Giuseppe Battista
Giuseppe Battista – Collegio 4 giudicante

Prologo 

La fila di quelli che avevano deciso di consegnare era di gran lunga più corta della moltitudine di coloro i quali, pur di non perdere una delle tre famose possibilità, si stavano in pratica bocciando da soli. Pensai, tuttavia che non fosse una valida ragione per affidare alla commissione esaminatrice il mio compito sul comodato dei beni strumentali e i relativi vizi, con gli allora immancabili cenni al diritto romano. In tutta onestà ci avevo messo un’ora solo per capire la traccia.  

Mentre me ne stavo lì, passandomi il manoscritto da una mano all’altra, incrociai il viso sorridente della commissaria che raccoglieva gli elaborati dei temerari. Mi disse qualcosa tipo: “fossi in lei consegnerei, può essere un’occasione”, frase che in seguito seppi aveva detto anche a un’altra futura collega, di Bari come me. Automaticamente, depositai il mio compito davanti a lei, la salutai e, dopo avere apposto le firme di prammatica sul verbale, guadagnai l’uscita del non indimenticabile Hotel Ergife. 

Era il 22 maggio 1992 e quella donna era Francesca Morvillo. 

Quel che è venuto dopo. 

Ho voluto condividere con voi questo ricordo, che è tra i miei più cari e non solo della vita professionale. La nomina a uditore giudiziario (allora si diceva così) arrivò poco più di due anni dopo quel pomeriggio romano, con il DM 8.7.1994. Avevo trent’anni. 

Sono infatti nato il 2 gennaio 1964 a Bari ma, essendo originario della provincia di Foggia per parte di madre e  avendo sposato una tarantina (mia moglie Patrizia Famà è anche lei giudice presso il Tribunale per i minorenni) conosciuta mentre lavoravamo a Brindisi, preferisco definirmi pugliese. Abbiamo due figli gemelli appena diciottenni – ovviamente bellissimi – con i quali condividiamo la passione per il cinema, la letteratura e la musica (sia ascolta che suonata). 

Prima di entrare in magistratura sono stato per cinque anni funzionario della Prefettura di Brindisi. Era l’epoca delle prime, massicce migrazioni di profughi albanesi e della violenta affermazione della Sacra Corona come quarta mafia.  

Ho prestato servizio per quasi quattordici anni presso il Tribunale per i Minorenni di Bari, fino al 2009, svolgendo funzioni civili, penali e di sorveglianza. Il mio legame con il mondo minorile è attestato dall’aver provveduto – su formale incarico dell’allora presidente – alla stesura delle tabelle dell’ufficio e dall’aver svolto il ruolo di docente dal 1999  al 2006  nell’ambito del corso di perfezionamento – successivamente corso di alta formazione permanente e ricorrente – in legislazione minorile, attivato dalla Facoltà di Giurisprudenza (dipartimento di Bioetica) dell’Università degli studi di Bari. 

Dal 2009 al 2012 sono stato giudice unico penale presso le sezioni distaccate di Acquaviva e Rutigliano, fungendo anche da coordinatore di quest’ultima.   

In epoca successiva – e per dieci anni – ho fatto parte della Sezione del Riesame e della Misure di Prevenzione del Tribunale di Bari e in tale veste ho trattato, nella fase cautelare, numerosi procedimenti di criminalità organizzata, per reati contro la pubblica amministrazione, di omicidio e di criminalità “economica”. Quale giudice delegato, ho curato la gestione di rilevanti patrimoni sottratti alla criminalità nell’ambito del Codice antimafia. 

Sono stato componente della Commissione flussi presso il Consiglio giudiziario di Bari per il quadriennio 2009 – 2011, nonché referente per la Formazione decentrata (allorché in tale ambito era competente il CSM) nel settore penale per il distretto di Bari con deliberazione del CSM in data 30.7.2010 e confermato in tale incarico per il biennio 1°.6.2011 – 30.5.2013.   

Ho partecipato a vari scambi nell’abito della Rete Europea di Formazione giudiziaria, con amarezza constando che le nostre condizioni di lavoro sono sistematicamente deteriori rispetto a quelle dei colleghi stranieri, anche se operanti in contesti continentali che siamo apoditticamente portati a ritenere meno avanzati. 

Dal marzo di quest’anno svolgo funzioni di GIP/GUP. 

Ho sempre creduto nell’impegno associativo. 

Ho fatto parte della Commissione di Studio dell’ANM per le Pari Opportunità (C.D.C. 2007 – 2012); se non erro, unitamente ad altro collega, ero il primo componente uomo di quel gruppo di studio. In tale ambito ho redatto la bozza relativa alla proposta di modifica della circolare sui tramutamenti, parzialmente accolta dal CSM con la circolare n. 12046/2009. 

Sono stato componente della Giunta Sezionale dell’Associazione Nazionale Magistrati per il distretto di Bari nel quadriennio 2017 – 2021, svolgendo le funzioni di presidente dal 1°.6.2018 al 28.2.2020, epoca coincidente con la grave situazione determinatasi a seguito della dichiarata inagibilità del palazzo che ospitava gli uffici giudiziari penali di primo grado (ricordate i processi sotto le tende?).  Sono stato coinvolto – unitamente ai capi degli Uffici giudiziari ed ai rappresentanti degli Organismi forensi – nella gestione dell’emergenza edilizia. Grazie anche al nostro impegno, siamo riusciti a evitare soluzioni-ponte improponibili, tra le quali allocare gli uffici penali in una ex fabbrica di tonno o in un palazzo angusto, prossimo a una zona contaminata dall’amianto. 

A chi crede (anche comprensibilmente, dopo tutto quello che è successo), che l’associazionismo sia solo uno strumento per ottenere benefici e prebende, posso in tutta onestà affermare che non ne ho mai richiesti né ho solo pensato di farlo. La mia esperienza è stata votata esclusivamente all’impegno, nell’interesse di tutti i magistrati; terminato l’incarico in Giunta, ho accuratamente evitato qualsiasi forma di impropria “visibilità”. 

Ho accettato di candidarmi alle prossime elezioni del CSM (non prima di aver chiesto io che venisse verificata la candidabilità di altri valenti colleghi del distretto) perché credo di poter mettere a disposizione della comunità dei magistrati la mia esperienza ormai quasi trentennale nell’esercizio della giurisdizione e la conoscenza dei problemi reali della stessa. Ritengo si tratti di un buon punto di partenza per l’individuazione di soluzioni concrete, al di là di facili slogan (spesso amati dalla politica) o di mere affermazioni di principio, slegate dalla realtà.  

Ove mai doveste concedermi l’onore di far parte del Consiglio, ne uscirei a un’età incompatibile con la proposizione di domande per uffici direttivi o semidirettivi: come saprete, la legge n. 71/2022, meglio nota come Riforma Cartabia, all’art. 38 impone un “fermo biologico” rispetto a tali domande per i quattro anni successivi alla fine della consiliatura. Si tratta di un’ulteriore garanzia di un esercizio sine spe nec metu della funzione.   

Mi riconosco ormai da molti anni nel gruppo di Unità per la Costituzione e non intendo nasconderlo. Ne condivido i principi fondamentali di pluralismo ideologico, indipendenza dell’esercizio della giurisdizione e impegno per l’unità della magistratura associata.   

Se, come le cronache hanno dimostrato, “esponenti” di rilievo del gruppo hanno sbagliato (per usare un vellutato eufemismo), è innegabile che il gruppo  stesso abbia reagito con rigore e intransigenza, anche a costo di una perdita secca di consensi: il tempo delle clientele e dei favori agli amici degli amici è definitivamente scaduto.  

Superfluo dire che la mia adesione al gruppo non avrebbe alcun rilievo nell’esercizio delle funzioni di consigliere, così come non l’ha mai avuta nella mia vita di giudice e nella passata esperienza nell’ANM, che posso dire di avere svolto nell’interesse esclusivo di tutti i colleghi.  

Ritengo che il prossimo consiglio si troverà davanti a due sfide epocali. 

La prima è quella di ridare credibilità ed onore a sé stesso e all’intera categoria, trascinata nel discredito dai comportamenti di quella che continuo a ritenere una minoranza, ancorché non così esigua come più volte ci siamo detti, in chiave inconsciamente consolatoria.  

La seconda sfida è quella legata all’attuazione della Riforma Cartabia. 

Consentitemi una riflessione, avendone – come si dice – viste tante. 

Ogni volta che nel nostro Paese si parla di “riforma della Giustizia”, si intende – in realtà – riforma della Magistratura o, per essere ancor chiari, riforma contro la Magistratura, ritenuta poco affidabile, necessitante di controlli e limitazioni nonché offerta all’opinione pubblica quale capro espiatorio rispetto al proverbiale cattivo funzionamento del sistema. 

La legge n. 71/2022 non fa eccezione, pur dovendosi prendere atto di alcune previsioni sicuramente positive, quali la trasparenza nelle procedure di nomina dei direttivi e semidirettivi (art. 2, comma 1, lett. a) e il criterio tendenzialmente cronologico nella trattazione delle relative pratiche (lett. b).    

Il disegno complessivo, tuttavia, è quello di una burocratizzazione (perdonatemi il vocabolo, sgradevole almeno quanto la realtà che esprime) del ruolo e della costante prospettazione di sanzioni per la violazione di precetti, spesso non adeguatamente circostanziati. Siamo considerati, come dicevo, una categoria non degna di particolare fiducia, basti pensare alle famigerate “pagelle”, riferite alle capacità del magistrato di organizzare il proprio lavoro (art. 3, comma 1 lett. c), e frutto di un’aggiunta realizzata da una ben nota “manina”.    

Senza volervi tediare con un improprio “programma”, volevo individuare almeno questi pochi ed essenziali punti. 

  1. Trasparenza dei percorsi motivazionali nelle nomine quale bussola irrinunciabile, con predeterminazione dei criteri obbiettivi per la valorizzazione del merito e delle attitudini. Va, a mio avviso, definitivamente cancellata la tentazione di considerare il Consiglio un organo “politico”, rispetto al quale i sempre più frequenti annullamenti da parte del Giudice amministrativo sono considerati alla stregua di fastidiose intrusioni e non occasioni di autocritica. 
  1. Ripresa con forza del tema dei carichi sostenibili, oggetto di un ormai dimenticato referendum consultivo ANM del 2016, in considerazione del fatto che il PNRR prevede obbiettivi di riduzione dell’arretrato non oggetto di negoziazione e di così ampia portata (40% nel settore civile e 25% in quello penale) da apparire di difficile realizzazione. In più, l’art. 11 della riforma introduce un nuovo illecito disciplinare consistente nella omessa collaborazione del magistrato nell’attuazione delle misure di cui all’articolo 37, comma 5-bis, del decreto- legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, nonché la reiterazione, all’esito dell’adozione di tali misure, delle condotte che le hanno imposte, se attribuibili al magistrato. Appare ineludibile, a mio avviso, stabilire criteri onde valutare l’effettiva sostenibilità dei piani di smaltimento dell’arretrato, che è prevedibile saranno condizionati dalla necessità di conseguire i risultati attesi. Consentitemi una battuta: provate a raccontare a un collega olandese o tedesco che trattate più di dieci (dico dieci) procedimenti civili o penali in una singola udienza o, se PM, che avete da seguire qualche centinaio di indagini diverse. Di certo strabuzzerà gli occhi, convinto di aver frainteso, laddove si tratta di una condizione che chi come noi opera negli uffici del Sud, conosce fin troppo bene. 
  1. Rigorosa circoscrizione delle ipotesi di gravi anomalie in relazione all’esito degli affari nelle successive fasi, previsto ora dall’art. 3, comma 1 lett. g (a fronte del generico riferimento “all’esito nelle successive fasi”, in precedenza previsto) quale elemento di valutazione della professionalità. 
  1. Recupero del rapporto dialettico e trasparente con la componente “laica” del CSM. Il nuovo sistema elettorale, in larga parte maggioritario, favorirà una sorta di bipolarismo giudiziario, nel quale il voto dei “laici” potrà rappresentare l’autentico ago della bilancia rispetto alle scelte fondamentali. Penso non solo alle nomine dei dirigenti ma anche, giusto per esempio, alle pratiche a tutela dei magistrati più esposti alle interferenze della politica per la titolarità di procedimenti “sensibili”.   
  1. Semplificazione della normazione secondaria da parte del CSM, con formazione di “testi unici”, che raccolgano e riassumano le determinazioni assunte su ogni specifico argomento, evitando all’utente (cioè a ciascuno di noi) la faticosa ricostruzione del “pensiero” espresso su quel tema dal CSM.  

Epilogo 

Vivo questa “avventura” con grande serenità; ho pudore a parlare di “campagna elettorale” e ancor più di chiedere il vostro voto. Sarà comunque un’esperienza straordinaria conoscere tanti di voi, ascoltarne le opinioni e recepirne i suggerimenti. 

Se andrà bene, il CSM sarà il mio prossimo Ufficio per quattro anni, al quale come sempre dedicherò tutte le mie energie. 

Altrimenti, continuerò tranquillamente con le udienze preliminari e le misure cautelari, oltre che – nel tempo libero – con la mia passione a quattro corde (vedi foto sotto).  

E, forse, potrò imparare tutto sul comodato dei beni strumentali. 

Un abbraccio. 

Giuseppe Battista

e-mail: giuseppe.battista@giustizia.it 

Giuseppe Battista

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