Etica pubblica e Costituzione

Etica pubblica: costituisce ancora una virtù (pubblica), densa di contenuti, che impegna un discorso pubblico all’insegna del confronto dialogante fra ragioni diverse, o si è svilita, si è evaporata fino a trasformarsi in una formula vacuamente retorica, dietro la quale si intravede la desertificazione di ogni traccia di responsabilità (pubblica o privata) e la mortificazione dello spazio pubblico?

Spazio pubblico ammorbato, intanto, dall’uso ingannevole e distorto delle parole che scatena lo sconvolgimento della vita civile, avvelenato, poi, dall’arroganza, dalla demagogia, dal disprezzo di ogni regola e sempre più sovvertito dalla sopraffazione al posto del rispetto, dall’elogio della forza in luogo del diritto, dall’irresponsabilità in luogo dell’assennatezza, dalla menzogna e dalla mistificazione di ogni genere.

E la mortificazione dello spazio pubblico rovinosamente corrode e soffoca la stessa democrazia. Lo spazio pubblico cessa di essere pubblico, di essere cioè aperto, diventa spazio chiuso, spazio del singolo, spazio angusto, ove regna la paura, il rancore, l’egoismo, il risentimento e ove l’isolamento acquista le sembianze di disperante illusione protettiva, tutelare di una falsa identità, quella mia, in contrapposizione all’oscuramento, al disconoscimento, quando non all’annientamento, dell’identità dell’altro, il diverso da me, guardato costantemente con sospetto, e, ahimè, sempre più spesso, addirittura con ostilità e disprezzo! I conflitti sociali si acuiscono, si scavano fossati, si innalzano nuovamente i muri a suo tempo trionfalmente abbattuti, l’umanità si fa dolente, ripiegante, astiosa.

L’identità si radicalizza quale paradigma di discriminazione e di esclusione, la dignità tragicamente riscopre la primitiva declinazione gerarchica!

“In questo modo si realizza uno sterile appiattimento delle coscienze ed un arido svuotamento dell’individuo, che produce l’eclissarsi dell’idea stessa di persona” (M. Lollini).

Come sedare, allora, questo tumulto tanto primordiale quanto impetuoso che ottunde gli animi e sprigiona sovente odio, quando non addirittura violenza?

Sono sempre più fermamente persuaso che il rimedio, l’antidoto più serio, certo non il solo, ma sicuramente quello imprescindibile, a quest’intemperie consista nel riscoprire l’etica, segnatamente l’etica che viene definita “pubblica”, e nel praticarla con autentica, genuina vocazione.

Non si tratta di una categoria morale o filosofica o sociale, decifrabile in chiave squisitamente culturale, bensì di un vero e proprio sistema di doveri rigorosamente giuridici, che affonda inestirpabili radici nella Costituzione e che, quindi, s’impone a livello più elevato come cogente e vincolante.

L’etica pubblica riguarda specificatamente le ragioni che animano e ispirano le scelte (e le azioni) dei cittadini e, soprattutto, delle istituzioni nel rapportarsi reciprocamente nell’ambito dello spazio pubblico – amministrativo, politico, economico, sociale – ove in giuoco è sempre un bene comune o pubblico. Si tratta, cioè, di scelte e di condotte che esorbitano dalla sfera privata del singolo e si proiettano nella comunità investendo le ragioni degli altri e l’interesse della stessa comunità, ossia l’interesse pubblico.

Sono almeno cinque le disposizioni costituzionali che imperativamente definiscono il più alto paradigma dell’etica pubblica, puntualmente ignorate nel surreale dibattito, improvvisamente tornato in auge, sulla crisi di credibilità delle c.d. élites, entrate così in conflitto con il popolo.

Nel suo postulato costituzionale l’etica pubblica deve, anzitutto, essere connaturata al contesto del principio inderogabile di uguaglianza nella sua estensione sostanziale, enunciato dall’art.3 Cost., cui devono ispirarsi nelle scelte (e nelle azioni) non soltanto i governanti o coloro che svolgono funzioni politiche o la Pubblica Amministrazione, ma anche tutti i cittadini allorchè le loro scelte (e le conseguenti azioni) esorbitino dalla sfera personale.

Concepire l’etica pubblica non plasmata dall’uguaglianza equivale a rinunciare ad ogni idea di giustizia, con conseguente inarrestabile ulteriore espansione delle discriminazioni e delle diseguaglianze.

Remota itaque iustitia quid sunt regna nisi magna latrocinia? Quia et latrocinia quid sunt nisi parva regna?“, (<<Se non è rispettata la giustizia, che cosa sono gli Stati se non una grande banda di ladri? Perché anche le bande di briganti cosa sono se non dei piccoli Stati?>>), ammoniva S.Agostino! (S. Agostino, “DE CIVITATE DEI”, libro IV).

L’etica pubblica, poi, deve incarnarsi nel diritto fondamentale della dignità che è alla base di tutti i diritti fondamentali. Non a caso l’art. 2 Cost. riconosce e garantisce come inviolabile questo diritto e il citato art. 3 inizia sancendo il principio cogente che <<Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale>>. Al centro viene posta la persona umana, non l’individuo, e l’etica pubblica deve essere esercitata nel riconoscimento e nel rispetto incondizionato della dignità, senza cui non può esistere uguaglianza, libertà, giustizia, solidarietà, pacifica convivenza. Ed è superfluo ricordare, in ordine al riconoscimento e al rispetto della dignità,

La Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo del 1948 ( <<tutti gli esseri umani nascono liberi ed uguali in dignità e diritti>>) e La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europeaapprovata il 7 dicembre 2000 dal Consiglio Europeo di Nizza (<<La dignità umana è inviolabile. Essa deve essere rispettata e tutelata>>).

L’art. 54 Cost., a sua volta, permanentemente rimosso, quasi costituisse giocoso ed inutile orpello, così stabilisce:<< Tutti i cittadini hanno il dovere di essere fedeli alla Repubblica e di osservarne la Costituzione e le leggi. I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore…>>.

Tale disposizione, intrecciandosi indissolubilmente con i citati artt. 2 e 3, imprime all’etica pubblica un connotato che ne suggella solennemente, non meno che coattivamente, il contenuto e il significato.

Come magistralmente ha osservato S.Rodotà (“Elogio del moralismo”, Laterza, Bari, 2011), si tratta di una norma che svela inequivocabilmente la lungimiranza dei costituenti i quali, cogliendo il limite del diritto, affidavano la tenuta dell’ordinamento democratico non soltanto alle leggi, ma anche alla formazione di una coscienza collettiva di una società ove regnassero le virtù civili: “adempiere le funzioni pubbliche con disciplina ed onore” significa esercitare dette funzioni non soltanto in conformità alle leggi ( “con disciplina”), ma, per l’appunto, anche con onestà, lealtà, altruismo, sincerità e solidarietà ( “con onore”), ove è chiaro che l’etica pubblica, nel suo modello costituzionale, si fonda sul connubio inscindibile fra diritto e virtù civili.

Andando ancora oltre, non può sfuggire che immanenti al concetto di etica pubblica sono, altresì, il principio di imparzialità della Pubblica Amministrazione, imposto dall’art. 97, comma 2, Cost., che vieta privilegi, favoritismi, particolarismi, clientelismi e zone franche e quello correlativo, di cui al successivo art. 98, in base al quale <<i pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione>>, ossia sono tenuti nell’esercizio delle loro funzioni al perseguimento esclusivo del “bene comune“.

L’etica pubblica, dunque, indica che nello spazio pubblico, le istituzioni, nei rapporti fra loro e con i cittadini e questi, nei rapporti con le istituzioni e fra loro, non possono agire liberamente, ma devono operare tenendo conto dell’interesse altrui e avendo di mira il primato dell’interesse pubblico su quello particolare, in un contesto caratterizzato dall’uguaglianza, dal rispetto incondizionato della dignità della persona, dall’osservanza delle leggi e delle virtù civili: il che vuol dire anche mantenere lo spazio pubblico aperto ed inclusivo. Solo in tal modo si possono diffondere come esigenze indispensabili per la pacifica convivenza della comunità sia il significato autentico e vincolante del principio di legalità (osservanza delle leggi giuste), sia la maturazione di una coscienza del bene comune, sia la pretesa alla realizzazione della giustizia nell’uguaglianza.

Ed è straordinario constatare che, come autorevolmente è stato osservato ( G. Zagrebelsky, “La legge e la sua giustizia”, “Il Mulino”, pagg. 155/157), la nascita spontanea di comportamenti vincolanti addirittura non imposti da leggi o dalle autorità, ma fondati sulla <<fiducia reciproca, sulla condivisione e sullo spirito di comunanza>>, non costituisce <<una scoperta moderna>>, ma ha radici assai antiche, e lo dimostra l’episodio narrato da Erodoto (Erodoto, Storie, IV, 196) circa l’usanza cooperativa nello scambio di beni  fra <<i cartaginesi e le popolazioni al di là delle Colonne d’Ercole>>, ricordato dallo stesso Zagrebelsky, il quale incisivamente sottolinea: << … Quando ci si esprime reciprocamente questa consapevolezza dell’interesse comune, così che essa risulti nota…, allora essa produce una risoluzione e un comportamento adeguato >> ( ivi, cit. pag.155), ossia la considerazione dell’interesse dell’altro, <<anche nell’agire per i propri interessi>>.

Sennonchè, oggi, per un corretto apprendimento e per un’ esaustiva propagazione dell’etica pubblica che promuova la formazione di una coscienza collettiva del bene comune,la condivisione diffusa di un sentimento di reciproca fiducia e di uno spirito di partecipazione sono indispensabili almeno due condizioni: una veritiera informazione da parte delle istituzioni, una adeguata educazione.

Invero, solo una corretta informazione consente ai cittadini e alla comunità cui appartengono di determinarsi e di organizzarsi consapevolmente e responsabilmente nelle scelte e nelle conseguenti azioni. Al contrario, una informazione non veritiera o manipolatoria o, addirittura (come sempre più spesso accade) menzognera, allontana la riflessione e la ragionevole valutazione e ispira e induce a reazioni istintive, non ponderate, foriere di aspri conflitti sociali, di divisioni esasperate e irriducibili, di crudeli e tragiche chiusure, di atroci esclusioni, quando non di veri e propri odi e violenze.

Molti, anzi troppi, nell’epoca attuale, per accattivarsi il favore e il consenso del giudizio popolare al fine di acquisire per sé il potere, camuffano l’interesse privato o di gruppo per bene comune (bonum publicum lo definivano i Romani), simulando di operare per la realizzazione di esso. E già Tucidide smitizzava tale intollerabile mistificazione, praticata nelle violente lotte civili delle città greche, deplorando che <<…i capi delle fazioni cittadine, facendo uso gli uni e gli altri di parole speciose, preferendo parlare di uguaglianza di diritti politici del regime popolare, e di governo moderato  dell’aristocrazia, a parole servivano lo Stato, in realtà lo consideravano alla stregua del premio di una gara…>> (Tucidide, LA GUERRA DEL PELOPPONNESO, libro III, 82, 8, a cura di Luciano Canfora, Einaudi-Gallimard, 1996). Sallustio, mutuando chiaramente Tucidide, biasimava, a sua volta, tale indecente costume con la famosa invettiva <<…alii sicuti populi iura defenderent, pars, quo senati auctoritas maxuma foret, bonum publicum simulantes pro sua quisque potentia certabant>>, <<… alcuni come se difendessero i diritti del popolo, altri, col pretesto di far prevalere l’autorità del senato, fingendo di perseguire il bene pubblico, combattevano per il proprio potere>> (Cat.38, 2).

Il sentiero dell’etica pubblica si presenta, dunque, assai stretto, lungo, tortuoso, accidentato e pieno di insidie. Ecco perché esso non può fare a meno di un adeguato processo educativo, senza il quale, qualsiasi intervento normativo o iniziativa amministrativa di natura anche repressiva, si dimostra inefficace e, fatalmente, inutile.

Non a caso Calamandrei, in un saggio del 1955, ammoniva che <<dentro ciascuno degli articoli della Costituzione è racchiusa una fiamma religiosa di solidarietà e di progresso sociale>> e che sottovalutare, screditare e sminuire la legge e la Costituzione <<è pericolosissimo principio per uno Stato repubblicano, il quale proprio nel rispetto della legge e della Costituzione trova il fondamento della propria unità e la base della vita ordinata>>. Non diversamente Aristotele, il quale meditava che <<i cittadini devono essere educati in armonia con il tipo di costituzione che vige nella loro città, perché un insieme di costumi adatto a ciascuna costituzione di solito la conserva e la instaura fin dal principio: così sui costumi democratici si sostiene la democrazia… e sempre i costumi migliori sono il fondamento della costituzione>>, (Aristotele, “Politica”, I. VIII, pag. 623, a cura di C.A.Viano, ed. BUR).

Educazione che deve svilupparsi come formazione, come istruzione e come risultato, il cui compito deve essere affidato alle scuole, alle università e tutte le istituzioni di tipo pedagogico, al fine di irradiare e trasmettere il modello di etica pubblica declinato dalla Costituzione, la ricchezza del suo contenuto promozionale e culturale, la linfa del bene comune, armonizzata dalla diffusione delle virtù civili,che necessariamente lo percorre e lo anima.

Purtroppo, occorre riconoscerlo, nell’epoca odierna, tragicamente segnata da inquietudini e incertezze, da nuove povertà e dall’amplificazione delle diseguaglianze, da sospetti e conflitti sociali, dallo smarrimento di ogni senso di comunanza, da una società divisa e vieppiù afflitta da uno spirito di rivalsa, tale patrimonio educativo è raro nei cittadini e, ancor più, nei governanti. Di qui l’ineluttabilità di un radicale, immediato e profondo impegno perché l’etica pubblica riacquisti la sua insostituibile funzione di orientamento educativo verso il bene pubblico e la diffusione delle virtù civili. Solo in tal modo si può tendere ad un futuro che riservi non certo l’uomo totale vagheggiato da Amleto, ma, almeno, cittadini più consapevoli, amministratori più onesti, governanti attenti a soddisfare l’interesse collettivo, e non esclusivamente dediti ad accrescere il proprio potere personale. Diversamente, dovremo tristemente concludere con le accorate parole del servo Adamo del “Come vi piace” di Shakespeare, il quale, rivolto al virtuoso padrone Orlando, esclama: <<…Non lo sapete, padrone, che per una certa razza di gente i meriti non servono che a farsi dei nemici? E così a voi i vostri. Le vostre virtù, caro padrone, vi tradiscono sacrosantemente. Oh che mondo è mai questo, dove la probità avvelena chi la possiede?>>, (Shakespeare, “Come vi piace”, atto secondo, terza scena).

Per chiudere sul tema, risulta più che mai eloquente, se non decisivo, il luminoso pensiero del Cardinale Carlo Maria Martini. <<Parlo di un intervento di tipo etico, poiché nelle sceltepolitiche… è a rischio la sopravvivenza…di quell’ethos civile condiviso che sta alla base di ogni società democratica…E’ proprio in relazione a tale ethos che il cristiano valuta e valorizza tutte le forme di ethos umano che, nel quadro di una comunità culturale e nazionale e sullo sfondo dell’intera comunità umana, contribuiscono a far collaborare molti al bene comune, al raggiungimento di una pacifica convivenza, alla diminuzione dell’ingiustizia, alla promozione della solidarietà, della pace e del rispetto del creato.

Questo insieme di valori si esprime nel metodo democratico, volto a tutelare la dignità e l’autonomia di ogni cittadino, la sua capacità di partecipare alla vita pubblica in maniera costruttiva, una cultura della libertà e dei diritti di tutti, una coscienza dei doveri e dei limiti della libertà di ciascuno>>. In tale contesto e solo in tale contesto, aggiunge Martini, trovano e possono trovare terreno fertile di promozione autentica e duratura altri valori particolari quali la sicurezza, la famiglia, il lavoro, la scuola eccetera. <<…Purtroppo alcuni movimenti politici hanno fatto leva sull’uno o sull’altro di questi valori singoli, considerandoli però al di fuori del contesto generale dei valori della democrazia, della solidarietà, del bene comune, pensando di attrarre quanti giustamente vogliono tali valori, ma ingannandoli, di fatto, sia sui risultati particolari sia sul quadro d’insieme…Il rischio perciò è di propiziarsi il consenso con strumenti retorici ed emotivi che, alla lunga, non convincono e non producono quella persuasione di base su cui si fonda una decisione responsabile>>, (C.M. Martini, “CRISTIANI coraggiosi”, pagg. 144/148, ed. “in dialogo”, 2016″.

Catania, 12 marzo 2019

Bruno Di Marco