I fondi del PNRR e le possibili infiltrazioni della CRIMINALITA’ ORGANIZZATA

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Intervista di Roberto Patscot e Valentina Ricchezza a Claudia Ferrari (sostituto procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Palermo)

Gli stanziamenti miliardari tra il 2021 ed il 2026 per la realizzazione delle progettualità del PNRR stimoleranno gli appetiti  delle organizzazioni mafiose. Quali sono i settori più a rischio secondo lei?

Le organizzazioni criminali di tipo mafioso ormai da lungo tempo hanno iniziato, e via via sempre più affinato le strategie di pervasività del mercato economico lecito, provvedendo a reinvestire gli ingenti capitali che derivano dai traffici illeciti più noti (traffico di stupefacenti, contrabbando, estorsioni) in svariati settori dell’economia, inquinandola, a svantaggio degli imprenditori onesti e dell’economia sana.

In particolare a Palermo, dopo il boom degli anni sessanta legato alla ricostruzione del post bellico della II guerra mondiale, le organizzazioni mafiose hanno iniziato ad investire nel settore degli appalti e delle commesse pubbliche, stringendo una fitta alleanza con il potere politico, arrivando a condizionare gli affidamenti degli appalti delle grandi e piccole opere pubbliche, attraverso un collaudato sistema di spartizione ( il c.d. “tavolino”) nel quale imprenditori, politici e mafiosi si accordavano influenzando pesantemente l’intero settore delle commesse pubbliche, dragando le risorse stanziate per lo sviluppo delle infrastrutture,  per fini di arricchimento personale, per accrescere il potere di controllo del territorio.

Negli ultimi decenni, l’interesse delle famiglie mafiose si è esteso ai nuovi settori di investimento, tra i quali quello delle energie rinnovabili (costruzione e gestione di parchi eolici e fotovoltaici) quello  della gestione e smaltimento dei rifiuti, ma anche settori tipici del terziario quali ristorazione, ricettività alberghiera, ed imprese multiservizi.

La criminalità organizzata secondo quali modalità potrebbe cercare di controllare e distrarre i fondi del PNRR?

La criminalità organizzata ha mostrato sempre una ottima capacità di adattamento ai mutamenti del mercato, ed anche in questo momento di forte immissione di capitali pubblici sta certamente guardando con interesse i settori più remunerativi quali la costruzione di grandi opere ed il relativo indotto.

Sotto questo profilo le modalità di infiltrazione nei tessuti sani dell’economia sono sempre più subdoli e raffinati, e si legano indissolubilmente con il fenomeno della corruzione dei funzionari pubblici. Le organizzazioni criminali, forti anche della la capacità di gestire “pacchetti di voti” soprattutto nelle aree più disagiate del Paese, si pongono quali diretti interlocutori del potere politico, per un reciproco scambio di favori, in cambio di denaro o consenso elettorale, si assicurano la torsione degli interessi pubblici a fini di avvantaggiare imprese mafiose nella acquisizione degli appalti o nella gestione dei servizi.

 Spesso, piuttosto che ricorrere alle tipiche forme di intimidazione violenta l’inserimento nel tessuto economico avviene mediante forme anche molto subdole di corruzione degli amministratori pubblici, inducendo gli stessi a plasmare bandi di gara o a ricorrere ad affidamenti diretti che avvantaggiano esclusivamente quelle aziende controllate sempre più spesso attraverso  prestanome dalle organizzazioni criminali.

Come si potrebbero contrastare i gruppi criminali per evitare che si inseriscano nella filiera della distribuzione delle risorse del PNRR?

Strumenti per ridurre il rischio di infiltrazioni criminali nella gestione delle risorse del PNRR, sono certamente innanzitutto i tipici strumenti di contrasto alla corruzione, nell’accezione più ampia del termine, imponendo alle amministrazioni  procedure chiare, veloci e trasparenti nelle assegnazione degli appalti e delle commesse, senza rinunciare ad un efficace sistema di controlli preventivi, rafforzando i meccanismi di monitoraggio partendo dal momento dell’erogazione dei fondi.

Sotto questo profilo è necessaria un’opera di controllo capillare sulle strutture societarie per comprenderne la reale composizione e per valutare la provenienza dei  capitali su cui le società che contrattano con la P.A. possono contare.

Esperienze investigative anche recenti hanno mostrato come spesso manchi, o non sia adeguatamente operativo il  sistema di implementazione ed di interazione tra le banche dati delle forze di polizia, delle  Prefetture e degli organismi di controllo, con la conseguenza che  spesso talune informazioni rilevanti ai fini di individuare imprese mafiose o comunque colluse si perdono o non sono comunque rapidamente fruibili.

Crede che il sistema di semplificazioni amministrative per l’accesso ai fondi stanziati possa effettivamente costituire un viatico per agevolare le infiltrazioni delle organizzazioni criminali?

La sfida che il PNRR impone è quella di trovare un difficile punto di equilibrio tra celerità, trasparenza nell’affidamento delle risorse e completezza ed effettività nello svolgimento dei controlli, specie nella fase preventiva, sotto questo profilo un’incessante opera di monitoraggio ed implementazione delle informazioni appare indispensabile. Una macchina burocratica lenta e farraginosa non solo non ha impedito le infiltrazioni criminali, ma ha spesso costituito terreno fertile per la proliferazione della corruzione e dell’abuso da parte di pubblici funzionari, finendo col favorite gli imprenditori più spregiudicati ed inclini all’utilizzo di metodi illeciti.

Il dato secondo il quale solo il 40% dei fondi del PNRR appare destinato al Mezzogiorno potrebbe determinare una migrazione delle organizzazioni criminali verso le aree geografiche del nord?

La storia giudiziaria recente ci ha insegnato a non guardare al fenomeno delle organizzazioni mafiose come ad un fenomeno localizzato ad alcune aree territoriali …

Ciò che le inchieste degli ultimi decenni nelle regioni del nord e centro nord (hanno rivelato, infatti, non è altro che la conferma di quella famosa “profezia della palma” coniata dallo scrittore siciliano Leonardo Sciascia nel lontano 1961 quando prevedeva che, al pari della linea di crescita della palma, che ogni anno risale le latitudini, la mafia avrebbe risalito la Penisola fino a occupare anche quei territori non tradizionali e da sempre considerati “refrattari” a subire i metodi mafiosi .

Sotto questo profilo la “migrazione” è già reale ed effettiva, e l’immissione di ingenti capitali da investire non potrà che rafforzare il fenomeno.

A ciò deve aggiungersi un dato di allarme per le zone del Mezzogiorno, per il quale si potrebbe allargare il gap di sviluppo, con inevitabili ricadute sul rafforzamento delle organizzazioni mafiose, che da sempre trovano terreno fertile nelle realtà dove degrado, disoccupazione ed arretratezza sono più  presenti.  

Il rischio di interdittiva, previsto dal codice antimafia, e la procedura di commissariamento aziendale sono, secondo lei, le uniche strategie possibili?

Il sistema più efficace per contrastare le infiltrazioni deve partire necessariamente da una fase preventiva. Imporre alle imprese che ambiscono a contrattare con la P.A. una stringente tracciabilità delle transazioni sia con la pubblica amministrazione ( in parte già operativa ad es. tracciabilità dei flussi finanziari già previsto dall’art. 3 della legge 13 agosto 2010 n. 136) che con i fornitori di beni e servizi può rappresentare un  ulteriore valido sistema di prevenzione e controllo, dal momento che un’azienda sana che si alimenta con flussi di denaro leciti e compatibili con le disponibilità finanziarie dichiarate, non dovrebbe avere difficoltà a rendere assolutamente trasparenti tutte le sue movimentazioni finanziarie, a differenza dell’impresa che si alimenta attraverso flussi di capitale illecito;   la trasparenza e la piena tracciabilità delle transazioni dovrebbe rendere peraltro più difficile la commissione di frodi o malversazioni, che possono fruttare ingenti profitti alle organizzazioni criminali.

Appare inoltre indispensabile implementare il sistema di trasparenza dei soggetti economici: ad es. attraverso il registro dei titolari effettivi, rilevante per holding o trust attivati all’estero, ma insufficiente per individuare possibili intestazioni fittizie o  società di comodo, per individuare le quali è anche necessario implementare i controlli attraverso archivi informatici e sistemi integrati di condivisione di informazioni (Agenzia delle Entrate, Prefettura e forze di Polizia  specializzate) in grado di incrociare i dati di transazioni, modifiche societarie, cessioni di aziende etc.

Recenti indagini hanno, infatti, fatto emergere diverse falle nel sistema informativo dovute anche al mancato coordinamento tra diverse banche dati, che ha consentito alle organizzazioni criminali, anche grazie alle competenze di esperti professionisti “a disposizione” di aggirare, o comunque rendere più complesse le procedure di controllo. 

Altro strumento efficace in via preventiva, per implementare la trasparenza e la tracciabilità è quello di  rendere più stringenti gli obblighi di segnalazione e controllo delle operazioni sospette a carico dei soggetti che hanno l’obbligo di segnalazione ( non solo banche ed intermediari finanziari ma anche notai, commercialisti, avvocati d’impresa) che spesso non si dimostrano particolarmente solerti, quando non si collocano – in non rari casi- in un’area grigia di collusione/ contiguità.

E’ recente la notizia del sistema di controlli preventivi strutturati dal Viminale per scongiurare le infiltrazioni ed assicurare che le imprese che accedono ai fondi non siano infiltrate. Crede che la strategia contenuta nella circolare della ministra dell’Interno contenga degli strumenti preventivi, anche in ordine al sistema di controlli sulle documentazioni societarie, sufficiente per poter contrastare il fenomeno?

Nella recente circolare del 13.6.2022 il Viminale ha puntato l’accento sulla necessità di procedere ad un mirato aggiornamento della BDNA, Banca Dati Nazionale Unica della Documentazione Antimafia (BDNA), che costituisce quel necessario apparato tecnologico  attraverso il quale canalizzare le richieste di documentazione antimafia, in modo da rendere fruibili in maniera rapida ed efficace le informazioni a disposizione dei gruppi interforze  relative ai contraenti con la P.A., e di monitorare con tempestività l’eventuale adozione di provvedimenti di rigore nei confronti di quegli operatori economici coinvolti nell’attuazione degli interventi del PNRR  per i quali siano emersi elementi da cui desumere di un rischio infiltrativo.

Viene altresì evidenziata la necessità di dare concreta attuazione alle misure di controllo amministrativo di prevenzione meno invasivo dell’interdittiva antimafia, attraverso gli istituti di prevenzione collaborativa, ed in particolare dell’art. 94-bis del Codice Antimafia,

La tendenza è evidentemente quella di valorizzare un nuovo “modello collaborativo”  i cui cardini principali sono quello della valorizzazione della partecipazione dell’imprenditore nelle procedure di controllo giudiziario, e di favorire l’implementazione dei modelli organizzativi interni, sulla base di quelli già previsti dalla DLG.231/01 sul modello dei c.d. compliance programs di matrice statunitense

Quale potrebbe essere il ruolo della magistratura nella fase preventiva?

La magistratura in terre di frontiera ha avuto un ruolo d’avanguardia, facendo un coraggioso ricorso agli strumenti legislativi di contrasto alla criminalità mafiosa, anche attraverso l’applicazione delle misure di prevenzione patrimoniali, la cui disciplina, risalente alla L. Rognoni La Torre del 646 del  1982 è ora  compendiata nel c.d Codice delle leggi antimafia (D. lgs. 6 settembre 2011 n. 159), aggiornato costantemente, per renderlo sempre più adeguato ed efficiente, per perseguire quelle finalità di  contrasto all’accumulo di  patrimoni e delle risorse illecite, che inquinano il mercato e il sistema economico, annientando la concorrenza, ed accrescendo il potere ed il prestigio delle associazioni ioni criminali.

In particolare si è avvertita sempre di più l’esigenza di calibrare le esigenze sottese all’applicazione delle misure patrimoniali del sequestro, preordinato alla confisca con la necessità di non annientare realtà produttive e posti di lavoro, ampliando il novero delle misure offrendo l’opportunità alle attività imprenditoriali insidiate dalla mafia, ma non alla stessa totalmente asservite, di rientrare nel mercato in condizioni di legalità.

In altri termini si è cercato, in particolare negli ultimi anni, di affiancare alla risposta tipica ablativo- sanzionatoria” della confisca, delle risposte di “rieducazione- riabilitazione delle imprese a rischio conclamato di infiltrazione mafiosa, calibrate sul diverso grado di interferenza criminale, in un ottica che è stata definita  “terapeutica” o conservativa. Tali sono le misure del controllo giudiziario ex art.  34 e artt. 34 bis CAM .

Da tempo però il legislatore ha anche previsto un doppio circuito uno penal- preventivo affidato all’autorità giudiziaria ed uno amministrativo, affidato alle Prefetture, al fine di rendere più efficace il sistema, prevedendo anche l’istaurazione di un controllo giudiziario ex art. 34 bis CAM su base volontaria per sospendere gli effettui della interdittiva antimafia.

Su questo solco si inserisce il DL 2021 che, nell’ambito dei poteri prefettizi  ha inteso introdurre una forma più gradata rispetto all’interdittiva antimafia, introducendo un  controllo preventivo- collaborativo, i cui presupposti appaiono identici e  speculari rispetto a quelli dell’art. 34 bis,  ovvero l’accertamento di un “condizionamento occasionale”  che riecheggia il termine “agevolazione occasionale” alludendo alle imprese interessate da marginali presenze mafiose, ed ad un rischio di infiltrazione che può essere superato con  lo sviluppo di anticorpi idonei ad espungere dall’interno le contaminazioni mafiose.

Si sono però già registrate, all’indomani dell’introduzione del controllo giudiziario volontario  ex art. 34 bis CAM, delle difficoltà di coordinamento tra sistema di controllo penale ed amministrativo, che possono in qualche misura compromettere l’efficacia generale del sistema.

Uno dei principali nodi problematici risiede proprio nell’assenza di previsione normativa di coordinamento tra l’istituto del controllo giudiziario volontario e l’interdittiva antimafia, con il concreto rischio, ad es. che anche a seguito di un esito positivo della misura del controllo giudiziario con conseguente revoca dello stesso da parte del tribunale MP,  l’impresa si trovi nuovamente paralizzata a causa della reviviscenza dell’interdittiva antimafia.

L’assenza di coordinamento si riproporrà anche nella regolamentazione dei rapporti tra il nuovo art. 94 bis e l’art. 34 bis, non risultando chiaro sulla scorta di quali valutazioni il Tribunale possa instaurare d’ufficio il provvedimento giudiziale in caso di in pendenza di un procedimento di “controllo amministrativo” prefettizio, anziché attendere il perfezionamento della collaborazione preventiva disposta dal Prefetto.

Più in generale, l’introduzione di ulteriori strumenti di carattere amministrativo, che in qualche misura si sovrappongono agli strumenti penal- preventivi, può rappresentare un rischio di indebolimento del potere di azione del giudice penale, in favore dell’autorità amministrativa, soggetta come è noto alla giurisdizione del giudice amministrativo, innestando e moltiplicando un contenzioso  che potrebbe fortemente compromettere le esigenze di celerità ed efficienza dei controlli tradendo le finalità ultime della normativa introdotta con il DL 152/2021.