Domande ed allegazioni in tema di danno biologico e danno morale

a cura di Michele Ruvolo

Il riconoscimento del pregiudizio morale si fonda sull’accertamento di presupposti di fatto diversi rispetto a quelli che sono alla base del riconoscimento del danno biologico, con la conseguenza che, proposta impugnazione soltanto in relazione al danno biologico, essa non si estende a quello morale.

A stabilirlo è la Corte di cassazione con sentenza n. 20619/15 pronunciandoci su un caso di risarcimento del danno relativo ad un sinistro stradale mortale.

Cass. Civ., Sez. III, 14 ottobre 2015, n. 20619

La sentenza n. 20619/15 si pronuncia su un caso di risarcimento del danno relativo ad un sinistro stradale mortale. La relativa domanda degli eredi era stata accolta in primo grado e poi modificata dalla Corte d’Appello, che (su ricorso della Compagnia di Assicurazioni) aveva liquidato il danno biologico della vittima tenendo conto della durata della vita effettivamente vissuta tra le lesioni e la morte.

Impugnando in Cassazione la sentenza d’appello, la Compagnia di Assicurazioni ha, tra le altre cose, lamentato che il giudice di secondo grado aveva liquidato il danno biologico tenendo conto della durata della vita effettivamente vissuta dalla vittima, ma che lo stesso ragionamento non aveva seguito con riferimento al danno morale.

La Cassazione ha ritenuto il motivo inammissibile in quanto la Compagnia di Assicurazioni aveva impugnato la decisione di primo grado esclusivamente con riferimento alla sola quantificazione del danno biologico e aveva chiesto una nuova liquidazione “del danno biologico da invalidità permanente” che tenesse conto della vita effettivamente vissuta dalla vittima, e non della durata media, con la conseguenza che la questione dei criteri di liquidazione del c.d. danno morale non aveva formato oggetto del giudizio di appello ed era quindi inammissibile in Cassazione.

Secondo la Compagnia di Assicurazioni l’impugnazione della sentenza di primo grado riguardava la liquidazione del danno non patrimoniale da invalidità permanente. Per la Cassazione, però, pur essendo vero che il danno biologico ed il danno morale hanno la medesima natura, tuttavia è anche vero che il risarcimento dell’uno non vale da solo a chiedere anche la liquidazione del secondo. Il giudice di legittimità afferma, infatti, che l’effetto espansivo dell’impugnazione si ha solo nel caso in cui vi siano i medesimi presupposti di fatto di due diverse liquidazioni.

Nel caso di specie il Tribunale aveva riconosciuto alla vittima sia il pregiudizio biologico che quello morale ed aveva quindi personalizzato il danno biologico (adeguandolo alla particolarità del caso concreto tramite il riconoscimento anche del detto pregiudizio morale). Ciò che però la Cassazione valorizza è che il riconoscimento del pregiudizio morale si fonda sull’accertamento di presupposti di fatto diversi rispetto a quelli che sono alla base del riconoscimento del danno biologico. Da qui l’inammissibilità del ricorso, non avendo la Compagnia di Assicurazioni mai contestato (in sede di appello) la sussistenza dei presupposti per la liquidazione del danno morale, punto sul quale si era ormai formato il giudicato.

Se è vero, infatti, che il giudice è tenuto ad effettuare un’unitaria liquidazione del danno non patrimoniale, ciò comunque non fa venir meno la distinzione concettuale che di fatto esiste tra le varie voci di pregiudizio complessivamente considerate (nel caso di specie quello biologico e quello morale), le quali, pur condividendo la medesima natura non patrimoniale, presuppongono comunque un differente accertamento in punto di fatto.

Non a caso, infatti, nell’ampio panorama giurisprudenziale in tema di danno non patrimoniale, si ravvisano recenti pronunce che attribuiscono al danno morale “piena autonomia ontologica rispetto al danno biologico” (v. Cass. n. 10524/14), tenuto conto della diversità del bene protetto e dei presupposti per la sua configurazione.

Si è detto anche che, pur essendo il pregiudizio morale quasi sempre associato a quello biologico, quest’ultimo non necessariamente costituisce un riferimento imprescindibile nella valutazione del primo.

Ciò comporta, da un lato, il possibile riconoscimento ex se del danno morale anche in assenza di una menomazione all’integrità psico-fisica (v. Cass. n. 811/15, n. 20292/12) e, dall’altro, l’esclusione di qualsivoglia automatismo decisionale sul tema del risarcimento in mancanza di specifica domanda o di precipua contestazione sulle singole, seppur connesse, voci di pregiudizio.

Tale assunto stimola necessariamente una breve riflessione sul cosiddetto effetto espansivo dell’impugnazione – in questo caso espressamente escluso dalla Cassazione – il quale comporta in senso lato l’estensione del gravame anche a quelle parti del provvedimento che, pur non essendo state autonomamente impugnate, risultano comunque dipendenti da quelle appellate.

Di contro, l’impugnazione rivolta soltanto avverso alcune decisioni comporta la formazione del giudicato interno, per acquiescenza parziale ex art. 329, secondo comma, c.p.c., in ordine a quelle statuizioni non specificamente impugnate e che si basano su presupposti di fatto e di diritto autonomi rispetto a quelle oggetto di gravame. Orbene, pur ribadendo l’ormai incontestata onnicomprensività del danno non patrimoniale, è evidente che il pregiudizio morale, riferendosi alla sofferenza interiore, prescinde dall’accertamento medico-legale sull’invalidità che, invece, costituisce presupposto indispensabile per la valutazione del danno biologico. Con riferimento, dunque, alla fattispecie in esame, ne discende che, non avendo la Compagnia di Assicurazioni sollevato in appello alcuna precisa contestazione che attenesse alla sussistenza dei presupposti per la liquidazione del danno morale, correttamente la Suprema Corte ha ritenuto il suddetto accertamento già “res iudicata”, dichiarando di conseguenza la relativa domanda come inammissibile.

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