magistratura.

La legge 12/1941 confermò ancora la struttura gerarchica-burocratica della magistratura, il Pm era sotto la direzione del Ministero di Grazia e di Giustizia che gli dettava direttive sull’esercizio dell’azione penale.

(Il pubblico ministero è il magistrato requirente, ossia è colui che si occupa della pubblica accusa, dell’esercizio dell’azione penale. In questo periodo il Ministero di Grazia e di Giustizia aveva un forte controllo sul Pm tant’è che poteva ordinargli di archiviare un processo o poteva disporne il trasferimento).

Con la riforma attuata con il Dlgs 288/1944 non si toccò ancora il vincolo di subordinazione tra Pm e Ministero, ma fu consentito al magistrato, nel caso in cui ritenesse di non dover esercitare l’azione penale, di chiedere al giudice istruttore (del tutto indipendente dal potere esecutivo) l’archiviazione e questo poteva accogliere o meno la richiesta.

La Legge delle Guarentigie del 1946 n. 511 eliminò la dipendenza del Pm dall’esecutivo: si passò dalla direzione alla mera “vigilanza’’ del Ministro di Grazia e di Giustizia e i pubblici ministeri furono dichiarati inamovibili. Nell’art 2.2 del suddetto decreto era prevista un’eccezione a questa inamovibilità, ossia il Ministro poteva disporre il trasferimento del Pm se “per qualsivoglia causa anche indipendente da loro non potessero nella loro sede amministrare giustizia nelle condizioni richieste dal prestigio dell’ordine giudiziario’’.

Con l’avvento della Costituzione nel 1948 si rafforzarono i principi di autonomia e indipendenza della magistratura.

Nel 1958 la legge 195 istituì il Consiglio Superiore della Magistratura che comportò l’eliminazione di qualsiasi vincolo di dipendenza tra il Pm e il Ministero di Giustizia e furono equiparati sotto il profilo delle garanzie i magistrati requirenti e quelli giudicanti.

L’indipendenza e l’autonomia devono essere garantiti prima ancora che il processo inizi e fanno riferimento al modo in cui è regolato lo status dei magistrati, ossia dalla nomina sino alla cessazione del servizio.

L’indipendenza è volta a preservare l’imparzialità e la terzietà del giudice. Non si tratta di un ‘’privilegio’’ che spetta al magistrato in quanto tale, ma è più che altro un dovere per il magistrato.

L’art 104 della Cost stabilisce che “La magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere” quindi non può essere soggetta a condizionamenti provenienti dal potere esecutivo o legislativo. Questo è l’articolo che prevede l’autonomia e l’indipendenza esterna dei giudici rispetto i poteri politici.

L’indipendenza interna invece la si trova nell’art 101.2 della Costituzione nell’inciso ‘‘i giudici sono soggetti soltanto alla legge” in virtù di questo principio i giudici, nello svolgere le proprie funzioni, non possono essere vincolati da ciò che non sia la legge.

Il principio di autonomia fa riferimento al principio di autogoverno della magistratura ed è sancito:

-dall’art. 102.1 Cost.: “La funzione giurisdizionale è esercitata da magistrati ordinari istituiti e regolati dalle norme sull’ordinamento giudiziario”;

– dall’art 105 della CostSpettano al Consiglio superiore della magistratura, secondo le norme dell’ordinamento giudiziario, le assunzioni, le assegnazioni ed i trasferimenti, le promozioni e i provvedimenti disciplinari nei riguardi dei magistrati”; tutte le decisioni riguardanti i giudici devono essere quindi prese dal Consiglio Superiore della Magistratura;

-dall’art. 105 Cost.: “I magistrati sono inamovibili. Non possono essere dispensati o sospesi dal servizio né destinati ad altre sedi o funzioni se non in seguito a decisione del CSM, adottata o per i motivi e con le garanzie di difesa stabilite dall’ordinamento giudiziario o con il loro consenso”;

-dall’art. 108 Cost.: “Le norme sull’ordinamento giudiziario e su ogni magistratura sono stabilite con legge”;

-dall’art. 54.2 Cost.: “I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina e onore, prestando giuramento nei casi stabiliti dalla legge”;

-dall’art. 97.2 Cost.: “I pubblici uffici sono organizzati  secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l’imparzialità dell’ammionistrazione”;

-dall’art. 98 Cost: “I pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione….Si possono con legge stabilire limitazioni al diritto di iscriversi ai partiti politici per i magistrati…”. 

E’ stata respinta la questione di legittimità costituzionale (sentenza Corte Cost. 224/2009) dell’art. 3, comma 1, lettera h), del decreto legislativo 25 febbraio 2006, n. 109 (Disciplina degli illeciti disciplinari dei magistrati, delle relative sanzioni e della procedura per la loro applicabilità, nonché modifica della disciplina in tema di incompatibilità, dispensa dal servizio e trasferimento di ufficio dei magistrati, a norma dell’articolo 1, comma 1, lettera f, della legge 25 luglio 2005, n. 150), nel testo sostituito dall’art. 1, comma 3, lettera d), numero 2), della legge 24 ottobre 2006, n. 269 (Sospensione dell’efficacia nonché modifiche di disposizioni in tema di ordinamento giudiziario), il quale configura quale illecito disciplinare sia il coinvolgimento nelle attività di soggetti operanti nel settore economico o finanziario che possono condizionare l’esercizio delle funzioni o comunque compromettere l’immagine del magistrato, sia l’iscrizione o la partecipazione sistematica e continuativa dello stesso a partiti politici.

In passato, del decreto-legge 3 maggio 1991 n. 141, recante «Divieto di iscrizione ai partiti politici per gli appartenenti alle categorie indicate nell’articolo 98, terzo comma, della Costituzione»,  si esaurirono presto gli effetti, non essendo avvenuta in tempo la conversione in legge e avendo il Governo rinunciato alla reiterazione.

L’autonomia e l’indipendenza del giudice sono garantiti anche dalla nomina che avviene mediante concorso pubblico indetto dal Ministero di Giustizia.

L’indipendenza, prima di tutto, è un dovere del giudice e nel momento in cui il magistrato tiene dei comportamenti che non lo fanno più apparire indipendente incorrerà in responsabilità. Responsabilità che presenta comunque dei limiti per poter preservare l’indipendenza dei giudici stessi.

L’indipendenza, quindi, rappresenta sia un limite alla responsabilità, ma è anche fonte di responsabilità, perché è impensabile che un qualsivoglia potere non abbia anche una responsabilità.

Codice deontologico italiano

L’attività dei magistrati negli ordinamenti contemporanei è soggetta, in un modo o nell’altro, a regole di comportamento di natura deontologica.

Deontologia significa regole di comportamento; è espressione della legge morale che ciascun uomo possiede in sé, ma è difficile tradurla in regole scritte.

Nella Legge delle XII tavole ci si rese conto che “non si potevano dare dei precetti a coloro che rivestivano le cariche di magistrature romane in merito ai loro doveri. Questi avrebbero dovuto trovare tutti il contenuto delle rispettive deontologie nel concetto di bene comune e nello spirito di dedizione alla patria”: due siano investiti del regio imperio, ed essi, dal presiedere, dal giudicare e dal provvedere si chiameranno pretori, giudice, consoli ed avranno il comando supremo dell’esercito; non saranno soggetti ad alcuno; il bene del popolo sarà per essi legge suprema. Questo è il principio fondamentale, ossia deontologia del magistrato significa agire, operare, svolgere la propria funzione per il bene comune, ciò perché è un funzionario dello Stato che deve agire a favore del popolo, seguire le loro cause e fare tutto ciò per il bene comune.

L’art. 18 della Legge sulle guarentigie, n. 511/1946, dispone: “è soggetto a sanzioni disciplinari il magistrato che manchi ai suoi doveri o tenga in ufficio, o fuori, una condotta tale da renderlo immeritevole della fiducia e della considerazione di cui deve godere, o che comprometta il prestigio dell’ordine giudiziario”.

E’ dunque imposto al magistrato, a fini deontologici, un determinato comportamento.

Che cosa è il prestigio della magistratura e quali sono i valori propri della stessa?

Si tratta di significati difficilmente individuabili a priori con un grado di sufficiente certezza, dipendono dalle idee politiche, sociali e dalla sensibilità di ciascun individuo, mutevoli nel tempo.

Le pronunce della sezione disciplinare del CSM rilevano per evidenziare l’assunzione di soluzioni diverse nel tempo per casi simili, a seconda del mutare dei costumi.

Alcune importanti indicazioni deontologiche sono altresì contenute nelle norme dell’ordinamento giudiziario previste dal R.D. 30/01/1941 n. 12, più volte modificato ed integrato nel corso della sua vigenza

L’art. 9 disciplina il giuramento dei magistrati disponendo che chi esercita funzioni giudiziarie deve giurare di “osservare lealmente le leggi dello Stato e di adempiere con coscienza i doveri inerenti al (suo) ufficio”. I parametri comportamentali richiamati dalla proposizione in esame sono ancora una volta la legge e poi la “coscienza”.

Anche prescindendo dall’elaborazione filosofica del concetto di coscienza, la coscienza può essere definita come il sentimento che ciascun individuo ha dei valori morali o come il criterio di giudizio del bene e del male

Ancora devono essere segnalati gli artt. 16, 17 e 18 in tema di incompatibilità delle funzioni di magistrato con altre funzioni o con l’assunzione di incarichi differenti previsti, nella ricostruzione dello stesso CSM, allo scopo e nella misura in cui, l’esercizio di diverse funzioni possa ledere l’efficienza, la funzionalità e l’indipendenza del soggetto magistrato e dell’Ordine.

Ci si è domandato se fosse necessario predisporre delle regole deontologiche più specifiche per questi soggetti che hanno già dentro di sé le regole morali, comportamentali, che svolgono la propria funzione a favore del bene comune. L’esperienza ci ha dimostrato che purtroppo queste regole servono. Le esigenze degli ordinamenti e la sfiducia che le persone nutrono nei confronti della magistratura hanno portato il legislatore a positivizzare le regole deontologiche anche nell’esercizio della funzione giurisdizionale. Ecco che oggi queste regole deontologiche sono presenti nei precetti costituzionali, leggi, clausole generali, codici etici ecc.

Si tratta più che altro di principi che servono all’applicazione delle regole disciplinari. Hanno più che un valore giuridico, un valore morale; violare queste norme non significa che si violi immediatamente una norma disciplinare o penale; la connessione è stretta e sono utili al Consiglio Superiore della Magistratura per controllare il comportamento dei magistrati.

Lo scopo di queste norme è “quello adeguare il comportamento del magistrato alle attese dei cittadini in ordine al servizio e non ad un astratto prestigio della magistratura.”

Dignità, correttezza, sensibilità, indipendenza e imparzialità del magistrato sono le espressioni che ricorrono in tutti i codici etici delle magistrature italiane.

Oltre alla deontologia “officiosa’’ c’è chi ritiene che ci debba essere anche la c.d “deontologia spicciola’’ ossia regole di buon senso che costituiscono un “corpo intimo ed essenziale di precetti deontologici, magari non tipizzati, ma forse più forti e utili agli operatori giudiziari. Tali regole sono frutto dell’esperienza pratica degli stessi magistrati.

Rientrerebbero nei doveri pratici dei magistrati la cura della propria preparazione professionale, l’astensione da richieste di assegnazione di incarichi senza averne le attitudini e capacità, evitare di ingerirsi e di influire su decisioni in tema di promozioni e trasferimenti, non omettere adempimenti e rilevare irregolarità processuali, informare sulla situazione processuale e sulle facoltà gli imputati magari meno provveduti, osservare gli orari di fissazione delle udienze, il fornire spiegazioni ai non addetti ai lavori circa quel che accade nel processo.’’

I codici di autoregolamentazione ex legge n. 146/1990 e n. 83/2000.

Nel 1990 il legislatore interviene adottando una legge, la n. 146, che disciplina lo sciopero nei servizi pubblici essenziali e che è stata più tardi modificata dalla successiva legge n. 83/2000.

Tra i servizi pubblici essenziali è, e non poteva essere altrimenti, compresa l’amministrazione della giustizia e l’esercizio delle relative funzioni.

Sebbene vi sia stato chi, sulla base del rilievo costituzionale della funzione giurisdizionale, ha dubitato che i magistrati siano titolari del diritto di sciopero, tale riconoscimento avviene implicitamente attraverso lo stesso art. 1 comma 2 della l. 83/2000, che contempla l’amministrazione della giustizia nel novero dei servizi pubblici essenziali ai fini del bilanciamento dei diritti degli scioperanti e dei cittadini.

Tra le prescrizioni imposte dalla normativa in commento vi era anche quella che imponeva alle associazioni dei lavoratori dei pubblici servizi essenziali, di adottare misure idonee a garantire, durante il periodo di sciopero, l’erogazione delle prestazioni indispensabili. Misure che dovevano essere contenute nei contratti collettivi o in codici di autoregolamentazione per i lavoratori autonomi, da sottoporre al giudizio della Commissione di Garanzia.

L’autoregolamentazione è stata adottata da tutte le categorie di magistrati che si sono dotati di norme di comportamento, quindi deontologiche, contenute in codici così detti di autoregolamentazione

La dottrina ha evidenziato come la forma del codice di autoregolamentazione da parte delle associazioni di magistrati, fosse l’unica forma possibile per la fissazione delle regole di comportamento richiesta dalla legge in esame.

Non solo infatti non sarebbe individuabile una vera e propria controparte contrattuale nel rapporto di lavoro ma l’esclusione della magistratura dai rapporti di lavoro privatizzati e la prevalenza del rapporto di d’ufficio su quello di servizio, impediscono una regolamentazione di tipo contrattuale.

Il d. lgs. n. 29/1993 e i codici etici delle magistrature.

CONFRONTO “DEONTOLOGICO’’ tra le varie magistrature presenti nell’ordinamento italiano.

In concomitanza con identici fenomeni in molti settori del mondo degli affari, delle professioni intellettuali, dei servizi pubblici anche nell’ambito della magistratura sono stati adottati dei codici (così detti “etici”) comportamentali.

Nel nostro ordinamento i codici etici delle magistrature, caratteristica alquanto peculiare, trovano il loro fondamento direttamente in norme di legge che ne prevedono l’adozione obbligatoria. L’art. 58 bis del D. Lgs. 3 febbraio 1993 n. 29 come modificato dall’art. 26 del D. Lgs. 23 dicembre 1993 n. 546 dispone infatti che “per ciascuna magistratura e per l’avvocatura dello Stato, gli organi delle associazioni di categoria, adottano entro il termine di centoventi giorni dall’entrata in vigore del presente decreto, un codice etico che viene sottoposto all’adesione degli appartenenti alla magistratura interessata. Decorso inutilmente detto termine il codice è adottato dall’organo di autogoverno”.

Dalla lettera di questo articolo si evince che nel nostro sistema giudiziario sono presenti diverse magistrature. Difatti i magistrati italiani possono essere di diverse tipologie e ognuna di queste ha una deontologia differente.

  • ordinari: civili e penali
  • • amministrativi: Consiglio di Stato, TAR
  • • contabili: Corte dei conti
  • • tributari: Commissioni provinciali e, per l’appello, in Commissioni regionali
  • • militari.
  • Onorari: dal 2016 le cariche di giudice di pace, giudice onorario aggregato, giudice onorario i tribunale e il vice procuratore onorario sono stati unificati sotto la figura del giudice onorario di pace.

Le magistrature dell’ordinamento italiano hanno raccolto l’imposizione del legislatore e le associazioni rappresentative hanno adottato codici etici di comportamento.

Si sono dotate di un codice etico la magistratura ordinaria con il codice etico adottato dall’Associazione Nazionale Magistrati con delibera del 12/07/1994, la magistratura dei Magistrati del Consiglio di Stato con delibera del 28/04/1994, la magistratura dei Magistrati amministrativi dei Tribunali Amministrativi Regionali con delibera del 13/05/1994, i Giudici di Pace con il codice etico deliberato dall’Associazione Nazionale dei Giudici di Pace, i magistrati della Corte dei Conti con delibera del 28/04/1994, l’Avvocatura dello Stato con delibera del 05/05/1994. Il testo di tali codici può essere reperito oltre che sui siti internet delle diverse associazioni professionali dei magistrati anche ad esempio sulla rivista Documenti Giustizia, 1994, fac. N. 7 e 8.

Non lo hanno fatto la magistratura tributaria, i magistrati onorari e la magistratura militare.

Tra l’altro, la magistratura onoraria si differenzia dalla magistratura ordinaria per quanto riguarda la modalità d’accesso che avviene per titoli e non mediante concorso pubblico. Figura nata nel 1991 ma attuata solo a partire dal 1995. Nel corso degli anni la sua disciplina ha subito varie modifiche. Precedentemente il loro compenso dipendeva dal numero di provvedimenti che adottassero, ma a partire dal 2016 fu prevista una parte fissa di retribuzione e una variabile. Si tratta di una carica temporanea che dura 4 anni e sono possibili sino a 2 rinnovi, per un totale massimo di 12 anni di servizio.

Più specificamente:

La legge 28 aprile 2016, n. 57 recante “Delega al Governo per la riforma organica della magistratura onoraria e altre disposizioni sui giudici di pace”, è stata pubblicata in Gazzetta Ufficiale 29 aprile 2016, n. 99.

La delega prevede il riassetto complessivo dell’ordinamento dei magistrati onorari ed un ampliamento significativo delle competenze civili e penali.

Queste le principali novità sul piano ordinamentale:

  • è prevista un’unica figura di giudice onorario, denominato “giudice onorario di pace“: cade così la distinzione tra giudici onorari di tribunale (i cd. GOT) e i giudici di pace;
  • i magistrati requirenti onorari (i cd. VPO) saranno inseriti all’interno delle procure in un’articolazione denominata “ufficio dei vice procuratori onorari“;
  • sono previsti inoltre specifici requisiti di accesso alla magistratura onoraria e cause di incompatibilità;
  • la durata dell’incarico di magistrato onorario è stabilita in quattro anni, rinnovabile per una sola volta; per chi invece sarà già in servizio all’entrata in vigore del decreto delegato il limite massimo è di quattro quadrienni;
  • al termine dei due mandati a regime, lo svolgimento delle funzioni di magistrato onorario costituirà titolo preferenziale per l’accesso tramite concorso nella pubblica amministrazione;
  • il Governo dovrà individuare le fattispecie di illecito disciplinare e regolare il procedimento di applicazione;
  • sarà riformata la disciplina delle indennità dei magistrati onorari, che sarà composta da una parte fissa e da una parte variabile il cui importo sarà liquidato dal presidente del tribunale e dal procuratore della repubblica in relazione al grado di raggiungimento degli obiettivi da essi fissati annualmente;
  • sul piano previdenziale dovrà essere individuato e regolato un regime previdenziale e assistenziale compatibile con la natura onoraria dell’incarico, senza oneri per la finanza pubblica, mediante l’acquisizione delle risorse necessarie mediante misure incidenti sull’indennità;
  • il limite di età per l’incarico di magistrato onorario è fissato in 65 anni.

Sul fronte delle competenze civili le principali novità riguardano:

  • l’attribuzione dei procedimenti di volontaria giurisdizione in materia di condominio;
  • l’attribuzione dei procedimenti di volontaria giurisdizione in materia successoria e di comunione di minore complessità quanto all’attività istruttoria e decisoria;
  • l’estensione della competenza per valore fino a 30 mila euro (dai 5 mila attuali) e per i sinistri stradali fino a 50 mila euro (oggi è 30 mila);
  • l’assegnazione dei procedimenti di espropriazione mobiliare presso il debitore e di espropriazione di cose del debitore in possesso di terzi; il giudice di pace dovrà comunque seguire le direttive di un giudice togato indicato dal presidente del tribunale;
  • la possibilità di decidere secondo equità tutte le cause di valore fino a 2.500 euro (oggi il limite è di 1.100 euro).

Sul piano della competenza penale, saranno attribuite al giudice di pace nuove fattispecie di reato: la minaccia (art. 612, commi 1 e 2 c.p., salvo che sussistano altre circostanze aggravanti), il furto perseguibile a querela (art. 626 c.p.), il rifiuto di prestare le proprie generalità (art. 651 c.p.), l’abbandono di animali (art. 727 c.p.), le contravvenzioni riguardante specie animali e vegetali selvatiche protette (art. 727-bis c.p.) ed i fitofarmaci e presidi delle derrate alimentari (art. 6 legge n. 283/1962).

Attuazione legge delega: DECRETO LEGISLATIVO 13 luglio 2017, n. 116

Riforma organica della magistratura onoraria e altre disposizioni sui giudici di pace, nonche’ disciplina transitoria relativa ai magistrati onorari in servizio, a norma della legge 28 aprile 2016, n. 57. (17G00129) (GU Serie Generale n.177 del 31-07-2017)

note: Entrata in vigore del provvedimento: 15/08/2017, ad eccezione delle disposizioni dell’articolo 27, che entrano in vigore il 31 ottobre 2021, salvo quelle di cui al comma 1, lettera a), numero 1, lettera c), numero 2), e al comma 3, lettera d), capoverso «Art. 60-bis», e lettera e) del medesimo articolo, che entrano in vigore il 31 ottobre 2025 e ad eccezione delle disposizioni dell’articolo 28, che entrano in vigore il 31 ottobre 2021.

Il primo decreto attuativo

Con il decreto legislativo n. 92 del 2016 il Governo ha attuato la più urgente delle deleghe conferite dalla legge n. 57/2016, consentendo il mantenimento in servizio dei giudici di pace, dei giudici onorari di tribunale e dei vice procuratori onorari che esercitavano le funzioni alla data di entrata in vigore del decreto, a condizione che gli stessi fossero ritenuti idonei a svolgere le funzioni onorarie all’esito di una procedura di conferma straordinaria, disciplinata dallo stesso decreto.

Il provvedimento, in particolare, ha assegnato ai magistrati onorari in servizio, in attuazione delle direttive di delega, un primo mandato quadriennale, espressamente condizionato all’esito positivo della citata procedura di conferma straordinaria. La disciplina dei successivi tre mandati quadriennali, espressamente prevista dalla legge 57, viene riservata ad un successivo decreto legislativo, che dovrà attuare compiutamente la delega.

Il decreto legislativo n. 92 del 2016 prevede, inoltre, che i magistrati onorari sottoposti a conferma permangano in servizio, ex lege, sino alla definizione della procedura e che gli effetti della conferma nell’incarico operino a decorrere dalla data di entrata in vigore del decreto, così garantendo il loro mantenimento in servizio senza soluzione di continuità.

Il provvedimento, infine, disciplina la nuova composizione della sezione autonoma per i magistrati onorari del consiglio giudiziario (finora contraddistinta dalla presenza di soli giudici di pace), prevedendo la presenza di rappresentanti sia dei giudici onorari di pace che dei vice procuratori onorari. Sono indette elezioni straordinarie relative esclusivamente alla nuova componente onoraria delle sezioni autonome dei consigli giudiziari, con espressa rieleggibilità dei giudici di pace eletti nel corso dell’ultima procedura elettorale.

La riforma introdotta con il decreto legislativo n. 116 del 2017

Il decreto legislativo n. 116 del 2017, in attuazione della delega conferita dalla legge n. 57 del 2016, ha proceduto ad una complessiva riforma della magistratura onoraria.

In base alla riforma, l’incarico di magistrato onorario presenta le seguenti caratteristiche:

  • ha natura inderogabilmente temporanea;
  • si svolge in modo da assicurare la compatibilità con lo svolgimento di attività lavorative o professionali (per assicurare tale compatibilità, a ciascun magistrato onorario non può essere richiesto un impegno superiore a due giorni a settimana);
  • non determina in nessun caso un rapporto di pubblico impiego.

Il decreto legislativo supera, nel settore giudicante, la bipartizione tra giudice di pace e giudice onorario di tribunale (GOT) prevedendo un’unica figura di “giudice onorario di pace”,magistrato addetto all’ufficio del giudice di pace. All’esito della riforma, il complesso della magistratura onoraria risulta, quindi, costituita da:

  • giudici onorari di pace, magistrati onorari che sono obbligatoriamente assegnati per i primi due anni dal conferimento dell’incarico allufficio per il processo, la struttura organizzativa costituita presso il tribunale del circondario a supporto dell’attività del magistrato togato; successivamente, i giudici onorari di pace possono essere assegnati all’ufficio del giudice di pace per esercitare la giurisdizione in materia civile e penale e la funzione conciliativa.

Presso l’ufficio per il processo i giudici onorari di pace coadiuvano il giudice togato compiendo tutti gli atti preparatori utili per l’esercizio della funzione giurisdizionale; in particolare, il giudice professionale può delegare alcune funzioni al giudice onorario (es. assunzione dei testimoni, tentativi di conciliazione) nonché la pronuncia di provvedimenti definitori in specifiche materie (es. procedimenti di volontaria giurisdizione in materie diverse dalla famiglia, previdenza e assistenza obbligatoria, cause relative a beni mobili di valore non superiore a 50.000 euro, cause di risarcimento del danno prodotto dalla circolazione dei veicoli e dei natanti, purché il valore della controversia non superi 100.000 euro); in riferimento a tutte le attività delegate, il giudice onorario di pace si attiene alle direttive concordate con il giudice professionale, titolare del procedimento.
Inoltre, la riforma consente – al ricorrere di situazioni di carenze di organico o di criticità nello smaltimento dell’arretrato tassativamente indicate – di assegnare procedimenti civili e penali ai giudici onorari di pace con più di due anni di esperienza nell’incarico, indicando specifiche esclusioni (ad esempio, nel settore civile i procedimenti di impugnazione avverso i provvedimenti del giudice di pace, i procedimenti in materia di rapporti di lavoro, in materia societaria e fallimentare, in materia di famiglia, ecc.; in campo penale sono esclusi i procedimenti diversi da quelli previsti dall’articolo 550 c.p.p., riguardanti i casi di citazione diretta a giudizio, le funzioni di GIP e GUP, i procedimenti di appello avverso i provvedimenti del giudice di pace, ecc.). Inoltre, i giudici onorari di pace che sono inseriti nell’ufficio per il processo, quando sussistono determinate condizioni e con specifiche modalità, possono essere destinati a comporre i collegi civili e penali del tribunale (del collegio non può comunque far parte più di un giudice onorario di pace): la riforma preclude la possibilità che il giudice onorario di pace possa essere destinato, per il settore civile, a comporre i collegi giudicanti dei procedimenti in materia fallimentare e i collegi delle sezioni specializzate, per il settore penale, a comporre i collegi del tribunale del riesame ovvero qualora si proceda per i reati di particolare gravità indicati nell’articolo 407, comma 2, lettera a) c.p.p. Infine, il giudice onorario di pace potrà svolgere funzioni di supplenza del giudice professionale all’interno del collegio, in caso di impedimento o assenza temporanei.
Presso l’ufficio del giudice di pace i giudici onorari di pace esercitano la giurisdizione in materia civile e penale, come previsto dai codici di rito (e dunque sostanzialmente come nella disciplina precedente alla riforma) e la funzione conciliativa in materia civile. L’ufficio del giudice di pace, prima della riforma sotto la direzione di un coordinatore-giudice di pace, è ora coordinato dal presidente del tribunale, che provvede alla distribuzione del lavoro, mediante il ricorso a procedure automatiche, tra i giudici onorari di pace e che vigila sul loro operato, esercitando ogni altra funzione di direzione che la legge attribuisce al dirigente dell’ufficio giudiziario: a seguito della riforma, dunque, l’ufficio del giudice di pace perde la propria autonomia funzionale;

  • vice procuratori onorari (cd. VPO), magistrati onorari inseriti nell’ufficio di collaborazione del procuratore della Repubblica, cioèin una struttura organizzativa analoga all’ufficio del processo, costituita presso ciascuna procura. Spetta al procuratore della Repubblica coordinare l’ufficio distribuendo il lavoro attraverso il ricorso a procedure automatiche e vigilare sulle attività svolte dai VPO, avvalendosi dell’ausilio di uno o più magistrati professionali.
    Ai vice procuratori onorari sono attribuiti compiti ausiliari (studio dei fascicoli, approfondimento giurisprudenziale e dottrinale e predisposizione delle minute dei provvedimenti) e – dopo un anno dal conferimento dell’incarico – compiti e attività delegate. Si tratta, con riguardo ai procedimenti penali di competenza del giudice di pace, delle funzioni del PM nell’udienza dibattimentale nonché dei provvedimenti di chiusura delle indagini preliminari, di archiviazione e la formulazione delle richieste del pubblico ministero, dei procedimenti in camera di consiglio; con riguardo ai procedimenti nei quali il tribunale giudica in composizione monocratica, ad esclusione di quelli relativi ai delitti di cui agli articoli 589 (omicidio colposo) e 590 (lesioni personali colpose) c.p. commessi con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, il VPO può svolgere, per delega del procuratore della Repubblica e secondo le direttive stabilite in via generale dal magistrato professionale che ne coordina le attività, le funzioni di PM nell’udienza dibattimentale, nell’udienza di convalida dell’arresto, per la richiesta di emissione del decreto penale di condanna, nei procedimenti in camera di consiglio. Inoltre, il VPO delegato può assumere le determinazioni relative all’applicazione della pena su richiesta nei procedimenti relativi ai reati per i quali l’azione penale è esercitata con decreto di citazione diretta e, in relazione ai medesimi reati, può avanzare richiesta di archiviazione, nonché svolgere compiti e attività, anche di indagine.

La riforma disciplina i requisiti per il conferimento dell’incarico, i titoli di preferenza e le incompatibilità, prevedendo particolari preclusioni con riguardo a coloro che esercitano la professione forense.

Spetterà al CSM, ogni biennio, individuare i posti vacanti e bandire il relativo concorso; gli interessati potranno presentare, in relazione ai posti individuati, domanda di ammissione al tirocinio per non più di tre uffici dello stesso distretto. La graduatoria sarà predisposta dalla sezione autonoma per i magistrati onorari del consiglio giudiziario e deliberata, in relazione a ciascun ufficio, dal CSM che ammetterà al tirocinio un numero di interessati pari, ove possibile, al numero dei posti individuati, aumentato della metà.

Il tirocinio del magistrato onorario – organizzato dal CSM e dalla Scuola superiore della magistratura – ha una durata di 6 mesi, non dà diritto ad indennità, ed è svolto sotto la direzione di un magistrato collaboratore, tanto presso l’ufficio giudiziario (tribunale o procura) quanto attraverso la frequenza obbligatoria e con profitto di corsi teorico-pratici di durata non inferiore a 30 ore, organizzati dalla citata Scuola superiore. Al termine del tirocinio, la sezione autonoma del Consiglio giudiziario formula un parere sull’idoneità del magistrato onorario in tirocinio e, per ciascun ufficio, propone al CSM la graduatoria degli idonei. L’incarico è formalmente conferito con decreto del Ministro della giustizia.

Quanto alla durata dell’incarico, la riforma prevede che l’incarico di magistrato onorario:

  • dura 4 anni e alla scadenza può essere confermato – a domanda e all’esito di un procedimento di verifica delle capacità e dell’attività svolta – per ulteriori 4 anni;
  • non può, in ogni caso, essere esercitato per più di 8 anni (in precedenza 12), anche non consecutivi;
  • cessa comunque al compimento dei 65 anni di età (in precedenza 75 anni).

Il decreto legislativo n. 116 del 2017 disciplina inoltre i doveri del magistrato onorario, gli obblighi di astensione e le ipotesi di ricusazione, la decadenza, la dispensa e alla revoca dell’incarico; sono disciplinate, inoltre, le attività di formazione permanente dei magistrati onorari, tra le quali riunioni trimestrali organizzate dal presidente del tribunale (o dal procuratore della Repubblica) aventi ad oggetto, oltre che lo scambio di esperienze e prassi, anche l’esame delle più rilevanti questioni giuridiche affrontate dai magistrati onorari nonché le soluzioni adottate.

Quanto all’indennità, la riforma individua la misura dei compensi annuali lordi del magistrato onorario, specificando che per l’esercizio delle funzioni e dei compiti previsti dal decreto legislativo tali compensi sono onnicomprensivi. In particolare, la riforma:

  • conferma che l’indennità spettante ai magistrati onorari si compone di una parte fissa e di una parte variabile di risultato;
  • individua in 16.140 euro all’anno lordi (misura comprensiva di oneri previdenziali e assistenziali) dell’indennità fissa da corrispondere ai magistrati onorari che esercitano funzioni giudiziarie;
  • prevede che ai magistrati onorari che non esercitano funzioni giudiziarie sia corrisposta una indennità fissa pari all’80% dell’indennità prevista per i magistrati onorari che esercitano le funzioni giudiziarie, ovvero 12.912 euro;
  • esclude il possibile cumulo dell’indennità per l’esercizio delle funzioni giudiziarie con quella per l’esercizio delle funzioni non giurisdizionali, prevedendo che quando un magistrato onorario svolge entrambe le attività, la misura dell’indennità fissa è quella prevista per i compiti e le attività svolti in via prevalente;
  • demanda al presidente del tribunale la determinazione degli obiettivi che i giudici onorari di pace dovranno raggiungere nell’anno solare, sia che esercitino la giurisdizione presso l’ufficio del giudice di pace o presso il tribunale, sia che svolgano attività non giurisdizionali nell’ufficio del processo.
  • demanda al procuratore della Repubblica l’adozione di analogo provvedimento, nei medesimi termini, per la determinazione degli obiettivi che dovranno raggiungere i vice procuratori onorari;
  • assegna al CSM il compito di adottare una delibera per definire i criteri in base ai quali fissare gli obiettivi nonché le procedure per la valutazione della realizzazione degli stessi;
  • individua in una percentuale tra il 15% e il 30% dell’indennità fissa, la misura della parte variabile di risultato, connessa al raggiungimento degli obiettivi;
  • prevede che la malattia, l’infortunio e la gravidanza dei magistrati onorari non comportano dispensa dall’incarico, la cui esecuzione rimane sospesa senza diritto all’indennità.

In base alla riforma, questo è il quadro dei compensi annui lordi che possono essere corrisposti ai magistrati onorari.

Rispetto alla normativa previgente, soprattutto quella sui giudici di pace, è evidente come la riforma realizzi una drastica riduzione delle indennità. Peraltro, lo stesso decreto legislativo dispone che per la liquidazione delle indennità dovute ai magistrati onorari in servizio alla data di entrata in vigore della riforma continuino ad applicarsi, per 4 anni, le disposizioni previgenti.

Spetterà ad un D.M. Giustizia, da emanarsi entro il 15 febbraio 2018, acquisito il parere del CSM, determinare il ruolo organico dei giudici onorari di pace e dei viceprocuratori onorari e la pianta organica degli uffici del giudice di pace. Con il decreto il Ministro dovrà altresì stabilire quanti giudici onorari di pace eserciteranno la giurisdizione civile e penale presso l’ufficio del giudice di pace e quanti, invece, saranno inseriti nell’ufficio per il processo del tribunale.

In occasione della riforma il legislatore ha ampliato le competenze del giudice di pace in materia civile e tavolare.

In particolare, in relazione all’aumento delle competenze civili, le principali novità riguardano: l’attribuzione di alcuni procedimenti di volontaria giurisdizione connotati da minore complessità quanto all’attività istruttoria e decisoria; l’estensione della competenza per valore nelle cause relative a beni mobili (fino a 30.000 euro dai precedenti 5.000) e per i sinistri stradali (fino a 50.000 euro anzichè 20.000); – l’assegnazione dei procedimenti di espropriazione mobiliare; Ia possibilità di decidere secondo equità tutte le cause di valore fino a 2.500 euro (il limite era di 1.100 euro).

Sul piano delle competenze penali, il decreto non ha attuato la delega che attribuiva al giudice di pace nuove fattispecie di reato: la minaccia (art. 612, commi 1 e 2 c.p., escluse le ipotesi aggravate); il furto perseguibile a querela (art. 626 c.p.), il rifiuto di prestare le proprie generalità (art. 651 c.p.), l’abbandono di animali (art. 727 c.p.), le contravvenzioni riguardante specie animali e vegetali selvatiche protette (art. 727-bis c.p.) ed i fitofarmaci e presidi delle derrate alimentari (art. 6 legge n. 283/1962).

Infine, il decreto legislativo n. 116 del 2017 ha disposto circa la durata dell’incarico, le funzioni e i compiti e l’indennità spettante ai magistrati onorari in servizio alla data di entrata in vigore della riforma. Tali magistrati possono essere confermati, alla scadenza del primo quadriennio, per ciascuno dei tre successivi quadrienni (fermo restando il limite di età, fissato a 68 anni). La conferma ha luogo a domanda e secondo il procedimento delineato dalla riforma.

Il provvedimento non ha dato attuazione – come precisato dallo stesso Governo, sulla base del rispetto del carattere di onorarietà dell’incarico – alla materia dei trasferimenti (d’ufficio e a domanda) dei magistrati onorari nonché alla materia disciplinare. Analogamente, risulta inattuata la delega sull’ampliamento della competenza penale del magistrato onorario.

Circa i magistrati onorari, in passato:

Per i Giudici di Pace è l’art. 10 della legge n. 374/1991, così come modificato dalla legge n. 468/1999 che prevede: “Il Giudice di Pace è tenuto all’osservanza dei doveri previsti per i magistrati ordinari…”. Per i magistrati onorari del Tribunale, l’art. 42 della legge sull’ordinamento giudiziario stabilisce poi che “Il Giudice onorario di Tribunale è tenuto all’osservanza dei doveri previsti per i magistrati ordinari in quanto compatibili” mentre l’art. 71 della stessa legge, in relazione alla figura dei vice procuratori onorari, prevede che ad essi si applicano le disposizioni di cui agli artt. 42-ter, 42-quater, 42-quinquies, 42-sexies, prevedendo che tali soggetti possano essere revocati d’ufficio nei casi di inosservanza dei doveri inerenti al medesimo ufficio.

Sorgono dei dubbi deontologici per la magistratura amministrativa soprattutto per quanto riguarda il consiglio di stato e la corte dei conti, poiché parte dei loro membri sono di nomina governativa e questo fa suscitare dubbi in merito all’indipendenza dell’intero corpo.

L’argomento della prevenzione di conflitti di interessi e dell’incentivazione di comportamenti corretti in riferimento alla posizione delle magistrature speciali è tra i più delicati, in funzione delle alte funzioni affidate, in particolare, al Consiglio di Stato ed alla Corte dei conti.

La riforma di cui alla legge n. 205 del 2000 ha – al fine di accrescere l’indipendenza della giurisdizione del complesso Consiglio di Stato/TAR – inserito membri laici, eletti separatamente dalle due Camere, nel Consiglio di Presidenza istituito, quale organo di garanzia, dalla legge n. 186 del 1982 e successive modificazioni; tale Consiglio è sentito in tema di assegnazioni di nuovi consiglieri al Consiglio di Stato, anche sulla base di nomine governative, e sull’effettuazione dei concorsi anche relativi al reclutamento nei TAR.

Un analogo Consiglio di Presidenza è stato creato – seppur con competenze principalmente concentrate sui profili disciplinari – per la Corte dei Conti con legge n. 117 del 1988, anche in tale consesso essendo inseriti alcuni membri laici prescelti dai Presidenti delle Camere.

In riferimento alla Corte dei Conti e, soprattutto, al Consiglio di Stato, il dibattito critico si incentra, oltre ai predetti profili concernenti il reclutamento soprattutto dei consiglieri di Stato (dibattito sopito, ma non superato, a seguito dell’introduzione del parere del Consiglio di Presidenza) anzitutto, sul cumulo, negli stessi organi, di funzioni anche diverse da quelle giurisdizionali; problematica che permane anche se, ad es., le funzioni consultive del Consiglio di Stato, aventi ad oggetto spesso provvedimenti poi oggetto di sindacato giurisdizionale, sono affidate a sezioni diverse da quelle giudicanti.

Assai liberale, poi, è stato tradizionalmente l’indirizzo dell’organo autorizzante i magistrati speciali a svolgere, pendenti le funzioni, incarichi di componenti di organi amministrativi e di controllo di enti e società, di comitati e consigli inseriti nell’amministrazione, di componenti o, più spesso, presidenti di collegi arbitrali.

Ancora, può menzionarsi il forte interscambio tra posizioni negli organi giurisdizionali e posizioni nella pubblica amministrazione, spesso in posizioni apicali o di diretta collaborazione con i ministri; parimenti, si registra un rilevante accesso di alti dirigenti dell’amministrazione al Consiglio di Stato, sulla base delle cennate previsioni di legge che consentono l’accesso stesso su nomina governativa.

Quanto, infine, ai fenomeni di vera e propria devianza, taluni procedimenti penali relativi a fatti collegati all’obiettiva vicinanza tra mondo degli affari ed amministrazione hanno riguardato, purtroppo, anche esponenti delle giurisdizioni speciali.

In merito alla giurisdizione militare, l’art. 2, co. 603, della legge finanziaria n. 244 del 2007 aveva previsto una sostanziale riduzione di sedi e di organico, con assorbimento degli esuberi nella magistratura ordinaria.

In merito alle Commissioni tributarie, le quali come detto sono sopravvissute alla Costituzione in virtù di una tendenza interpretativa largheggiante e sono state dotate anch’esse dal legislatore di un organo esponenziale, il Consiglio di Presidenza della giustizia tributaria, di cui agli artt. 17 ss. del decreto legislativo n. 545 del 1992.

Il profilo critico fondamentale riguarda la presenza nelle Commissioni di avvocati e dottori commercialisti (oltre che di soggetti, quali ex dipendenti dell’amministrazione delle finanze, che conservano stretti legami con essa, anche per l’assenza della previsione di un periodo di intervallo). Solo a far tempo dal 2001, in virtù di una modifica apportata all’art. 8 del decreto n. 545 dalla L. n. 342 del 2000, in astratto sarebbero incompatibili con le funzioni giudicanti tributarie le posizioni di coloro che, tra i dottori commercialisti e gli avvocati, esercitano la consulenza o la rappresentanza in giudizio nella stessa materia. Da detto momento, la polemica si è, però, come prevedibile, spostata sul sussistere di detta incompatibilità a mezzo di soggetti collegati

Oggetto e funzione della deontologia dei magistrati

Le regole deontologiche come lesione di diritti costituzionalmente garantiti

Quale la finalità delle norme deontologiche? Dalla tutela dell’ordine della magistratura a tutela della funzionalità.

La finalità immediata di tali norme è senza dubbio quella di indirizzare il comportamento dei soggetti cui si riferiscono, verso modelli di comportamento che rispondono a principi spesso tanto astratti quanto non condivisi o non comprensibili. Ma qual è la finalità mediata delle norme deontologiche nel contesto della magistratura? Ritengo che tale problematica sia strettamente connessa e legata con il mutare delle epoche storiche e che pertanto non sia individuabile un’unica finalità ultima ed immutabile, ma piuttosto tendenze ed esigenze mutevoli nel tempo.

In epoca più recente, persa quasi totalmente la connotazione divina della funzione giudiziale, divenuta sempre più un servizio pubblico in favore di utenti cittadini

Mentre in passato i precetti deontologici e di responsabilità disciplinare, si preoccupavano di una tutela ossessiva di certi valori tanto tradizionali quanto indefiniti, come il prestigio, il decoro e la dignità dell’Ordine, in epoca più recente l’attenzione si è spostata ai valori del buon funzionamento, imparzialità, credibilità della funzione e correttezza di un servizio che deve essere reso in favore della collettività dei cittadini. Si è verificato nella cultura giuridica italiana un passaggio da una concezione della funzione giurisdizionale come un potere a considerarla come un servizio.

         Lo stesso CSM in un parere reso nel 1985 su un disegno di legge sulla riforma della responsabilità disciplinare reso al Governo, affermava che era giusto porre l’accento sull’adeguatezza del comportamento del magistrato alle attese dei cittadini in ordine al servizio e non ad un astratto prestigio della magistratura.

La natura di precetti etici di guida, più che di norme vincolanti, lo si deve desumere dalla sinteticità delle disposizioni e dalla brevità dei documenti in esame. I codici più lunghi, o meglio meno brevi, sono costituiti da solamente 14 articoli. Le proposizioni sono piuttosto sintetiche e hanno la struttura di manifesto più che di regole giuridiche vincolanti.

La maggioranza degli autori riconosce alle norme del codice etico il valore di criteri ermeneutici utilizzabili nell’applicazione delle regole legislative disciplinari e penali.

La previsione dell’obbligo di redazione di un codice etico suscitò subito perplessità di ordine costituzionale: la legge di delegazione del 1992, infatti, non prevedeva l’adozione di codici etici per i magistrati, per i quali anzi la legge ribadiva l’assoggettamento alla normativa vigente, prevista dai rispettivi ordinamenti. Il governo aveva dunque ecceduto rispetto alla delega. Da altro punto di vista, poi, si poteva notare che, visto che la nostra Costituzione, all’art. 108, prevede una riserva di legge in tema di norme sull’ordinamento giudiziario, un codice etico simile a quello previsto per i dipendenti per la pubblica amministrazione non poteva assumere, per i magistrati, significato paragonabile a quello assunto dai codici per i pubblici impiegati.

È sicuramente rilevante notare che il codice etico consta di 14 articoli che, come è stato notato, “ricomprendono la totalità dei comportamenti dei giudici e dei P.M., inclusi i capi degli uffici.” E’ stato altresì notato che la denominazione di codice è essa stessa non appropriata, trattandosi per lo più dell’espressione di principi, talvolta generali.

Oltre all’enunciazione, nel preambolo, della separatezza di piani su cui operano le norme deontologiche, prive di efficacia giuridica e che esprimono solo le regole etiche cui, secondo il “comune sentire” dei magistrati, deve ispirarsi il loro comportamento, il testo contiene alcuni principi e, poi, regole relative ai rapporti del magistrato con i cittadini e con gli utenti della giustizia, con la stampa e con gli altri mezzi di comunicazione di massa, ai doveri di operosità e di aggiornamento professionale, di buon utilizzo delle risorse dell’amministrazione, di non utilizzazione delle informazioni d’ufficio a fini non istituzionali. Esso prosegue con la regolamentazione dell’adesione dei magistrati ad associazioni, dei doveri di indipendenza, imparzialità e correttezza; della condotta da tenersi nell’esercizio delle funzioni, sia quanto al giudice che quanto al pubblico ministero, che infine quanto ai capi degli uffici.

Per espressa previsione del codice, è possibile un suo adeguamento nel tempo.

A distanza di 16 anni, il 13 novembre 2010, l’ANM ha approvato un nuovo codice etico, che si risolve in una riscrittura del precedente con varie modifiche, le quali da un lato appaiono giustificate dalle esperienze maturate nell’applicazione di quello del 1994, dall’ altro lato recepiscono nuove istanze e nuove sensibilità sociali, ponendo ulteriori specifiche regole deontologiche dirette a favorire la crescita professionale dei magistrati.

In merito all’applicazione concreta (e quindi alla rilevanza) assunta dal codice etico predisposto dall’ANM è opportuno, sottolineare che il codice stesso dichiara espressamente di collocarsi «su un piano diverso rispetto alla regolamentazione giuridica degli illeciti disciplinari». In molti casi, l’inosservanza delle norme contenute nel codice non raggiungerà la soglia dell’illecito disciplinare; in altri casi, potrà costituire addirittura l’indice della violazione di norme penali.

Una diversa sovrapposizione di piani si verificava in quanto il codice assumeva una vitalità – per così dire – «indesiderata» dai suoi autori nella stagione della riforma dell’ordinamento giudiziario, cristallizzatasi, in materia di procedimento disciplinare relativo ai magistrati, con il d.lgs. n. 109 del 2006, coordinato con le leggi n. 269 del 2006 e 111 del 2007. In estrema sintesi, il codice etico è servito da base (talvolta, anche eccessivamente, testuale) per la redazione delle nuove norme disciplinari, ispirate, almeno teoricamente, dalla finalità di raggiungere una «tipicità» degli illeciti disciplinari dei magistrati. Così, molte delle disposizioni che dovevano stimolare verso comportamenti «eccellenti» venivano utilizzate impropriamente per porre degli obiettivi disciplinari, invece da regolarsi secondo un metro di «minimo» etico.

Ciò ha comportato che regole dettate dal codice etico divenissero parametri per incolpazioni disciplinari, ossia che gli illeciti disciplinari fossero configurati come fatti di diretta violazione delle norme deontologiche, con uno stravolgimento della loro natura e funzione.

 Le problematiche, non del tutto eliminate dal legislatore del 2007, poste da tale commistione tra deontologia e disciplina, sono affidate in vista di una soluzione alla giurisprudenza della Sezione disciplinare del CSM e delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione che, attraverso l’interpretazione sul punto, potrà sceverare fino a che punto l’originaria funzione «propulsiva» delle norme del codice possa formare la base di un addebito disciplinare.

Invero, il codice è essenzialmente uno strumento di autocontrollo, destinato ad operare in primo luogo all’interno della categoria, con esiti per loro natura non manifesti. Pur trattandosi di «norme effettive», esse esprimono nella sostanza come la categoria professionale intende gestire i comportamenti dei propri appartenenti e tendono a costruire una comune coscienza etica degli stessi.

Il codice si assegnava, altresì, e storicamente ha avuto, una funzione di benchmark, di strumento cioè di controllo da parte dei cittadini e degli altri operatori professionali, che – facendo riferimento al codice – hanno la possibilità di distinguere il giudice laborioso, corretto, preparato, imparziale e indipendente, vitalizzando la credibilità della magistratura, ovvero anche stimolando la presentazione di doglianze contro lo Stato o lo stesso giudice, anche solo ai fini della sua valutazione di professionalità, in caso di mancanze. E’ evidente, dunque, la funzione anche di early warning che la diffusione del documento può avere.

Alcune regole deontologiche

1)Il principio di indipendenza.

L’ art. 8 del codice etico impone ad ogni magistrato di garantire e difendere l’ indipendente esercizio delle proprie funzioni all’ esterno e all’ interno dell’ ordine giudiziario.

Si tratta di un principio già dettato dalla Costituzione all’ art. 101 comma 2, ai sensi del quale I giudici sono soggetti soltanto alla legge.

A livello sovranazionale, l’ art. 6 comma 1 della CEDU Ogni persona ha diritto ad un’ equa e pubblica udienza entro un termine ragionevole, davanti a un tribunale indipendente e imparziale, costituito per legge.

E l’art. 47 comma 2 della Carta dei Diritti recita che Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata…… da un giudice indipendente e imparziale.

L’indipendenza sia del singolo magistrato che dell’ intero ordine giudiziario è quindi direttamente strumentale all’ imparziale applicazione della legge ed all’ uguale trattamento di tutti i cittadini.

A tutela dell’indipendenza l’art. 98 ultimo comma della Costituzione dispone che si possono con legge stabilire limitazioni al diritto di iscriversi ai partiti politici per i magistrati.

In adesione a tale indicazione l’art. 3 comma 1 lett. h) del  d.lgs. n. 109 del 2006 ha configurato come illecito disciplinare l’ iscrizione o la partecipazione sistematica e continuativa a partiti politici.

E il comma 3 del citato art. 8 del codice deontologico sancisce che il magistrato evita qualsiasi coinvolgimento in centri di potere politici o affaristici che possano condizionare l’ esercizio delle sue funzioni o comunque appannarne l’ immagine.

Il principio di indipendenza è così rilevante per il magistrato che il comma 4 dell’art. 8 dispone che ad esso egli deve ispirare la sua condotta anche nello svolgimento di funzioni amministrative, in particolare anche nel caso dei magistrati che non esercitano attualmente funzioni giudiziarie per essere stati temporaneamente collocati fuori ruolo.

E l’ art. 1 comma 2 richiama il valore dell’ indipendenza anche nell’ esercizio dell’ attività di autogoverno, così riaffermando che è compito del CSM effettuare scelte ispirate al rispetto della normativa primaria e secondaria e dirette unicamente al miglior funzionamento della giurisdizione, al di fuori di ogni logica correntizia.

Essere indipendente significa non porsi pregiudizialmente dalla parte del potere, ma neppure sentirsi in via preconcetta come contropotere.

Ciò significa, per esempio, anche evitare di porsi in alternativa al potere legislativo, costruendo un alternativo diritto vivente in certi campi, come quello della bioetica e del biodiritto, con eccessi interpretativi ed eccessiva creatività giurisprudenziale.

Significa seguire La Costituzione e le norme sovranazionali e nazionali, con la piena consapevolezza che l’unica fonte della legittimazione del magistrato consiste nella autorevolezza delle decisioni adottate.

Significa inoltre tenere un atteggiamento di massima prudenza nell’ accettare inviti o nell’ instaurare nuovi rapporti amicali.

Il primo comma dell’art. 8, altresì, fa riferimento al dovere di mantenere una immagine di imparzialità ed indipendenza richiama il valore dell’apparenza: dovere non solo di essere, ma anche di apparire imparziale ed indipendente

2)Il principio di imparzialità.

L’ art. 111 Cost fa riferimento al processo da svolgere davanti ad un giudice terzo e imparziale.

Il principio di imparzialità è connesso a quello di eguaglianza, così da richiamare anche l’ art. 3 comma 1 Cost.

Imparzialità non vuol dire lontananza o disinteresse alle vicende politiche e alle questioni di rilevanza sociale che investono il Paese, ma si sostanzia piuttosto in una giustizia del caso concreto ispirata unicamente ai principi dell’ordinamento ed immune da ogni pregiudizio.

L’art. 9 prevede un complesso di regole cui informare il proprio comportamento: il rispetto della dignitàdi ogni persona, il rifiuto di ogni discriminazione e pregiudizio.

Il comma 2 infatti (impegnandosi a superare i pregiudizi culturali che possono incidere sulla comprensione e valutazione dei fatti e sull’ interpretazione ed applicazione delle norme)esprime l’ acquisita consapevolezza della necessità di estirpare il pregiudizio.

Il pregiudizio si identifica in un atteggiamento interiore, in un modo di esistere e di pensare, in un preconcetto indimostrato che deve essere rimosso attraverso un’acquisizione di consapevolezza e la messa in discussione delle basi concettuali sulle quali esso si fonda.

Questo impegno a rifiutare ogni tipo di discriminazione costituisce concreta attuazione del precetto di cui al secondo comma dell’art. 3 Cost..

L’ art. 13 riguarda il pubblico ministero: il pubblico ministero si comporta con imparzialità nello svolgimento del suo ruolo: il valore dell’ imparzialità deve orientare l’attività di indagine in direzione della ricerca della verità attraverso l’acquisizione di elementi di prova anche a favore dell’indagato, secondo un principio già dettato dall’ art. 358 c.p.p.

3)Il dovere di aggiornamento professionale.

L’art. 3, nell’ elencare i doveri di operosità e di aggiornamento professionale, nell’ ultimo comma impone ad ogni magistrato il dovere di accrescere il proprio bagaglio di conoscenze e la propria professionalità attraverso uno studio costante e la partecipazione alle iniziative di formazione.

Nel senso non solo di un mero affinamento delle conoscenze tecnico-giuridiche e di una tempestiva informazione sui sopravvenuti interventi normativi o mutamenti giurisprudenziali, ma anche nell’acquisizione di strumenti culturali adeguati alla comprensione di realtà sociali sempre più complesse.

4)I rapporti con la stampa e con gli altri mezzi di comunicazione.

L’art. 6, nel disciplinare i rapporti con la stampa e con gli altri mezzi di comunicazione, pur consentendo al magistrato di fornire notizie sull’ attività giudiziaria al fine di garantire la corretta informazione dei cittadini e l’esercizio del diritto di cronaca, sempre che non sia tenuto al segreto, e pur facendo ovviamente salvo il principio di piena libertà di manifestazione del pensiero, pone al magistrato il dovere di ispirarsi a criteri di equilibrio, dignità e misura nel rilasciare dichiarazioni ed interviste.

Il secondo co. art. 6, impone di evitare la costituzione o l’utilizzazione di canali informativi personali riservati o privilegiati.

E impone inoltre (novità rispetto al codice del 1994), l’obbligo di astenersi dal partecipare a trasmissioni nelle quali sappia che vicende di procedimenti giudiziari in corso saranno oggetto di rappresentazione in forma scenica: per evitare la spettacolarizzazione della giustizia.

Infine, riguardo all’utilizzazione da parte dei magistrati dei social network, occorrerebbe forse un aggiornamento del codice etico.

5)  I doveri del dirigente.

L’ultimo articolo del codice etico pone una elencazione minuziosa dei doveri del dirigente.

E’ accentuata rispetto al testo del 1994 l’importanza data all’organizzazione, attraverso l’attribuzione della responsabilità delle questioni organizzative generali e di quelle che si riflettono sul lavoro del singolo magistrato.

E’ quindi a carico del dirigente la ricerca e la predisposizione delle migliori condizioni per il rendimento del servizio, anche in vista della formazione dei programmi di gestione ai sensi dell’ art. 37 del d.l. n. 98 del 2011, nonché l’elaborazione di nuove prassi che siano espressione di un accurato lavoro comune.

L’impegno organizzativo coinvolge comunque tutti i magistrati, che ai sensi del comma 1 dell’art. 3 sono chiamati ad impegnarsi affinchè alla domanda di giustizia si corrisponda con efficienza, qualità ed efficacia ed ai sensi del comma 2 sono tenuti a partecipare attivamente e con assiduità ai momenti organizzativi e di riflessione comune interni all’ ufficio.

Connesso a ciò è il dovere (art. 11, ultimo comma) di fare tutto quanto è in suo potere per assicurare la ragionevole durata del processo, adottando prassi processuali virtuose e moduli organizzativi adeguati, concorrendo all’ attuazione di quella politica dell’ efficienza imposta dal nuovo testo dell’ art. 111 Cost.

La magistratura italiana a confronto con alcune magistrature straniere

Quello italiano del 1994 è il primo codice etico della magistratura nell’ambito europeo.

Il codice etico anticipa di pochi giorni la Raccomandazione del Comitato dei Ministri n. 12 del Consiglio d’ Europadel 2010 sul tema Indipendenza, efficienza e responsabilità dei giudici, con cui sono state dettate indicazioni volte ad accrescere l’impegno nella formazione professionale e la consapevolezza deontologica dei magistrati, incoraggiando la redazione di codici di etica giudiziaria da parte degli stessi magistrati, aventi contenuto più ampio della definizione degli illeciti disciplinari, nonché la creazione di comitati consultivi di etica.

Va altresì ricordato che nella coeva Magna Charta dei giudici adottata dal Consiglio Consultivo dei Giudici Europei (CCJE) del 17 novembre 2010 sono stati enunciati i principi fondamentali sia in tema di garanzie di indipendenza della magistratura che di deontologia e responsabilità dei magistrati.

In precedenza a livello internazionale, nell’ ambito della tavola rotonda tenutasi a L’ Aja dei presidenti delle Corti Supreme dei Paesi di civil law del 25-26 novembre 2002, su mandato ONU, erano stati approvati i Principi di condotta giudiziaria di Bangalore, volti a fissare standard per la condotta deontologica dei giudici, nei quali rivestiva valore primario il concetto di propriety, ossia il principio che impone il rispetto da parte del giudice di quanto viene reputato conveniente ed appropriato nell’ ambiente sociale in cui opera, nonché quello di appearance of propriety, a tutela del bene fondamentale dell’ immagine.

Si è detto che i principi di indipendenza ed autonomia rappresentano i corollari della magistratura italiana, ma questo non è una prerogativa comune agli altri ordinamenti giudiziari.

In Francia i giudici e il Pm appartengono allo stesso corpo, ma il Pm, a differenza di quello italiano, dipende interamente dal Ministero di Giustizia. I suoi uffici hanno una struttura gerarchica con capi subordinati direttamente al Ministero di Giustizia, il quale ha potere direttivo, di sorveglianza e di disciplina in capo al Pm e ne può determinare anche la progressione in carriera. Sono amovibili e non hanno l’obbligo dell’azione penale.

I meccanismi di promozione o l’azione disciplinare dipendono dal Ministro sia nei confronti dei giudici sia nei confronti del Pm. Nell’ordinamento francese il carattere burocratico incide molto sui profili dell’indipendenza dei giudici i quali infatti godono di garanzie ridotte.

Negli ultimi decenni i poteri del giudice francese sono cambiati: interpreta, argomenta, dialoga, compara, costruisce, completa la legge. Questo nuovo ruolo fa sorgere nuove responsabilità. Il giudice deve essere responsabile (dal punto di vista civile, penale e disciplinare) e deve anche tenere una certa immagine per quanto riguarda il suo operato. “Sembra che oggi, in Francia la legittimità di un giudice non dipenda più esclusivamente dal suo potere di giudicare gli altri, ma anche dalla maniera in cui lo fa. È proprio in tale contesto che la questione della deontologia dei magistrati è riapparsa in Francia.”

È negli anni Ottanta che si è ripresentata la necessità di avere delle norme deontologiche e il consiglio superiore della magistratura è riuscito a creare un corpo di regole di deontologia e di principi a valore normativo. Tra questi principi deontologici i più importanti sono: doveri d’imparzialità e d’indipendenza del giudice, il dovere di riserbo, la legalità, l’esigenza di delicatezza, di dignità e di onore, oltre al dovere di lealtà e di onestà.

La Germania è un ordinamento suddiviso in vari Land. Ad essi spettano compiti come il reclutamento e la disciplina dello status dei giudici, mentre l’organizzazione dei tribunali presenti in ogni stato è regolata in modo uniforme in tutta la Repubblica federale.

La pubblica accusa spetta a funzionari diversi dai giudici e reclutati separatamente. Sono nominati dal Ministero della Giustizia federale, mentre le sanzioni che li riguardano vengano stabilite da tribunali composti da giudici e da funzionari del Pm.

La pubblica accusa tedesca è caratterizzata dall’obbligatorietà dell’azione penale, ma nonostante questo, è alle dipendenze del potere esecutivo e deve seguire le sue direttive.

La magistratura tedesca ha un’organizzazione fortemente burocratica che attenua l’indipendenza del magistrato.

La mentalità tedesca è molto rigorosa tant’è che i cittadini stessi tendono a violare meno le regole, hanno una maggior fiducia nei giudici poiché ritengono che questi ultimi siano i primi a rispettare le regole e di conseguenza impugnano di meno le sentenze.

Questo clima di fiducia fa sì che la magistratura tedesca non sia dotata di un codice deontologico, perché sostanzialmente non ne ha bisogno.

A partire dagli anni 2000 però si è iniziato a nutrire interesse verso la deontologia giudiziaria, ma ci si trova dinnanzi ad un problema ossia la competenza decentrata di ciascuno Land in materia di amministrazione della giustizia. Quindi la deontologia tedesca è priva di quella dimensione collettiva che è tipica invece della magistratura italiana.

Paesi come la Slovenia e la Repubblica Ceca, dopo la caduta del muro di Berlino, si sono dotati di codici e principi deontologici, hanno avuto una magistratura forte, con un ruolo centrale ed associazioni nazionali di magistrati. Un destino molto simile a quello italiano, ma tale affinità si è limita a questi aspetti. I codici etici, infatti, non sono riusciti nel loro intento questo a causa di una magistratura non ancora “risanata”. Sono paesi ove la magistratura al suo interno è molto contradditoria, è viziata dalla corruzione e i cittadini non rimpongono fiducia nei propri giudici. Fino a quando non si riuscirà a cambiare la realtà giudiziaria non sarà possibile l’adozione di strumenti deontologici.

Gli Stati Uniti d’America appartengono al sistema di common law e sono una Repubblica federale di tipo presidenziale. Il diritto del paese si basa sulla Costituzione. Il sistema federale è costituito da tre poteri: legislativo, giudiziario ed esecutivo.

Il potere giudiziario degli Stati uniti è affidato alla Corte Suprema e ai vari Tribunali di ordine inferiore riconosciuti dal Congresso.

I giudici statali come il Pm vengono selezionati mediante un processo di elezione diretta che può essere differente nei vari States.

“È incontestabile che il sistema di elezione diretta, inevitabilmente, quale che sia il sistema prescelto, espone a rischi di un imprintig politico della funzione giurisdizionale che svilisce, di per sé, il carattere di imparzialità e le esigenze di alta qualificazione professionale che la carica richiede.

I giudici federali vengono nominati dal Presidente degli Stati Uniti, la valutazione è affidata alla Commissione di Giustizia del Senato e la votazione, con maggioranza semplice, finale spetta al Senato. E’ un processo che ha chiare valenze politiche che emergono dai criteri adottati dal Presidente per la nomina che attengono all’appartenenza politico-ideologica del giudice e alla tendenza del Senato di “sconfessare le scelte dell’esecutivo nel caso di maggioranze politiche diverse da quella presidenziale. Questo approccio politico pare essere in contrasto con il principio di imparzialità del giudice”, ma in realtà la Costituzione garantisce l’indipendenza del potere giudiziario stabilendo che i giudici federali possono restare in carica fino a che non vengono destituiti a seguito dell’impeachment e qualora il Congresso non abbia accertato nei loro confronti atti di tradimento, corruzione o altri gravi reati.

(Il Congresso è l’organo legislativo del Governo federale degli Stati Uniti d’America ed è costituito da due camere: il Senato e la Camera dei Rappresentanti).

Anche il Pm viene nominato mediante un’elezione diretta come quelle politiche o amministrative.

In questo sistema, quindi, la legittimazione dei magistrati è di natura politico-democratica, ossia fondata o sulla nomina o sull’elezione e il rapporto che viene ad instaurarsi è riconducibile o ad una responsabilità nei confronti dei cittadini o ad una responsabilità verso il potere esecutivo che ha provveduto alla nomina nel caso in cui l’operato di questi giudici non sia conforme al programma promesso durante la “campagna elettorale’’.

La Conferenza Giudiziaria degli Stati Uniti prevede un codice deontologico a cui i giudici federali devono attenersi. “Questo codice e i pareri sulla sua interpretazione forniscono ai giudici una guida su questioni riguardanti l’integrità e l’indipendenza della magistratura, la diligenza e l’imparzialità del giudice, le attività extra-giudiziarie consentite, e i criteri cui attenersi per evitare comportamenti impropri o che possano anche soltanto apparire tali.”

(‘La Conferenza Giudiziaria degli Stati Uniti è l’ente dei tribunali federali incaricato di determinare le politiche. E’ presieduta dal Presidente della Corte Suprema degli Stati Uniti ed è composto da altri 26 giudici. È assistita nel suo lavoro da oltre 20 comitati, i cui membri sono nominati dal Presidente della Corte Suprema).

In Gran Bretagna la nomina dei giudici avviene in maniera discrezionale ad opera del Lord Chancellor, il sistema funziona per gli stessi motivi per cui funziona negli Stati Uniti.

Conclusione

Dall’analisi appena conclusa sugli ordinamenti di alcuni Stati europei e di quello americano è emerso che, nella maggior parte dei casi, sono Paesi in cui è presente un forte legame tra la magistratura e il potere esecutivo. Si tratta di Stati in cui non è necessario avere un codice deontologico, perché il “clima giurisdizionale” presente fa sì che i giudici già di per se rispettino queste norme comportamentali, morali senza bisogno che vengano positivizzate (anche se negli ultimi anni hanno iniziato anche loro a dotarsi di questi codici).

Nel nostro ordinamento, invece, non è possibile avere una dipendenza dei giudici dal potere esecutivo, perché questo, come conseguenza inevitabile, comporterebbe interferenze sull’operato dei magistrati facendone venir meno l’indipendenza e l’imparzialità.

SILVIA VITRO’

BIBLIOGRAFIA

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Profili comparatistici della magistratura, Roberta Lucchese, relazione universitaria, 2018;

Assetti della giustizia civile e penale in Italia, di P. Biavatti, D. Cavallini, R. Orlandi, 2016

Lezioni di procedura penale di G. Lozzi, 2014

Il codice etico dei magistrati italiani: un esempio per l’Europa, Raffaele Sabato, in AA.VV., Cento anni di Associazione Magistrati, Milano, IPSOA, 2009 

Deontologia giudiziaria – Il codice etico alla prova dei primi dieci anni di L. Aschettino, D. BIifulco, H. Épineuse e R. Sabato, Napoli, Jovene, 2006   

L’ordinamento giudiziario fra diritto comparato, diritto comunitario e CEDU, in Politica del diritto, n. 4, di S. Gambino e G. Moschella, 2005