I processi civili nell’evoluzione della normativa emergenziale (1)

di Salvo Leuzzi e Alessandro Auletta in collaborazione con il Centro Studi “Nino Abbate” di Unità per la Costituzione

Sommario: 1. La cornice normativa dell’art. 83 d.l. n. 18/2020. – 2. Le misure organizzative dei capi degli uffici. – 3. Gli snodi normativi salienti. – 4. Una conversione ambigua. – 5. La soluzione plausibile.

  1. La cornice normativa dell’art. 83 d.l. n. 18/2020.

La frastagliata cornice normativa dei giudizi civili nel periodo dell’emergenza epidemiologica è tratteggiata nell’art. 83 del d.l. n. 18/2020, precetto di carattere generale sul processo.

La disposizione delinea tre regole essenziali in mezzo a una profluvie di eterogenee prescrizioni.

La prima regola attiene al rinvio d’ufficio di tutti i procedimenti pendenti negli uffici giudiziari a data successiva all’11 maggio 2020.

La seconda regola concerne la sospensione a far data dal 9 marzo 2020 e fino all’11 maggio prossimo del decorso dei termini per il complimento di qualsiasi atto dei procedimenti civili. Segnatamente la sospensione investe “i termini stabiliti per la proposizione degli atti introduttivi del giudizio e dei procedimenti esecutivi” (comma 2).

L’ultima regola affida ai Capi degli Uffici, onerandoli di sentire preliminarmente sul punto l’autorità sanitaria regionale e il locale Consiglio dell’ordine degli avvocati, la disciplina specifica della c.d. “fase 2”, ossia del periodo compreso tra l’11 maggio 2020 e il 31 luglio 2020, in cui la giustizia sarà chiamata ad uscire da una sostanziale “quarantena”.

Se il motto sarà stare attenti senza rimanere immobili, il quomodo consisterà nell’assunzione di tutte “le misure organizzative, anche relative alla trattazione degli affari giudiziari, necessarie per consentire il rispetto delle norme igienico sanitarie fornite dal Ministero della salute […], al fine di evitare assembramenti all’interno dell’ufficio giudiziario e contatti ravvicinati tra persone” (comma 6).

  1. Le misure organizzative dei Capi degli Uffici.

Le misure organizzative calibrate sulla realtà dei singoli tribunali avrebbero dovuto essere introdotte e rispettate a far data dal 16 aprile 2020, giorno che sarebbe coinciso con la cessazione d’efficacia delle disposizioni dei commi 1 e 2 dell’art. 83 d.l. n. 18/2020, facendo venir meno il rinvio delle udienze e la sospensione dei termini fino al 30 giugno 2020.

Tuttavia, con il più recente d.l. n. 23/2020 c.d. “Decreto liquidità” è stato disposto, all’art. 36, il differimento del termine finale di sospensione e rinvio del 15 aprile alla nuova scadenza dell’11 maggio: pertanto le misure dovrebbero essere introdotte a decorrere dal 12 maggio.

Esse saranno volte a salvaguardare il rispetto delle prescrizioni igienico-sanitarie fornite dal Ministero della salute, anche d’intesa con le Regioni, dal Dipartimento della funzione pubblica della Presidenza del Consiglio dei Ministri, dal Ministero della Giustizia e delle prescrizioni contenute nei tanti D.P.C.M. susseguitisi dall’8 marzo 2020.

Le misure organizzative risponderanno, nell’ottica del legislatore, ad archetipi generali enucleati dal successivo comma 7 dell’art. 83 d.l. n. 18/2020, attenendo essenzialmente a un triplice profilo: i) innanzitutto, rileva la possibile limitazione presidenziale dell’accesso del pubblico agli Uffici giudiziari, salvo che per attività urgenti; ii) inoltre, viene in evidenza l’opportunità del capo dell’ufficio di procedere alla fissazione di orari contingentati di apertura delle Cancellerie; iii) infine, è rimessa al presidente la prerogativa dell’adozione di linee guida vincolanti per la calendarizzazione e la trattazione delle udienze, salvo che il presidente medesimo non opti per il rinvio dell’udienza (lett. g) ad una data successiva al 30 giugno 2020.

In ambito civile, due sono le modalità alternativamente praticabili di celebrazione dell’udienza civile. Ad accomunarle un presupposto enucleato in negativo: non deve, infatti, trattarsi di procedimenti che presuppongano la necessaria presenza di soggetti diversi dai difensori e dalle parti (o degli ausiliari del giudice).

Ove il presupposto ricorra consterà una duplice opzione: l’una “telematica-orale”, l’altra “telematica-cartolare”. Nel primo caso, si terrà udienza mediante collegamento da remoto, secondo le indicazioni operative recate da un provvedimento del Direttore generale dei sistemi informativi ed automatizzati del Ministero della giustizia, c.d. DGSIA, in modo che siano salvaguardati il contraddittorio e l’effettiva partecipazione delle parti, con la necessaria presenza nell’ufficio giudiziario del giudice (previsione, quest’ultima, che riguarda solo tale forma di trattazione). Nel secondo caso, l’udienza sarà circoscritta allo scambio o deposito telematico di note scritte contenenti le sole istanze e conclusioni, con successiva adozione “fuori udienza” del provvedimento giudiziale, quindi con esclusione di qualsiasi compresenza pure solo virtuale fra le parti e il giudice[1].

Le previsioni in rassegna sono state fisiologicamente oggetto di repentini, quanto contrastanti apprezzamenti da parte degli operatori, nella prospettiva di adattarle a scenari che sono apparsi inesorabilmente variegati e mutevoli. Certamente i principi di oralità e immediatezza del processo civile tendenzialmente postulano il recupero prima possibile della compresenza non virtuale ma fisica, quindi dialettica in udienza. Nondimeno la sperimentazione di moduli telematici nel periodo emergenziale ha rappresentato una parentesi che ha permesso di soppesare le criticità di un itinerario innovativo, ma anche di valorizzarne le tante potenzialità. E sebbene l’udienza da remoto (come quella cartolare) costituisca, pure nel contesto dei processi civili, un succedaneo dell’udienza orale, rivelandosi oggettivamente inidonea a soppiantare quest’ultima quale presidio massimo del contraddittorio, quindi viatico della decisione migliore, le piattaforme telematiche appaiono un percorso perpetuabile in taluni ambiti. Certamente ciò potrà accadere ogni qualvolta le esigenze di celerità del processo, senza comportare flessioni drastiche del rammentato contraddittorio, facciano premio rispetto alle necessità della coesistenza in un luogo fisico[2].

  1. Gli snodi normativi salienti.

L’assetto compendiato è l’epilogo di una sovrapposizione convulsa fra fonti normative succedutesi in un torno ristretto di settimane.

A volerli distillare, i passaggi normativi di base sono stati i seguenti.

L’art. 1, commi 1 e 2, d.l. n. 11/2020 (in G.U. dell’8 marzo 2020, n. 60) ha disposto il rinvio delle «udienze» e la sospensione dei termini processuali dalla data di entrata in vigore del provvedimento al 22 marzo 2020.

In seguito, l’art. 83, commi 1 e 2, d.l. n. 18/2020 (in G.U. del 17 marzo 2020, n. 70) ha disposto il rinvio delle «udienze» e la sospensione dei termini processuali per il compimento di qualsiasi atto dei procedimenti civili dal 9 marzo al 15 aprile 2020. Il comma 22 ha abrogato gli artt. 1 e 2 d.l. 8 marzo 2020, n. 11.

Ai sensi dell’art. 36, comma 1, d.l. n. 23/2020 (in G.U. dell’8 aprile 2020, n. 94) il termine del 15 aprile 2020 previsto dall’articolo 83, commi 1 e 2, del d.l. 17 marzo 2020, n. 18, è prorogato all’11 maggio 2020. Conseguentemente il termine iniziale del periodo previsto dal comma 6 del predetto articolo è fissato al 12 maggio 2020. In sintesi detto art. 36 ha modificato in parte qua l’art. 83, commi 1 e 2, d.l. n. 18/2020 spostando il termine del 15 aprile 2020 alla data ormai prossima dell’11 maggio 2020.

In questo ginepraio si è poi innestata la l. n. 27/2020 (in G.U. del 29 aprile 2020, n. 110, S.O.). Quest’ultima, nel convertire il d.l. n. 18 del 2020, si è inaspettatamente concentrata sulla formulazione primigenia dei commi 1 e 2 del relativo art. 83, dianzi passati in rassegna, al netto dunque della proroga stabilita – medio tempore – con il citato art. 36 d.l. n. 23/2020. Su tale proroga ha, in definitiva, del tutto sorvolato

Questo plesso avviluppato di regole è stato, infine, soltanto lambito dal d.l. n. 28/2020 (in G.U. del 30 aprile 2020, n. 111), che, nel sincerarsi che il giudice stesse al pc nella sua stanza in tribunale pure in solitudine, si è limitato a far slittare il termine finale della c.d. “Fase 2” dal 30 giugno al 31 luglio 2020, in tal guisa saldandolo senza soluzione di continuità all’avvio della sospensione feriale “estiva”. Detto d.l., oltre ad emendare talune imprecisioni minute della l. n. 27/2020, contempla una novità singolare, giacchè, nel momento stesso in cui conferma a gran voce il “remoto”, di fatto lo svilisce o lo vanifica, esigendo – per una ragione che rimane arcana e imperscrutabile – che le udienze telematiche avvengano “sempre con la presenza in ufficio del giudice”.

  1. Una conversione ambigua.

Con la l. 24 aprile 2020, n. 27 di conversione del d.l. n. 18/2020, l’art. 83 diviene una norma pingue e pletorica, componendosi di ben 32 commi, di disagevole interpretazione.

La conversione è stata significativamente operata muovendo – come si è veduto – da un testo precocemente già vecchio dell’art. 83, tenuto presente nella sua versione d’esordio, al netto delle modifiche apportatevi, nel frattempo, dal d.l. n. 23/2020.

In buona sostanza, la l. n. 27/2020 ha preso in considerazione l’art. 83, commi 1 e 2, d.l. n. 18/2020 secondo una declinazione letterale contemplativa del rinvio delle “udienze” e della sospensione dei termini processuali dal 9 marzo al 15 aprile 2020.

Questa svista normativa – da immaginarsi involontaria – pone nondimeno sul tappeto una rilevante questione di diritto intertemporale della quale è opportuno dar conto.

La l. di conversione n. 27/2020, è posteriore al d.l. n. 23/2020 e stabilisce che le “udienze” sono rinviate e i termini sono sospesi dal 9 marzo al 15 aprile 2020.

Il d.l. n. 28/2020 ha ribadito soltanto la modifica dell’art. 83, comma 6, d.l. 17 marzo 2020, n. 18, disposta dall’art. 36 d.l. 8 aprile 2018, n. 23.

Cià comporta che il 17 marzo è stato indicato il termine finale della prima fase dell’emergenza sanitaria nel 15 aprile 2020. L’8 aprile questo termine è stato prorogato all’11 maggio 2020. Con la legge di conversione del 24 aprile, tuttavia, singolarmente è stato riaffermato il predetto termine del 15 aprile.

Il d.l. n. 28/2020 del 29 aprile, benchè abbia modificato il termine iniziale della c.d. “Fase 2”, previsto dal comma 6 dell’art. 83, ha ignorato il termine finale della “Fase 1”, indicato nel 15 aprile dal decreto del 17 marzo, prorogato all’11 maggio dal decrerto dell’8 aprile e indicato ancora nel 15 aprile dalla legge di conversione del 24 aprile.

In buona sostanza l’art. 3 del d.l. n. 28/2020 ha trascurato di apportare una puntualizzazione necessaria. Infatti, ha sostituito, nel primo periodo del comma 6 dell’art. d.l. n. 18/2020, appena convertito con la richiamata l. n. 27/2020, il termine del 16 aprile con quello del 12 maggio e, nel comma 20, il termine del 15 aprile con quello dell’11 maggio. Eccentricamente ha mancato di occuparsi dei commi 1 e 2 dello stesso art. 83 per i quali le “udienze” sono rinviate e i termini sono sospesi soltanto fino al 15 aprile 2020.

In definitiva, la descritta aporia è stata schivata, anziché risolta.

L’art. 36 d.l., comma 1, d.l. n. 23/2020 è rimasto in disparte, quasi condannato ad un insolito destino di “enigma”.

La questione di diritto intertemporale che residua consiste, infatti, nello stabilire se, in base alle regole in tema di successione delle leggi nel tempo, la legge di conversione di un decreto legge – il d.l. n. 18/2020 – modificato da un altro decreto – il d.l. n. 23/2020 – prevalga su quest’ultimo oppure se, per converso, la modifica del decreto convertito, operata da un successivo decreto, prevalga sulla legge di conversione del primo decreto, ancorchè successiva.

  1. La soluzione plausibile.

L’obliterazione dell’art. 36 d.l. n. 23/2020 implica la comprensione delle conseguenze suscettibili di germinare dalle modifiche apportate alle norme letteralmente prese in considerazione. In altre parole, si tratta di capire cosa accada qualora le disposizioni tenute testualmente in conto dalla legge di conversione siano state nelle more incise da un’altra fonte – nella specie il ridetto d.l. n. 23/2020 – avente forza di legge.

Una risposta plausibile sembra la seguente.

La legge di conversione ha novato la fonte della disciplina normativa della materia.

Posto che il d.l. n. 18/2020 per come convertito prevede che la c.d. prima fase abbia termine il 15 aprile e che quindi da tale data cessa di operare la sospensione dei termini processuali, è dubbia l’incidenza del d.l. n. 23/2020, intervenuto medio tempore, sulla disciplina della sospensione.

Il legislatore della conversione avrebbe potuto “recepire” da sé la modifica connotata dallo spostamento in avanti del termine di sospensione, evitando difficoltà di ordine interpretativo.

Dal momento che il d.l. n. 23/2020 è legge vigente ai sensi ed alle condizioni di cui all’art. 77 Cost., il testo da assumere in considerazione avrebbe dovuto esser costituito dall’art. 83 cit. come frattanto modificato, semplicemente intendendo il rinvio ai commi 1 e 2 della norma richiamata come mobile, anziché come fisso.

Tuttavia, è inverosimile che il succedersi degli interventi normativi sottenda l’intenzione legislativa di abrogare tacitamente in parte qua la previsione di cui all’art. 36, d.l. n. 23/2020 riportando, per così dire, indietro il termine finale della sospensione ex art. 83, cit.

Una lettura volta a ipotizzare che i termini di cui al d.l. n. 18/2020, come convertito, abbiano riguardo alla data del 15 aprile 2020, con abrogazione tacita della proroga disposta tra il d.l. e la legge di conversione, innescherebbe conseguenze aberranti.

Innanzitutto, quella per cui le udienze civili modulate nei singoli uffici secondo gli schemi possibili della “Fase 2” si sarebbero dovute celebrare già a partire dal 16 aprile 2020, ossia da una data ormai abbondantemente spirata rispetto alla pubblicazione in G.U. della l. di conversione.

Inoltre, che sempre dal 16 aprile ultimo scorso avrebbero ripreso a decorrere all’insaputa degli operatori termini che questi ultimi hanno constatato esser sospesi ai sensi del secondo comma dell’art. 83, cit..

In altri termini, i cittadini sconterebbero una inconsueta cessazione della sospensione dei termini ora per allora, dacchè la l. di conversione è stata pubblicata in G.U. il 30 aprile 2020.

Si tratta di una esegesi inappagante, foriera di paradossi.

In realtà, la proroga è altro rispetto alla modifica, ergo l’art. 36, cit., salva la sua mancata conversione, è precettivo e attualmente in vigore.

A sorreggere questo approccio ermeneutico non è solo il comune buon senso, ma l’orientamento espresso dalla giurisprudenza di legittimità, la quale ha ritenuto che “in tema di efficacia intertemporale dei decreti legge, le modifiche apportate in sede di conversione, integralmente o sostanzialmente sostitutive della corrispondente previsione del decreto legge, hanno efficacia dalla data di entrata in vigore della legge di conversione e non da quella del decreto come in tutti gli altri casi[3].

In questo senso depone, ancora, la considerazione della legge di conversione come legge in senso sostanziale, poiché le relative disposizioni, secondo autorevole dottrina, “si sostituiscono, quanto meno per l’avvenire, al decreto-legge convertito”[4].

Infine, l’ultimo comma dell’art. 77 Cost. prevede che il decreto legge non convertito perde efficacia sin dall’inizio, salva la possibilità per il Parlamento di regolare i rapporti giuridici sorti nel vigore di tali decreti.

Pertanto, l’eventuale caducazione della disposizione di cui all’art. 36, d.l. n. 23/2020 – non abrogato implicitamente per quanto detto sopra – potrebbe aversi solo a seguito della sua mancata conversione. Ci attendiamo che la relativa legge sciolga il nodo, facendo chiarezza.


[1] In quest’ultimo caso, invero, si pone l’ulteriore problema se i termini concessi alle parti per il deposito delle memorie siano soggetti o meno alla sospensione fino all’11 maggio: in caso affermativo (dato non vi sono elementi testuali per escluderlo), le udienze poste a immediato ridosso dell’inizio della fase due potrebbero, in concreto, dover essere rinviate per restituire alla parti il suddetto termine nella sua integrità.

[2] V.Metafora, Osservazioni sparse sulla giustizia civile ai tempi del Covid, in Il Processocivile.com, 5 maggio 2020.

[3] Cass. 22 novembre 2018, n. 30246 in Italgiure che richiama in motivazione diversi precedenti in termini, per lo più riguardanti la materia tributaria.

[4] Crisafulli, Lezioni di diritto costituzionale II, Le fonti normative, Padova, 1993, spec. 105.

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