Emergenza sanitaria e organizzazione: la sfida sistemica per la giustizia italiana

di Giovanni Xilo

Alcuni anni fa, nell’ambito di un corso per direttivi della Scuola Superiore della Magistratura emerse, dai partecipanti, la questione inerente il fabbisogno di personale e competenze nei desertificati uffici giudiziari italiani, nonché degli spazi che, per quanto spesso prestigiosi e di nobile lignaggio, raramente risultavano adeguati alle esigenze di gestione di centinaia o migliaia di persone che vi accedono quotidianamente ed alle migliaia di carte e fascicoli da spostare ed archiviare.

All’epoca i partecipanti alla discussione conclusero che tutti i vincoli e le regole del sistema della giustizia in vigore avrebbero conosciuto una rivoluzione tale da far prevedere scenari organizzativi e professionali completamente nuovi.

Il successo del processo di digitalizzazione del rito civile apriva infatti prospettive completamente diverse e immaginava un’organizzazione decentrata (o decentrabile) digitale e digitalmente connessa con tutte le articolazioni professionali interne ed esterne al sistema della Giustizia.

Non che il futuro fosse dietro l’angolo: le istituzioni pubbliche non cambiano facilmente e soprattutto non cambiano rapidamente, lo fanno per lo più adattandosi isomorficamente e superficialmente ai miti di efficienza ed efficacia sociali dominanti, anche se proprio nel mondo della giustizia italiana si stava assistendo a processi di innovazione tecnologica e organizzativa che, per una volta,  la ponevano all’avanguardia nei processi di innovazione digitale non solo a livello nazionale ma anche europeo.

Ma in realtà è più probabile che le istituzioni pubbliche cambino e cambino anche molto rapidamente solo davanti al baratro del fallimento, davanti alla minaccia di morte, a fronte di una incapacità di affrontare con successo un’emergenza imprevista e drammatica nei suoi potenziali effetti. Un’emergenza proprio come quella che il nostro Paese sta vivendo oggi.

Ed ora, quali capacità esprime, quali soluzioni adotta e soprattutto quali prospettive prefigura il sistema della Giustizia italiana? Sono questioni di vitale importanza per definire il futuro dell’organizzazione giudiziaria italiana. Oggi si sta vivendo una situazione di stress e rischio personale, professionale, organizzativo e tecnologico in grado di misurare le capacità in termini di resistenza, adattamento e flessibilità operativa che il sistema possiede per tutelare contemporaneamente la salute e la vita dei sui operatori ed utenti e le istanze, diritti e doveri degli stessi utenti e della comunità servita.

Una volta superata la crisi acuta il problema non sarà tanto valutare la tenuta del nostro sistema giudiziario di fronte a questa crisi, che per ampiezza, impatto e velocità di evoluzione non ha pari con nessuna esperienza del passato repubblicano, ma capire quali allarmi ed insegnamenti questa esperienza drammatica ci lascia e quale possibile percorso di sviluppo sarà opportuno intraprendere, sapendo che l’intero sistema sociale, economico ed istituzionale del nostro Paese già questa domanda se la sta ponendo.

Le urgenti misure determinate dall’impatto dell’epidemia hanno riguardato in particolar modo una ricombinazione organizzativa generale, che non ha risparmiato nessuna articolazione organizzativa nazionale o territoriale, nessun ruolo, nessuna procedura. Da questo punto di vista, domani potremmo dire con cognizione di causa cosa è in grado o meno di fare il sistema giudiziario sia in termini operativi sia in termini di resilienza. Alcune dimensioni in particolar modo dovrebbero essere osservate e studiate.

La prima e la più rilevante attiene alla capacità professionale e di organizzazione che il sistema è stato in grado di esprimere. Stiamo parlando di come i capi degli uffici, anche in qualità di datori di lavoro, hanno potuto e saputo riorganizzare l’ufficio giudiziario sulla base del principio che ha sancito che il “lavoro agile” assumeva la caratteristica di ordinarietà per una durata non prevedibile. Stiamo parlando in pratica, prescindendo per un momento dalle potenzialità dei sistemi informativi e digitali di lavoro, di verificare ed eventualmente mettere in campo un’organizzazione, prima accentrata e basata sul coordinamento a vista,   ora diffusa senza alcun controllo di prossimità. Ciò è possibile ovviamente ma solo nella misura in cui ruoli, compiti connessi ai ruoli, tempi di lavoro, flussi di interscambio sono da tempo noti, programmati ed integrati.

Si lavora efficacemente da casa se il risultato della mia attività e dell’unità operativa al quale appartengo sono noti e definiti, come sono noti, analogamente, il livello di qualità atteso ed i tempi di gestione dei flussi operativi all’interno di detta unità.

E’ questa la principale caratteristica dello smart working: si attua efficacemente se ogni addetto è responsabilizzato, autonomo ed interrelato ad una logica comune di un’unità operativa.

In pratica non si replicano le performance di una qualsiasi unità organizzativa limitandosi a sommare i progetti individuali presentati da ciascuno operatore. Peraltro non è neppure possibile valutare la pertinenza, l’appropriatezza e l’utilità di “n.” progetti individuali se non si ha una visione d’insieme ed ex ante delle performance attese da ogni unità operativa.

A dire il vero, la logica stessa di un progetto individuale nel lavoro agile applicato ad un’organizzazione complessa è priva di fattibilità, se non per poche eccezioni ed ovviamente per una parte delle attività svolte da un magistrato.

Questo chiama in causa non solo il capo dell’ufficio e non solo il suo ruolo,  ma anche e soprattutto la catena gerarchica che vede al vertice il dirigente di cancelleria e successivamente i capi intermedi. In assenza del primo e/o in assenza di profili di responsabilità ed autonomia sperimentate per i secondi, il lavoro agile avrà successo in alcune nicchie legate a poche funzioni oppure grazie all’intraprendenza ed intelligenza di singoli addetti.

Lo smartworking in pratica non configura necessariamente una nuova organizzazione ma certamente richiede un’organizzazione governata e con diffuso senso di responsabilità ed autonomia e capacità di adattamento reciproco.

Se il lavoro agile non necessariamente chiede una nuova organizzazione e quindi, non dovrebbe proprio prevedere dei singoli piani di lavoro, certamente richiede una tecnologia ad hoc, ovvero un’altra dimensione critica del Sistema Giustizia, che occorrerà approfondire nella sua capacità di risposta all’emergenza.

La digitalizzazione dei processi di lavoro viene da anni attuata in ambito sia pubblico che privato con strumenti e tecnologie consolidate e diffuse, ampiamente testate peraltro anche nel mondo giudiziario italiano, apripista fin dai primi anni del 2000 con soluzioni di digitalizzazione del processo civile tanto efficace da diventare soluzione operativa ed obbligatoria per legge.

L’emergenza sanitaria è stata affrontata con molta rapidità dal sistema della Giustizia Italiana, mettendo a disposizione una piattaforma multimediale e telematica che ha permesso di gestire il telelavoro ed in particolar modo di attivare le udienze telematiche sia in ambito penale che civile.

Un tabù o come minimo una tradizione irrinunciabile, quella del rito dell’udienza in un aula fisica presenti le parti aventi causa, spazzata via in pochi giorni. Come in pochi giorni è sparita, la prassi della copia di cortesia. Come ancora nella maggior parte dei casi si è osservato che anche il personale cosiddetto “anziano”, soprattutto nella categoria dei togati,  non si poi rivelato così incapace ad accedere e fruire efficacemente dei moderni strumenti informatici così come si temeva e si osservava.

Una disamina di quali strumenti informatici e telematici il sistema della Giustizia è riuscito ad abilitare e di quali invece ne ha sofferto la mancanza meriterà la massima attenzione, non tanto dal punto di vista tecnologico ma da quello funzionale ed organizzativo.

Come evidenziato più volte da uno dei primi esploratori del sistema organizzativo della giustizia civile, Stefano Zan, la tecnologia è potente integratore sistemico e potente strumento che abilita nuove capacità professionali ed organizzative, solo nella misura in cui è sistemica la sua progettazione e gestione.

Se queste sono settoriali e verticali (ad esempio civile e penale, amministrativi e magistrati, requirenti e giudicanti, primo e secondo grado, ecc.), se non sono armonizzate nei tempi e nelle architetture, se ancora l’organizzazione è sostanzialmente indifferente all’implementazione di queste nuove tecnologie di lavoro, la digitalizzazione da leva di integrazione operativa e di abilitazione a nuovi modelli d’azione organizzativa ne diventa ostacolo o peggio elemento di separazione tra parti del sistema.

La crisi metterà in luce quali interconnessioni non si sono presidiate o non sono tuttora allineate allo stato dell’arte dei processi di digitalizzazione, se non altro perché in un’organizzazione che gestisce flussi complessi di lavoro mantenere operative alcune attività e chiudere o rallentarne altre, compromette tutto il lavoro non solo quello delle unità in stand by.

Peraltro se è vero che la profondità e gravità della crisi di oggi è senza paragoni, il sistema della Giustizia in realtà ha già conosciuto crisi di questo tipo anche se circoscritte a specifici territori (es. Bari, 2018). Il tema quindi dello stato dell’arte dei sistemi informativi non appare riconducibile solo all’oggi ma anche ad una capacità più generale di modernizzazione e resilienza del sistema della Giustizia necessario tout court.

La terza dimensione da osservare attiene a come concretamente si sono mossi i singoli sottosistemi territoriali della Giustizia ovvero gli uffici. Indipendentemente dalla capacità di azione e reazione del sistema a livello centrale, le caratteristiche tipiche del sistema giudiziario italiano si possono osservare nei loro effetti complessivi ed operativi solo sul campo ovvero solo sulle corti, tribunali, procure, tribunali per i minorenni e giudici di pace di ogni singolo territorio.

Tutto ciò è ancor più vero là dove alle indicazioni del Ministero della Giustizia ed a quelle del Consiglio Superiore della Magistratura si sono sommate indicazioni da altri fonti governative, titolari ad esempio della regolamentazione inerente il lavoro agile. L’importanza di concentrare l’attenzione sulla capacità di risposta e sulle soluzioni adottate dai territori è determinante perché comunque è a livello di territorio che si sono dovuti individuare soluzioni operative concertandole con altre articolazioni attinenti all’esercizio della giustizia quali ad esempio gli ordini degli avvocati, le carceri ed altri servizi pubblici.

In queste sintetiche riflessioni, si è volutamente e frequentemente usato il termine “sistema” per evidenziare l’importanza che il presidio e l’efficacia delle interrelazioni comportano in una organizzazione come quella giudiziaria. Per interrelazioni tra gli elementi del sistema della giustizia si intendono, ad esempio, i rapporti e gli scambi tra centro/i e periferie, l’interrelazione tra profili professionali diversi, oppure tra piano dei fabbisogni di personale e processi di modernizzazione in atto, oppure ancora tra gradi di giudizio. Sotto sistemi pluridimensionali la cui armonizzazione è cruciale per garantire maggiore capacità di efficacia del sistema nel suo complesso e maggiore capacità di intervento se un elemento del sistema stesso entra in crisi. Un ultimo esempio sulla necessità di avere una visione d’insieme del sistema, ancora una volta proviene dall’emergenza che stiamo vivendo. Per affrontare il “dopo” ed il necessario recupero dell’arretrato, da più parti si evoca uno slittamento del processo civile verso una dimensione prevalentemente cartacea. Si suppone che questa modalità di trattazione potrà velocizzare la soluzione dei procedimenti civili e deflazionare il carico di lavoro del sotto sistema del civile. Chi scrive condivide invece l’opinione di chi sospetta che portare il processo ad una sua gestione solo o prevalentemente a livello documentale aumenterà ovviamente in maniera incontrollata tale documentazione inflazionando ulteriormente l’impegno dei tribunali e dei giudici civili. Si può fare un processo cartaceo, ma si può fare solo se si studia con maggiore attenzione quale effetto può avere sul lavoro del giudice civile, ovvero sulla possibilità a video di analizzare e comparare atti, citazioni normative, richieste, memorie intere, atti che oggi per la loro “libera forma”, per definizione, sono di difficile comparazione. Si può fare un processo digitale civile e documentale ma occorre parallelamente innovare anche le regole di produzione documentale ed i vincoli a cui deve sottostare.

Quando in quell’aula della Scuola Superiore della Magistratura si prefiguravano uffici giudiziari a cui si accedeva in pratica solo per tenere udienze, con strutture serventi l’attività giurisdizionale decentrate e composte da nuclei tecnici polivalenti e vocati al presidio dei flussi ed interscambi documentali ed all’assistenza di giudici ed utenti, si immaginava un sistema flessibile dal punto di vista operativo, poco esigente dal punto di vista degli spazi fisici, decentrato e molto in smartworking. La tecnologia c’è, ma di per sé nessuna tecnologia cambia un’organizzazione. Ci mancava e ci manca una strategia. Da questo punto di vista speriamo che ritornare alla normalità non significhi automaticamente, dal punto di vista del sistema, tornare alla situazione precedente, perché non è escluso che la lezione che si trarrà da questa emergenza sia che la situazione precedente era il problema del sistema.