I nuovi approdi della colpa: l’omicidio e le lesioni stradali

di Roberta D’Onofrio

1. Percorso storico e pressioni sociali: le scelte del legislatore

La legge n. 41 del 23 marzo 2016 ha introdotto nel nostro ordinamento giuridico due nuove forme di reato: rispettivamente quello di omicidio stradale, disciplinato dal nuovo articolo 589 bis c.p., e quello di lesioni personali stradali, regolato dall’art. 590 bis c.p., ed ha inserito, inoltre, le disposizioni di coordinamento al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, ed al decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274. La novella legislativa è il frutto di un travagliato dibattito che, da più di un decennio, ha caratterizzato non soltanto le aule di Giustizia ed il panorama della dottrina italiana, ma anche quelle parlamentari, le quali hanno recepito le grandi difficoltà interpretative degli organi giudicanti, nonché le pressioni provenienti dall’ opinione pubblica (in particolar modo dalle associazioni “vittime della strada”). Per tali ragioni il legislatore ha tentato (forse senza riuscirci) di porre fine alle incertezze ed al malcontento generale attraverso una legge che, tuttavia, non ha fatto null’altro che aumentare il regime sanzionatorio di un reato colposo già esistente, stroncando di fatto ogni spunto offerto dalla dottrina circa la possibilità dell’inserimento nel nostro ordinamento giuridico di una terza forma di colpevolezza – un “tertium genus” –  in grado di operare una vera rivoluzione sistematica e di avvicinare l’Italia alle esperienze giuridiche degli altri Paesi europei[1].

Prima di analizzare nello specifico le nuove norme, pare doveroso volgere lo sguardo non solo al contesto storico nel quale viviamo, ma soprattutto al passato per comprendere che cosa abbia, in concreto, spinto il legislatore ad incardinare in modo così preciso e, per certi versi, vincolante talune fattispecie che da oggi vengono inquadrate in figure di reato autonome.

Inevitabilmente l’avvento del progresso economico e, consequenzialmente, l’aumentare della circolazione dei veicoli sulle strade hanno comportato un incremento notevole degli incidenti stradali – anche e soprattutto mortali –   che ogni anno si registrano nel nostro Paese; dagli anni Novanta sino ai primi anni Duemila, la Giurisprudenza  ha sempre ritenuto sussistente, in capo ai responsabili dei sinistri stradali, un atteggiamento soggettivo colposo caratterizzato dalla violazione delle norme che regolano la circolazione sulle strade. Questo orientamento però, soprattutto negli ultimi anni, ha subito una forte inversione di tendenza; infatti, l’aumentare degli incidenti mortali connotati dalla particolare spregiudicatezza dei responsabili – o meglio si potrebbe dire da un  vero e proprio atteggiamento di “disprezzo” per la vita umana –  ha fatto sì che, in talune pronunce, la Corte di Cassazione si spingesse ad oltrepassare i confini della colpa (seppur aggravata dalla previsione) per sfociare nella “evanescente” sfera del dolo eventuale. Senza soffermarsi troppo sui punti caratterizzanti le motivazioni delle sentenze più rilevanti, la Suprema Corte ha spesso  ritenuto sussistente il dolo (eventuale) in capo a quei soggetti che avevano cagionato la morte di altre persone attraverso una condotta così spregiudicata da far sì che fosse intravisibile un atteggiamento volontaristico: non solo per la perfetta rappresentazione del fatto in capo al soggetto agente, ma anche per la consapevole accettazione del verificarsi dello stesso, elementi comprovati dalla valutazione secondo cui i responsabili avrebbero posto in essere ugualmente quella condotta, causativa del fatto, pur consapevoli della “probabile” conseguenza dell’evento morte, in altre parole che avrebbero agito ugualmente anche se avessero previsto l’evento come necessariamente connesso alle loro azioni[2].

È evidente che in un quadro giurisprudenziale molto incerto e spesse volte assai contrastante, non è semplice trovare univoche linee guida applicabili ogni qual volta ci si trovi davanti ad un caso diverso.

Le Sezioni Unite si sono spesso adoperate nel tentare di fornire, una volta per tutte, una sorta di vademecum per il  giudice circa la corretta qualificazione dell’atteggiamento soggettivo dell’agente che si trovava ad operare all’interno di contesti governati da regole cautelari (pensiamo non soltanto alla disciplina regolante la circolazione stradale, ma anche a quella sulla sicurezza nei luoghi di lavoro o a quella presente negli ambianti sanitari); l’ultimo sforzo è stato compiuto attraverso la motivazione di una sentenza che forse, per molti, si sarebbe dovuta rivelare un vero e proprio leading case:  la sentenza Thyssenkrupp. Fiumi di pagine che hanno ripercorso tutte le varie teorie dottrinarie sul discrimen tra dolo eventuale e colpa cosciente, nonché una rassegna dei casi giurisprudenziali di maggior interesse e novità (tra i quali anche quelli riguardanti i sinistri stradali, oltre che i casi di contagio da virus Hiv e quelli di colpa medica) ed infine un vero “catalogo” (aperto) di indicatori sintomatici  del dolo eventuale volti ad indirizzare il Giudice nella decisione ed ad individuare, una volta per tutte, una linea di confine tra dolo eventuale e colpa con previsione. Aspettative, queste, nobili da parte della Suprema Corte, ma che, tuttavia, non hanno ottenuto risultato concreto, lasciando ancora oggi tutto nell’oblio, e – forse –  questa nuova legge ne è la prova.

2.La giurisprudenza in materia di sinistri stradali prima dell’introduzione della novella legislativa

Il legislatore, attraverso l’introduzione delle nuove norme, ha inteso troncare una volta per tutte (ma, ricordiamo, solo relativamente al settore della circolazione stradale) l’annosa querelle relativa alla distinzione tra  dolo eventuale ed alla colpa cosciente, e per non rischiare di togliere al Giudice il potere, a lui concesso dalla legge, di ricostruire l’atteggiamento  psicologico del soggetto agente , anziché proporre specifiche fattispecie di omicidio stradale doloso ha preferito optare per l’aggravamento sanzionatorio di un reato che era e resta colposo. Se poi si pensa al fatto che il nostro codice (ai sensi dell’art. 42, comma II, c.p.) conferisce la possibilità a qualsiasi delitto definito colposo dalla legge di essere ricostruito, per l’esistenza di particolari elementi oggettivi, anche come doloso, allora – per analogia – il Giudice potrà anche in ambito di infortunistica stradale, ricostruire il fatto in termini di intenzionalità (od anche per accettazione) del comportamento. E forse è proprio tale considerazione (la quale, di fatto, riconsegna al Giudice il compito di ricostruire il corretto atteggiamento psicologico dell’autore in relazione al concreto fatto commesso) a suggerire al legislatore di rinunciare alla creazione di un’autonoma figura di omicidio stradale doloso, essendo arduo, per questi, confezionare una fattispecie legislativa che vincoli in una precisa direzione l’indagine psicologica e ricostruttiva del giudice[3]. In questo senso potrebbe forse scongiurarsi la conseguenza di un inaridimento del nostro sistema penale, lasciando comunque all’organo giudicante la possibilità di ricostruire l’atteggiamento psicologico dell’agente anche in termini di intenzionalità, sempre che non sussistano dubbi insuperabili in merito alla affermazione del dolo.

A tal proposito, seppur antecedente all’entrata in vigore della legge sull’omicidio stradale, si possono citare una serie di sentenze di forte impatto mediatico le quali, a discapito della giurisprudenza dominante in tema di sinistri stradali aventi esito letale, ricostruiscono l’atteggiamento psicologico del soggetto agente in termini di dolo eventuale. Si pensi alla famosa sentenza “Ignatiuc”[4] il cui carattere innovativo è disvelato sia dall’affermazione del dolo eventuale nei reati da sinistri  stradali con gravi violazioni al Codice della strada, sia  dall’individuazione della tipologia di elemento soggettivo non più attraverso la mera teoria dell’accettazione del rischio, bensì in base alla teoria che individua il dolo eventuale nell’accettazione del rischio effettuata tramite una deliberazione con la quale l’agente subordini un bene giuridico rispetto ad un altro[5].

Nel caso in esame l’imputato era accusato di aver provocato la morte di uno degli occupanti di due automobili, nonché il ferimento di altri occupanti di esse, essendosi scontrato con dette automobili senza aver rispettato un semaforo rosso e procedendo, sprovvisto di patente ed in fuga dalla polizia, alla guida di un furgone rubato, ad altissima velocità ed avendo oltrepassato in tal modo, prima dello scontro, una serie di semafori rossi; il tutto in condizioni di traffico particolarmente intenso, a tal punto che la stessa volante della polizia, la quale si era data all’inseguimento, aveva poi desistito, optando per un controllo a distanza[6]. Il primo Giudice, a fronte della pluralità degli elementi appena elencati, ha ritenuto colpevole l’imputato di omicidio volontario e lesioni volontarie, argomentando la scelta richiamando il criterio tradizionale dell’accettazione del rischio: gli elementi di fatto caratterizzanti la situazione in cui era stata posta in essere la condotta erano – secondo i giudici – tali da indicare univocamente che l’imputato si fosse rappresentato di poter cagionare, con il proprio comportamento, incidenti con esiti letali, e che ne avesse accettato il rischio, non desistendo dalla propria condotta pur di sottrarsi al controllo della polizia. Ma la Corte di Assise di Appello non ha condiviso tale decisione, affermando la sussistenza di colpa grave, in considerazione del fatto che i giudici di primo grado avessero basato la valutazione del dolo desumendo l’elemento rappresentativo, nonché quello volitivo (a sua volta determinato dall’accettazione del rischio), esclusivamente sulla considerazione della gravità del grado di colpa insito nella condotta tenuta dall’imputato: in base a questo solo parametro – secondo i giudici di secondo grado – non avrebbe potuto desumersi automaticamente che il soggetto si fosse rappresentato concretamente la verificazione dell’evento lesivo, o che lo avesse fatto in tempo utile per potersi determinare a riguardo (la rappresentazione concreta dell’evento lesivo si sarebbe verificata solo al momento in cui l’imputato si fosse reso conto che sulla propria traiettoria vi era l’autovettura con la quale, poi, effettivamente collise e, in base al brevissimo lasso di tempo intercorso fra il momento rappresentativo ed il momento della realizzazione dell’evento lesivo, non vi sarebbe stato tempo utile ad una “accettazione del rischio”); si rileva, inoltre, che l’aver precedentemente superato, senza conseguenze lesive, alcuni incroci avrebbe potuto infondere nel soggetto la convinzione di poterne superare ulteriori (e, in particolare, quello in cui si verificò, poi, l’incidente); nondimeno, i Giudici d’appello evidenziano che l’eventualità dell’incidente rappresentasse una ipotesi sfavorevole all’imputato, in quanto avrebbe determinato il suo arresto, e ciò sarebbe stato un ulteriore indice a favore dell’esclusione del dolo. Tale valutazione è stata censurata dalla suprema Corte (di qui l’inversione di tendenza della Cassazione): si è affermato che il criterio distintivo tra dolo eventuale e colpa cosciente deve essere ricercato sul piano della volizione. La suprema Corte afferma che «Nel dolo eventuale il rischio deve essere accettato a seguito di una deliberazione con la quale si subordina consapevolmente un determinato bene ad un altro. L’autore del reato, che si prospetta chiaramente il fine da raggiungere e coglie la correlazione che può sussistere tra il soddisfacimento di tale interesse e il sacrificio di un bene diverso, effettua in via preventiva una valutazione comparata tra tutti gli interessi in gioco – il suo e quello altrui – e attribuisce prevalenza ad uno di essi»; quindi l’obiettivo intenzionalmente perseguito per il soddisfacimento di tale interesse preminente attrae l’evento collaterale, che viene dall’agente posto coscientemente in relazione con il conseguimento dello scopo perseguito. Non è quindi sufficiente la previsione della concreta possibilità di verificazione dell’evento, ma è indispensabile l’accettazione, sia pure in forma eventuale, del danno che costituisce il prezzo (eventuale) da pagare per il conseguimento di un determinato risultato. Questa linea giurisprudenziale (innovativa) si sforza di non svuotare di significato la dimensione psicologica dell’imputazione soggettiva; purtroppo il problema cruciale per un impegno in tale senso è quello relativo all’accertamento in sede processuale di questo atteggiamento interiore del soggetto, che necessita di una penetrante indagine di tutti gli elementi di fatto dei casi specificamente considerati, nonché della loro ponderazione e correlazione logica.

Sulla stessa linea – avuto riguardo alla qualificazione dell’elemento psicologico in termini di dolo eventuale –  un’altra recentissima sentenza, ben nota all’opinione pubblica: il caso “Beti” [7]. Il fatto riguardava il decesso di quattro giovani ragazzi francesi, provocato da un soggetto che procedeva a 255 km/h contromano in autostrada  per diciassette chilometri  e in uno stato di ubriachezza grave; la Suprema Corte ha confermato i giudizi dei precedenti gradi qualificando l’atteggiamento del soggetto alla guida come doloso e precisamente come sorretto da dolo diretto, ciò in base al fatto che l’evento si sia rappresentato all’agente non semplicemente come possibile, bensì come probabile. Dunque i Giudici hanno condotto un ricco e laborioso ragionamento (hanno infatti ripercorso una linea giurisprudenziale che prendeva in considerazione le teorie della possibilità e della probabilità[8] , le quali sarebbero state in grado di individuare le varie nuances del dolo) posto alla base della motivazione, tale operazione è stata garantita dal nostro impianto codicistico assolutamente elastico e non cristallizzante. Orbene, ci si potrebbe chiedere se, collocando temporalmente la vicenda “Beti” in epoca successiva all’entrata in vigore della legge n.41/2016, il risultato sarebbe stato lo stesso. Ebbene, a parere di chi scrive, la risposta non è così scontata, poichè il giudice si sarebbe verosimilmente ritrovato a sussumere una fattispecie concreta in un’altrettanto concreta ipotesi di reato che sarebbe calzata perfettamente al fatto in esame. Come si vedrà più avanti, infatti, se i giudici fossero stati chiamati a giudicare oggi, essi avrebbero ben potuto contestare all’imputato la fattispecie più calzante descritta dal nuovo reato “scrollandosi” di dosso l’arduo compito di ricostruire, in termini psicologici, l’atteggiamento del soggetto agente che,  in questo caso, è stato qualificato come dolo diretto. Immaginiamo, allora, se al contrario ci fossimo trovati al cospetto di un’ipotesi al confine tra dolo eventuale e colpa cosciente: i Giudici avrebbero senz’altro “dovuto” preferire la via più semplice, quella di applicazione della nuova legge finendo col qualificare il reato come colposo. Questo, come altri esempi, potrebbe mettere in luce alcune criticità relative alla nuova normativa in relazione al profilo del potere di interpretazione e ricostruzione del giudice, al quale – in concreto –  potrebbe essere impedita una ricostruzione del fatto in termini di elemento psicologico del soggetto agente. Nonostante tali, plausibili, considerazioni si ritiene comunque che “in astratto” le nuove fattispecie introdotte non esauriscano il novero di quelle configurabili, potendosi ancora qualificare come omicidio volontario o lesioni volontarie quei fatti che, sia pure nei ristrettissimi limiti ammessi dalla giurisprudenza di legittimità, siano sorretti da dolo eventuale. È evidente che sotto tale profilo nulla sarebbe mutato rispetto al precedente impianto normativo[9].

Ad ogni modo, i casi sopracitati rappresentano fatti eclatanti, tenuto conto delle modalità della condotta e, per questo motivo,  casi limite rispetto alla giurisprudenza dominante in materia.

Infatti, come ben noto, la materia dei sinistri stradali è sempre restata relegata entro l’ambito di applicazione della colpa, al massimo aggravata dalla previsione dell’evento, si pensi alla famosa sentenza “Bodac”[10]. Si tratta, brevemente, del caso di un giovane ragazzo accusato di aver investito due persone, procedendo alla guida di un veicolo di grossa cilindrata ed in stato di ebbrezza alcolica. Le sentenze che lo hanno condannato per omicidio colposo sono state sostanzialmente concordi sino al terzo grado di giudizio, la pronuncia della Cassazione favorevole alla qualificazione colposa della condotta è stata dettata da argomentazioni basate sull’osservazione del caso concreto. Più precisamente: la giovane età del conducente ed il fatto che egli fosse alla guida di un veicolo di grossa cilindrata (questo, peraltro, da poco nella sua disponibilità); il fatto che egli fosse alla presenza di amici ed accompagnato dal desiderio di attrarre la loro attenzione; l’ostentazione del veicolo «sgommando per il centro cittadino e procedendo a velocità eccessiva», sono tutti fattori che rivelavano il quadro di un giovane «spericolato ed eccitato», indotto ad una condotta «estremamente imprudente e negligente»; l’aver superato più volte lo stesso percorso in modo spericolato senza incorrere in ostacoli di sorta avrebbe contribuito ad alimentare la condotta suddetta; inoltre, lo stato di ubriachezza avrebbe anche esso concorso a generare un “senso di onnipotenza”, che avrebbe condotto il soggetto a persistere nell’azione. In vista di quanto esposto, i giudici di legittimità sarebbero stati indotti ad una chiara propensione per la qualificazione colposa. Nell’occasione venne rimarcata, inoltre, la differenziazione tra “prevedibilità” e “concreta previsione” (quest’ultima necessaria ai fini dell’inquadramento del dolo eventuale). Sostanzialmente, secondo la Corte, non essendo provata una volontà diversa, non è possibile ritenere che l’agente abbia voluto l’evento, altrimenti si finirebbe per sostenere l’esistenza di un dolo inre ipsa per il solo fatto della condotta rimproverabile poiché trasgressiva di regole cautelari. Si afferma, quindi, una distinzione fra dolo eventuale e colpa cosciente basata sul fatto che il primo si manifesti come previsione della concreta possibilità di realizzazione di un evento lesivo – dovendosi avere riguardo all’effettiva previsione, e a nulla rilevando la mera prevedibilità obiettiva -, accompagnata dall’accettazione del rischio di tale realizzazione; mentre la seconda si connoti per una rappresentazione della “semplice” possibilità di realizzazione dell’evento lesivo, accompagnata dalla fiducia nella non verificazione di esso.

Nei medesimi termini si è espressa altra pronuncia, in un caso in cui il soggetto, guidando ad alta velocità una moto di grossa cilindrata e ponendola in posizione di impennamento, invadeva la corsia opposta, collidendo con un’altra moto che proveniva dalla direzione contraria. La Corte ha evidenziato che nonostante la condotta fosse «indubbiamente sconsiderata e imprudente» non ricorrevano tuttavia elementi tali da far ritenere che l’imputato avesse inteso scagliare la sua grossa moto contro qualcuno – accettando sia pure in forma eventuale – l’incidente lesivo, che avrebbe potuto arrecare danno anche a se stesso.

Un’altra pronuncia interessante in materia è quella relativa al caso “Lucidi”[11] , in cui la Cassazione ha avuto modo di proporre recise enunciazioni di principio (in seguito peraltro a divergenti posizioni dei giudici di merito). Le considerazioni sono analoghe a quelle appena esposte per il caso “Bodac”, in ordine alla non sufficienza della mera violazione, per quanto grave e seppur consapevole, di regole cautelari ai fini dell’affermazione della volizione, benché in forma eventuale, dell’evento, sono riproposte ai fini dell’inquadramento della colpa cosciente, con parallela negazione del dolo eventuale. Si tratta del caso in cui l’imputato, senza patente di guida e alterato a seguito di una lite con la fidanzata, conduceva la sua auto ad alta velocità nel centro abitato in una situazione di traffico intenso e attraversava un incrocio nonostante il semaforo rosso, così cagionando la morte di una coppia di motociclisti.

In primo grado la condanna era stata per omicidio con dolo eventuale, il GUP, in particolare, aveva ravvisato tale elemento soggettivo (mentre, in sede di procedimento cautelare, il fatto era stato qualificato come omicidio colposo aggravato dalla previsione dell’evento) richiamando la teoria  dell’accettazione del rischio, e valutando la sussistenza di tale accettazione con riguardo all’evento mortale verificatosi, in considerazione del fatto che l’imputato si fosse posto alla guida di un’autovettura di grossa cilindrata, a velocità superiore ai 90 km/h, procedendo in una zona centrale della capitale e ad un orario caratterizzato da importante traffico pedonale e veicolare, con attraversamento di due incroci consecutivi nonostante il semaforo indicasse, verso la sua direzione, luce rossa; si trattava, secondo il GUP, di una condotta nell’ambito della quale nessuno avrebbe potuto effettuare manovre d’emergenza, ed in considerazione della quale il soggetto agente non poteva non essersi rappresentato il rischio di verificazione di incidenti, anche con esiti letali. La persistenza nella tenuta di tale tipologia di condotta, a fronte della suddetta rappresentazione del rischio di eventi lesivi, veniva valutata come indicativa della componente volitiva, seppur nella sua forma eventuale. Nondimeno, fattore considerato alquanto significativo dai giudici di merito era che l’imputato, dopo la verificazione dell’incidente, avesse tentato di darsi alla fuga (fattore che, oggi, alla luce dell’introduzione della novella legislativa, è verrebbe considerato come circostanza aggravante): tale aspetto, coordinato con la «folle corsa» precedente, veniva definito come rivelatore di un atteggiamento di «totale noncuranza» per la vita umana .La sentenza di secondo grado , aveva ritenuto, di contro, che il fatto fosse sussumibile nella diversa ipotesi di omicidio colposo aggravato dalla previsione dell’evento. L’esito del procedimento penale consiste nella conferma, da parte della Corte, dell’impostazione adottata dai giudici di secondo grado. Nell’occasione i giudici di legittimità hanno proposto enunciazioni di principio espressamente riprese dalla sentenza “Thyssen”. La Corte  afferma che il dolo eventuale è pur sempre una forma di dolo e l’art. 43 c.p. richiede non soltanto la previsione, ma anche la volontà di cagionare l’evento, giacché altrimenti si avrebbe la inaccettabile trasformazione di un reato di evento in un reato di pericolo, con la estrema ed improponibile conclusione che ogni qualvolta il conducente di un autoveicolo attraversi col rosso una intersezione regolata da segnalazione semaforica, o non si fermi ad un segnale di stop, in una zona trafficata, risponderebbe, solo per questo, degli eventi lesivi eventualmente cagionati sempre a titolo di dolo eventuale, in virtù della violazione della regola cautelare e della conseguente situazione di pericolo scientemente posta in essere. Perché sussista il dolo eventuale, ciò che l’agente deve accettare è proprio l’evento: è, cioè, il verificarsi della morte che deve essere stato accettato e messo in conto dall’agente, pur di non rinunciare all’azione che, anche ai suoi occhi, aveva la seria possibilità di provocarlo; occorre, quindi, accertare, per ritenere la sussistenza del dolo eventuale, che l’agente abbia accettato come possibile la verificazione dell’evento, non soltanto che abbia accettato una situazione di pericolo genericamente sussistente. L’argomentazione della Corte ruota attorno ad una constatazione di fatto relativa all’esclamazione «Oddio, li ho ammazzati! » che l’imputato avrebbe esternato subito dopo l’urto; ciò evidenzia una situazione di panico e soprattutto di «rammaricata sorpresa» che – secondo la Corte – appare difficilmente conciliabile con una comprovata accettazione del rischio concreto di causazione dell’evento (in un contesto in cui, peraltro, dovrebbe ritenersi accettato anche il concomitante rischio di eventi lesivi a proprio danno). In ogni caso, nel dubbio sulla sussistenza di tale elemento psicologico (l’accertamento al riguardo, secondo la regola generale di valutazione della prova, deve sottrarsi ad ogni ragionevole dubbio) il giudice non può che condannare – in dubio pro reo– per il fatto colposo, non per quello doloso. Emerge quindi dalla sentenza la valorizzazione di una distinzione fra dolo eventuale e colpa cosciente basata sul profilo volitivo, posto che la rappresentazione sia elemento comune ad entrambe le categorie. Un ultimo dato emergente dal “caso Lucidi” che sembra interessante sottolineare, è che l’imputato fosse sprovvisto di patente di guida, a causa del ritiro della stessa da parte delle autorità, in quanto assuntore di cocaina e tossicodipendente. Aspetti che sicuramente sono soggetti a rimprovero morale, ma che tuttavia, secondo i giudici, non hanno contribuito al decorso causale degli eventi (inoltre ricordano gli stessi che già esiste un aggravante per lesioni gravi o gravissime, provocate con colpa e tramite guida in stato di alterazione alcolica o da assunzione di stupefacenti).

I casi appena analizzati sono l’espressione degli orientamenti giurisprudenziali dominanti, e mostrano – in modo chiaro ed evidente – la costante applicazione della categoria della colpa cosciente, in luogo del dolo eventuale; a parte qualche azzardata prospettazione di atteggiamenti dolosi in sede di merito (come nel caso “Lucidi”), che puntualmente viene smentita in secondo grado ovvero in sede di giudizio di legittimità.

Dopo questo breve sguardo d’insieme può senz’altro affermarsi che il legislatore, nell’introdurre le nuove norme all’interno del codice, abbia tenuto conto dell’orientamento dominante della Corte di Cassazione ed abbia così deciso di “cristallizzare” in un certo senso entro la categoria della colpa cosciente tutte quelle ipotesi di sinistri stradali con esito letale o comunque arrecanti gravi lesioni personali.

È opportuno osservare, tuttavia, che non in poche sentenza (pensiamo per tutte alla citata sentenza Thyssen , nella quale i Giudici hanno prospettato un elenco di indicatori del dolo eventuale) la Suprema Corte abbia cercato di fornire degli strumenti idonei al Giudice circa il corretto inquadramento dell’atteggiamento soggettivo del soggetto agente, lungi da voler spingere ad una cristallizzazione, ed atrofizzazione del diritto entro una categoria chiusa. Questa tendenza della più recente Giurisprudenza a riconoscere anche al dolo eventuale una fetta di applicazione a settori fino all’ultimo decennio sconosciuti a determinati ambiti (sicurezza sul lavoro, circolazione stradale, colpa medica ecc.) doveva , forse, far protendere il legislatore al riconoscimento di un’autonoma sfera di applicazione anche al dolo eventuale e non ad escluderlo una volta per tutte.

Inoltre, non è da dimenticare, il fatto che tale intervento novellistico di settore non ha risolto il problema dell’applicazione della categoria del dolo eventuale, infatti l’attuale Codice Penale resta, anche dopo la riforma, incapace di orientare l’organo Giudicante nella sua scelta circa l’inquadramento dell’atteggiamento psicologico soggettivo dell’agente e di conseguenza di fornire un sistema garantista non solo a chi commette un reato, ma anche al soggetto passivo, nonché  ai familiari delle vittime.   

Al di là delle varie perplessità suscitate dalle nuove norme, e delle prime critiche mosse ad esse, pare opportuno, per ragioni sistematiche, esporne prima il contenuto, cercando di fornire in qualche modo anche un’interpretazione congrua alle finalità che la nuova legge si propone.

3. Il reato di omicidio stradale: l’ipotesi base descritta dal primo comma dell’articolo 589 bis c.p.

Il reato di omicidio stradale, che oggi è diventato un reato autonomo e non è più una fattispecie aggravata dell’omicidio colposo, è disciplinato dal nuovo art. 589 bis c.p. che al primo comma statuisce che  “Chiunque cagiona per colpa la morte di una persona con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale è punito con la reclusione da 2 a 7 anni. Questo primo comma del nuovo articolo racchiude un’ipotesi “base” ed analizzandolo sovviene una prima problematica attinente alla apparente esclusione dall’ambito della responsabilità colposa, della c.d. colpa generica, ovvero quella dovuta a imperizia, negligenza ed imprudenza, posto che, a livello letterale, la norma fa espresso riferimento alla “violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale” e, dunque, facendo espresso riferimento alla sola colpa specifica.

La soluzione interpretativa migliore è quella di ritenere che, nonostante l’infelice formulazione della norma, anche i profili di colpa generica possano ricomprendersi nell’ampia nozione di “colpa” voluta dal legislatore della riforma[12]. Ancora, tale ipotesi di reato si riferisce a “Chiunque” vìoli una o più norme sulla circolazione stradale; mettere in evidenza la qualifica soggettiva dell’autore del reato individuata dalla norma è prodromico a ciò che si andrà ad esporre di seguito: infatti mentre per l’integrazione dell’omicidio stradale base è sufficiente che l’agente vìoli una o più norme sulla circolazione stradale, affinchè possa sussistere l’aggravante (di cui si parlerà a breve) è necessario che l’agente sia il conducente di un veicolo a motore. Questo comporta che il pedone che rappresenti un alto rischio per la circolazione stradale, oppure il conducente di un veicolo a trazione animale o un semplice velocipede, anche qualora si trovassero in stato di ebbrezza o in stato di alterazione da sostanze nel momento in cui hanno cagionato il sinistro saranno sempre e soltanto ritenuti autori della previsione “base” di omicidio stradale di cui al primo comma e  mai di quella aggravata.

 La ragione di tale scelta legislativa potrebbe essere ricondotta proprio alla figura del dolo eventuale (anche se l’ipotesi di reato in commento resta ancorata a profili psicologici colposi) poiché l’atteggiamento di chi si mette alla guida di un veicolo a motore in condizioni alterate o con sprezzo delle norme che regolano la circolazione è indubbiamente più grave di  chi si pone alla guida di un veicolo non a motore o di un animale, ovvero è un pedone,proprio per la diversa previsione del rischio di determinare un grave danno alle persone[13].

Per ciò che concerne il regime sanzionatorio, invece, nulla è cambiato rispetto al passato; visti i limiti edittali è consentito l’arresto facoltativo in flagranza di reato ex art. 381 c.p.p. e, nella ricorrenza delle altre condizioni di legge ( in primo luogo il “fondato pericolo di fuga”), il fermo di indiziato di delitto  ex art. 384 c.p.p., è altresì consentita l’applicazione della custodia cautelare in carcere ex art. 280, comma II,c.p.p.[14].

4.Le ipotesi  aggravate e le novità processuali: gli accertamenti coattivi

La novella legislativa ha introdotto importanti novità soprattutto per ciò che concerne l’aggravamento di pena per i fatti commessi da soggetti sotto l’effetto di sostanze alcoliche o stupefacenti. Infatti , il comma 2 dell’art. 589-bis c.p. – il quale contempla una nuova aggravante speciale ad effetto speciale, per la quale è prevista la pena della reclusione da otto a dodici anni – punisce chi “ponendosi alla guida di un veicolo a motore in stato di ebbrezza alcolica o di alterazione psico-fisica conseguente all’assunzione di sostanze stupefacenti o psicotrope ai sensi rispettivamente degli articoli 186, comma 2, lettera c), e 187 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, cagioni la morte di una persona”. Si tratta di una circostanza aggravante applicabile non a “chiunque” (come già evidenziato in precedenza) ma solo al “conducente di un veicolo a motore”, con una riduzione dell’ambito di applicazione della norma che non ricomprende gli utenti della strada diversi dal conducente di un veicolo a motore che abbiano provocato un incidente stradale mortale nelle condizioni di grave alterazione. Tra i principali problemi applicativi della norma (ed in generale di tutta la riforma dei reati stradali), vi sono sicuramente quelli connessi all’accertamento dello stato di ebbrezza alcolica o di alterazione dovuta a sostanze stupefacenti, questo soprattutto perché – a differenza del passato – i tempi entro i quali deve agire la Polizia Giudiziaria sono assai brevi. Infatti oggi vi è la necessità di ottenere i risultati delle analisi in tempi compatibili con le determinazioni da assumere in merito all’arresto che spesso è facoltativo ma in taluni casi, come questo, diviene obbligatorio. Nulla questio qualora il conducente non rifiuti di sottoporsi agli accertamenti necessari, ovvero questi siano eseguiti dalle strutture sanitarie “incidentalmente” per fini curativi, ed in tal caso i liquidi biologici acquisiti saranno analizzabili ed il risultato potrà essere utilizzato nel procedimento penale, restando assolutamente irrilevante il consenso dell’interessato[15], il problema invece si pone laddove non vi sia il consenso. Date le ragioni di assoluta necessità si accertamento dello stato psicofisico del soggetto, soprattutto per la contestabilità dell’ aggravante della ubriachezza “grave” (lo stesso ragionamento sarà da condurre per il comma quarto che ugualmente prevede un aggravamento di pena in caso di ubriachezza “media”) o per lo stato di alterazione da sostanze stupefacenti, che – qualora sussistesse – determinerebbe l’arresto obbligatorio del conducente, deve ritenersi ammissibile il prelievo coattivo dei liquidi biologici necessari all’accertamento, questo anche alla luce delle modifiche apportate dalla nuova legge al codice di procedura penale[16].

Di grande impatto operativo per gli organi di Polizia è stata, infatti, l’introduzione del nuovo art. 359 bis, comma 3 bis c.p.p.; tale norma prevede , nei casi di omicidio stradale o lesioni gravi o gravissime, disciplinati dagli articoli  589 bis e 590 bis c.p., che, se il conducente rifiuta di sottoporsi agli accertamenti dello stato di ebbrezza alcolica ovvero di alterazione dovuta all’assunzione di sostanze stupefacenti o psicotrope, e vi è fondato motivo di ritenere che dal ritardo possa derivare grave od irreparabile pregiudizio alle indagini, il Pubblico Ministero può, nei casi d’urgenza, anche con decreto orale da confermarsi successivamente per iscritto , disporre l’accertamento coattivo. A tal fine gli ufficiali di Polizia Giudiziaria procedono all’accompagnamento dell’interessato presso il più vicino presidio ospedaliero al fine di sottoporlo al necessario prelievo o accertamento e possono disporre l’esecuzione coattiva delle operazioni se la persona rifiuta di sottoporvisi. Del decreto e delle operazioni è data tempestiva notizia al difensore dell’interessato, che ha la facoltà di assistervi, senza che ciò pregiudichi il compimento delle operazioni. Poi, entro le quarantotto ore successive, il Pubblico Ministero deve richiedere la convalida del decreto e degli eventuali ulteriori provvedimenti al Giudice per le indagini preliminari, che provvede entro le quarantotto ore successive dando notizia al difensore ed al Pubblico Ministero. Tutte le operazioni necessarie ai fini dell’accertamento debbono sempre essere svolte nel rispetto delle condizioni previste dall’articolo 224 bis c.p.p., anch’esso riformato nella parte in cui prevede la possibilità di eseguire operazioni peritali che richiedono il compimento di atti idonei ad incidere sulla libertà personale anche nei casi previsti dai nuovi articolo 589 bis e 590 bis c.p.. Per cui sono vietate tutte quelle operazioni che contrastano con espressi divieti posti dalla legge o che possono mettere in pericolo la vita, l’integrità fisica o la salute del nascituro , ovvero che, secondo la scienza medica, possono provocare sofferenze di non lieve entità  e qualsiasi accertamento deve essere effettuato nel rispetto della dignità e del pudore  di chi vi è sottoposto , preferendo, a parità di risultato , le tecniche meno invasive[17]. Orbene, l’unico scoglio interpretativo risiederebbe proprio nel citato articolo 224 bis c.p.p. che espressamente prevede la possibilità di compiere “atti idonei a incidere sulla libertà personale, quali il prelievo di capelli, di peli o di mucosa del cavo orale”. Poiché, infatti, il legislatore, con la L. 41/2016, non ha preso una posizione chiara circa l’indicazione precisa delle le operazioni di accertamento dello stato psicofisico del conducente che possono essere eseguite coattivamente, e quindi senza il consenso dell’interessato, non appare del tutto pacifico se il prelievo ematico rientri tra quelle. Secondo l’orientamento espresso dalla Corte Costituzionale con sentenza 301 del 2001 l’elenco espresso all’interno dell’art. 224 bis c.p.p. ( “[…] prelievo di capelli, di peli o di mucosa del cavo orale”) deve considerarsi tassativo e non suscettibile di interpretazione estensiva. Inoltre, alla luce dei principi espressi in un’altra sentenza della Corte Costituzionale del 9 luglio 1996, n. 238, la quale ha disposto che il prelievo ematico comporta una restrizione della libertà personale, quando se ne renda necessaria l’esecuzione coattiva, perché la persona sottoposta all’esame peritale non acconsente spontaneamente al prelievo, ed è una restrizione che non solo interessa la sfera della libertà personale ma la travalica in quanto invade anche se in minima parte la sfera corporale della persona, deriva che non sarebbe legittimo imporre il “prelievo ematico”, in quanto non ricompreso espressamente tra quelli autorizzati, sebbene si tratti di uno strumento affidabile per accertare l’alterazione psico-fisica indotta dall’abuso di alcool o droghe. Di conseguenza, il prelievo ematico non potrebbe mai essere imposto attraverso il ricorso allo strumento di cui agli artt. 224-bis e 359-bis c.p.p.[18]. In linea con la più accreditata giurisprudenza, si deve ritenere che, se i sanitari non abbiano voluto sottoporre il conducente a cure mediche ed a prelievo ematico, la richiesta degli organi di Polizia Giudiziaria di effettuare l’analisi del tasso alcolemico per via ematica presupporrebbe sempre l’avviso all’indagato della facoltà di farsi assistere dal difensore di fiducia, in mancanza del quale si configura una nullità a regime intermedio non più deducibile dopo la deliberazione della sentenza di primo grado[19]. Tale orientamento “restrittivo”, trova a scontrarsi con quello – adottato dalle linee guida di alcune Procure della Repubblica[20] nell’immediatezza della promulgazione della legge –  secondo il quale invece, proprio in virtù del nuovo art. 359 bis, comma 3 bis, sarebbe possibile anche il prelievo coattivo di materiale ematico. Parlando, infatti, il legislatore di “prelievo necessario” all’interno della norma in esame, non si è spinto ad indicare il prelievo ematico tra quelli effettuabili coattivamente; ma, se la norma, per l’accertamento specifico delle aggravanti de quibus, si limitasse a ribadire il contenuto di quanto già prescritto dal preesistente art. 224 bis c.p.p. , questa non avrebbe ragione di esistere, essendo – oltretutto – impossibile un’incriminazione per omicidio stradale in capo al soggetto che rifiuti di sottoporsi agli accertamenti (ematici) necessari. D’altra parte, attribuire al comma 3 bis dell’art. 359 c.p.p. il solo fine di disciplinare la procedura in caso di urgenza, porta ad amputare l’utilità sostanziale, che si individua proprio nell’accertamento necessario allo scopo[21]. Se l’esame del capello, del pelo, della mucosa del cavo orale non servono all’accertamento (in realtà la mucosa può essere utile per tracciare gli stupefacenti), si deve ritenere che il legislatore, consapevole di ciò, ha ammesso altre forme di accertamento “necessario”, con il limite della integrità fisica e della dignità sopra menzionati. Limite che con il prelievo coattivo del sangue non pare superato, essendo opinione comune che il prelievo stesso sia pratica medica di ordinaria amministrazione che provoca lieve sofferenza[22]. Inoltre, sarebbe condivisibile l’orientamento secondo cui nei casi di incertezze interpretative riscontrabili in alcuni aspetti delle norme in esame, si debba seguire quella interpretazione che, in adesione alla volontà del legislatore, ne consenta la concreta operatività, demandando alla fase della giurisdizione la risoluzione di alcune questioni controverse[23]. Sicuramente sarà la giurisprudenza futura a fornire linee guida più precise in merito ai cd. prelievi coattivi, oppure – verosimilmente – sarà la stessa Corte Costituzionale a pronunciarsi con una sentenza chiarificatrice.

Merita un’ultima precisazione la differenza che intercorre tra l’accertamento dello stato di ubriachezza e quello dell’intossicazione da sostanze stupefacenti. Mentre infatti per il primo sarebbe necessario e sufficiente l’utilizzazione dell’etilometro ( ed in mancanza del consenso dell’interessato  l’accompagnamento coattivo presso la più vicina struttura sanitaria ove effettuare gli esami necessari) – salvo il diritto della difesa di provare  che il risultato dell’accertamento sia inesatto, magari perché lo strumento utilizzato era mal funzionante[24] –  ed in caso di risultato positivo il conducente dovrà rispondere sia del reato ex art. 589 bis che della contravvenzione ex art. 186 c.p. ,  per ciò che concerne, invece, l’accertamento dello stato di alterazione dovuta a sostanze psicotrope la situazione è più delicata.

In quest’ultimo caso, infatti, la legge non ritiene configurabile il reato per il solo fatto che vi sia presenza di metaboliti nel sangue, dato che tale presenza può sussistere per diversi giorni, ma sarà necessario un “doppio” accertamento, cioè quello che verifichi che il soggetto non solo abbia assunto sostanze prima di mettersi alla guida, ma anche che tale assunzione abbia determinato uno stato di alterazione[25]. In circostanze di questo tipo appaiono indispensabili non solo esami clinici ma anche indici sintomatici dello stato di alterazione, i quali dovranno essere riportati nella relazione delle autorità presenti sul luogo del fatto[26].

Anche i successivi terzo e quarto comma costituiscono ipotesi di omicidio stradale aggravato dallo stato di ebbrezza, ma stavolta questa deve essere “media” e non più grave come la prima, ad ogni modo i problemi interpretativi circa la possibilità di effettuare accertamenti coattivi in tempi ristretto si pongono ugualmente e valgono quindi le medesime considerazione appena svolte.

Il comma terzo dell’art. 589 c.p. prevede la stessa pena di cui al comma precedente (8-12 anni di reclusione) applicata “al conducente di un veicolo a motore di cui all’articolo 186-bis, comma 1, lettere b),c), e d), del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, il quale , in stato di ebbrezza alcolica ai sensi dell’art. 186, comma 2, lettera b), del medesimo decreto legislativo n.285 del 1992, cagioni per colpa la morte di una persona”, in sostanza l’aggravante sarà integrata solo qualora si tratti di conducente particolare (es: abilitato al trasporto di persone come taxi, autobus; trasporto di cose in conto di terzi; conducente di autoarticolati ed autosnodati ecc.) . Non rientrano, invece, tra i soggetti a cui è contestabile detta aggravante, i conducenti di età inferiore ad anni ventuno ed i conducenti nei primi tre anni dal conseguimento della patente di guida di categoria B, i quali al contrario vengono riassorbiti all’interno delle altre casistiche[27].

Una delle novità di maggior rilievo dal punto di vista procedurale apportate dalla riforma – insieme all’inasprimento delle pene – è la previsione dell’arresto obbligatorio ex art 380 , comma 1 c.p.p.nei casi appena descritti, cioè nel caso di omicidio stradale commesso da soggetto in stato di alterazione psico-fisica da sostanze stupefacenti ovvero con un tasso alcolemico superiore a 1,5 grammi per litro (ipotesi descritta dal secondo comma) e a 0,8 per i conducenti professionali (l’ipotesi descritta dal comma 3). A questo punto è sufficiente richiamare quanto già espresso in merito all’importanza della tempestività degli accertamenti necessari per l’inquadramento dello stato psicofisico del conducente, in modo da poter procedere – in un contesto di flagranza o quasi flagranza – all’arresto dell’imputato, oltre che ovviamente alla contestazione della corretta aggravante.

Per ciò che concerne, invece, il regime di attribuzione, data la diversità delle cornici edittali, soltanto le ipotesi di reato di cui ai commi due e tre spettano al tribunale in composizione collegiale, fermo restando per il reato di omicidio stradale la procedibilità ex officio.

Il comma successivo (4° comma) stabilisce invece che, salvo i casi nei quali il conducente non rientri nelle categorie indicate dal comma precedente, il conducente di veicoli a motore il quale si trovi in uno stato di ubriachezza media (ex art. 186, comma 2, lettera b, decreto legislativo n. 285/1992) soggiace alla pena che va dai 5 ai 10 anni  di reclusione. Siamo di fronte ad un’ipotesi generale per la quale resta consentito l’arresto facoltativo ed il fermo di indiziato di delitto, così come anche per le ipotesi di cui ai punti 1, 2 e 3 del comma 5 che si analizzerà tra poco.

5.L’intricato sistema di aggravanti “dinamiche” e “statiche” ed il concorso di colpe

Oltre alle aggravanti connesse allo status psicofisico dell’imputato al momento della commissione del fatto, il legislatore ha ipotizzato – al comma quinto dell’articolo 589 bis c.p.- un’altra serie di aggravanti generali che potrebbero essere definite “dinamiche”.

Tali ipotesi si possono raggruppare in tre gruppi che descrivono alcuni comportamenti stradali ritenuti di particolare pericolosità per la sicurezza della circolazione. Nell’individuare tali specifiche circostanze si è seguito – probabilmente -un criterio legato alla maggiore ricorrenza statistica nella causazione di incidenti stradali mortali; certo è che restano fuori dalla previsione molte altre violazioni che – allo stesso modi di quelle inserite all’interno dell’articolo –  spesso sono causa di incidenti mortali. Le casistiche considerate ruotano intorno alla velocità, al passaggio con il semaforo rosso, ed all’esecuzione di talune manovre di sorpasso o di inversione del senso di marcia, senza peraltro uno specifico richiamo alle analoghe ipotesi descritte nel codice della strada[28].

Il comma 5° punisce, con la stessa pena irrogata in caso di ubriachezza media di cui al comma 4° (5-10 anni), “il conducente di un veicolo a motore che, procedendo in un centro urbano ad una velocità, pari o superiore al doppio di quella consentita e comunque non inferiore a 70 km/h, ovvero su strade extraurbane ad una velocità superiore di almeno 50 km/h rispetto a quella massima consentita, cagioni per colpa la morte di una persona”. Tuttavia, in base ad una prima osservazione, l’aggravante della velocità sarebbe tutt’altro che semplice da provare, in quanto, escludendo casistiche scolastiche di incidente stradale accaduto in costanza di rilevamento con misuratore di velocità ed anche ammettendo la possibilità di accertare la velocità con tecniche ricostruttive “induttive”, la cui affidabilità è pacifica solo quando i risultati sono ampiamente superiori al limite di velocità, è evidente che nella maggior parte dei casi l’aggravante in osservazione – come sostenuto da alcuni –  resterà poco più che un “mero messaggio mediatico”[29].

Altresì è punito “il conducente di un veicolo a motore che , attraversando un’intersezione con il semaforo disposto al rosso ovvero circolando contromano, cagioni per colpa la morte di una persona” ed il “conducente di un veicolo a motore che, a seguito di manovra di inversione del senso di marcia in prossimità o in corrispondenza di intersezioni, curve o dossi o a seguito di sorpasso di un altro mezzo in corrispondenza di un attraversamento pedonale o di linea continua, cagioni per colpa la morte di una persona”. Ferma restando la procedibilità d’ufficio, come già enunciato, la competenza resta del Tribunale in composizione monocratica; per ciò che concerne l’arresto in flagranza questo è facoltativo, mentre resta consentito il fermo di indiziato di delitto.

Accanto a questa aggravanti, ne sono state introdotte altre – sempre generiche –  cd. “statiche”, poiché legate non tanto a fattori eziologicamente connessi all’incidente, ma a condizioni personali dell’autore del fatto o del veicolo a motore con cui è stato realizzato l’evento. Il 6° comma dell’articolo 589 bis , infatti, stabilisce che il reato di omicidio stradale semplice o aggravato , potrà subire un ulteriore aggravamento di pena se: a) il fatto è commesso da persona non munita di patente  di guida o con patente sospesa o revocata; b) il veicolo a motore sia di proprietà dell’autore del fatto e tale veicolo sia sprovvisto di assicurazione obbligatoria.

Al comma successivo, il settimo, il legislatore ha introdotto una attenuante specifica ad effetto speciale che prevede la diminuzione della pena fino alla metà “qualora l’evento non sia esclusiva conseguenza dell’azione od omissione del colpevole”. Tale norma merita qualche considerazione: prima della riforma la vecchia normativa prevedeva una diminuzione di pena nel caso in cui l’evento fosse stato “conseguenza anche di una condotta colposa della vittima”, oggi, invece, lo scenario di corresponsabilità è più vasto, infatti anche l’ente proprietario o concessionario della strada potrebbe essere chiamato in “concorso di colpa”. Tale ultima ipotesi – come noto – si verifica quando più soggetti contribuiscono alla causazione dell’evento criminoso, senza però avere la conoscenza e la volontà di concorrere con l’altrui o nell’altrui azione pericolosa (es. elevata velocità del conducente ed improvviso attraversamento del pedone che provoca la morte di quest’ultimo)[30].

Infine, il nuovo articolo si chiude con un’ipotesi di reato preesistente (regolata dal vecchio art. 589, comma 4 c.p.) che di fatto differisce dalla precedente soltanto per ciò che concerne il trattamento sanzionatorio: si tratta della fattispecie di un “incidente stradale che abbia provocato contemporaneamente la morte di più persone, ovvero la morte di una o più persone e lesioni a una o più persone”. In questi casi – descritti dal comma ottavo – si applicherà “la pena che dovrebbe infliggersi, in concreto, per la più grave delle violazioni commesse aumentata fino al triplo, ma la pena non può superare gli anni diciotto” (il limite prima della riforma era di quindici anni). Nonostante il comma faccia menzione della qualifica soggettiva dell’autore del fatto identificandolo nel conducente, l’applicabilità deve considerarsi estesa a tutte le tipologie di conducenti in quanto non viene fatto riferimento ai “veicoli a motore”[31]. Da ultimo, va sottolineato che la suddetta fattispecie non è una circostanza aggravante come le altre, per cui non potrà mai essere sottoposta dal giudice ad un giudizio di comparazione delle circostanze ex art. 69 c.p..

6.La “Fuga” del conducente. Coordinamento sistematico con il sistema previgente

L’art. 589 ter c.p. rubricato “Fuga del conducente in caso di omicidio stradale” è uno dei nuovi articoli introdotti all’interno del nostro codice penale dalla Legge 23 marzo 2016, n. 41; si tratta di un’ipotesi di circostanza aggravante[32]  –  al verificarsi della quale la pena sarà aumentata da un terzo a due terzi e comunque mai inferiore a cinque anni – per il conducente che si sia allontanato dal luogo del sinistro stradale dopo aver cagionato l’incidente.

Il codice della strada prevede già due figure di reato che presentano molte affinità con la nuova aggravante: l’art. 189, comma 6 (“soggetto che fugge dopo l’incidente”) e l’art. 189, comma 7 (“omessa assistenza alle persone ferite”). La prima ipotesi punisce la “fuga” dell’utente della strada(si badi, non del conducente come nella nuova aggravante) il quale, in caso di incidente con danno alle persone derivante da un suo comportamento, non ottempera all’obbligo di fermarsi, così da impedire o comunque ostacolare l’accertamento della propria identità personale e la ricostruzione delle modalità del sinistro[33].

Il reato descritto dal codice della strada è integrato anche quando il conducente sosta “brevemente” sul luogo del fatto ed in tale breve lasso di tempo non sia stata possibile la propria identificazione, né quella del veicolo, dato che la sosta- secondo un orientamento pacifico[34] – deve durare per tutto il tempo necessario all’espletamento delle prime attività di indagine. Inoltre la condotta di fuga ex art. 189 c.d.s. è punita solo se commessa consapevolmente e volontariamente: il dolo deve ricoprire la consapevolezza dell’incidente e quella della verificazione del danno alle persone; non è tuttavia necessario che il dolo investa anche, al momento della verificazione dell’incidente, il “riscontro effettivo del danno alle persone”, che, spesso, non è accertabile immediatamente nella sua effettiva sussistenza e consistenza, e che, semmai, se compiutamente conosciuto e percepito, può dar luogo anche alla distinta ipotesi di cui al comma 7 dello stesso art. 189 c.d.s., la quale, a sua volta, punisce la condotta del conducente che ometta di prestare l’assistenza occorrente alle persone rimaste ferite. Infatti, per la configurabilità del dolo del reato di cui all’articolo 189 , comma 6, c.d.s. è necessario e sufficiente il dolo eventuale[35]. La condotta punita dal codice della strada è quindi quella di non essersi fatto identificare; al contrario non è pacifico quale sia la condotta punita nel caso del 589 ter, poiché non si specifica quale sia l’obbligo gravante sul conducente dopo che lo stesso abbia provocato un sinistro. Infatti l’espressione del “darsi alla fuga”potrebbe essere foriera di un significato che nasconda un quid pluris rispetto alla semplice inosservanza dell’obbligo di fermarsi per farsi identificare; ben potrebbe essere ricollegato ad un aggravato giudizio di rimproverabilità per un comportamento successivo al fatto[36].

Lasciando da parte ogni interpretazione sul significato intrinseco della norma, al fine di addivenire ad un coordinamento sistematico tra norme,  sembrerebbe opportuno – pur nell’assenza di un adeguato coordinamento normativo – per evitare un’ingiustificata duplicazione del trattamento sanzionatorio ritenere che per i reati di cui agli articoli 589 bis e 590 bis del codice penale le ipotesi aggravate conseguenti alla condotta di fuga, disciplinate, rispettivamente, dagli articoli 589 ter e 590 ter  c.p. (il quale prevede, come si vedrà, la medesima ipotesi in caso di lesioni personali gravi o gravissime), costituiscano ipotesi speciali , che escludono l’applicabilità anche della normativa generale prevista dal codice della strada. In relazione al rapporto con quest’ultimo, per ciò che concerne la possibilità di effettuare l’arresto in flagranza, va segnalato che prima dell’entrata in vigore della riforma, questo era sempre escluso dall’art. 189, comma 8 c.d.s. nel caso in cui il conducente si fosse fermato ed avesse prestato assistenza; oggi, invece,  la norma vale solo per il reato di lesioni e non per l’omicidio, fatto, questo, che potrebbe determinare un aumento delle “fughe” in ragione anche dell’inasprimento sanzionatorio previsto. Ancora, sul concetto di flagranza, è intervenuta una recente sentenza della Giurisprudenza di legittimità – antecedente all’entrata in vigore della riforma – che, peraltro, si discosta dal dettato normativo concernente il concetto di flagranza e quasi flagranza, infatti si è stabilito che “l’inseguimento del reo, utile per definire il concetto di quasi flagranza, deve essere inteso in senso più ampio di quello strettamente etimologico di chi corre dietro, tallona, incalza a vista la persona inseguita. Esprime cioè un concetto comprensivo anche dell’azione di ricerca, immediatamente eseguita, anche se non immediatamente conclusa, purché protratta senza soluzione di continuità, sulla base delle ricerche immediatamente predisposte sulla scorta delle indicazioni delle vittime, dei correi o di altre persone a conoscenza dei fatti. L’inseguimento può avvenire anche dopo un periodo di tempo necessario alla pg per giungere sul luogo del delitto, acquisire notizie utili, iniziare le ricerche con l’ulteriore precisazione che il concetto di inseguimento ad opera della pg comprende ogni attività di indagine e ricerca finalizzata alla cattura dell’indiziato di reità anche se si protragga per più tempo. Tale disciplina è applicabile anche nell’ipotesi dell’omicidio colposo con violazione delle norme della circolazione stradale e dell’inosservanza dell’obbligo di fermarsi e prestare soccorso, poiché il disposto dell’art. 189 c. 8 bis Cds che prevede per coloro che, dopo essersi dati alla fuga, si pongano a disposizione della pg entro le 24 ore successive al fatto (e tale termine non può essere inteso in un’accezione elastica pena la sua inutilità) la non applicabilità delle disposizioni di cui al terzo periodo del comma 6 della stessa norma (relative alla possibilità di procedere all’arresto facoltativo in flagranza a norma dell’art. 381 cpp) rende evidente come il legislatore abbia previsto la possibilità di procedere da parte della pg all’arresto anche dopo un periodo considerevolmente lungo così recependo un concetto di quasi flagranza temporalmente dilatato ed esteso (Cass.Pen. Sez. IV 5 maggio-10 agosto 2015 n. 34712). Si tratta , da parte della Cassazione, dell’adesione ad un orientamento minoritario e , forse, meno garantista.

Infine merita un’ultima considerazione la “particolarità” del trattamento sanzionatorio in caso di sussistenza dell’aggravante della fuga che prevede in linea di principio un aumento da un terzo a due terzi ma con un limite edittale minimo di 5 anni (pari a quello previsto per le aggravanti di cui ai commi 4 e 5 dell’art. 589 bis). La stranezza consiste nel fatto che questo limite minimo è superiore di oltre il doppio rispetto al minimo previsto per il reato di omicidio stradale semplice commesso senza aggravante; quindi, verosimilmente, nel caso in cui il giudice ritenga di irrogare una pena di due anni per l’ipotesi base, se questa è  corredata dall’aggravante della fuga, finirà con il punire più la fuga che l’aver causato la morte di un uomo. 

7.Il reato di lesioni personali colpose gravi o gravissime cagionate da sinistro stradale introdotto dall’articolo 590 bis

Oltre alla codificazione del nuovo reato di “omicidio stradale” la Legge n. 41/2016 ha introdotto, all’interno del codice penale, l’autonoma figura di reato di lesioni personali colpose stradali gravi o gravissime riproponendo specularmente le ipotesi disciplinate dagli artt. 589 bis e 589 ter c.p.. Ovviamente ne differisce il trattamento sanzionatorio: per l’ipotesi base (cui si rimanda integralmente a quella descritta dal comma 1° dell’articolo 589 bis, con l’unica differenza che si tratta non di omicidio ma di lesioni gravi o gravissime) è compreso nella cornice edittale che va da tre mesi ad un anno di reclusione per le lesioni gravi , e da un anno a tre per quelle gravissime; le aggravanti di cui ai commi 2 e 3 (stato di ebbrezza alcolica grave o assunzione di sostanze stupefacenti; stato di ebbrezza alcolica media di talune categorie di conducente) prevedono una pena per le lesioni gravi che va da tre a cinque anni di reclusione, mentre per le lesioni gravissime da quattro a sette anni; l’ipotesi di cui al comma 4 prevede la reclusione da un anno a sei mesi fino a tre anni per le lesioni gravi e da due anni a quattro per quelle gravissime; la stessa pena si applica al conducente che vìoli le norme sulla sicurezza della circolazione stradale descritte dal comma successivo; nel caso di lesioni a più persone il massimo di pena irrogato non può eccedere gli anni sette di reclusione.

Anche nel caso di lesioni gravi o gravissime è stata prevista l’aggravante della fuga, di cui all’articolo 590 ter c.p., che prevede un aumento di pena da un terzo a  due terzi e mai inferiore a tre anni.

Restano escluse dal reato le lesioni personali lievi, cioè quelle lesioni giudicate guaribili in un tempo non superiore a 40 giorni; in questo caso la norma di riferimento resta il vecchio art. 590 c.p., per cui la procedibilità resta a querela di parte e la competenza appartiene al Giudice di Pace; tale era il regime di procedibilità fino all’entrata in vigore della nuova legge anche per le lesioni gravi o gravissime, salvo il caso delle lesioni colpose aggravate commesse da soggetto in stato di ebbrezza alcolica ex art. 186 II c. lett. C) c.d.s. o da soggetto in stato di alterazione da stupefacenti.

Oggi, invece, le cose seno cambiate: quando le lesioni sono gravi o gravissime[37] la competenza è del Tribunale in composizione monocratica e la procedibilità – è questa la novità più importante – torna ad essere d’ufficio[38]. L’effetto di tale scelta del legislatore (che non è chiaro se sia stata ponderata o meno) sarà sicuramente quello di consegnare i tantissimi casi di incidenti stradali con feriti ai giudici penali anche quando la persona offesa sia stata risarcita del danno; è verosimile, dunque, la proliferazione di migliaia di procedimenti penali per fatti anche di minima entità , ma di accertamento particolarmente complesso, con conseguente inevitabile sovraccarico degli uffici giudiziari, tutto ciò pare scontrarsi con gli annunciati propositi di deflazionamento della giustizia penale attraverso gli interventi recenti di depenalizzazione di taluni reati.

Inoltre, visto il ricco apparato di circostanze aggravanti ed attenuanti specifiche che fanno da corredo al reato in esame, anche la Polizia sarà chiamata a svolgere un’accurata e capillare indagine sul luogo del sinistro. Oltre alla ricostruzione della dinamica si dovrà, infatti, svolgere una immediata indagine sulla tipologia delle lesioni – attraverso l’acquisizione dei referti – al fine della giusta qualificazione dei fatti e di conseguenza della corretta formulazione della contestazione dell’illecito. Secondo le prime linee guida[39] , nel caso in cui il primo referto indichi una durata della malattia inferiore ai quaranta giorni, è consigliabile che la polizia giudiziaria inviti la persona offesa a comunicare alla stessa l’eventuale prolungamento successivo della malattia; nel caso in cui, invece, il referto indichi una prognosi riservata, la Polizia Giudiziaria dovrà quantomeno ipotizzare delle lesioni gravi. Per ciò che concerne poi la configurabilità delle aggravanti in caso di alterazione dello stato psicofisico del soggetto, si rimanda a quanto già detto sulle modalità di esecuzione degli accertamenti tecnici. Inoltre, ove sussistano le aggravanti cui ai commi 2,3,4 e 5 dell’articolo 590 bis c.p., è ora previsto l’arresto in flagranza ed è consentito nei casi previsti dai commi 2 e 3, sempre nella ricorrenza delle altre condizioni di legge, il fermo di indiziato di delitto.

Un’ultima considerazione merita il termine di prescrizione dei reati in esame che, in seguito all’intervento di modifica dell’articolo 157, comma 6, c.p. operato dalla Legge n. 41/16, è stato raddoppiato. La previsione infatti prevede il raddoppio del termine di prescrizione per l’omicidio colposo, nelle ipotesi dell’omicidio aggravato dalla violazione della normativa in materia di circolazione stradale e dalla normativa in materia di infortuni sul lavoro, nell’ipotesi commessa da soggetto in stato di ebbrezza alcolica in relazione al quale sia stato accertato un tasso alcolemico superiore a 1,5 g/l ovvero da soggetto sotto l’effetto di sostanze stupefacenti e nell’ipotesi dell’omicidio  e lesioni personali colpose plurime (ipotesi previste, nel testo originario, dall’articolo 589, comma 2, 3, e 4 del c.p. ). Il riferimento viene ora formulato richiamando il novum normativo di cui all’articolo 589 bis del codice penale: onde l’adeguamento formale della disposizione che ora si riferisce agli articoli 589 commi 2 e 3 , e 589 bis del codice penale[40].

Orbene ci si chiede come mai, se i termini di prescrizione raddoppiati si giustificano in genere per la maggiore difficoltà di accertamento di reati più complessi, non sia stato esteso l’aumento dei termini anche ai casi di cosiddetta colpa medica, i quali sicuramente sono interessati da accertamenti tecnici e di gran lunga più complessi rispetto a quelli concernenti i reati in esame.  

Roberta D’Onofrio


[1] In tale direzione si veda  F.Curi, Tertium datur. Dal Common Law al Civil Law per una scomposizione tripartita dell’elemento soggettivo del reato, Milano, Giuffrè, 2003. È interessante osservare come il legislatore italiano sia approdato ad una soluzione simile a quella adottata dall’Ordinamento spagnolo, che – a differenza della riforma sistematica operata dai francesi – ha introdotto il “Delito de conduccìon temeraria con manifesto desprecio por la vita de los demas” che, sostanzialmente, costituisce una fattsipecie di reato autonoma simile a quella di omicidio stradale introdotta in Italia. Le evidenti affinità devono far riflettere sul fatto che anche la Spagna ha attraversato un momento di profonda crisi sociale relativamente alle “stragi sulle strade”, incrementate notevolmente nell’ultimo decennio, pertanto la risposta repressiva del legislatore è stata generata da esigenze sociali di sicurezza.

[2] La giurisprudenza ha in questi casi “riesumato” la  cd. prima formula di Frank, elaborata dal noto giurista nel 1800, si confronti in tal senso Cass. Pen., sez.I, 1° febbraio 2011, n. 10411, Ignatiuc.

[3] M. Ancillotti – G.Carmagnini, Il nuovo reato di omicidio stradale, Maggioli Editore, 2016.

[4] Cass. Pen., Sez. I, 1 febbraio 2011 (deposito 15 marzo 2011), n. 10411, in www.penalecontemporaneo.it .

[5] Per l’approfondimento di tale teoria si veda PROSDOCIMI S., Dolus eventualis, Il dolo eventuale nella struttura delle fattispecie penali, Milano, Giuffrè, 1993.

[6] Per la descrizione del fatto si fa riferimento, oltre che alla stessa Corte, anche ad A. Aimi, Fuga dalla polizia e successivo incidente stradale con esito letale: la Cassazione ritorna sulla distinzione tra dolo eventuale e colpa cosciente, in www.penalecontemporaneo.it .

[7] Cfr. Cass.Pen., Sez. I, 30 maggio 2012, Beti.

[8] In senso conforme: Cass. Pen., sez I, 20 novembre 1988, n.13544.

[9] Linee guida alla legge 23 marzo 2016, n.41, Procura Generale della Repubblica di Velletri,11  maggio 2016, n.3581.

[10] Cass. Pen., Sez. IV, 10 febbraio 2010, n. 13089, in dejure.giuffre.it

[11] Sez. IV, n. 11222 del 24 marzo 2010, Lucidi, Rv. 249492, in gli orientamenti della giurisprudenza di legittimità , in Corte Suprema di Cassazione, Ufficio del massimario, a cura di P.Silvestri, 2014

[12] Linee guida alla L. 23 marzo 2016,n.41, Procura della Repubblica di Trento, Circolare 29/03/2016 n.5.

[13] M. Ancillotti – G. Carmagnini, Il nuovo reato di omicidio stradale, Maggioli Editore, 2016.

[14] Legge 23 marzo 2016, n. 41 in  www.gazzettaufficiale.it

[15] Casss.Pen., Sez. IV, 16 maggio 2012, ,n. 26108. “I risultati del prelievo ematico effettuato per le terapie di pronto soccorso successive ad incidente stradale e non preordinato a fini di prova della responsabilità penale sono utilizzabili per l’accertamento del reato di guida in stato di ebbrezza, senza che rilevi l’assenza di consenso dell’interessato . (In applicazione di tale principio la S.C. ha affermato che, per il suo carattere invasivo, il conducente può opporre un rifiuto al prelievo ematico se sia finalizzato esclusivamente alla presenza si alcol nel sangue).”

[16] Linee guida alla legge 23 marzo 2016, n.41, Procura Generale della Repubblica di Velletri,11  maggio 2016, n.3581.

[17] M. Ancillotti – G.Carmagnini, Il nuovo reato di omicidio stradale, Maggioli Editore, 2016.

[18] Linee guida alla L. 23 marzo 2016,n.41, Procura della Repubblica di Trento, Circolare 29/03/2016 n.5.

[19] Cass. pen., Sez. IV, 23 ottobre 2015 e Sez. Un., 29 gennaio 2015.

[20] Cfr. Applicazione della legge n. 41 del 23 marzo 2016, Procura Generale della Repubblica presso la Corte d’Appello di Roma, prot. 135/16; Linee guida alla legge 23 marzo 2016, n.41, Procura Generale della Repubblica di Velletri,11  maggio 2016, n.3581.

[21] Linee guida alla legge 23 marzo 2016, n.41, Procura Generale della Repubblica di Velletri,11  maggio 2016, n.3581.

[22]ibidem

[23] Applicazione della legge n. 41 del 23 marzo 2016, Procura Generale della Repubblica presso la Corte d’Appello di Roma, prot. 135/16.

[24] Cfr. Cass. Pen., sez. IV, n. 2195/2015.

[25] Linee guida alla legge 23 marzo 2016, n.41, Procura Generale della Repubblica di Velletri,11  maggio 2016, n.3581.

[26] Cfr. Cass.pen. sez. IV, n. 27164/2015.

[27] Informazioni acquisite direttamente dal testo di legge su www.gazzettaufficiale.it.

[28] M. Ancillotti – G.Carmagnini, Il nuovo reato di omicidio stradale, Maggioli Editore, 2016.

[29]ibidem

[30] M. Ancillotti – G.Carmagnini, Il nuovo reato di omicidio stradale, Maggioli Editore, 2016.

[31]Ibidem

[32] Ciò si ricava dall’art. 590 quater c.p. che disciplina il computo delle circostanze aggravanti e emnziona esplicitamente il 589 ter c.p. tra le aggravanti dell’omicidio stradale al pari del 589 bis, 2°, 3°, 4°, 5° e 6° comma.

[33] Linee guida alla legge 23 marzo 2016, n.41, Procura Generale della Repubblica di Velletri,11  maggio 2016, n.3581.

[34] Cfr. Cass. Pen., sez. IV, 19 dicembre 2006, Cameletto; Cass. Pen., Sez. IV, 18 settembre 2014, Demoro.

[35] Cass. Pen., Sez. IV, 10 dicembre 2009, Roman.

[36] M. Ancillotti – G.Carmagnini, Il nuovo reato di omicidio stradale, Maggioli Editore, 2016.

[37] Per la definizione di lesioni gravi o gravissime si rimanda all’art. 583 del codice penale.

[38] Tale era il regime di procedibilità fino al 1981.

[39] Linee guida alla legge 23 marzo 2016, n.41, Procura Generale della Repubblica di Velletri,11  maggio 2016, n.3581.

[40] Linee guida alla L. 23 marzo 2016,n.41, Procura della Repubblica di Trento, Circolare 29/03/2016 n.5.