Gruppi organizzati e competizione elettorale per il CSM

di Giuseppe Rana, Presidente di sezione del Tribunale di Trani

SOMMARIO: 1. Il tempo delle speranze. – 2. La vocazione naturale dei gruppi organizzati. – 3. Le regole del gioco. – 4. Le primarie: un’opportunità di cambiamento?

1- Il tempo delle speranze

Lo statuto di Unità per la Costituzione, art. 1-bis, dispone ancora, se non mi inganno, che Il gruppo promuove, anche con l’ausilio di mezzi telematici, la più ampia partecipazione democratica al dibattito associativo e alla determinazione della sua linea politica. All’uopo è costituito un apposito sito internet con finalità di scambi culturali e di informazioni. Può promuovere forme di consultazione diretta su temi ritenuti di interesse.”

Questo articolo fu introdotto sua mia proposta agli inizi degli anni 2000, in un momento in cui ancora molte speranze e molti fermenti attraversavano il vivere associativo e consentivano di guardare al futuro con nuove prospettive. Attraverso la nascente società digitale si poteva ancora sperare in un aumento del ruolo della base rispetto all’apparato, mentre, per altro verso, la formazione di un largo fronte di difesa dei valori costituzionali contro evidenti progetti di ridimensionamento del ruolo di tutela della legalità affidato alla Magistratura vedeva all’epoca una forte partecipazione dei colleghi non impegnati in ruoli associativi attivi. Diciamo pure che su questo fronte, all’interno della Magistratura associata, Unità per la Costituzione aveva forse i migliori argomenti da spendere.

Mi piace ricordare, se mi si concede un po’ di nostalgia, che il mio lungo periodo di militanza associativa, iniziata intorno all’anno di grazia 1989, a quel tempo viveva il massimo entusiasmo.

Come dicevo, era un tempo in cui erano in corso forti cambiamenti nel mondo associativo e nell’autogoverno: paragonabili forse, almeno per la profondità degli effetti, al cruciale quadriennio ’68-’72 dopo il quale, si sa, nulla è stato più come prima in Magistratura e nel Paese.

La dissoluzione definitiva delle tradizionali regole del rapporto dialettico tra magistratura associata, mondo politico e valori ideali; la complessiva e più forte insofferenza della classe dirigente del Paese verso la magistratura associata e l’autogoverno; la nuova legge elettorale del CSM e l’avvento del mondo digitale stavano cambiando il nostro mondo. E noi non ce ne siamo accorti per tempo: almeno non nel modo dovuto.

Da un sistema elettorale certo perfettibile, ma che si basava su un certo grado di autonomia dei candidati rispetto all’influenza del gruppo organizzato, si passò con conseguenze drammatiche ad un sistema che consegnò alle cosiddette correnti un controllo praticamente assoluto non solo delle candidature ma, di fatto, della stessa elezione dei membri del CSM. Sono testimone del fatto che tutto ciò ha contribuito anche a cambiare in modo irreversibile (fino ad oggi almeno) la vita e l’essenza stessa di Unità per la Costituzione, raffreddando tanti entusiasmi ed allontanando tante intelligenze.

2- La vocazione naturale dei gruppi organizzati

Ebbene, io credo che un sistema di autogoverno basato sull’elezione diretta di un organo collegiale porta con sé, in modo direi naturale, la formazione di gruppi organizzati aventi la finalità di concorrere, in qualche modo, alla competizione elettorale selezionando e proponendo i concorrenti sulla base di un programma e di valori concorrenti a quelli altrui. E ciò non solo per la banale ragione che in democrazia occorre raccogliere voti e consensi e senza una macchina organizzativa la corsa ne risulta a di poco complicata; ma anche per la più importante ragione che almeno dal ‘68-‘72 il CSM ha perso la sua connotazione amministrativo-burocratico-corporativa ed è stato chiamato anche ad esprimere indirizzi politici in materia giudiziaria che sono inconcepibili senza un pluralismo interno, possibilmente slegato da maggioranze e minoranze precostituite.

La Storia di questo Paese ha visto nascere questi gruppi in forma di “correnti” interne alla ANM, sebbene talune di esse abbiano in passato affermato e rivendicato un’identità politica e culturale autonoma e distinta rispetto alla stessa ANM. Proprio quest’ultimo dato storico dimostra che, anche senza una preesistente associazione unitaria dei magistrati, ugualmente sarebbero nate organizzazioni specificamente tese ad attuare programmi ed idee diverse -talora contrapposte- aventi pur sempre come riferimento il CSM, la selezione dei suoi componenti e le modalità del loro concorrere alla volontà consiliare.

Un CSM formato solo da candidati aventi una legittimazione politica esclusivamente personale appartiene al mondo dell’utopia.

Per altro verso, la presenza nel Consiglio anche di magistrati eletti come indipendenti potrebbe almeno in teoria offrire un contributo di “laicità” e di autonomia all’agire consiliare, sebbene la mancanza di esperienze pratiche in tal senso consigli cautela: più di un tentativo di pur validi colleghi di correre da indipendenti non ha avuto molta fortuna in tanti anni di autogoverno della Magistratura italiana. Sarebbe giusto domandarsi se ciò è avvenuto solo per via di un’oggettiva forza dell’apparato delle correnti o anche in virtù della maggiore affidabilità e preparazione che, a torto o a ragione, usiamo attribuire a chi proviene da percorsi organizzati. 

Il mondo digitale offre terreno fertile per favorire buone possibilità di costruzione, con poche risorse, di una forte visibilità individuale (specie in talune categorie di magistrati): tuttavia è giusto soppesare vantaggi e svantaggi di una competizione limitata a persone provenienti solo da esperienze individuali del tutto avulse da percorsi associativi, o almeno istituzionali, precedenti.

Certo è suggestiva l’idea di una totale autonomia della raccolta del consenso rispetto ai gruppi organizzati ed alle tentazioni di potere che me derivano. Tuttavia, in un contesto complesso e conflittuale quale quello consiliare, i percorsi culturali, le competenze ordinamentali e le esperienze di dinamica degli organi collegiali sono fondamentali: se non altro va riconosciuto il fatto oggettivo che oggi queste competenze possono essere offerte in modo strutturato, bene o male, prevalentemente o soltanto dalle esperienze associative.

Io pertanto, in linea di principio, non vedo nulla di negativo nel fatto che un gruppo- beninteso di solide qualità e tradizioni- possa organizzarsi per selezionare e proporre un personale qualificato, esperto e addestrato a solidi valori, affinché questo possa concorrere con successo all’altissima funzione del governo autonomo, magari anche in competizione con magistrati provenienti da percorsi non associativi. Trovo tutto ciò naturale.

Se la domanda da porsi, dunque, è se Unità per la Costituzione o qualunque altro gruppo associativo di magistrati siano legittimati a selezionare ed esprimere dei candidati propri e, di conseguenza, una rappresentanza organizzata all’interno delle sedi dell’autogoverno, mi sembra difficile rispondere negativamente.

La questione, come ognuno di noi ben sa, è altra.

3- Le regole del gioco

Negli anni abbiamo assistito al graduale estendersi del peso dell’apparato, grazie al concorso tra una sciagurata legge elettorale ed un progressivo allentarsi della dovuta attenzione alla democrazia interna, all’identità ed alla tenuta culturale e morale dei gruppi associativi.

Altro aspetto negativo si è disvelato nel fatto che oggettivamente la selezione del percorso di accesso ha finito con il privilegiare certe categorie di magistrati rispetto ad altri, provocando così ulteriori fattori di squilibrio che hanno contribuito ad allontanare la base elettorale rispetto al processo di selezione dei candidati e rispetto, di conseguenza, al loro stesso agire all’interno del Consiglio. Così una buona quota di magistrati, vuoi perché geograficamente periferici, vuoi perché dediti a funzioni meno visibili o condizionati da questioni di genere, ha finito con il sentirsi estraneo rispetto ad uno snodo vitale del sistema, con la conseguenza indiretta di identificare la vita di corrente con il peggiore dei mali possibili.

Ciò detto, è perfino banale affermare che il punto critico in tema di risorse umane e competizione elettorale dei gruppi organizzati è nel quomodo e non nell’an: vale a dire nella determinazione delle regole del gioco in tema di processo di selezione dei candidati e nella sua evidente interdipendenza rispetto alla legge elettorale, posto che chi concorre ad una qualunque competizione democratica non aspira certamente alla sconfitta.

Un sistema proporzionale di solito impone di allargare il numero dei candidati, in quanto ciò che conta è il numero complessivo di voti che la lista può conseguire, sicché quanti più sono i concorrenti per lista e meglio sono distribuiti sul territorio, tanto più possono si raccogliere consensi e tanti più candidati di lista possono essere eletti: il che mette in moto un circuito dinamico che tende ad includere tendenzialmente tutti i territori e tutte le componenti culturali interne.

Un sistema maggioritario impone invece di scegliere soprattutto, o soltanto, i candidati che, in un determinato ambito territoriale, possono riportare un voto più dei concorrenti.

Così, supponendo e sperando che la nuova ed auspicabile legge elettorale  non attribuisca in qualche modo ai gruppi l’onere -ma anche ahimè il potere- di determinare a tavolino  il numero massimo e perfino l’identità dei candidati eleggibili (come purtroppo è avvenuto fino ad oggi) il tema del dibattito si  sposta, a grandi linee, sull’alternativa tra una designazione dei candidati affidata ad un organo statutario centrale a ciò dedicato, per quanto rappresentativo delle realtà locali, ed una qualche forma di designazione da parte della base sul modello delle c.d. ‘primarie’, magari con un sostegno digitale adeguato.

La scelta, certamente di rilevo statutario,  tra le due possibilità non è solo di principio ma dipende da un lato dall’ambito territoriale (e più in generale dalle regole con cui si svolge il gioco elettorale); dall’altro da quali problemi di fondo si vogliono risolvere e con quale profondità: ad esempio, riequilibrio tra distretti di diverse dimensioni, riequilibrio tra diverse categorie di magistrati (pubblici ministeri, giudici civili, giudici penali, giudici di legittimità ecc.); parità di genere; prossimità dei candidati al territorio; livello di partecipazione della base rispetto ai processi di selezione candidature; livello di indipendenza del candidato rispetto all’apparato del gruppo organizzato.

4- Le primarie: un’opportunità di cambiamento?

Ne consegue che, quale che sia il meccanismo elettorale, una qualche forma di elezione primaria potrebbe consentire, almeno in teoria, di raggiungere molti obiettivi tra quelli auspicabili in un clima di palingenesi associativa quale quello che oggi si vuole attivare.

Certo si potrebbe sostenere che le primarie non escludono in assoluto una qualche ingerenza di apparato mentre potrebbero altresì premiare chi ha più visibilità professionale sul territorio.

A ciò si può rispondere che in un ambito limitato territorialmente -e non nazionale- la spendita del proprio credito personale e della conoscenza diretta dei colleghi potrebbe essere meno recessiva e comunque concorrenziale rispetto alla notorietà personale derivante dalla sola visibilità di certe funzioni.

Le regole del gioco delle primarie sono però da configurare con attenzione: pensiamo ad esempio alla determinazione del corpo elettorale, specie in quei gruppi che a fronte di un vasto consenso hanno un corpo formale di iscritti relativamente basso.

Sotto altro punto di vista, a me pare che in questi anni, quanto meno nella percezione esterna dei magistrati non attivisti, non si può dire che la selezione operata da organi nazionali abbia dato complessivamente buona prova di sé: dunque un forte segnale pubblico di rinnovamento e di discontinuità nel senso dello spostamento verso la base del baricentro della designazione delle candidature potrebbe essere ben spendibile ed utile. Beninteso, se associato ad un corrispondente cambiamento di sostanza.

E direi che di discontinuità reale, e non solo narrativa, abbiamo maledettamente bisogno.

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