Ferie dei magistrati: il punto a distanza di un anno dalla riforma

a cura di Fulvio Troncone

E sulla scorta di tale argomentazioni, con stretto riferimento al decreto ministeriale del 13 gennaio 2015, con cui  il Ministro della giustizia ha determinato il periodo di feriale fra il 27 luglio ed il 2 settembre 2015, sempre in tale delibera, il Csm ha precisato che tale indicazione non osta in linea di principio con il riconoscimento di 45 gg. di ferie ai magistrati,  perché́, nel corso del tempo, già vi sono stati periodi di mancata coincidenza fra il numero dei gg. di ferie riconosciuti ai magistrati ed il periodo feriale determinato dal Ministro con decreto. Ciò accadeva per esempio nel periodo tra l’anno 1969 e l’anno 1979 allorquando non vi era coincidenza tra la sospensione feriale (della durata di quarantacinque giorni) e le ferie dei magistrati (della durata di sessanta giorni).

Si tratterebbe dunque di ritenere il periodo feriale fissato dal Ministro come il periodo in cui va goduta la maggior parte delle ferie, come già riconosciuto nella normazione secondaria consiliare, e conseguentemente determinare le modalità di fruizione dei residui quindici giorni di ferie e degli altri quattro giorni di c.d. “festività soppresse”, in modo tale da garantire la continuità di funzionamento del servizio giudiziario, individuando delle “fasce di fruibilità” privilegiate, che – per evidenti ragioni organizzative – devono di regola coincidere con la settimana immediatamente antecedente all’inizio del periodo feriale e la settimana immediatamente successiva, durante le quali l’attività degli uffici giudiziari deve limitarsi alle urgenze allo scopo di consentire l’ordinata definizione e ripresa delle attività giudiziarie.

3. La sentenza del Tar Lazio n. 9305/2015.

Il Tar Lazio, adito in sede di impugnativa del suddetto decreto ministeriale, con sentenza n. 9305 del 10 luglio 2005, ha disatteso l’interpretazione sterilizzatrice della riforma del periodo di  ferie dei magistrati ordinari che esercitano funzioni giurisdizionali, rilevando, al contrario, che la riduzione in argomento interessi tutti i magistrati.

Tale è l’iter argomentativo seguito: E’ in proposito da considerare che la tecnica legislativa utilizzata nell’introdurre il predetto art.8bis, così come emerge tenendo presente le norme di cui si viene subito a far cenno, è nel senso che non si è voluto disciplinare le ferie dei magistrati diversi da quelli ordinari mediante una norma inserita nell’ordinamento giudiziario di cui al rd 30 gennaio 1941 n.12.

E invero:

-l’art.90, primo comma, di tale ordinamento giudiziario prevedeva che i magistrati che esercitavano funzioni giudiziarie avessero un periodo annuale di ferie di giorni sessanta; con la precisazione che nei primi quindici giorni avrebbero dovuto essere definiti gli affari e gli atti in corso; era anche previsto (terzo comma dello stesso art.90) che i pretori avevano un congedo ordinario annuale di trenta giorni; era poi previsto, e lo è tuttora (secondo comma del medesimo art.90) che il periodo delle ferie venisse fissato con decreto ministeriale;

-con l’art.8 della legge 2 aprile 1979 n.97 il predetto primo comma venne modificato riducendosi il periodo di ferie a quarantacinque giorni; senza più prevedere un periodo per la definizione degli affari e degli atti in corso;

-con il secondo comma dell’art.16 del dl 12 settembre 2014 n.132 (come convertito con la legge 10 novembre 2014 n.162) è stato introdotto l’art.8-bis in discussione.

Orbene, va considerato che, con l’introduzione dell’art.8 cit., si intervenne sull’ordinamento giudiziario del 1941, che concerne i soli magistrati ordinari; all’esito di tale introduzione, risultava quindi testualmente modificato l’art. 90 di detto ordinamento; non si ebbe, cioè, una norma successiva incompatibile con altra precedente e pertanto di questa abrogativa; si ebbe invece una riformulazione, con modificazione, della precedente disposizione.

Con l’art.8bisin discussione non si è intervenuti sul solo ordinamento giudiziario, bensì sull’ordinamento di tutte le magistrature, senza distinzione alcuna anche con riferimento a possibili distinzioni fra esercizio di funzioni giudiziarie e non.

Detto art.8bissi pone, quindi, in posizione di incompatibilità con l’analoga previsione di cui all’art.90 cit. e, in quanto successivo, in posizione di prevalenza.

Non è conducente considerare che l’art.8 e l’art. 8bisfanno formalmente parte della stessa legge n.97 del 1979 per cui dovrebbero essere interpretati nel senso della loro contemporanea vigenza; cosicché, come dedotto dalle ricorrenti, la riduzione a trenta dei giorni di ferie dovrebbe interessare i soli magistrati che non esercitano funzioni giudiziarie.

L’appartenenza di detti articoli alla stessa legge è soltanto formale, dato che, come visto, l’art.8 intervenne sull’art. 90 dell’ordinamento giudiziario, mentre l’art.8bisè stato aggiunto alla legge n.97 del 1979.

L’art.8, cioè, ha fatto sistema con l’art.90 cit., mentre l’art.8-bis è autonomo; dal che è da ritenere che la tecnica legislativa utilizzata, che non ha previsto un intervento diretto sull’art.8, si spiega considerando che è parso non opportuno, per ragioni sistematiche, inserire, nell’ambito dell’ordinamento giudiziario, che concerne i (soli) magistrati ordinari, una norma applicabile a tutte le magistrature.

Deriva che il coordinamento fra le due norme in discussione comporta che l’art.8-bis, essendo successivo ai predetti articoli 90 + 8 e regolando l’intera materia delle ferie relative a tutte le categorie di magistrati, si impone su ogni disciplina diversa, ai sensi dell’art.15 delle disposizioni sulla legge in generale.

Non è stata così ricevuta dal giudice amministrativo la declinazione, espressa, peraltro, senza dubbio alcuno, nella riportata delibera consiliare del 26 marzo 2015, per cui vi sarebbe formale coesistenza tra l’art. 90 ord. giud. e la norma di nuovo conio, di modo che la disposizione contenuta nel detto articolo 90 non sarebbe stata espressamente modificata dal decreto-legge e continuerebbe a prevedere un periodo di ferie di 45 giorni annui per i magistrati esercenti funzioni giudiziarie.

Invero, il giudice amministrativo non riconosce niun particolare rilievo ai lavori preparatori evidentemente condividendo l’impostazione affermata più volte dalla Corte regolatrice[2] per cui i lavori preparatori svolgono un ruolo unicamente sussidiario nell’interpretazione di una legge, in quanto la volontà da essi emergente non può sovrapporsi alla volontà obiettiva della legge quale risulta dal dato letterale e dalla intenzione del legislatore intesa come volontà oggettiva della norma (voluntas legis), da tenersi distinta dalla volontà dei singoli partecipanti al processo formativo di essa. Ed obiettivamente era difficilmente sostenibile, sulla base del generale canone di ragionevolezza[3], che la voluntas legis (altro dalla voluntas legislatoris, e seppure, nel delineare la stessa, possa avere comunque un qualche rilievo il mero contributo di studio della tecnostruttura parlamentare[4]) fosse quella di riformare il periodo feriale di tutte le magistrature, ad eccezione dei magistrati ordinari esercenti funzioni giudiziarie,  unicamente per i quali continuava a rimanere vigente la normativa anteatta.

Nella successiva produzione provvedimentale (ad esempio, risposta a quesito del 21 ottobre 2015) il Consiglio ha, quindi, preso atto che, per effetto della citata sentenza del TAR per il Lazio, il periodo di ferie dei magistrati che esercitano funzioni giudiziarie sia di trenta giorni  e non quarantacinque.

4. Le problematiche conseguenti alla riforma.

In conseguenza dell’arresto del collegio capitolino le diatribe interpretative sull’attuale durata sembrano essersi sopite.

Ma non possono, del pari, dirsi risolte tutte le problematiche conseguenti alla riduzione del periodo feriale.

Come faccio a spiegare a mia moglie che quando guardo fuori dalla finestra sto lavorando?: è un’ aforisma riferito a Joseph Conrad e ripreso da Dino Risi.

Ed è un’aforisma che ben si attaglia all’attività professionale del magistrato, in specie della magistratura giudicante.

La produzione intellettuale richiesta dal magistrato, comprensiva dell’attività decisionale e della redazione delle motivazioni dei provvedimenti adottati, è ontologicamente non assoggettabile a rigidi orari prefissati di tempi di lavoro e di riposo. 

Né, come è ovvio, il lavoro si esaurisce nello svolgimento dell’udienza, essendo ad essa connessa un’attività prodromica, di lettura e studio  degli incartamenti processuali che saranno in tale occasione discussi, ed un’attività che dalla stessa consegue, quali, appunto, la stesura di motivazione dei provvedimenti adottati o riservati nel suo corso.

Il giudice di prime cure è, poi, molto impegnato anche nell’evasione di istanze, ricorsi e quant’altro che non necessariamente trova la sua genesi nel corso dell’attività di udienza.

Un lavoro composito, dunque, non riconducibile in una funzione di tipo burocratico, tipica di altre amministrazioni pubbliche.

Non è indifferente a tale dato empirico il disegno che della magistratura, di nuovo in particolare di quella giudicante, i Padri costituenti hanno tratto nella Norma fondamentale: come ordine e non come amministrazione; come potere diffuso e non come struttura gerarchico-verticistica; caratterizzato dall’esclusiva soggezione alla legge, con cui il giudice è tenuto ad instaurare un rapporto diretto senza intermediazione alcuna.

Il tutto va sposato con la constatazione per cui il diritto non è una scienza esatta, in grado di offrire la controprova della esatta correttezza dell’opzione adottata, ma, al contrario, è un mondo in cui le soluzioni adottate al più devono rispondere, come sopra cennato, al criterio di ragionevolezza. Tale parametro di per sé apre ad un insopprimibile iato di discrezionalità e di controvertibilità, almeno in via diacronica e, quindi, sollecita l’operatore ad un continuo metodo di studio, a coltivare il vizio del dubbio e ad orientare la propria bussola al pensiero del saggio uomo socratico che sa di non sapere[5]. Non esiste, cioè, una regola data valevole per sempre e per ogni caso, ma, al contrario, il giudice deve continuamente sottoporre le proprie ipotesi interpretative ad un procedimento di falsificazione, vagliando la possibilità di percorrere nuovi percorsi, anche alla luce del diritto sovranazionale ed eurounitario, al fine di assicurare una sempre maggiore tutela ai diritti in continua emersione.

Un lavoro faticoso, difficile, irto di insidie, intellettualmente denso, a volte usurante  che non può essere imbrigliato in anguste maglie spazio-temporali, o meglio in asfittici orari di ufficio[6].

E non è un caso che il Csm, con delibera del 3 luglio 2013, ha riconosciuto la specificità del servizio assicurato dal magistrato ed ha, quindi, affermato che “i magistrati non hanno orario di lavoro prefissato rigidamente”,  evidenziando, in particolare, che bisogna tener presente “la natura sui generis del rapporto d’impiego del magistrato, che ha la sua ragion d’essere nel particolare rilievo che nel quadro costituzionale assume la funzione giurisdizionale, connotata da valori di autonomia ed indipendenza la cui tutela si esprime, ai fini della determinazione della fonte disciplinatrice dello status giuridico ed economico dei magistrati, nel principio della riserva di legge (artt. 102, comma 1, e 108, comma 1, Cost. ) e nelle attribuzioni riservate al Consiglio Superiore della Magistratura, quale Organo competente ad adottare i provvedimenti concernenti lo statuto dei magistrati. Il principio della riserva di legge, proprio in quanto risponde ad esigenze di salvaguardia dell’indipendenza e di autogoverno dei magistrati, si traduce nella attribuzione di una competenza esclusiva in favore della fonte di normazione primaria, con conseguente estromissione di tutte le altre fonti di disciplina, compresa quella di natura negoziale. Ebbene, nell’attuale sistema regolativo, i magistrati ordinari sono qualificabili come lavoratori dipendenti con orario di servizio non predeterminato, né predeterminabile ..omissis.. In particolare, pur essendo lavoratori dipendenti, i magistrati sono obbligati ad una prestazione professionale incentrata essenzialmente sul raggiungimento di unopusfinale, cioè un risultato, parametrato al carico di lavoro, e congiuntamente sottostanno a limitati obblighi difacerefunzionali al risultato stesso (es. la presenza in ufficio nei giorni di pubblica udienza, ma senza un orario rigido predeterminato). Esattamente nel senso anzidetto, il Consiglio stesso, in diverse occasioni, ha avuto modo di evidenziare come “l’attività del personale di magistratura nello svolgimento delle funzioni giurisdizionali, a differenza della gran parte delle altre categorie del personale pubblico, non è sottoposta – proprio in ragione della particolare natura dell’attività prestata – ad una rigida predeterminazione dell’orario di lavoro, trattandosi di una funzione – quella giurisdizionale – che viene svolta in posizione di autonomia ed indipendenza e, quindi, la previsione di un orario di lavoro predeterminato appare non solo poco funzionale alle esigenze del servizio ma anche pregiudizievole e limitativa per le modalità, quanto mai varie in relazione alle specifiche funzioni adempiute, di svolgimento concreto della funzione giurisdizionale”.

Per questo il problema del periodo delle ferie dei magistrati è stato forse posto in termini demagogici e, comunque, non del tutto rispondenti alle reali esigenze del servizio giustizia.

In ogni caso, circa le modalità di computo e fruizione delle ferie, è pleonastico rammentare chenel periodo di congedo ordinario non sono computati i giorni festivi, stante l’applicabilità ai magistrati della disposizione di cui all’art. 15 della legge 11 luglio 1980, n. 312 (cfr. delibera del Csm del 17 dicembre 1980, ove si evidenzia che, a seguito delle modificazioni introdotte dalla legge 2 aprile 1979, n. 97, le ferie dei magistrati sono state equiparate al congedo ordinario del personale civile dell’Amministrazione dello Stato).

Da tale equiparazione discende l’applicabilità anche al corpo magistratuale dell’art. 15 L. n. 312/1980, che dispone, con generico riferimento al pubblico impiego, che “il congedo ordinario è stabilito in trenta giorni lavorativi da fruirsi irrinunciabilmente nel corso dello stesso anno solare in non più di due soluzioni, salvo eventuali motivate esigenze di servizio, nel quale caso l’impiegato ha diritto al cumulo dei congedi entro il primo semestre dell’anno successivo”Tale limite del 30 giugno dell’anno successivo, fissato perentoriamente dall’ art. 15 citato, non è di regola superabile ed il magistrato, essendo irrinunciabile il diritto al congedo ordinario, ha il dovere di goderlo entro il detto limite, salvo che si trovi nella oggettiva impossibilità di fruire del congedo ordinario entro tale ulteriore termine: in tal caso potrà fruirne immediatamente dopo la cessazione della causa di impossibilità (cfr. delibera del Csm del  19 marzo 2003 e  del 13 febbraio 1992).La delibera del 22 ottobre 2009, sul punto, chiarisce che si deve seguire un clinamen ascendente nella concessione del periodo feriale, per cui deve comunque esservi una gradualità nel superamento dei limiti temporali stabiliti per il godimento delle ferie; il primo di essi è quello dell’anno, poi vi è quello del primo semestre dell’anno successivo e, solo come estrema ratio, è ammissibile il superamento anche di quest’ultimo limite.

Con delibera del 10 giugno 2009 è stato confermato che il godimento anticipato delle ferie annuali è ammissibile “solo per ragioni di servizio” e “fatta sempre salva la necessità dell’assenso del capo della Corte di appello di appartenenza (cfr. delibere 25 febbraio 1971, 16 luglio 1980, 13 settembre 1983, 18 luglio 1984 e 3 giugno 1987)”.

Va da sé che il personale magistratuale non ha diritto alla monetizzazione del congedo non fruito, oggi neanche in caso di cessazione del rapporto di lavoro, per effetto dell’art. 5, comma 8 del d.l. n. 95/2012, convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, L. 7 agosto 2012, n. 135, per il quale le ferie, i riposi ed i permessi spettanti al personale, anche di qualifica dirigenziale, delle amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall’Istituto nazionale di statistica (ISTAT) ai sensi dell’articolo 1, comma 2, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, nonché delle autorità indipendenti ivi inclusa la Commissione nazionale per le società e la borsa (Consob), sono obbligatoriamente fruiti secondo quanto previsto dai rispettivi ordinamenti e non danno luogo in nessun caso alla corresponsione di trattamenti economici sostitutivi.  Si tratta di disposizione si applica anche in caso di cessazione del rapporto di lavoro per mobilità, dimissioni, risoluzione, pensionamento e raggiungimento del limite di età. 

Sempre in punto di modalità di calcolo delle ferie maturate, particolare è la delibera del 9 settembre 2015 in merito al problema se nel corso dell’aspettativa elettorale maturino giorni di ferie.

Ed il Consiglio, innestandosi su un ragionamento più ampio, ha concluso per una soluzione negativa, sulla scorta di una summa divisio fra i casi in cui la mancata prestazione dipende da malattia, cioè da un evento impeditivo oggettivo non imputabile, nei quali  il diritto alle ferie matura pienamente, come fosse un servizio effettivo ininterrotto ex art. 202, comma 1, O.g. (che infatti è parzialmente retribuito)[7] ed i casi in cui, invece, l’aspettativa dipende da una scelta personale del lavoratore, per ragioni che non presentano profili d’interesse per l’Amministrazione, così come avviene per i motivi elettorali,  nei quali sinallagma si attenua massimamente, dando luogo non solo a ricadute di tipo stipendiale, ma anche giuridico. Si tratta di ipotesi in cui la mancata prestazione, pur giustificata, non si traduce in un’attività lavorativa in qualche modo apprezzabile dall’Amministrazione di appartenenza, per cui non sorge l’esigenza strutturale di recupero delle energie e dell’usura del lavoro non si presenta in nulla valutabile tamquam effettiva.

Per altro verso, particolarmente impegnativa è la questione della computabilità dei termini di deposito dei provvedimenti, o meglio della compatibilità fra il principio della necessaria effettività del godimento delle ferie da parte del singolo magistrato ed il rispetto dei termini di deposito dei provvedimenti giudiziari.

In realtà, si tratta di problema non nuovo, atteso che, già nella delibera del 14 dicembre 2006, l’Organo di governo autonomo ha sul tema d’interesse rilevato che l’art. 90 Ord. giud., nella sua versione originaria, prevedeva che i magistrati nei primi quindici giorni delle loro ferie (allora di sessanta giorni) provvedessero alla stesura dei provvedimenti e delle sentenze relative ai processi trattati prima dell’inizio del periodo feriale (nei primi quindici giorni definiscono gli affari e gli atti in corso). A seguito della modifica intervenuta con la L. n. 97 del 1979, il periodo citato della norma è stato soppresso ed il periodo di ferie è stato ridotto a quarantacinque giorni. Il Consiglio (delibere 1 giugno 1979; 19 giugno 1985; 8 ottobre 1986) ha ripetutamente affermato che, a seguito di tale modifica, il periodo feriale deve essere effettivamente goduto dal magistrato e l’organizzazione del lavoro deve essere calibrata in modo tale da consentire tale pieno godimento (ad esempio, attraverso un acconcio calendario delle udienze). Per il caso, tuttavia, che il magistrato non possa godere delle ferie nel periodo stabilito per oggettiva impossibilità (ad esempio tenuto conto dei tempi necessari per la stesura di provvedimenti giurisdizionali: delibera del 25 maggio 1991), lo stesso potrà fruirne immediatamente dopo la cessazione della causa di incompatibilità, accertata dal Capo dell’ufficio”.E, quindi, il Csm ha precisato che”nel caso di specie, riconosciuta la necessità che il magistrato doveva necessariamente prestare il proprio servizio nel periodo originariamente programmato come feriale per stendere la motivazione della sentenza, doveva essere variata la tabella feriale, semmai con provvedimento d’urgenza immediatamente esecutivo, con revoca del precedente periodo feriale stabilito e sua concessione in quello immediatamente successivo. Con la variazione tabellare doveva essere anche prevista una eventuale diversa organizzazione dei servizi”.

Orbene, escluso che, per effetto della novella, il periodo feriale goduto dal magistrato possa rilevare per sospendere il computo dei termini processuali di deposito degli ordinari provvedimenti giudiziari, si rivela decisiva è l’operatività dell’ultimo comma dell’art. 16 del D.L. n. 132/2014, convertito in legge n. 162/2014, che ha rimesso agli Organi di governo delle magistrature l’adozione di misure organizzative conseguenti all’applicazione della nuova normativa in materia di congedo ordinario.

Come si legge nella relazione di accompagnamento al disegno di legge di conversione, si tratta di una norma di chiusura volta ad assicurare che il C.S.M. possa individuare ed adottare gli accorgimenti idonei ad assicurare l’effettività del godimento del periodo di ferie.

Forte della facoltà attribuita dal legislatore, il Consiglio, con delibera del 25 marzo 2015, su proposta della Settima Commissione, avente ad oggettol’adozione di misure organizzative in materia di ferie dei magistrati ex art. 16 co. 4 decreto legge  n. 132 del 2014, convertito con legge 10 novembre 2014, n. 162,  ha disposto:

che – al fine di garantire l’effettività del godimento delle ferie – i Dirigenti degli uffici giudiziari, sentiti in apposita riunione i magistrati dell’ufficio, programmeranno il calendario ed i ruoli delle udienze del mese di luglio in modo da prevedere un congruo periodo da destinare al deposito dei provvedimenti e alle ulteriori attività connesse prima dell’inizio del periodo feriale stabilito con decreto del Ministero della giustizia, nonché il calendario ed i ruoli delle udienze del mese di settembre in modo da prevedere un congruo periodo da destinare allo studio degli atti e alla preparazione delle udienze. Ulteriori accorgimenti organizzativi dovranno essere previsti, per la stessa finalità, anche per i magistrati che godranno di parte delle loro ferie in periodi diversi da quello feriale, tenendo conto delle esigenze dell’ufficio;

che i dirigenti degli uffici dovranno prevedere una tabella feriale conseguentemente più estesa in ragione delle determinazioni assunte per effetto di quanto indicato nella lettera precedente. I dirigenti dovranno in tale periodo scadenzare i turni di presenza dei magistrati per garantire le udienze ed i provvedimenti urgenti ed indifferibili, in maniera tale da garantire l’effettività del godimento delle ferie anche per i magistrati che esercitino funzioni naturalmente connesse con le urgenze ed i turni di reperibilità (es. Gip, Procure, Tribunale del Riesame, Giudice Tutelare, ecc. );

di richiedere ai dirigenti degli uffici giudicanti e requirenti di predisporre nell’ambito dei progetti tabellari e dei documenti organizzativi degli uffici requirenti, sentiti in apposita riunione i magistrati dell’ufficio, con provvedimento immediatamente esecutivo da trasmettere al Consiglio giudiziario ed al C.S.M. e sottoposto ad approvazione in caso di osservazioni, le misure organizzative idonee a garantire il recupero delle energie lavorative da parte dei magistrati impegnati nei turni nei giorni festivi e nelle ore notturne, da fruire tenendo conto delle esigenze dell’ufficio e della programmazione del lavoro del magistrato. In sede di prima attuazione di tale normativa i dirigenti degli uffici predisporranno entro 30 gg. dalla presente circolare le relative variazioni tabellari o dei documenti organizzativi;

di  evidenziare, sia per i giudici che per i pubblici ministeri, che la giornata del sabato impone la presenza in ufficio esclusivamente per assicurare udienze e turni calendarizzati, o attività urgenti sopravvenute ed indifferibili.

La riduzione del periodo feriale ha, in particolare, acuito il problema dei riposi compensativi,particolarmente sentito dalla magistratura requirente.

Sul punto il Consiglio, con risposta a quesito del 9 settembre 2015, si è così recentemente espresso: nella stessa ottica, infine, il Consiglio ha escluso un diritto dei magistrati (in ispecie la questione si è posta con riguardo ai turni per i pubblici ministeri) ad un riposo compensativo nel caso di prestazione fornita in giorno festivo, nonché – in una prospettiva più generale – lo stessa articolazione di un diritto ad un giorno di riposo settimanale.

La disciplina generale del pubblico impiego contenuta nell’art. 35 del D.P.R. 10 gennaio 1957 n. 10 – secondo il quale “l’impiegato ha diritto ad un giorno di riposo settimanale che, di regola, deve coincidere con la domenica … Qualora per esigenze dell’amministrazione l’impiegato debba prestare servizio in un giorno riconosciuto festivo egli ha diritto di astenersi dal lavoro in un altro giorno feriale stabilito dall’amministrazione” – è, infatti, inapplicabile ai magistrati, restando  prevalente la priorità delle esigenze del servizio rispetto ai tempi e alle modalità del riposo del magistrato.

Resta, invero, salva l’applicazione diretta dell’art. 36 della Costituzione, ma, anche in questo caso secondo i criteri delineati dalla Corte costituzionale per i dirigenti, con esclusione, quindi, di ogni automatismo nell’applicazione del principio del riposo settimanale e di quello conseguente del riposo compensativo.

Il Consiglio, del resto, ha ritenuto, sul punto, con orientamento risalente ma consolidato, di riversare le esigenze correlate sull’evidente necessità di recuperare le energie biopsichiche e la partecipazione alle comuni forme di vita familiare e sociale sull’organizzazione del lavoro dell’ufficio, che debbono prevedere, per i magistrati che svolgono lavoro notturno e festivo, che sia prevista, per le giornate successive “una organizzazione del lavoro, secondo le contingenti esigenze degli uffici, che consenta di usufruire dell’indispensabile riposo”.

Per quanto, poi, segnatamente, riguarda le modalità di recupero da parte dei pubblici ministeri dei turni festivi e notturni, con risposta a quesito del 21 ottobre 2015, il Consiglio ha ribadito quanto affermato in precedenti delibere, ossia che il recupero delle energie dei pubblici ministeri impegnati nei turni festivi e notturni dà diritto a non essere presente in ufficio e va fruito, tenuto conto delle esigenze organizzative dell’ufficio e previa comunicazione verbale al dirigente dell’ufficio, in un giorno il più possibile vicino a quello in cui si sono esauriti i successivi adempimenti procedurali connessi al turno, in considerazione, da un canto, dellaratiodi “recupero” della previsione e dall’altro, del generale protrarsi di impegni lavorativi successivamente al turno e ad esso conseguenti.

Infine, per i magistrati ordinari in tirocinio, per i quali il periodo di congedo ordinario è sempre stato fissato in trenta giorni, la risposta a quesito del 9 luglio 2014 ha ribadito che quanto alla diversa questione relativa al godimento delle ferie, facendo rinvio alle disposizioni sulle modalità di godimento delle stesse da ultimo analizzate nell’articolata delibera CSM del 21 aprile 2011 “circolare ricognitiva sulle modalità di godimento delle ferie”, e richiamato il generale principio in base al quale il congedo ordinario deve essere normalmente goduto continuativamente in coincidenza con il periodo feriale fissato al principio di ogni anno ai sensi dell’art. 90 RD 12/41, si ritiene che – in caso di impossibilità ad usufruirne prima della presa di servizio negli uffici di destinazione – in base al regime generale si possa differire il godimento delle ferie maturate durante il periodo di tirocinio sino al primo semestre dell’anno successivo.

Fulvio Troncone

[1] Nella sua versione originaria, l’articolo prevedeva che i magistrati delle corti e dei tribunali hanno un periodo annuale di ferie di giorni sessanta. Nei primi quindici giorni definiscono gli affari e gli atti in corso.

[2] Cass., 21 maggio 1988, n. 3550, in Arch. Loc. Cond., 1988, 713; Id., 8 giugno 1979, n. 3276.

[3] G. Zagrebelsky ha scritto sul quotidiano La Repubblica del 15 aprile 2015, nell’ambito dell’articoloVitalizi ai condannati: se la politica cerca l’alibi dei giuristi per non dover decidere:La ragionevolezza è l’àncora di salvezza del diritto, è la direttrice che serve a separare gli argomenti buoni da quelli cattivi. In assenza, il diritto perderebbe se stesso e diventerebbe fattore di disfacimento sociale. Altrimenti, dovremmo dare ragione al Bartolo delle Nozze di Figaro: “con un equivoco, con un sinonimo qualche garbuglio si troverà”. E che il principio di razionalità debba innervare qualsiasi interpretazione giuridica: Cass., sez. un., 20 maggio 2014, n. 11021.

[4] Sul punto fondati dubbi sono stati espressi da A. Zaccaria, Il periodo di ferie dei magistrati: quarantacinque o trenta giorni?,in www.forumcostituzionale.it.

[5]We are not final because we are infallible, but we are infallible only because we are final, diceva Robert Jackson, 58° Procuratore generale degli Stati Uniti ed anche Procuratore capo per gli Stati Uniti al processo di Norimberga. Il Primo Presidente della Suprema Corte, dott. Ernesto Lupo, in occasione del discorso tenuto il 20 luglio 2011 dinanzi ai magistrati in tirocinio ricevuti al Quirinale dal Presidente della Repubblica, ha affermato: La terza qualità, che si richiede perché un magistrato possa incamminarsi con consapevolezza piena dei suoi doveri sulla lunga strada che lo attende, è l’umiltà. Al riguardo, da una parte, va ricordato che quella strada è continuamente insidiata dalla possibilità dell’errore e, dall’altra, occorre sempre tenere presente l’ammonimento di Calamandrei, quando diceva: «Signori giudici, il vostro potere è così grande che l’umiltà per voi è il prezzo dovuto perché siate legittimati ad esercitarlo».

[6] Stupisce allora lo stupore di taluni commentatori M. De Marco, La giudice di De Luca e il marito separato (ma consulente), in Corriere della Sera, 19 novembre 2015 nell’apprendere che per un magistrato italiano è normale scrivere le sentenze a casa.

[7] Esattamente in questa direzione, il Consiglio superiore della magistratura, con delibera del 28 maggio 2009, ha ritenuto “che il periodo di aspettativa per infermità usufruito dal magistrato non fa venire meno il diritto al godimento del congedo ordinario maturato”.

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