Il cd. “allarme pensioni”: qualche breve riflessione sul tema dell’applicabilità del disposto di cui all’art. 2, comma 18, della Legge n. 335/1995 s.m.i. al personale non contrattualizzato alle dipendenze della Pubblica Amministrazione – Gli ultimi sviluppi

di Marco Pietricola

Qualche mese addietro si è avuto modo di trattare, mediante una breve monografia in proposito, il noto tema del cd. “allarme pensioni”, ossia il tema dell’applicabilità o meno del disposto di cui all’art. 2, comma 18, della Legge n. 335/1995 s.m.i. al personale non contrattualizzato alle dipendenze della Pubblica Amministrazione.

Ebbene, nonostante il ridotto lasso di tempo da allora trascorso, recentemente si sono registrati importanti sviluppi relativamente al tema in oggetto, sviluppi sui quali sembra opportuno in questa sede soffermarsi al fine di tracciare un quadro più preciso della situazione attuale.

Pare d’altro canto opportuno, onde poter compiutamente delineare i tratti fondamentali di siffatta delicata e complessa questione non solo tecnico-giuridica ma anche evidentemente ricca di significativi risvolti economico-sociali e prima ancora di soffermarsi sui cennati recenti correlativi sviluppi, riportare e ricapitolare i tratti salienti di tale appassionante tematica.

Com’è noto, l’art. 2, comma 18, della Legge n. 335/1995 s.m.i. prevede, per quanto in questa sede maggiormente interessa, che “Per i lavoratori, privi di anzianità contributiva, che si iscrivono a far data dal 01 gennaio 1996 a forme pensionistiche obbligatorie e per coloro che esercitano l’opzione per il sistema contributivo, ai sensi del comma 23 dell’articolo 1, è stabilito un massimale annuo della base contributiva e pensionabile di lire 132 milioni con effetto sui periodi contributivi e sulle quote di pensione successivi alla data di prima assunzione ovvero successivi alla data di esercizio dell’opzione. Detta misura è annualmente rivalutata sulla base dell’indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati così come calcolato dall’ISTAT.Il Governo  della  Repubblica  è  delegato ad emanare, entro centoventi giorni  dalla  data  di entrata in vigore della presente legge, norme relative al trattamento fiscale e contributivo della parte di reddito eccedente   l’importo   del   tetto  in  vigore  ove  destinata  al finanziamento  dei  Fondi  pensione  di cui al Decreto Legislativo 21 aprile 1993, n. 124 e successive modificazioni ed integrazioni, seguendo criteri di coerenza rispetto ai principi già previsti nel predetto decreto e successive modificazioni ed integrazioni”.

In sostanza, l’art. 2, comma 18, della Legge n. 335/1995 s.m.i. (cd. “Riforma Dini delle pensioni”) ha stabilito, nell’intento di implementare il ricorso a forme di previdenza ed assistenza complementare e garantire così – anche per tale via – una migliore e più attenta sostenibilità dell’intero sistema pensionistico italiano, che oltre un certo livello di reddito (cd. “massimale contributivo”), ad oggi fissato in €100.000/00 circa, il lavoratore (privato ovvero pubblico contrattualizzato) non è più tenuto a pagare i relativi contributi previdenziali (né lo è, specularmente, il datore di lavoro per quanto di propria competenza) e gli enti previdenziali e/o assistenziali interessati sono conseguentemente tenuti, a  loro volta, a calcolare i correlativi trattamenti pensionistici tenendo conto del detto limite di reddito, ma tutto ciò solo a condizione che ricorrano, nel caso concreto, i presupposti stabiliti dalla suddetta Legge n. 335/1995 s.m.i. nel corpo dello stesso comma 18 dell’art. 2.

Orbene, siffatta diposizione ha sollecitato, in particolare nel corso degli ultimi mesi, un ampio dibattito sul tema della sua applicabilità o meno anche al personale non contrattualizzato alle dipendenze della Pubblica Amministrazione e, segnatamente e per quanto in questa sede maggiormente interessa, al personale appartenente ai ruoli della magistratura ordinaria.

Si tratta del tema del cd. “allarme pensioni”, tema evidentemente non privo di concrete e rilevanti ricadute applicative (basti pensare, a mero titolo d’esempio, al fatto che l’applicazione del cd. “massimale contributivo” può comportare un evidente e significativo peggioramento della futura condizione pensionistica dei giovani lavoratori e, in particolare e sempre per quanto in questa sede maggiormente interessa, dei giovani magistrati con una riduzione dell’ammontare delle pensioni future in alcuni casi anche importante).

Ebbene, sono fondamentalmente due le soluzione ermeneutiche che nel corso degli ultimi mesi sono state prospettate con riguardo alla suddetta questione del cd. “allarme pensioni” dagli interpreti e studiosi che si sono occupati funditus della materia (tra questi e salvo altri, l’Avv. Guido Rossi, interessatosi alla tematica de qua su incarico dell’A.N.M.-Associazione Nazionale Magistrati, come appunto già evidenziato e ricordato nella precedente monografia dedicata al tema de quo e cui si è fatto cenno poc’anzi).

In particolare, secondo un primo orientamento interpretativo, il presupposto di legge per l’applicazione del cd. “massimale contributivo” di cui alla cd. “Riforma Dini delle pensioni”, in linea generale, non è solo quello consistente nel fatto di essere iscritti ad una determinata forma pensionistica obbligatoria a partire dal 01.01.1996 o da data successiva, ma è anche quello di essere “privi di anzianità contributiva” anteriore, e, in presenza di tali presupposti di legge, le previsioni di cui al comma 18 dell’art. 2 della Legge n. 335/1995 s.m.i. trovano applicazione anche nei confronti del personale non contrattualizzato alle dipendenze della Pubblica Amministrazione tra cui, per quanto qui maggiormente interessa, il personale appartenente ai ruoli della magistratura ordinaria. 

Con l’espressione “forme pensionistiche obbligatorie” inoltre, sempre secondo la soluzione ermeneutica in esame, la disposizione in commento fa riferimento genericamente ad ogni forma di gestione previdenziale senza distinguere tra l’assicurazione generale tradizionalmente gestita dall’INPS-Istituto Nazionale della Previdenza Sociale e le gestioni esclusive o sostitutive della stessa (purché si tratti di pensioni soggette interamente al sistema contributivo), mentre l’espressione “anzianità contributiva”  impiegata dall’art. 2, comma 18, della Legge n. 335/1995 s.m.i. deve essere intesa anch’essa in senso ampio, ossia come concernente qualsiasi forma di anzianità contributiva anteriore al 01.01.1996, in qualunque modo maturata, e la cui presenza, appunto e come già evidenziato, escluderebbe l’applicazione del cd. “massimale contributivo”.

A sostegno di siffatta interpretazione militerebbero una serie di argomenti che possono schematicamente indicarsi come segue:

– il dato letterale della norma in commento, così come poc’anzi illustrato con particolare riferimento alle predette espressioni “forme pensionistiche obbligatorie” ed “anzianità contributiva” impiegate dallo stesso art. 2, comma 18, della Legge n. 335/1995 s.m.i.;

– le finalità perseguite dal legislatore con l’introduzione nel sistema giuridico italiano della disposizione de qua e di cui sopra (in sintesi, stabilizzazione della spesa pensionistica italiana);

– un’interpretazione sistematica della norma, che tenga conto anche del disposto di cui all’art. 1, comma 6, della Legge n. 335/1995 s.m.i. (il quale ha sostanzialmente introdotto il sistema di calcolo contributivo nell’assicurazione generale obbligatoria e nelle forme sostitutive ed esclusive della stessa. In altri termini, sostengono i fautori di tale opzione ermeneutica tra cui il già citato Avv. Guido Rossi, sebbene la norma in commento sia contenuta nell’art. 2, comma 18, della Legge n.335/1995 s.m.i. rubricato “Armonizzazione” e contenente soprattutto disposizioni dirette ad estendere le previsioni normative relative al regime generale dell’assicurazione obbligatoria ai regimi sostitutivi ed esclusivi della medesima, essa costituisce in realtà ed a ben vedere una specificazione delle disposizioni contenute nell’art. 1 della medesima Legge n. 335/1995 s.m.i. in quanto volta a stabilire, più propriamente, una specifica regola di calcolo e di finanziamento della pensione (interamente) contributiva in relazione a tutte le gestioni previdenziali rispetto alle quali trova applicazione tale forma di pensione) nonché del disposto di cui all’art. 2, comma 23, lett. b) della Legge n. 335/1995 s.m.i. (che contiene una delega normativa in favore del Governo in vista dell’emanazione di norme intese alla “armonizzazione ai principi ispiratori della presente legge dei trattamenti pensionistici” del personale non contrattualizzato alle dipendenze della Pubblica Amministrazione “tenendo conto, a tal fine ed in particolare, delle peculiarità dei rispettivi rapporti di impiego e dei differenti limiti di età previsti per il collocamento a riposo …(…omissis…) …”.Pertanto, sempre secondo l’opinione dei fautori di siffatto orientamento interpretativo e sempre alla stregua della detta delega normativa, per il suddetto personale l’applicazione delle disposizioni della Legge n. 335/1995 s.m.i. qui in commento, ivi incluse quelle sull’introduzione della cd. “pensione contributiva” e del connesso limite del cd. “massimale contributivo”, richiedeva, benché le stesse fossero dichiarate applicabili a tutte le gestioni previdenziali, l’intervento di un apposito provvedimento legislativo di armonizzazione secondo i criteri ed i principi generali di cui sopra. Le norme di armonizzazione de quibus, quindi, sono state adottate con il D.Lgs. n. 165/1997 s.m.i. che, dopo aver dettato criteri specifici di armonizzazione per le forze armate e le forze di polizia nonché assimilate (cfr. artt. 1-8 del detto D.Lgs. n. 165/1997 s.m.i.), in merito alla categoria dei magistrati (ordinari) ha sostanzialmente previsto, al comma 1 dell’art. 10, che nei confronti del personale appartenente a tale categoria ed “il cui limite di età per il collocamento a riposo d’ufficio sia superiore al 65° anno di età e che acceda al trattamento pensionistico successivamente al 65° anno di età ovvero al 60° anno di età se donna”  trovano applicazione le disposizioni in materia di pensione di vecchiaia nonché, al comma 2 dello stesso art. 10, che “In considerazione del più elevato limite di età per il collocamento a riposo dei soggetti di cui al comma 1, con decreto del Ministro del Lavoro e della Previdenza Sociale, di concerto con il Ministro del Tesoro, sono stabiliti coefficienti di trasformazione integrativi di quelli indicati nella Tabella A allegata alla citata Legge n. 335/1995 in relazione all’età dell’assicurato … (…omissis…)…” e che “Ai trattamenti pensionistici del personale di cui al presente decreto, per quanto non diversamente da esso disposto, trovano applicazione le disposizioni di cui alla Legge 08 agosto 1995, n. 335”. In tal modo e con tali norme il legislatore, da un lato, avrebbe ritenuto che l’unica peculiarità, sotto il profilo pensionistico, del rapporto di servizio della suddetta categoria di dipendenti pubblici sia costituita dalla previsione di un limite di età per il collocamento a riposo più elevato rispetto a quello stabilito per la generalità dei lavoratori e per questo, dopo aver precisato che le prestazioni pensionistiche conseguite a tali limiti di età più elevati si considerano comunque pensioni di vecchiaia, avrebbe altresì previsto l’introduzione di coefficienti di trasformazione integrativi rispetto a quelli stabiliti per la generalità dei lavoratori proprio al fine di tenere conto del più elevato limite di età per il collocamento a riposo di siffatti lavoratori del settore pubblico essendo i coefficienti previsti appunto per la generalità dei lavoratori, all’epoca contenuti nella Tabella A allegata alla stessa Legge n. 335/1995 s.m.i., individuati solo fino al compimento dell’età di 65 anni, e, dall’altro lato e fatta eccezione per la suddetta peculiarità, avrebbe stabilito che per il resto trovano applicazione ai magistrati (ordinari) tutte le restanti disposizioni sui trattamenti pensionistici contenute nella Legge n. 335/1995 s.m.i. medesima. Stante l’ampiezza di tale rinvio, deve ritenersi, concludono i fautori di siffatta corrente ermeneutica (come detto e già precisato innanzi), che esso abbia esteso ai magistrati (ordinari) sia il sistema di calcolo contributivo introdotto dalla Legge n.335/1995 s.m.i. (e ciò anche in considerazione del fatto che tale sistema costituisce il fondamentale principio ispiratore della stessa Legge n. 335/1995 s.m.i. al quale occorreva armonizzare, come detto, il regime previdenziale del personale pubblico non contrattualizzato) sia le disposizioni della Legge n.335/1995 s.m.i. relative al cd. “massimale contributivo” in presenza dei relativi presupposti applicativi di cui sopra);

– le previsioni di cui alla Lettera Circolare resa dall’allora INPDAP-Istituto Nazionale di Previdenza dei Dipendenti della Pubblica Amministrazione (oggi assorbito nell’INPS-Gestione Separata Dipendenti Pubblici) del 18 dicembre 2008 (ove è sostanzialmente precisato che, al fine di individuare le anzianità contributive anteriori al 01.01.1996 che escludono l’applicazione del sistema di calcolo delle pensioni interamente contributive e del connesso meccanismo del cd. “massimale contributivo”, devono essere considerati tutti i periodi coperti da contribuzione, sia essa effettiva o figurativa, ivi compresi il lavoro svolto all’estero, la maternità obbligatoria al di fuori del rapporto di lavoro e l’eventuale servizio militare, e ciò anche nel caso in cui tali pregressi periodi di contribuzione non vengano valorizzati presso l’ultima gestione pensionistica ) e le analoghe previsioni di cui alla Lettera Circolare INPS-Istituto Nazionale della Previdenza Sociale (adottata in relazione ai lavoratori del settore privato ma da reputare applicabile in via di interpretazione estensiva ovvero analogica anche al caso di specie) n. 42 del 17 marzo 2009 (la quale ha chiarito, per quanto in questa sede maggiormente interessa, che la contribuzione versata anteriormente al 01.01.1996 presso qualsiasi gestione pensionistica obbligatoria, anche se diversa da quella di iscrizione al 01.01.1996, comporta la non applicazione del cd. “massimale contributivo”). Ebbene, questi principi devono ritenersi evidentemente applicabili, a detta dei fautori della tesi in commento, anche ai magistrati ordinari ai quali, per effetto delle norme di armonizzazione contenute nel già ricordato D.Lgs. n. 165/1997 s.m.i., devono appunto riferirsi le dette disposizioni normative anche in senso lato secondarie relative al cd. “sistema contributivo” ed al cd. “massimale contributivo” di cui alla Legge n. 335/1995 s.m.i. e di cui alle predette menzionate Lettere Circolari dell’ex INPDAP del 18 dicembre 2008 e dell’INPS n. 42 del 17 marzo 2009. Allo stesso modo e per le dette ragioni, deve ritenersi che trovino applicazione nei confronti dei magistrati ordinari anche quelle previsioni contenute nelle citate Lettere Circolari dell’ex INPDAP e dell’INPS nella parte in cui si dispone che il cd. “massimale contributivo” non si applichi neppure nell’ipotesi di anzianità contributive anteriori al 01.01.1996 maturate per effetto del riscatto, totale o parziale, del periodo del corso di laurea ovvero dei periodi di eventuali corsi e scuole di specializzazione post lauream, avendo la collocazione temporale dei periodi riscattati effetto, in forza delle diposizioni di legge sul cd. “riscatto” (cfr., in particolare, le previsioni di cui al D.Lgs. n. 184/1997 s.m.i., secondo quanto evidenziato in particolare dal citato Avv. Guido Rossi) su ogni aspetto del relativo regime pensionistico applicabile (sicché ed in altri termini, se il periodo riscattato è anteriore al 31.12.1995, troveranno applicazione tutte le regole pensionistiche previste per i lavoratori con anzianità anteriore a tale data).

Queste, dunque, le argomentazioni a sostegno della tesi dell’applicabilità delle previsioni di cui al comma 18 dell’art. 2 della Legge n. 335/1995 s.m.i. anche nei confronti del personale non contrattualizzato alle dipendenze della Pubblica Amministrazione tra cui, per quanto qui maggiormente interessa, il personale appartenente ai ruoli della magistratura ordinaria. 

Secondo un diverso e diametralmente opposto orientamento interpretativo, viceversa e come sopra già accennato, le previsioni di cui all’art. 2 della Legge n. 335/1995 s.m.i. non troverebbero applicazione nei confronti del personale non contrattualizzato alle dipendenze della Pubblica Amministrazione e, quindi e per quanto in questa sede maggiormente interessa, neppure nei confronti del personale appartenente ai ruoli della magistratura ordinaria. 

Invero, secondo i fautori di questo diverso orientamento interpretativo, occorre considerare i seguenti argomenti:

– dal punto di vista del dato letterale, il comma 18 dell’art. 2 della Legge n. 335/1995 s.m.i. contiene un riferimento testuale alle sole “forme pensionistiche obbligatorie”  sicché, al fine di valutare e stabilire l’applicabilità o meno al personale non contrattualizzato alle dipendenze della Pubblica Amministrazione e, segnatamente e per quanto in questa sede maggiormente interessa, al personale appartenente ai ruoli della magistratura ordinaria del limite del cd. “massimale contributivo”, occorre in ogni caso considerare la singola e specifica tipologia di gestione previdenziale che di volta in volta viene in rilievo nel caso concreto;

– dal punto di vista teleologico, la tesi dell’inapplicabilità del cd. “massimale contributivo” al personale appartenente alle categorie in commento discende poi, sempre secondo i fautori di tale teoria, dalla radicale inapplicabilità dell’intero sistema contributivo rispetto a siffatto personale, e ciò in forza della mancata attivazione, in relazione in particolare al personale appartenente ai ruoli della magistratura ordinaria, di adeguate forme di previdenza complementare (ossia, il cd. “secondo pilastro” del sistema pensionistico italiano così come riformato ad opera della Legge n. 335/1995 s.m.i.);

– dal punto di vista sistematico, le previsioni di cui al comma 18 dell’art. 2 della Legge n. 335/1995 s.m.i. si caratterizzano per il fatto di avere natura e contenuto speciale rispetto alle restanti disposizioni di cui alla detta Legge n. 335/1995 s.m.i. e conseguentemente, sempre per quanto in questa sede maggiormente interessa, le stesse non sono per tale ragione ed a tali fini sussumibili nell’alveo delle disposizioni, di natura e portata più generale, di cui all’art. 1, comma 6, della Legge n. 335/1995 s.m.i. e di cui all’art. 2, comma 23, lett. b) della Legge n.335/1995 s.m.i., entrambe in precedenza già ricordate. Ne deriva che la delega normativa di cui al detto art. 2, comma 23, lett. b) della Legge n. 335/1995 s.m.i., delega esercitata con l’emanazione del predetto D.Lgs. n. 165/1997 s.m.i., non può appunto reputarsi come riferibile, a ben vedere e sempre alla stregua dell’orientamento interpretativo de quo, alla specifica disposizione in commento;

– infine, le citate Lettere Circolari dell’ex INPDAP del 18 dicembre 2008 e dell’INPS n. 42 del 17 marzo 2009 non possono fornire convincenti e decisivi argomenti a sostegno della diversa tesi dell’applicabilità del cd. “massimale contributivo” al personale appartenente ai ruoli della magistratura ordinaria per via della loro collocazione nella cd. “gerarchia delle fonti normative” del sistema giuridico italiano, che impedisce loro di prevalere sulle disposizioni legislative sopra richiamate e qui in commento da interpretarsi alla stregua dei canoni ermeneutici fatti propri dalla teoria in esame, nonché per via della data risalente della loro adozione e della sopravvenuta soppressione – nelle more – dell’INPDAP con il conseguente suo confluire nell’INPS-Gestione Separata Dipendenti Pubblici e della connessa necessità di rileggerle ed interpretarle quindi alla luce del mutato contesto socio-economico e normativo di riferimento.   

Questo essendo il quadro di riferimento, si è poi ritenuto opportuno in quella sede (nell’ambito, appunto, della detta precedente monografia dedicata al tema qui in rilievo) sviluppare alcune brevi riflessioni in ordine alle conclusioni cui sono pervenute e pervengono le due teorie poc’anzi ricordate in merito alla questione dell’applicabilità o meno delle previsioni di cui al comma 18 dell’art. 2 della Legge n. 335/1995 s.m.i. nei confronti del personale non contrattualizzato alle dipendenze della Pubblica Amministrazione e, segnatamente, nei confronti del personale appartenente ai ruoli della magistratura ordinaria.

Invero, la tesi dell’applicabilità del cd. “massimale contributivo” anche al personale appartenente ai ruoli della magistratura ordinaria parrebbe fondata, come già all’epoca evidenziato, su più solide basi giuridiche.

In particolare e procedendo con ordine, l’argomento testuale patrocinato dai sostenitori dell’altro e diverso orientamento ermeneutico di cui sopra si è detto circa il tema qui in esame, ossia quell’argomento alla stregua del quale il comma 18 dell’art. 2 della Legge n.335/1995 s.m.i. contiene un riferimento testuale alle sole “forme pensionistiche obbligatorie” sicché occorre considerare la singola e specifica tipologia di gestione previdenziale di volta in volta in rilievo nel singolo caso concreto al fine di valutare e stabilire l’applicabilità o meno al personale non contrattualizzato alle dipendenze della Pubblica Amministrazione (e, segnatamente e per quanto in questa sede maggiormente interessa, al personale appartenente ai ruoli della magistratura ordinaria) del limite del cd. “massimale contributivo”, parrebbe potersi ritenere superato in considerazione della circostanza che la ratio delle previsioni normative di cui allo stesso art. 2, comma 18, della Legge n. 335/1995 s.m.i. (cd. “Riforma Dini delle pensioni”) deve propriamente individuarsi nell’intento legislativo di implementare progressivamente il ricorso a forme di previdenza ed assistenza complementari e garantire così – anche per tale via – una migliore e più attenta sostenibilità dell’intero sistema pensionistico italiano (in sintesi, stabilizzazione della spesa pensionistica italiana), ratio legis emergente oggettivamente dall’impianto complessivo della riforma de qua e dai relativi lavori parlamentari preparatori da leggersi anche alla luce del contesto storico e socio-economico di riferimento.

In questo contesto e fatte queste premesse, allora, non può che concludersi nel senso che il cd. “massimale contributivo” costituisce per sua stessa natura – nell’impianto complessivo della cd. “Riforma Dini delle pensioni” – una delle principali regole di calcolo pensionistico deputate, in prospettiva, ad assicurare appunto l’equilibrio finanziario dello stesso intero sistema pensionistico italiano così come tratteggiato nei suoi elementi costituivi dalla citata Legge n. 335/1995 s.m.i..

Ne deriva, sotto lo specifico profilo qui in esame e per quanto in questa sede maggiormente interessa, che tale regola di calcolo pensionistico non può che ritenersi applicabile – in quanto tale – ad ogni forma di gestione previdenziale senza distinzione alcuna tra l’assicurazione generale tradizionalmente gestita dall’INPS-Istituto Nazionale della Previdenza Sociale e le gestioni esclusive o sostitutive della stessa (purché si tratti, appunto, di pensioni soggette interamente al sistema contributivo nella detta prospettiva di riequilibrio del sistema pensionistico italiano).

L’espressione “forme pensionistiche obbligatorie” di cui al comma 18 dell’art. 2 della Legge n. 335/1995 s.m.i., allora, non può che essere intesa nel senso ampio – sopra già ricordato – fatto proprio dalla tesi dell’applicabilità delle previsioni di cui allo stesso predetto comma 18 dell’art. 2 della Legge n. 335/1995 s.m.i. anche nei confronti del personale non contrattualizzato alle dipendenze della Pubblica Amministrazione e, segnatamente, nei confronti del personale appartenente ai ruoli della magistratura ordinaria, senza che sia dato distinguere sotto questo profilo a seconda della natura della singola e specifica tipologia di gestione previdenziale di volta in volta in rilievo nel singolo caso concreto (come viceversa sostenuto dai fautori del diverso orientamento ermeneutico formatosi in ordine alle questioni qui in esame e di cui in precedenza si è già detto).

Ancora e nella medesima prospettiva, poi, va evidenziato, con riguardo all’argomento teleologico patrocinato dai sostenitori della tesi dell’inapplicabilità del cd. “massimale contributivo” al personale appartenente alle categorie di lavoratori in commento e consistente sostanzialmente nel rilievo della mancata attivazione – in relazione in particolare al personale appartenente ai ruoli della magistratura ordinaria – di adeguate forme di previdenza complementare (ossia, il cd. “secondo pilastro” del sistema pensionistico italiano così come riformato ad opera della Legge n. 335/1995 s.m.i.), che siffatto argomento necessiterebbe di essere adeguatamente valorizzato, per così dire, attraverso un’eventuale pronuncia di illegittimità costituzionale della disposizione in commento per asserita violazione del principio di uguaglianza di cui all’art. 3 Costit. rispetto ad altre categorie di lavoratori (in particolare, rispetto ad altre categorie di lavoratori del settore pubblico).

Ebbene, a prescindere dall’eventuale fondatezza o meno di una simile eccezione di legittimità costituzionale delle norme de quibus e dall’opportunità di attivare o meno le procedure legislative e normative a ciò funzionali, sembra in ogni caso degno di nota il fatto che, come evidenziato dai molti studiosi ed esperti occupatisi della materia, simili difficoltà interpretative, e le connesse difficoltà applicative, potrebbero adeguatamente superarsi, in un’ottica collaborativa, mediante la costituzione di un apposito tavolo tecnico con le istituzioni ed i soggetti tutti a vario titolo interessati dalle vicende normative in commento nel tentativo di individuare la soluzione più consona, eventualmente anche mediante l’istituzione e regolamentazione di adeguate forme di previdenza complementare in favore del personale appartenente ai ruoli della magistratura ordinaria, così da non svilire la ratio della cd. “Riforma Dini delle pensioni” e, al tempo stesso, assicurare normativamente un adeguato trattamento pensionistico anche in favore di siffatta categoria di lavoratori del settore pubblico soprattutto con riferimento alle future generazioni e, pertanto e ancora una volta, nella prospettiva di una sempre maggiore sostenibilità dell’intero sistema pensionistico italiano senza trascurare le legittime pretese degli stessi lavoratori de quibus(sostenibilità, evidentemente, da intendersi ed apprezzarsi anche in questi termini ed in questa prospettiva).

 Da un punto di vista sistematico, poi, i fautori della tesi dell’inapplicabilità del cd. “massimale contributivo” al personale appartenente alle categorie di lavoratori in commento evidenziano la circostanza che le previsioni di cui al comma 18 dell’art. 2 della Legge n.335/1995 s.m.i. si caratterizzano per il fatto di avere natura e contenuto speciale rispetto alle restanti disposizioni di cui alla detta Legge n. 335/1995 s.m.i. e conseguentemente, sempre per quanto in questa sede maggiormente interessa, le stesse non possono per tale ragione ed a tali fini essere ricomprese e sussunte nell’alveo delle disposizioni, di natura e portata più generale, di cui in particolare all’art. 1, comma 6, della stessa Legge n. 335/1995 s.m.i. e di cui all’art. 2, comma 23, lett. b) della medesima Legge n. 335/1995 s.m.i. (come già ricordato, l’art. 1, comma 6, della Legge n. 335/1995 s.m.i. ha sostanzialmente introdotto il cd. “sistema contributivo” per il calcolo delle pensioni in relazione a tutte le gestioni previdenziali ivi meglio specificate, mentre l’art. 2, comma 23, lett. b) della detta Legge n. 335/1995 s.m.i. contiene una delega normativa in favore del Governo in vista dell’emanazione di norme intese alla “armonizzazione ai principi ispiratori della presente legge dei trattamenti pensionistici” del personale non contrattualizzato alle dipendenze della Pubblica Amministrazione “tenendo conto, a tal fine ed in particolare, delle peculiarità dei rispettivi rapporti di impiego e dei differenti limiti di età previsti per il collocamento a riposo …(…omissis…) …”), e ciò con la conseguenza che la delega normativa di cui al suddetto art. 2, comma 23, lett. b) della Legge n. 335/1995 s.m.i., delega esercitata con l’emanazione del D.Lgs. n. 165/1997 s.m.i., non può appunto reputarsi come riferibile, per tutte le suddette ragioni e sempre alla stregua dell’orientamento interpretativode quo, alla specifica disposizione in commento (ossia, il comma 18 dell’art. 2 della stessa Legge n.335/1995 s.m.i.).

Ebbene, occorre al riguardo evidenziare anzitutto, come appunto già effettuato nella più volte ricordata precedente monografia dedicata a questo tema, il fatto che la delega di cui al citato art. 2, comma 23, della Legge n. 335/1995 s.m.i. risulta, come già detto, essere stata esercitata mediante l’emanazione del D.Lgs. n. 165/1997 s.m.i. (pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 139 del 17.06.1997 e le cui disposizioni sono entrate in vigore in data 02.07.1997, salve quelle di cui al Titolo I – relativo al trattamento pensionistico del personale militare delle Forze Armate, compresa l’Arma  dei  Carabinieri, del Corpo della Guardia di Finanza nonché del personale delle Forze di  Polizia ad Ordinamento Civile e del Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco – entrate viceversa in vigore in data 01.01.1998).

Tale D.Lgs. n. 165/1997 s.m.i., poi, prevede all’art. 9, per quanto in questa sede maggiormente interessa, che “Le  disposizioni  di  cui  al  presente  titolo  armonizzano ai principi ispiratori della Legge 08 agosto 1995, n. 335, il trattamento pensionistico dei  magistrati  ordinari, amministrativi e contabili, degli  avvocati e procuratori dello Stato, del  personale della carriera diplomatica e della carriera prefettizia, a partire, rispettivamente,  dalle qualifiche di segretario di legazione e di vice-consigliere di prefettura, dei dirigenti generali, nonché dei professori e ricercatori universitari”, all’art. 10 che”1.Nei  confronti del personale appartenente alle categorie di cui all’articolo  9  il  cui  limite di età per il collocamento a riposo d’ufficio sia superiore al 65 anno di età, che acceda al trattamento pensionistico successivamente al 65 anno di età ovvero al 60 anno di età se donna, al  relativo trattamento trovano applicazione le disposizioni in materia di pensionamento di vecchiaia. 2. In  considerazione del più elevato limite di età per il collocamento a riposo dei soggetti di cui al comma 1, con Decreto del Ministro del Lavoro e della Previdenza Sociale, di concerto con il Ministro del Tesoro, sono stabiliti coefficienti di trasformazione integrativi di quelli indicati nella Tabella A allegata alla citata Legge n. 335 del 1995, in relazione all’età dell’assicurato, superiore a 67 anni, al momento del pensionamento” ed all’art. 11 che “Ai trattamenti pensionistici del personale di cui al presente decreto, per  quanto non diversamente da esso disposto, trovano applicazione le disposizioni di cui alla Legge 08 agosto 1995, n. 335”.

Dunque, nessun dubbio pare sussistere in ordine al fatto che la delega legislativa di cui al citato art. 2, comma 23, della Legge n. 335/1995 s.m.i. sia stata esercitata mediante l’emanazione del detto D.Lgs. n. 165/1997 s.m.i. anche con riferimento al personale appartenente ai ruoli della magistratura ordinaria.

Nessun dubbio, poi, pare sussistere anche con riferimento al fatto che, per effetto della detta delega legislativa, il cd. “massimale contributivo” di cui al comma 18 dell’art. 2 della Legge n. 335/1995 s.m.i. trovi applicazione anche rispetto a tale categoria di lavoratori.

Invero, sebbene la norma in commento sia contenuta nell’art. 2, comma 18, della Legge n. 335/1995 s.m.i. rubricato “Armonizzazione” e contenente soprattutto disposizioni dirette ad estendere le previsioni normative relative al regime generale dell’assicurazione obbligatoria ai regimi sostitutivi ed esclusivi della medesima, essa costituisce in realtà, ed a ben vedere, una mera specificazione delle più generali disposizioni contenute nell’art. 1 della medesima Legge n. 335/1995 s.m.i., in quanto volta a stabilire – più propriamente – una specifica regola di calcolo e di finanziamento della pensione (interamente) contributiva in relazione a tutte le gestioni previdenziali rispetto alle quali trova applicazione tale forma di pensione, nonché una mera specificazione del più generale disposto di cui all’art. 2, comma 23, lett. b) della stessa Legge n. 335/1995 s.m.i., che contiene appunto una delega normativa in favore del Governo in vista dell’emanazione di norme intese alla “armonizzazione ai principi ispiratori della presente legge dei trattamenti pensionistici”  del personale non contrattualizzato alle dipendenze della Pubblica Amministrazione “tenendo conto, a tal fine ed in particolare, delle peculiarità dei rispettivi rapporti di impiego e dei differenti limiti di età previsti per il collocamento a riposo …(…omissis…)…”.

Pertanto, per il suddetto personale l’applicazione delle disposizioni della Legge n.335/1995 s.m.i. qui in commento, ivi incluse quelle sull’introduzione della cd. “pensione contributiva” e del connesso limite del cd. “massimale contributivo”, richiedeva e richiede, benché le stesse fossero dichiarate applicabili a tutte le gestioni previdenziali, l’intervento di un apposito provvedimento legislativo di armonizzazione secondo i criteri ed i principi generali di cui sopra.

Le norme di armonizzazione de quibus, quindi, sono state appunto adottate con il suddetto D.Lgs. n. 165/1997 s.m.i. che, dopo aver dettato criteri specifici di armonizzazione per le forze armate e le forze di polizia nonché assimilate (cfr. artt. 1-8 del detto D.Lgs. n.165/1997 s.m.i.), in merito alla categoria dei magistrati (ordinari) ha sostanzialmente previsto, al comma 1 dell’art. 10 e come già precisato in precedenza, che nei confronti del personale appartenente a tale categoria ed “il cui limite di età per il collocamento a riposo d’ufficio sia superiore al 65° anno di età e che acceda al trattamento pensionistico successivamente al 65° anno di età ovvero al 60° anno di età se donna”trovano applicazione le disposizioni in materia di pensione di vecchiaia nonché, al comma 2 dello stesso art. 10, che “In considerazione del più elevato limite di età per il collocamento a riposo dei soggetti di cui al comma 1, con decreto del Ministro del Lavoro e della Previdenza Sociale, di concerto con il Ministro del Tesoro, sono stabiliti coefficienti di trasformazione integrativi di quelli indicati nella Tabella A allegata alla citata Legge n. 335/1995 in relazione all’età dell’assicurato … (…omissis…)…” e che “Ai trattamenti pensionistici del personale di cui al presente decreto, per quanto non diversamente da esso disposto, trovano applicazione le disposizioni di cui alla Legge 08 agosto 1995, n. 335 …(…omissis…) …”.

Dunque, in tal modo e con tali norme il legislatore, da un lato, ha ritenuto che l’unica peculiarità, sotto il profilo pensionistico, del rapporto di servizio della suddetta categoria di dipendenti pubblici sia costituita dalla previsione di un limite di età per il collocamento a riposo più elevato rispetto a quello stabilito per la generalità dei lavoratori e per questo, dopo aver precisato che le prestazioni pensionistiche conseguite a tali limiti di età più elevati si considerano comunque pensioni di vecchiaia, ha altresì previsto l’introduzione di coefficienti di trasformazione integrativi rispetto a quelli stabiliti per la generalità dei lavoratori proprio al fine di tenere conto del più elevato limite di età per il collocamento a riposo di siffatti lavoratori del settore pubblico essendo i coefficienti previsti appunto per la generalità dei lavoratori (all’epoca contenuti nella Tabella A allegata alla stessa Legge n.335/1995 s.m.i.) individuati solo fino al compimento dell’età di 65 anni, e, dall’altro lato e fatta eccezione per la suddetta peculiarità, ha stabilito che per il resto trovano applicazione ai magistrati (ordinari) tutte le restanti disposizioni sui trattamenti pensionistici contenute nella Legge n. 335/1995 s.m.i. medesima.

Orbene, stante l’ampiezza di tale rinvio, deve ritenersi, come evidenziato appunto dai fautori di tale orientamento ermeneutico tra cui il citato Avv. Guido Rossi, che esso abbia esteso ai magistrati (ordinari) sia il sistema di calcolo contributivo introdotto dalla Legge n.335/1995 s.m.i. (e ciò anche in considerazione del fatto che tale sistema costituisce il fondamentale principio ispiratore della stessa Legge n. 335/1995 s.m.i. al quale occorreva ed occorre armonizzare, come detto, il regime previdenziale del personale pubblico non contrattualizzato) sia le disposizioni della Legge n. 335/1995 s.m.i. relative al cd. “massimale contributivo” in presenza dei relativi presupposti applicativi e di cui sopra.

Del resto, fermo restando tutto quanto precede, va poi ricordato che, ritenendo la detta delega legislativa di cui all’art. 2, comma 23, lett. b), della Legge n. 335/1995 s.m.i. come caratterizzata da una portata generale e, pertanto, non idonea a ricomprendere anche le disposizioni di cui al comma 18 dell’art. 2 della stessa Legge n. 335/1995 s.m.i. in quanto diposizioni di portata speciale e quindi derogatoria rispetto alle altre e rispetto altresì a quella di cui al comma 6 dell’art. 1 della Legge n. 335/1995 s.m.i. (come sostenuto dai fautori della tesi dell’inapplicabilità del cd. “massimale contributivo” al personale appartenente alle categorie di lavoratori in commento), dovrebbe allora concludersi nel senso dell’inapplicabilità ai lavoratori non contrattualizzati alle dipendenze della Pubblica Amministrazione dell’intero cd. “sistema contributivo” (in luogo di quello cd. “retributivo”) – di cui fanno appunto parte, evidentemente, anche le disposizioni sul cd. “massimale contributivo” per quelle ragioni di carattere letterale, teleologico e sistematico in precedenza già ricordate – così come delineato dalle stesse disposizioni di cui alla detta Legge n.335/1995 s.m.i., ciò che, proprio per tutte le dette ragioni e motivazioni, non pare viceversa sostenibile.

Infine, con riferimento a quell’argomento (anch’esso fatto proprio dai sostenitori della tesi dell’inapplicabilità del cd. “massimale contributivo” al personale appartenente alle categorie di lavoratori in commento) alla stregua del quale le Lettere Circolari dell’ex INPDAP del 18 dicembre 2008 e dell’INPS n. 42 del 17 marzo 2009 non possono fornire convincenti e decisivi argomenti a sostegno della diversa tesi dell’applicabilità del cd. “massimale contributivo” al personale appartenente ai ruoli della magistratura ordinaria per via della loro collocazione nella cd. “gerarchia delle fonti normative” del sistema giuridico italiano (che impedisce loro di prevalere sulle disposizioni legislative sopra richiamate) nonché per via della data risalente della loro adozione e della sopravvenuta soppressione – nelle more – dell’INPDAP con il conseguente suo confluire nell’INPS-Gestione Separata Dipendenti Pubblici e della connessa necessità di rileggerle ed interpretarle quindi alla luce anche del mutato contesto socio-economico e normativo di riferimento, si sono richiamate in quella sede (ossia nell’ambito, appunto, della precedente monografia dedicata a questo tema) tutte le argomentazioni sviluppate e già sopra riportate a sostegno della diversa tesi dell’applicabilità del cd. “massimale contributivo” anche al personale appartenente alle categorie di lavoratori in commento, argomentazioni che, considerate nel loro insieme, inducono appunto a ritenere non convincente questo solo ultimo profilo richiamato dai fautori del contrapposto orientamento ermeneutico poc’anzi ricordato.

Dunque, alla luce di tutte le osservazioni e considerazioni che precedono, è sembrato e sembra più corretto concludere nel senso dell’applicabilità delle previsioni di cui al comma 18 dell’art. 2 della Legge n.335/1995 s.m.i. anche nei confronti del personale non contrattualizzato alle dipendenze della Pubblica Amministrazione tra cui, per quanto qui maggiormente interessa, il personale appartenente ai ruoli della magistratura ordinaria.

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Come già accennato in precedenza, tuttavia, si sono registrati recentemente significativi sviluppi in ordine a detta questione, sviluppi sui quali pare appunto opportuno ora ed in questa sede, e tutto ciò posto, soffermarsi più in dettaglio.

Orbene, anzitutto si è recentemente posto il problema (di non poco conto) relativo alla possibilità o meno di evitare l’applicazione del cd. “massimale contributivo” mediante il riscatto solo parziale degli anni del corso di laurea (in ipotesi, con soluzione di continuità rispetto alla data di immissione in servizio o, comunque, di inizio di una data attività lavorativa soggetta a contribuzione obbligatoria – cd. “buchi contributivi”) e quello, evidentemente connesso, degli eventuali correlativi costi/benefici (anche e soprattutto, ma non solo, sotto il particolare profilo qui in esame).

Al riguardo va ricordato, come già accennato, che l’espressione “forme pensionistiche obbligatorie” impiegata dall’art. 2, comma 18, della Legge n. 335/1995 s.m.i. sembrerebbe dover essere intesa, sempre secondo la soluzione ermeneutica fatta propria dai fautori della tesi dell’applicabilità della detta normativa anche secondaria sul cd. “massimale contributivo” nei confronti altresì del personale non contrattualizzato alle dipendenze della Pubblica Amministrazione (tra cui, per quanto qui maggiormente interessa, il personale appartenente ai ruoli della magistratura ordinaria) e che pare appunto allo stato maggiormente condivisibile per tutte le ragioni tecnico-giuridiche già evidenziate nella precedente monografia dedicata al tema e cui si è più volte fatto cenno anche innanzi, come riferita genericamente ed in senso ampio ad ogni forma di gestione previdenziale senza distinzione alcuna tra l’assicurazione generale tradizionalmente gestita dall’INPS-Istituto Nazionale della Previdenza Sociale e le gestioni esclusive o sostitutive della stessa (purché si tratti di pensioni soggette interamente al sistema contributivo), mentre l’espressione “anzianità contributiva”impiegata dallo stesso art. 2, comma 18, della Legge n. 335/1995 s.m.i. sembrerebbe a sua volta dover essere intesa anch’essa in senso lato, ossia come concernente qualsiasi forma di anzianità contributiva anteriore al 01.01.1996, in qualunque modo maturata, e la cui presenza, appunto e come già evidenziato, escluderebbe l’applicazione del cd. “massimale contributivo”.  

Del resto, le stesse menzionate Lettere Circolari dell’ex INPDAP del 18 dicembre 2008 e dell’INPS n. 42 del 17 marzo 2009 (che, per quanto detto, sembrerebbero poter e dover trovare applicazione nella parte de qua, sia pure in via di interpretazione estensiva ovvero in via analogica, anche nei confronti del personale appartenente ai ruoli della magistratura ordinaria) chiariscono (per quanto di competenza) che la fattispecie del cd. “massimale contributivo” non trova appunto applicazione, tra l’altro e per quanto in questa sede maggiormente interessa, nell’ipotesi di anzianità contributive anteriori al 01.01.1996 maturate per effetto del riscatto, totale o parziale, del periodo del corso di laurea ovvero dei periodi di eventuali corsi e scuole di specializzazione post lauream (invero, la citata Lettera Circolare dell’INPS n. 42 del 17 marzo 2009, in particolare, precisa, tra l’altro e per quanto qui maggiormente interessa, che “L’ingresso di anzianità assicurative derivanti dalle operazioni descritte in epigrafe  (ndr: periodi contributivi anteriori al 01.01.1996 utilizzabili a domanda sub speciedi accrediti figurativi e di riscatti) determina la loro collocazione temporale nei periodi cui gli eventi (ndr: appunto, i detti accrediti figurativi e riscatti) si riferiscono”, sicché parrebbe potersi così concludere, come detto, nel senso che, per effetto del predetto riscatto e della cd. “retrodatazione dell’anzianità contributiva” per tal via ottenuta – a condizione che si tratti appunto di eventi risalenti a data anteriore al 01.01.1996, viene appunto meno uno dei due suddetti presupposti indefettibili ex comma 18 dell’art. 2 della Legge n. 335/1995 s.m.i., ossia l’assenza di anzianità contributiva anteriore al 01.01.1996 oltre all’iscrizione ad una determinata forma pensionistica obbligatoria a partire sempre dal 01.01.1996 o da data successiva, per l’applicazione del cd. “massimale contributivo” – peraltro, avendo la collocazione temporale dei periodi riscattati effetto, in forza delle diposizioni di legge sul cd. “riscatto” tra cui – segnatamente – le previsioni di cui al D.Lgs. n. 184/1997 s.m.i., su ogni aspetto del relativo regime pensionistico applicabile, parrebbero dover trovare più in generale applicazione, se il periodo riscattato è appunto anteriore al 31.12.1995 e come già detto, tutte le regole pensionistiche previste per i lavoratori con anzianità anteriore a tale data).

Nello specifico, la detta Lettera Circolare dell’INPS n. 42 del 17 marzo 2009 (nel richiamare, sotto tale precipuo profilo, la Lettera Circolare n. 177 del 07 settembre 1996) prevede che “Nel momento in cui il livello retributivo dei predetti lavoratori (ndr: lavoratori privi di anzianità contributiva che si iscrivono a far data dal 01.01.1996  a forme pensionistiche obbligatorie) si attesti al di sopra del massimale contributivo annuo, i datori di lavoro devono acquisire da parte degli stessi una dichiarazione attestante l’esistenza o meno di  periodi utili o utilizzabili ai fini dell’anzianità contributiva” e che “In caso affermativo, i datori di lavoro devono sottoporre a contribuzione pensionistica l’intera retribuzione senza, cioè, applicare il massimale contributivo”.

Inoltre, sempre alla stregua della citata Lettera Circolare dell’INPS n. 42 del 17 marzo 2009, “la contribuzione versata anteriormente al 01.01.1996 in qualsiasi gestione pensionistica obbligatoria, anche se diversa da quella di iscrizione al 01.01.1996, comporta la non applicazione del massimale contributivo”, dovendosi poi intendere, sempre in base alla citata Lettera Circolare dell’INPS n. 42 del 17 marzo 2009, l’espressione “gestione pensionistica obbligatoria” nel senso ampio poc’anzi precisato con riferimento all’analoga terminologia impiegata dal comma 18 dell’art. 2 della Legge n. 335/1995 s.m.i. (ossia come relativa, ad esempio, alle gestioni pensionistiche obbligatorie dei lavoratori dipendenti, a quelle proprie dei lavoratori autonomi, alle casse per liberi professionisti e così via – viceversa, per i lavoratori che abbiano maturato anzianità contributiva anteriormente al 01.01.1996 in Paesi della CEE (oggi UE), o comunque in Paesi convenzionati, si rimanda alla Lettera Circolare dell’INPS n. 21 del 29 gennaio 2001 s.m.i. richiamata dalla stessa predetta Lettera Circolare dell’INPS n. 42 del 17 marzo 2009).    

Ancora e come già evidenziato, si legge altresì testualmente nella detta Lettera Circolare dell’INPS n. 42 del 17 marzo 2009 qui in commento che “L’ingresso di anzianità assicurative derivanti dalle operazioni descritte in epigrafe  (ndr: periodi contributivi anteriori al 01.01.1996 utilizzabili a domandasub speciedi accrediti figurativi e di riscatti) determina la loro collocazione temporale nei periodi cui gli eventi  (ndr: appunto, i detti accrediti figurativi e riscatti)si riferiscono. Si è quindi posto il problema dei soggetti che possono vantare periodi anteriori al 01.01.1996 e che, azionando la relativa domanda nel corso del tempo, possano acquisire tali anzianità dopo che nei loro confronti è stato applicato il massimale in argomento. Al riguardo, si chiarisce che i lavoratori assunti successivamente al 31.12.1995 che acquisiscano, mediante domanda, anzianità contributiva pregressa al 01.01.1996 non sono più soggetti all’applicazione del massimale annuo della base contributiva e pensionabile di cui all’art. 2, comma 18, della Legge n. 335/1995 a partire dal mese successivo a quello di presentazione della domanda di riscatto o di accredito figurativo alla sede Inps territorialmente competente. Pertanto, a decorrere dalla predetta data, per i lavoratori in esame la contribuzione pensionistica deve essere calcolata  sull’intera retribuzione di riferimento senza, cioè, applicare il massimale contributivo. Al fine di consentire il corretto adempimento degli obblighi contributivi, il lavoratore è tenuto a dare tempestiva comunicazione al proprio datore di lavoro dell’avvenuta presentazione della domanda di riscatto o accredito figurativo alla sede Inps territorialmente competente fornendo copia della ricevuta attestante la presentazione della relativa domanda. Nel caso in cui la comunicazione al datore venga fatta in ritardo, la sistemazione della posizione contributiva del lavoratore sarà effettuata nel mese successivo a quello in cui è avvenuta la comunicazione.… (…omissis…) ….Si precisa infine che l’accredito della contribuzione figurativa a domanda, riferito a periodi antecedenti il 01.01.1996, facendo assumere al lavoratore la qualità di “vecchio iscritto”, ai fini della non applicazione del massimale contributivo, vale quale “utilizzo” della contribuzione figurativa stessa ai fini delle prestazioni ed è quindi causa ostativa all’esercizio della facoltà di rinuncia all’accredito.Nel caso di riscatto, l’acquisizione da parte dell’interessato della qualità di “vecchio iscritto” alle gestioni pensionistiche obbligatorie è subordinata, comunque, all’assolvimento del relativo onere economico (pagamento di almeno una rata). Conseguentemente, nei casi di mancato assolvimento del predetto onere, il lavoratore torna ad essere considerato “nuovo iscritto” e, quindi, è soggetto, ai fini del calcolo della contribuzione pensionistica, all’applicazione del massimale contributivo. Anche in tale fattispecie il lavoratore è tenuto a dare tempestiva comunicazione del mancato  pagamento dell’onere di riscatto al datore di lavoro, il quale deve provvedere all’applicazione del massimale contributivo, e, per il periodo pregresso, presentare domanda di rimborso della contribuzione indebitamente versata. L’onere della comunicazione sussiste in capo al lavoratore anche nei casi di mancato accoglimento della domanda di riscatto ovvero di accredito figurativo (es., mancanza dei requisiti). Affinché si provveda ad una rapida sistemazione della posizione contributiva del lavoratore interessato, si sottolinea l’importanza della tempestività della predetta comunicazione”.

Tuttavia, fermo restando tutto quanto precede, va altresì evidenziato in proposito che la predetta Lettera Circolare dell’INPS n. 42 del 17 marzo 2009 (rilevante, nei detti termini e limiti, nel caso di specie) prevede anche che “Ad eccezione di quanto fin qui indicato, si precisa che i riscatti dei rapporti di collaborazione coordinata e continuativa previsti dall’art. 51, comma 2, della Legge n. 488/1999 svolti in periodi antecedenti l’istituzione dell’obbligo contributivo alla Gestione Separata di cui all’art. 2, comma 26, della Legge n.335/1995 da parte degli iscritti alla predetta gestione, come pure i riscatti dei periodi dei corsi di studi universitari richiesti da soggetti “inoccupati” ai sensi dell’art. 1, comma 77, della Legge n. 247/2007, collocati antecedentemente al 01.01.1996 ed accreditati nella gestione pensionistica prescelta dall’assicurato, in quanto utili per il diritto e la misura delle prestazioni pensionistiche da liquidare esclusivamente con il sistema contributivo, non modificano lo status di “nuovo iscritto” del lavoratore e, quindi, non incidono sull’applicazione del massimale contributivo”.

Dunque, sembrerebbero sussistere (nei termini ovviamente fatti propri da siffatta normazione in senso lato secondaria da ritenere espressione, tuttavia e come appunto già precisato, dei principi generali dettati in materia dalla Legge n. 335/1995 s.m.i.) due significative eccezioni rispetto alla regola generale, sopra riferita, secondo cui la contribuzione versata anteriormente alla data del 01.01.1996 in qualsiasi gestione pensionistica obbligatoria, anche se diversa da quella di iscrizione alla stessa data del 01.01.1996 ed anche se frutto di apposita domanda di accredito figurativo ovvero di riscatto, comporta la non applicazione del cd. “massimale contributivo” di cui alla stessa Legge n.335/1995 s.m.i..

Anzitutto, viene in rilievo l’eccezione relativa al cd. “riscatto” della laurea da parte di soggetti cd. “inoccupati” ossia di soggetti che, al momento appunto della domanda di riscatto, non hanno mai lavorato e non sono stati mai iscritti ad alcuna forma di previdenza obbligatoria (cfr., in proposito, anche la Lettera Circolare dell’INPS n. 29 del 11 marzo 2008 resa in relazione alle ed in applicazione delle previsioni normative di cui all’art. 2, commi 5 e 5 bis, del D.Lgs. n.184/1997, come modificato dall’art. 1, comma 77, della Legge n. 247/2007 s.m.i., secondo cui, sostanzialmente, in siffatte ipotesi il cd. “riscatto” del corso di studi universitario ovvero di eventuali corsi di studi post lauream(nella relativa durata legale) avviene mediante il versamento di un importo (il cd. “onere”) calcolato e rivalutato, a fini pensionistici, interamente con il sistema contributivo, e ciò a prescindere dalla collocazione temporale del periodo oggetto del riscatto medesimo, con accantonamento dei correlativi contributi così versati all’INPS in un’apposita evidenza contabile separata in attesa di loro successivo eventuale trasferimento presso la gestione previdenziale cui si iscriverà in futuro lo stesso soggetto interessato. Tale forma di riscatto però, come accennato, è consentita esclusivamente a coloro che appunto non sono mai stati iscritti ad alcuna forma  obbligatoria di previdenza e che non abbiano svolto alcuna attività lavorativa – la ratio legis sembrerebbe in tal caso essere quella di consentire anche ai giovani non iscritti ad alcuna forma di previdenza obbligatoria e che non abbiano ancora iniziato alcuna attività lavorativa di riscattare gli anni degli studi universitari, al pari di coloro che viceversa non possono qualificarsi a tali fini come inoccupati, sia pure con le peculiarità e le modalità sinteticamente descritte poc’anzi evidentemente dipendenti dalla oggettivamente diversa condizione personale delle due predette categorie di soggetti giuridici, e ciò nella prospettiva e nell’intento di realizzare altresì anche per tale via ed in ultima istanza, nei limiti ovviamente della ragionevolezza, un giusto contemperamento tra siffatti interessi individuali – tutti evidentemente meritevoli di adeguata tutela – e quello generale alla sostenibilità dell’intero sistema pensionistico italiano, come in precedenza già evidenziato).

In questi casi, pertanto, è la stessa norma di rango legislativo poc’anzi richiamata, a ben vedere, a stabilire che il riscatto dei periodi del corso di laurea anche anteriori al 01.01.1996 ha effetti esclusivamente nell’ambito ed ai fini del sistema contributivo e con conseguente applicazione integrale delle relative regole e dei correlativi principi tutti, tra i quali, evidentemente e per quanto in questa sede maggiormente interessa, anche quello relativo al cd. “massimale contributivo”.

In questo senso sembrerebbe quindi doversi intendere la detta previsione di cui alla predetta Lettera Circolare dell’INPS n. 42 del 17 marzo 2009 secondo cui in siffatte ipotesi (quelle dei cd. “inoccupati”, appunto) i cd. “riscatti” del periodo degli studi universitari, “in quanto utili per il diritto e la misura delle prestazioni pensionistiche da liquidare esclusivamente con il sistema contributivo, non modificano lo status di “nuovo iscritto” del lavoratore e, quindi, non incidono sull’applicazione del massimale contributivo”.

La seconda eccezione è quella del riscatto dei rapporti di collaborazione coordinata e continuativa svolti prima dell’istituzione, a decorrere dal 1996, della correlativa Gestione Separata INPS.

In particolare, l’articolo 51, comma 2, della Legge n. 488/1999 s.m.i. ha previsto, per gli iscritti alla Gestione Separata di cui all’articolo 2, comma 26, della detta Legge n.335/1995 s.m.i., la facoltà di riscattare – fino ad un massimo di cinque annualità e con onere contributivo a carico degli interessati – il periodo di lavoro, risultante da atti aventi data certa, prestato attraverso rapporti di collaborazione coordinata e continuativa in epoca precedente rispetto all’istituzione dell’obbligo contributivo alla predetta Gestione Separata.

Secondo le previsioni di cui al citato articolo 51, la facoltà di riscatto in questione doveva e deve essere disciplinata con apposito decreto interministeriale (Ministro del Lavoro e della Previdenza Sociale, di concerto con i Ministri del Tesoro, del Bilancio e della Programmazione Economica e delle Finanze).

Con l’emanazione del Decreto Interministeriale 02 ottobre 2001, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 297 del 22 dicembre 2001, si è pertanto completato il quadro normativo che consente di dare attuazione alle previsioni di cui al citato articolo 51, comma 2, della Legge n. 488/1999 s.m.i. sopra richiamato.

Ebbene, anche in questo caso le disposizioni normative di riferimento prevedono espressamente che il cd. “riscatto” operi interamente con il sistema contributivo, che del resto è l’unico applicabile al sistema pensionistico della Gestione Separata INPS (cfr., in particolare, l’art. 51, comma 2, della predetta Legge n. 488/1999 s.m.i. e l’art. 2 del Decreto Interministeriale 02 ottobre 2001 nonché la correlativa Lettera Circolare dell’INPS n. 117 del 21 giugno 2002).

Conseguentemente, anche in questo caso il periodo riscattato, in qualunque epoca collocato, non sembra idoneo a determinare l’applicazione del sistema retributivo e, quindi ed in ultima istanza, l’inoperatività del meccanismo del cd. “massimale contributivo” (in questa stessa prospettiva, si veda anche il parere in proposito espresso dall’Avv. Guido Rossi in data 04.12.2015).

Questo essendo allo stato (e salve eventuali sopravvenute future norme di interpretazione autentica che però, ad oggi, non consta siano state emanate) il quadro normativo anche in senso lato secondario di riferimento e conseguentemente (per quanto qui maggiormente interessa) le uniche correlative eccezioni in merito all’inapplicabilità del cd. “massimale contributivo” in presenza di una cd. “retrodatazione dell’anzianità contributiva” ottenuta mediante gli istituti tutti di cui si è innanzi detto, pare allora potersi concludere (sia pure con tutte le incertezze ed i dubbi anche interpretativi che la complessità tecnico-giuridica e la delicatezza anche da un punto di vista socio-economico delle questioni qui in rilievo inevitabilmente comportano) nel senso che il meccanismo del cd. “massimale contributivo” non opera rispetto al personale non contrattualizzato alle dipendenze della Pubblica Amministrazione (ivi compresi, in particolare e per quanto qui maggiormente interessa, i magistrati ordinari) che possa appunto vantare un’anzianità contributiva, effettiva o figurativa nel senso precisato e di cui meglio anche infra, anteriore al 01.01.1996, e ciò anche se in servizio da epoca successiva al 01.01.1996 ed a prescindere dal fatto che il periodo riscattato si ponga o meno in continuità (cd. “buchi contributivi”) rispetto all’assunzione ed all’ingresso nel mondo del lavoro del richiedente medesimo (nel caso dei magistrati ordinari, l’immissione in servizio) ovvero a cavallo del 01.01.1996 nonché con le uniche due eccezioni di cui pure sopra si è già detto, e tanto in considerazione altresì della circostanza, già evidenziata in precedenza e che sembra opportuno ribadire e sottolineare, che la citata Lettera Circolare dell’INPS n. 42 del 17 marzo 2009 precisa, tra l’altro, che “L’ingresso di anzianità assicurative derivanti dalle operazioni descritte in epigrafe  (ndr: periodi contributivi anteriori al 01.01.1996 utilizzabili a domanda sub specie di accrediti figurativi e di riscatti) determina la loro collocazione temporale nei periodi cui gli eventi  (ndr: appunto, i detti accrediti figurativi e riscatti) si riferiscono” (sicché sembra necessario, in ogni caso e come già precisato, che si tratti appunto di eventi risalenti almeno in parte a data anteriore al 01.01.1996) nonché in considerazione del fatto che nessuna disposizione normativa di rango legislativo ovvero secondaria (in senso ampio) sembra allo stato prevedere limiti in proposito.

Va anche osservato e sottolineata ulteriormente la circostanza che il Legislatore, nel prevedere la possibilità del riscatto soltanto parziale della durata legale del corso di studi (cfr., in particolare, l’art. 2, comma 2, del D.Lgs. n. 184/1997 s.m.i.), non sembra prestabilire una durata minima del periodo oggetto del riscatto medesimo, né constano disposizioni normative secondarie (anche in senso lato) di segno contrario.

Le uniche eccezioni restano, quindi, quelle poc’anzi brevemente descritte.

D’altro canto, va anche evidenziato che la disciplina sul cd. “riscatto” del corso di studi universitario ed assimilati (ossia il detto D.Lgs. n. 184/1997 s.m.i.), benché resa in attuazione della delega legislativa di cui al comma 39 dell’art. 1 della stessa Legge n.335/1995 s.m.i., pare costituire più propriamente un corpo normativo distinto, o meglio di portata più generale, rispetto a quello di cui al comma 18 dell’art. 2 della suddetta Legge n.335/1995 s.m.i. e di cui conseguentemente al cd. “massimale contributivo”, e ciò anche in ragione del fatto che (come già evidenziato) l’art. 1 della Legge n. 335/1995 s.m.i. sembra disposizione di portata generale (nel cui ambito si inserisce altresì quella relativa appunto al cd. “massimale contributivo” di cui al comma 18 dell’art. 2 di tale complesso normativo), sicché, fermo restando tutto quanto precede, occorre comunque prestare la dovuta attenzione e porre in essere tutte le necessarie cautele all’atto della richiesta di riscatto (a mero titolo d’esempio, e ferma restando la necessità ed opportunità per ciascuno di acquisire informazioni più precise ed individualizzate al momento della presentazione di siffatta domanda, indicando espressamente che la stessa viene appunto presentata al fine dell’esclusione dell’applicazione della normativa sul cd. “massimale contributivo”, e ciò specie laddove si intenda richiedere il riscatto solo parziale del corso di studi universitario, ovvero specificando che si tratta appunto di riscatto solo parziale effettuato ai detti fini, attivandosi in ogni caso tempestivamente al fine di adempiere agli oneri di segnalazione e comunicazione nei confronti del datore di lavoro che la normativa in questione (anche in senso lato secondaria ed ivi compresa la stessa Lettera Circolare dell’INPS n. 42 del 17 marzo 2009) pone a carico del lavoratore sotto il particolare profilo della sussistenza in capo a se medesimo di un’eventuale anzianità contributiva pregressa al 01.01.1996 e della connessa eventuale applicabilità o meno nei propri confronti del cd. “massimale contributivo”).

Pertanto, fermo restando tutto quanto precede da un punto di vista strettamente tecnico-giuridico ed in relazione alla correlativa fattispecie generale ed astratta, sembra in ogni caso opportuno che il singolo soggetto interessato effettui le necessarie verifiche con precipuo riferimento alla propria posizione individuale tramite i competenti organi ed uffici dell’Ente previdenziale di riferimento (segnatamente, per quanto concerne il personale appartenente ai ruoli della magistratura ordinaria, con i competenti uffici ed organi dell’INPS-Gestione Separata Dipendenti Pubblici), e ciò anche in relazione ai relativi costi che, invero, variano molto a seconda del singolo caso concreto e richiedono l’effettuazione di calcoli complessi e necessariamente individualizzati (sostanzialmente, si tratta di tenere in considerazione parametri quali l’età, il sesso, il periodo oggetto di riscatto, l’eventuale anzianità assicurativa totale e le retribuzioni percepite negli ultimi anni, sicché un’eventuale simulazione di calcolo non potrebbe appunto oggettivamente avere neppure carattere meramente esemplificativo). 

Più in dettaglio e fermo restando comunque tutto quanto precede, si può comunque evidenziare in proposito che è ad oggi ammesso il riscatto del corso legale di laurea a condizione che l’interessato abbia conseguito il relativo titolo di studio.

Sono esclusi dalla possibilità di riscatto i periodi di iscrizione fuori corso, i periodi già coperti da contribuzione obbligatoria o figurativa o da riscatto operato non solo presso il fondo cui è diretta la domanda stessa ma anche negli altri regimi previdenziali richiamati dall’art. 2, comma 1, del D. Lgs. n.184/1997 s.m.i..

Si possono riscattare i diplomi universitari (corsi di durata non inferiore a due anni e non superiore a tre), i diplomi di laurea (corsi di durata non inferiore a quattro e non superiore a sei anni), i diplomi di specializzazione che si conseguono successivamente alla laurea ed al termine di un corso di durata non inferiore a due anni, i dottorati di ricerca i cui corsi sono regolati da specifiche disposizioni di legge ed i titoli accademici introdotti dal D.M. n. 509 del 03 novembre 1999 s.m.i. (ossia Laurea (L), al termine di un corso di durata triennale, e Laurea Specialistica (LS), al termine di un corso di durata biennale cui si accede con la Laurea).

Per quanto riguarda poi i diplomi rilasciati dagli Istituti di Alta Formazione Artistica e Musicale, possono essere ammessi a riscatto ai fini pensionistici – secondo le vigenti disposizioni in materia – i nuovi corsi attivati a decorrere dall’anno accademico 2005/2006 purché diano luogo al conseguimento dei seguenti titoli di studio: diploma accademico di primo livello; diploma accademico di secondo livello; diploma di specializzazione ovvero diploma accademico di formazione alla ricerca (equiparato al dottorato di ricerca universitario dall’art. 3, comma 6, del D.P.R. n. 212/2005 s.m.i.).

Inoltre, a partire dal 12 luglio 1997 è data la facoltà di riscattare due o più corsi di laurea, e ciò anche per i titoli conseguiti anteriormente a questa data.

Il riscatto può appunto riguardare tutto il periodo o singoli periodi del corso di studi (problematica ulteriore è poi stabilire se, trattandosi del riscatto di un dato corso di studi o di una sua parte, sia possibile individuare una correlazione tra anno solare e sue frazioni, da un lato, ed anno scolastico ovvero anno accademico e sue frazioni, dall’altro lato, ciò che evidentemente potrebbe influire sulla possibilità di riscattare, ai fini qui in esame ed appunto nell’ambito di una domanda di riscatto parziale, anche un solo mese del corso di studi medesimo piuttosto che un intero anno dello stesso).

I periodi per i quali si chiede il riscatto, come detto, non devono essere coperti da contribuzione obbligatoria o figurativa o da riscatto non solo presso il fondo cui è diretta la domanda stessa ma anche negli altri regimi previdenziali richiamati dall’art. 2, comma 1, del D. Lgs. n. 184/1997 s.m.i..

Occorre inoltre essere titolari di contribuzione (almeno un contributo obbligatorio) nell’ordinamento pensionistico in cui viene richiesto il riscatto, salvo quanto previsto dalla Legge n. 247/2007 s.m.i. per le domande presentate a decorrere dal 01.01.2008 (fattispecie, quest’ultima, di cui si dirà meglio fra breve e cui si è comunque già fatto cenno in precedenza a proposito della tematica dei cd. “inoccupati” e di quella, affine, del riscatto dei rapporti di collaborazione coordinata e continuativa svolti prima dell’istituzione, a decorrere dal 1996, della correlativa Gestione Separata INPS). 

La domanda di riscatto può essere presentata anche on-line tramite apposito PIN (rilasciato dai competenti uffici ed organi dell’Ente previdenziale di riferimento – utile potrebbe essere altresì consultare, in proposito, la Lettera Circolare dell’INPS n. 77 del 27 maggio 2011).

Il cd. “onere di riscatto” è determinato in base alle norme che disciplinano la liquidazione della pensione con il sistema retributivo o con quello contributivo, tenuto conto della collocazione temporale dei periodi oggetto di riscatto, e ciò anche ai fini del computo delle anzianità previste dall’articolo 1, commi 12 e 13, della Legge n. 335/1995 s.m.i. (sempre fatto salvo quanto già precisato in precedenza a proposito della tematica dei cd. “inoccupati” e di quella, affine sotto il particolare profilo qui in rilievo, del riscatto dei rapporti di collaborazione coordinata e continuativa svolti prima dell’istituzione, a decorrere dal 1996, della correlativa Gestione Separata INPS – ipotesi, queste ultime due, che però costituiscono, come detto, delle eccezioni rispetto alla regola dell’inapplicabilità del cd. “massimale contributivo” in presenza di una cd. “retrodatazione dell’anzianità contributiva” ottenuta mediante il ricorso alle fattispecie ed agli istituti qui in rilievo e che, quindi, non sembrano rilevanti rispetto alla tematica costituente oggetto precipuo del presente scritto).

Se i periodi oggetto di riscatto si collocano temporalmente fino al 31.12.1995, l’importo della somma da versare sarà determinato con i criteri previsti dall’articolo 13 della Legge n. 1338/1962 s.m.i. (cd. “riserva matematica”) e l’onere sarà appunto diverso in rapporto a fattori variabili quali l’età, il periodo da riscattare, il sesso e le retribuzioni percepite negli ultimi anni (e questa, per quanto detto, sembra essere l’ipotesi rilevante, in linea di massima, ai fini qui in esame e costituenti oggetto precipuo della presente trattazione).

Si evidenzia comunque, per completezza, che, relativamente ai periodi da riscattare collocati temporalmente dopo il 31.12.1995, per i quali la relativa quota di pensione andrebbe calcolata con il sistema contributivo, il corrispondente onere è invece determinato applicando l’aliquota contributiva in vigore alla data di presentazione della domanda di riscatto nella misura prevista per il versamento della contribuzione obbligatoria dovuta alla gestione pensionistica ove opera il riscatto stesso. Inoltre, per il calcolo del cd. “onere di riscatto”, la retribuzione cui va applicata la predetta aliquota contributiva è quella assoggettata a contribuzione nei dodici mesi meno remoti rispetto alla data della domanda medesima ed è rapportata al periodo oggetto di riscatto.

Importante segnalare, sempre per completezza espositiva (ma lo si è appunto già fatto, sia pureincidenter tantum, in precedenza allorquando si è trattato della tematica dei cd. “inoccupati” e di quella, affine, del riscatto dei rapporti di collaborazione coordinata e continuativa svolti prima dell’istituzione, a decorrere dal 1996, della correlativa Gestione Separata), le innovazioni introdotte in materia dalla Legge n. 247/2007 s.m.i..

Ebbene, le dette innovazioni si applicano, anzitutto, solo per le domande presentate a decorrere dal 01.01.2008, e ciò indipendentemente dalla collocazione temporale dei periodi del corso di laurea; il relativo contributo, inoltre, può essere versato in unica soluzione ovvero in 120 rate mensili senza l’applicazione di interessi per la rateizzazione; è confermata la possibilità che l’interessato eserciti la facoltà di estinguere il debito anche in un numero minore di rate e, comunque, sempre senza applicazione di interessi; infine, la facoltà di riscatto del corso di studi può essere esercitata anche dai soggetti non iscritti ad alcuna forma obbligatoria di previdenza, purché non abbiano iniziato alcuna attività lavorativa in Italia o all’estero (in questo caso, ossia il caso dei cd. “inoccupati”, il cd. “onere di riscatto” è costituito dal versamento di un contributo, per ogni anno da riscattare, pari al livello minimo imponibile annuo per gli artigiani ed i commercianti moltiplicato per l’aliquota di computo delle prestazioni pensionistiche dell’assicurazione generale obbligatoria vigente nell’anno di presentazione della domanda anche per il periodo anteriore al 01.01.1996 e, a fini pensionistici, non dà appunto luogo al passaggio dal sistema contributivo a quello misto; inoltre, il contributo stesso è fiscalmente deducibile dall’interessato e, nel caso il richiedente non abbia un reddito personale, è detraibile, nella misura del 19% dell’importo stesso, dall’imposta dovuta dai soggetti rispetto ai quali l’interessato medesimo risulti fiscalmente a carico; il contributo in questione è poi, sempre in tal caso, versato all’INPS in apposita evidenza contabile separata del FPLD (ossia, il fondo di previdenza dei lavoratori dipendenti) e viene rivalutato secondo le regole del sistema contributivo, con riferimento alla data della domanda, mentre il correlativo montante così maturato viene in seguito trasferito, a domanda dell’interessato, presso la gestione previdenziale nella quale lo stesso sia o sia stato iscritto, e tutto ciò con la precisazione che non sembrerebbe sussistere in siffatte ipotesi un obbligo di presentazione della domanda di trasferimento all’atto dell’iscrizione alla prima gestione previdenziale obbligatoria sicché l’interessato potrà inoltrare tale richiesta anche in un momento successivo indicando, nel caso di diverse gestioni presso le quali sia stato iscritto, quella di preferenza).

In ogni caso, a prescindere dalle predette innovazioni normative introdotte in materia dalla Legge n. 247/2007 s.m.i., va precisato che, per le domande presentate a decorrere dal 01.01.2008, i cd. “oneri da riscatto”, per periodi in relazione ai quali trova applicazione il sistema retributivo ovvero contributivo, possono essere versati ai regimi previdenziali di appartenenza in unica soluzione ovvero in 120 rate mensili senza l’applicazione di interessi per la rateizzazione (l’interessato ha comunque la facoltà di estinguere il debito anche in un numero minore di rate e, in ogni caso, sempre senza l’applicazione di interessi).

Il pensionato, tuttavia, non può richiedere il pagamento rateale ed il pensionamento implica la decadenza dal beneficio della rateizzazione eventualmente in corso con ogni correlativa conseguenza di legge (in sostanza, con conseguente obbligo di pagamento del capitale residuo in un’unica soluzione).

Il mancato versamento della prima rata ovvero il mancato pagamento dell’importo eventualmente dovuto in un’unica soluzione è considerato come rinuncia alla domanda di riscatto che, pertanto, viene archiviata dall’INPS senza ulteriori adempimenti.

La rinuncia (anche implicita, nel senso detto) alla domanda di riscatto non preclude la possibilità di presentare una nuova analoga domanda per lo stesso titolo e periodo (in tal caso, l’onere di riscatto verrà rideterminato con riferimento alla data della nuova domanda – anche per tale ragione, pertanto, non pare che la presentazione di una domanda di riscatto possa vincolare, in linea di massima e nel senso e nei limiti precisati anche sopra, il richiedente medesimo).

Per le rate successive alla prima, il loro pagamento effettuato oltre la scadenza  prevista, ma con un ritardo non superiore a 30 giorni, è consentito per non più di cinque volte (con l’addebito degli interessi di dilazione, se effettuato appunto entro 30 giorni dalla data di scadenza), mentre ulteriori versamenti effettuati oltre i termini assegnati potranno essere, su esplicita richiesta dell’interessato e nel rispetto della vigente normativa, considerati come nuova domanda (presentata il giorno del versamento tardivo) e comporteranno in tal caso la rideterminazione dell’importo da pagare (e ciò, analogamente, nell’ipotesi di tardivo versamento dell’importo eventualmente dovuto in un’unica soluzione).

In ogni caso, i pagamenti effettuati per importi parziali ovvero l’interruzione del pagamento rateale del cd. “onere di riscatto” dovrebbero comportare l’accredito di un periodo assicurativo corrispondente, in proporzione, all’importo del capitale così versato (ed anche ciò potrebbe rilevare sotto il profilo di un eventuale riscatto parziale del corso di studi universitario, sempre ovviamente nei limiti e nei termini tutti già evidenziati e di cui sopra).

Infine, va tenuto presente che non è possibile chiedere la rinuncia o la revoca della contribuzione da riscatto della laurea eventualmente già legittimamente accreditata a seguito del pagamento del relativo onere (dunque, come già accennato, solo il pagamento del cd. “onere” sembrerebbe precludere la rinuncia alla domanda di riscatto medesima – del resto, in questo stesso senso sostanzialmente e con riguardo specifico all’ipotesi di accrediti figurativi come quelli derivanti dagli anni del servizio militare (su cui meglio infra), la stessa Lettera Circolare dell’INPS n. 42 del 17 marzo 2009, come già precisato, chiarisce che “l’accredito della contribuzione figurativa a domanda, riferito a periodi antecedenti il 01.01.1996, facendo assumere al lavoratore la qualità di “vecchio iscritto”, ai fini della non applicazione del massimale contributivo, vale quale “utilizzo” della contribuzione figurativa stessa ai fini delle prestazioni ed è quindi causa ostativa all’esercizio della facoltà di rinuncia all’accredito”, sembrando poi l’espressione “accredito” ivi adoperata riferirsi appunto all’effettivo intervenuto correlativo accreditamento contributivo a seguito dell’accoglimento della relativa domanda dell’interessato e non già alla semplice presentazione della stessa, ovviamente sempre nei limiti e nei termini tutti più volte ricordati).

Quindi, fermo restando ancora una volta tutto quanto precede da un punto di vista strettamente tecnico-giuridico ed in relazione alla correlativa fattispecie generale ed astratta e sia pure con tutte le incertezze ed i dubbi anche interpretativi che – come già accennato –  la complessità tecnico-giuridica e la delicatezza anche da un punto di vista socio-economico delle questioni qui in rilievo inevitabilmente comportano, sembra in ogni caso opportuno ribadire nuovamente, appunto, la circostanza che il singolo soggetto interessato è tenuto ad effettuare tutte le necessarie verifiche con precipuo riferimento alla propria posizione individuale tramite i competenti organi ed uffici dell’Ente previdenziale di riferimento (segnatamente, per quanto concerne il personale appartenente ai ruoli della magistratura ordinaria, con i competenti uffici ed organi dell’INPS-Gestione Separata Dipendenti Pubblici – le dette informazioni, almeno in parte e sempre in un’ottica di esame della sola fattispecie generale ed astratta quale quella fatta propria in questa sede ed ai fini della presente monografia, possono essere anche reperite on-line attraverso il portale internet dello stesso INPS-Istituto Nazionale della Previdenza Sociale, portale internet cui si è fatto riferimento, almeno in parte, anche per le ricerche in senso ampio normative e giurisprudenziali resesi necessarie al fine della predisposizione di questa e della precedente monografia – sopra più volte già ricordata – dedicata al tema de quo), e tutto ciò anche in relazione ai correlativi costi che, invero, variano molto a seconda del singolo caso concreto e richiedono l’effettuazione di calcoli complessi e necessariamente individualizzati, come già detto (a mero titolo d’esempio, una donna di 40 anni d’età nata il 07.04.1971 e con 11 anni di anzianità contributiva nonché con una retribuzione maturata nelle ultime 52 settimane pari ad €35.949/39, se volesse riscattare 4 anni di studi universitari risalenti a prima del 01.01.1996, dovrebbe versare approssimativamente la somma di €65.304/85 così calcolata con il metodo della cd. “riserva matematica”; un uomo di 40 anni d’età nato il 12.08.1970 e con 11 anni di anzianità contributiva nonché con una retribuzione maturata nelle ultime 52 settimane pari ad €52.378/46, se volesse riscattare 4 anni di studi universitari risalenti a prima del 01.01.1996, dovrebbe versare approssimativamente la somma di €59.750/60 così calcolata con il metodo della cd. “riserva matematica”; una donna di 27 anni d’età nata il 29.11.1984 e con 1 anno di anzianità contributiva nonché con una retribuzione maturata nelle ultime 52 settimane pari ad €21.581/46, se volesse riscattare 4 anni di studi universitari risalenti a dopo il 31.12.1995, dovrebbe versare approssimativamente la somma di €28.487/53 così calcolata con il metodo cd. “a percentuale”; un uomo di 27 anni d’età nato il 02.11.1984 e con 1 anno di anzianità contributiva nonché con una retribuzione maturata nelle ultime 52 settimane pari ad €22.113/29, se volesse riscattare 4 anni di studi universitari risalenti a dopo il 31.12.1995, dovrebbe versare approssimativamente la somma di €29.189/54 così calcolata sempre con il metodo cd. “a percentuale”).

Nell’ottica di una ponderazione complessiva dei costi/benefici connessi ad un eventuale riscatto del corso di studi universitario ed assimilati ai fini dell’inapplicabilità del meccanismo del cd. “massimale contributivo” nei termini tutti fin qui precisati, deve poi rilevarsi che gli importi versati per il cd. “riscatto” del corso di laurea ed assimilati sono ad oggi oneri deducibili dal reddito complessivo rilevante a fini IRPEF (secondo quanto già precisato innanzi) e che, a tal fine, l’INPS dovrebbe provvedere all’invio, all’inizio dell’anno solare successivo ai versamenti in questione, di un’apposita attestazione utile appunto a fini fiscali.

Tra i costi del riscatto deve poi essere considerato anche il minor importo della retribuzione netta così percepita, ciò che costituisce appunto conseguenza immediata e diretta del maggior prelievo contributivo dovuto all’inapplicabilità del cd. “massimale contributivo” a seguito del riscatto medesimo.

Analogamente, applicandosi il cd. “massimale contributivo”, diminuirà altresì la base di retribuzione su cui vengono calcolate le relative ritenute per il Fondo Pensione e per il Fondo Credito anche ex art. 15 della Legge n. 724/1994 s.m.i..

Viceversa, il principale beneficio del cd. “riscatto” (conseguente appunto alla scelta di evitare, per tal via e nei termini già precisati, l’applicazione del cd. “massimale contributivo”) è evidentemente rappresentato dal maggior importo della pensione che, a legislazione invariata, si andrà a percepire all’atto della cessazione del rapporto lavorativo.

Invero, il cd. “riscatto” della laurea e titoli assimilati risulta sostanzialmente funzionale, sempre ad oggi e quindi a legislazione invariata, al perseguimento di un duplice obiettivo, ossia anticipare l’età pensionistica ed aumentare il montante contributivo onde poter appunto ricevere una pensione, in prospettiva, più cospicua.

Tuttavia,  ciò posto e fermo restando tutto quanto precede, sembra comunque opportuno valutare a tal fine se, a parità di risultato che si intende perseguire, convenga o meno riscattare gli anni di studio universitario oppure se vi sia piuttosto una maggiore convenienza nel rendere più consistente l’investimento in un’eventuale forma di previdenza integrativa o complementare.

Ebbene, potrebbe risultare utile in proposito (e sempre restando ferma la necessità ed opportunità per il singolo lavoratore interessato, anche a questi fini, di contattare i competenti uffici ed organi al fine di tracciare un profilo il più dettagliato ed individualizzato possibile in relazione, appunto, alla propria posizione previdenziale anche futura) tenere conto di due fattori, ossia il cd. “PIL” (cioè il “Prodotto Interno Lordo”), essendo il metodo contributivo strutturato sostanzialmente in modo tale da comportare una valutazione dei contributi effettuata sulla base del prodotto interno lordo degli ultimi cinque anni e quindi soggetto all’andamento economico del Paese con il conseguente rischio (in ipotesi) di vedersi rivalutare la pensione con un coefficiente negativo, e le possibili riforme normative (anche in ambito pensionistico) future, come recentemente avvenuto (a mero titolo d’esempio) in occasione delle modifiche normative introdotte appunto in materia dal cd. “Governo Monti”.

Con i fondi pensione, invece, si ha una ripartizione più efficace del rischio previdenziale in quanto gli stessi risultano, in linea di massima, assoggettati ad una normativa differente rispetto a quella del sistema obbligatorio (si pensi, ad esempio, alle forme pensionistiche complementari in cui è possibile anticipare parte dell’importo, in presenza di determinate condizioni).

D’altro canto, anche la disciplina della previdenza complementare può subire mutamenti nel corso del tempo (tanto per fare anche in tal caso un esempio, basti pensare al fatto che la recente cd. “Legge di Stabilità 2015” (ossia la Legge n. 190/2014 s.m.i.) ha incrementato l’aliquota relativa alla tassazione dei rendimenti annuali dei fondi pensione portandola dall’11% al 20% sin dall’anno 2014 (sia pure con l’esclusione dei rendimenti dei Titoli di Stato eventualmente presenti in portafoglio, per i quali la tassazione è stata fissata al 12,50%) e che già il D.L. n. 66/2014 (convertito, con modificazioni, nella Legge n.89/2014 s.m.i.) aveva previsto l’innalzamento della detta tassazione dall’11% all’11,50%).

Confrontando, invece, le due soluzioni di investimento in oggetto, per così dire, da un punto di vista fiscale, sembra si possa allo stato affermare che sussiste una situazione di sostanziale neutralità sotto tale profilo tra le stesse, e ciò in quanto entrambi i costi sono in linea di massima deducibili (nel rispetto delle correlative disposizioni normative di riferimento e nel rispetto dei relativi limiti, come detto).

In ogni caso, qualunque sia la scelta effettuata in ordine al cd. “riscatto” della laurea ai fini tutti qui in rilievo, va tenuto presente che la stessa può comportare significative ripercussioni anche sotto altri e differenti profili del complessivo trattamento pensionistico futuro del personale non contrattualizzato alle dipendenze della Pubblica Amministrazione tra cui, per quanto in questa sede maggiormente interessa, il personale appartenente ai ruoli della magistratura ordinaria, e ciò sia da un punto di vista giuridico che economico (si pensi, a mero titolo d’esempio, al correlativo trattamento fiscale, appunto; alle diverse modalità di erogazione dei benefici, anche e soprattutto economici, successivi al pensionamento; alla diversa regolamentazione dei presupposti di accesso alla cd. “pensione anticipata”; e così via).

Alla luce di tutto quanto fin qui illustrato, dunque, è possibile affermare, in conclusione, che non esiste allo stato una scelta standard, per così dire, sicuramente conveniente o comunque certamente preferibile rispetto ad un’altra bensì, più propriamente e come appunto già ricordato più volte nel corso della presente monografia, una serie di possibilità e di soluzioni tutte astrattamente convenienti ma di fatto tra loro a volte estremamente divergenti e confliggenti nei presupposti applicativi e nelle conseguenze correlative nonché variabili in base ad una molteplicità di fattori spesso concorrenti, possibilità e soluzioni tra cui il singolo lavoratore interessato è chiamato a scegliere previe le necessarie valutazioni e considerazioni (anche complesse e delicate, ma inevitabilmente individuali e soggettive) del caso.

Tutto quanto fin qui esposto, ovviamente, vale anche con riguardo, sia pure mutatis mutandis e per quanto detto, alle eventuali anzianità pregresse rispetto al 01.01.1996 derivanti dal servizio militare (cfr., in proposito, la detta Lettera Circolare dell’ex INPDAP n. 2359/2008 e, per quanto in questa sede maggiormente interessa, gli artt. 8, 113 e 115 del D.P.R. n. 1092/1973 s.m.i.).

In particolare, i periodi di servizio militare, obbligatorio o volontario, prestato nelle Forze Armate Italiane, compresa l’Arma dei Carabinieri, e quelli ad esso equiparati sono utili, a domanda dell’interessato, per determinare il diritto e la misura di tutti i trattamenti pensionistici, esclusi quelli a carattere assistenziale (come la pensione sociale, l’assegno sociale e le prestazioni concesse agli invalidi civili).

Condizione essenziale per poter ottenere l’accredito figurativo in questione, in ogni caso, è che il periodo di riferimento sia scoperto da contribuzione obbligatoria, ossia i contributi figurativi per servizio militare non possono essere accreditati per i periodi già coperti, totalmente o parzialmente, da contribuzione obbligatoria o volontaria (particolari disposizioni sono previste per i lavoratori agricoli).

Inoltre, per poter ottenere l’accredito de quo è necessario almeno un contributo obbligatorio effettivamente versato, anche se successivo al periodo di servizio militare o riferito ad un rapporto di lavoro svolto all’estero in un paese legato all’Italia da apposita convenzione in materia previdenziale.

La richiesta di accredito può essere presentata in qualsiasi momento della vita assicurativa, senza alcun termine di prescrizione (ad esempio, potrebbe essere presentata al fine di richiedere l’aggiornamento del proprio conto assicurativo e, quindi, indipendentemente dalla richiesta di una prestazione ovvero anche in occasione della presentazione di una domanda di prestazione o, ancora, contestualmente alla domanda di pensione).

Viceversa, la domanda presentata dopo la liquidazione della pensione determina la ricostituzione della stessa dalla decorrenza originaria e, conseguentemente, il pagamento degli arretrati eventualmente spettanti nei limiti della prescrizione.

La domanda può essere inoltrata anche in via telematica.

In ogni caso, il richiedente deve presentare una dichiarazione sostitutiva di certificazione per attestare l’avvenuto adempimento o meno di detti obblighi ovvero l’esenzione dagli stessi (nella dichiarazione, in particolare, devono essere indicati i periodi richiesti ed il distretto o l’ufficio militare di appartenenza, salvi eventuali correlativi controlli da parte dell’INPS presso il Distretto o l’Ufficio Militare indicato dall’interessato stesso).

Può poi essere richiesto l’accreditamento figurativo de quo anche da parte degli ex militari volontari dell’Esercito, dell’Aeronautica, dei Carabinieri e della Marina, ma solo se la particolare normativa ad essi applicabile non preveda espressamente la costituzione di una posizione assicurativa nell’Assicurazione Generale Obbligatoria ai sensi della Legge n.322/1958 s.m.i..

Pertanto, se non sussistono elementi di preclusione, è possibile accreditare la contribuzione figurativa solo se il periodo di servizio militare volontario non eccede la durata della ferma di leva ovvero se prestato durante la seconda guerra mondiale.

È inoltre previsto l’accredito dei contributi figurativi in questione, in quanto equiparati al servizio militare, anche per i periodi di servizio non armato e di servizio sostitutivo civile prestato a seguito di riconoscimento dell’obiezione di coscienza (per i quali viene apposta specifica annotazione sul relativo foglio matricolare).

L’accredito dei contributi figurativi non è previsto però per i periodi di servizio di volontariato civile prestato nei paesi in via di sviluppo (in quanto per tali periodi, non equiparati al servizio militare, è prevista solo la possibilità di richiedere il rinvio del servizio militare di leva e, successivamente, la dispensa dal servizio militare stesso), per il servizio civile prestato nei Comuni terremotati della Valle del Belice ed in quelli di Tuscania e Arlenia di Castro (in quanto tali periodi comportano il pagamento di una retribuzione ed il versamento dei previsti contributi previdenziali) e per il servizio civile prestato dai volontari avviati successivamente al 01.01.2006.

Per ragioni di mera completezza, infine, va osservato che l’accredito può essere effettuato solo per i periodi di effettivo servizio e, quindi, non è possibile accreditare i periodi di detenzione in attesa di giudizio, se seguiti da sentenza di condanna e da reclusione successiva alla condanna stessa (sono pertanto accreditabili i periodi di detenzione seguiti da sentenza assolutoria); i periodi di licenza illimitata o straordinaria senza assegni seguita da congedo ovvero in attesa del trattamento di quiescenza; i periodi di diserzione, anche se la relativa condanna sia stata in seguito assoggetta ad amnistia o indulto; i periodi di assenza arbitraria, anche se non seguita da denuncia; i periodi di licenza concessa per motivi privati o a domanda; il servizio militare prestato nelle formazioni della ex Repubblica Sociale Italiana (Repubblica di Salò) dopo il 08.09.1943; e, infine, i periodi di servizio già utilizzati in altre forme di previdenza, siano esse esclusive ovvero sostitutive dell’assicurazione generale obbligatoria.

E’ inoltre importante evidenziare che, al contrario del cd. “riscatto” (di cui si è in precedenza già detto e che richiede appunto un pagamento ovvero un esborso, a volte anche consistente, di denaro da parte dell’interessato, secondo quanto in precedenza già chiarito), l’accredito di contributi figurativi per il servizio militare ed assimilati è gratuito: invero, i predetti contributi figurativi sono contributi fittizi che non vengono versati né dal datore di lavoro né dall’interessato bensì, semplicemente e direttamente, accreditati dall’INPS a domanda dell’interessato medesimo, ciò che, evidentemente, muta sensibilmente i suesposti termini dell’analisi costi/benefici circa l’opportunità di evitare o meno l’applicazione del cd. “massimale contributivo” di cui si è parlato in precedenza a proposito del cd. “riscatto” degli anni del corso di laurea ed assimilati (peraltro, tale circostanza potrebbe rilevare anche in ordine al profilo, di cui si è detto in precedenza, afferente la valutazione della convenienza e, ancora più a monte, della giuridica possibilità di riscattare una parte soltanto del corso di studi universitario ed assimilati, restando evidentemente in tal caso siffatto aspetto assorbito, per così dire, dalla natura stessa dell’accredito contributivo de quo).

Anche in tal caso, comunque e come già evidenziato pure con riguardo appunto all’ipotesi del cd. “riscatto” degli anni del corso di laurea ed assimilati e fermo restando tutto quanto precede nei limiti pure già precisati in precedenza, sembra opportuno che ogni singolo interessato effettui le verifiche del caso presso i competenti uffici ed organi previdenziali (nello specifico, INPS-Gestione Separata Dipendenti Pubblici), fornendo, ove occorra, le informazioni necessarie e comunicando l’eventuale presentazione della correlativa domanda di accredito all’Amministrazione di riferimento.

Proprio sotto quest’ultimo profilo viene in rilievo un altro di quei recenti sviluppi relativi alla materia de qua che, come detto, hanno reso necessaria ed opportuna la redazione della presente monografia al fine di approfondire appunto alcune delle questioni (quelle più significative) già affrontate nel precedente scritto dedicato a questo tema e di cui sopra si è più volte già parlato, ossia la questione concernente la natura e la rilevanza a questi fini degli adempimenti recentemente richiesti al personale appartenente ai ruoli della magistratura ordinaria con la nota del Ministero della Giustizia con prot. n. 0130184-U del 27.11.2015 con cui si è deciso, sostanzialmente, di avviare una generale ricognizione della posizione contributiva di tutti i magistrati ordinari assunti successivamente al 31.12.1995 chiedendo loro di attivarsi e di trasmettere all’uopo una dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà (redatta su apposito modulo allegato alla predetta nota medesima) attestante l’eventuale esistenza di anzianità contributive pregresse al 01.01.1996.

In particolare, tale modulo (corredato di copia fotostatica non autenticata di un documento di identità del dichiarante, ove non sottoscritto dall’interessato in presenza del dipendente addetto) dovrà essere trasmesso all’Amministrazione de qua  da ogni singolo interessato entro il 31.12.2015 mediante deposito presso le Segreterie dei Capi degli Uffici Giudiziari ove presta servizio (fatta eccezione per i magistrati in servizio presso l’Amministrazione Centrale, la Corte di Cassazione, la Procura Generale della Corte di Cassazione, il Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche e la D.N.A., magistrati che dovranno viceversa trasmettere il modulo in questione sempre entro il 31.12.2015 ma a mezzo di apposita e-mail indirizzata a “dgmagistrati.dog@giustiziacert.it”).

Invero, come già evidenziato, l’esistenza di un’eventuale anzianità contributiva pregressa al 01.01.1996 (pur se frutto del cd. “riscatto” degli anni di laurea ed assimilati già ottenuto o quanto meno già richiesto, anche se si è in attesa di conoscere il relativo importo da corrispondere all’Ente previdenziale di riferimento, ovvero pur se derivante da cd. “accredito figurativo” del periodo del servizio militare ed assimilati) può, se ritualmente comunicata all’Amministrazione di appartenenza e previa verifica da parte dei competenti uffici ed organi dei relativi presupposti applicativi previsti dalle correlative fonti normative anche in senso lato secondarie, comportare l’inapplicabilità del cd. “massimale contributivo”.

Dunque, la scelta dell’Amministrazione di procedere alla ricognizione delle posizioni di tutti i magistrati ordinari assunti tra il 01.01.1996 ed il 31.12.2015 appare prima facie corretta, dovendo appunto il datore di lavoro attivarsi in tal senso sin da quando la retribuzione del dipendente interessato (nella specie, il personale appartenente ai ruoli della magistratura ordinaria) abbia superato il cd. “massimale contributivo” medesimo (e fermi restando, comunque, eventuali ulteriori oneri di comunicazione da parte dell’interessato in ordine a situazioni, anche sopravvenute, rilevanti a tali fini).

Si ritiene tuttavia opportuno precisare, al riguardo, che il termine concesso per l’inoltro della detta autocertificazione (ossia il 31.12.2015) non sembrerebbe avere natura perentoria.

Infatti, come chiarito dalla più volte citata Lettera Circolare dell’INPS n. 42 del 17 marzo 2009 (menzionata anche nella detta nota del Ministero della Giustizia con prot. n.0130184-U del 27.11.2015) quanto meno con riguardo all’ipotesi del cd. “riscatto” degli anni di laurea ed assimilati, se l’anzianità contributiva pregressa già esiste o verrà comunque ad esistenza in futuro, il cd. “massimale contributivo” non si applicherà in ogni caso per il periodo successivo alla comunicazione al datore di lavoro, da parte del dipendente, dell’esistenza di tale anzianità contributiva pregressa.

Occorrerebbe quindi approfondire con la stessa Amministrazione di riferimento se, sul presupposto dell’avvenuta effettuazione in questi anni di ritenute previdenziali anche sull’eccedenza rispetto al cd. “massimale contributivo”, la stessa abbia inteso così concedere il termine in questione anche ad altri fini e, segnatamente, occorrerebbe chiarire se la comunicazione in oggetto relativa all’eventuale esistenza di anzianità contributiva pregressa ai fini qui in rilievo, ove effettuata entro il 31.12.2015, comporti l’inapplicabilità del cd. “massimale contributivo” non solo a far data dalla comunicazione stessa (come, appunto, esplicitamente previsto dalla citata Lettera Circolare dell’INPS n. 42 del 17 marzo 2009 per l’ipotesi del cd. “riscatto” degli anni di laurea ed assimilati), ma anche fin dal momento (evidentemente anteriore) in cui la retribuzione del personale appartenente ai ruoli della magistratura ordinaria interessato abbia superato il cd. “massimale contributivo” medesimo.

E’ infatti evidente che solo in tale seconda ipotesi le somme precedentemente trattenute oltre il cd. “massimale contributivo” non sarebbero state indebitamente ritenute, in quanto confluenti a pieno titolo nel relativo trattamento pensionistico senza alcuna applicazione, appunto, del cd. “massimale contributivo”.

Ove così non fosse, invece, potrebbe reputarsi attuata, per tale via, una sorta di moratoria valida, ai fini qui in rilievo, dal momento del superamento del cd. “massimale contributivo” e fino al 31.12.2015, termine individuato così come momento decisivo a tali fini.

Nell’incertezza che ne deriva, dunque, sembrerebbe opportuno, al momento ed anzitutto (e salvi in ogni caso eventuali sviluppi futuri, anche a livello normativo e di interpretazione autentica), inoltrare l’autocertificazione di cui alla detta nota del Ministero della Giustizia con prot. n.0130184-U del 27.11.2015 anche in caso di assenza di anzianità contributive pregresse al 01.01.1996 al fine di evitare, quanto meno per il futuro ed anche evidentemente per coloro che allo stato non percepiscono ancora una retribuzione superiore alla soglia del cd. “massimale contributivo”, eventuali prelievi previdenziali oltre la predetta soglia del cd. “massimale contributivo” una volta raggiunta la stessa (anche se va evidenziato comunque, per ragioni di completezza e correttezza espositive, che nella suddetta nota del Ministero della Giustizia con prot. n.0130184-U del 27.11.2015 è previsto una sorta di meccanismo di autocertificazione per esclusione rispetto a coloro che non vantano un’anzianità contributiva pregressa rilevante a questi fini, e ciò allo scopo di agevolare la raccolta da parte dell’Amministrazione stessa delle informazioni de quibus rispetto ad una platea di potenziali interessati in ipotesi ampia e numerosa), e, in secondo luogo, sembrerebbe altresì opportuno (sempre allo stato) diffidare cautelativamente l’Amministrazione di appartenenza e/o l’Ente previdenziale di riferimento alla restituzione dei prelievi eventualmente già operati in passato indebitamente sulla parte di reddito eccedente il cd. “massimale contributivo” maggiorati dei relativi interessi di legge e tenendo conto del relativo termine prescrizionale.

Da ultimo, per completare il discorso concernente i recenti sviluppi relativi alla materia de qua che, come detto, hanno reso necessaria ed opportuna la redazione della presente monografia al fine di approfondire appunto alcune delle questioni (quelle più significative) già affrontate nel precedente scritto dedicato a questo tema e di cui sopra si è più volte già parlato, sembra utile evidenziare alcuni profili riguardanti la cd. “buonuscita” rilevanti anch’essi ai fini in oggetto.

Invero, com’è noto, le prestazioni previdenziali in senso ampio garantite per legge ai dipendenti pubblici ed ai loro superstiti vengono gestite dall’INPS-Gestione Separata Dipendenti Pubblici e consistono fondamentalmente, oltre che nelle diverse tipologie di pensione e per quanto qui maggiormente interessa, in quell’insieme di prestazioni assicurate appunto alla fine del rapporto di lavoro in questione ed identificabili nei trattamenti di fine servizio (in sigla TFS – ossia, l’indennità di buonuscita e l’indennità premio di servizio) e nel trattamento di fine rapporto (in sigla TFR).

Tra le prestazioni di carattere previdenziale in commento va poi ricordata, sia pure incidenter tantum, l’assicurazione sociale-vita, ossia quell’indennità economica corrisposta in caso di decesso dell’iscritto o di un suo familiare che sia a carico dello stesso e che è riservata al personale dipendente da Enti di diritto pubblico, economici e non, per i quali l’iscrizione all’assicurazione sociale-vita è obbligatoria, ivi compresi i dipendenti di Enti morali o di Organismi associativi iscritti in via facoltativa o convenzionale all’assicurazione sociale-vita medesima e con esclusione del personale statale e di quello degli Enti locali.

Ebbene, come pure è noto, hanno diritto al TFR i dipendenti assunti con contratto a tempo indeterminato dopo il 31.12.2000, ad eccezione delle categorie cd. “non contrattualizzate”; i dipendenti assunti con contratto a tempo determinato, in corso o successivo al 30.05.2000, della durata minima di 15 giorni continuativi nel mese; ed i dipendenti assunti con contratto a tempo indeterminato entro il 31.12.2000 che aderiscono ad un fondo di previdenza complementare (in tal caso il passaggio al TFR è automatico).

Il TFR, inoltre, consiste sostanzialmente in una somma di denaro corrisposta al lavoratore dipendente (nei detti casi) al termine del relativo rapporto di lavoro, somma il cui importo è determinato dall’accantonamento di una quota pari al 6,91% della retribuzione annua, e dalle relative rivalutazioni, per ogni anno di servizio o frazione di anno (in quest’ultimo caso la quota è ridotta in proporzione e si computa come mese intero la frazione di mese uguale o superiore a 15 giorni).

I trattamenti di fine servizio (TFS) invece, comunque denominati, consistono, com’è noto, in quell’insieme di prestazioni spettanti (quale somma di denaro una tantum), al termine del servizio ed alle condizioni meglio specificate di seguito, ai dipendenti della Pubblica Amministrazione assunti prima del 01.01.2001.

In particolare, per l’individuazione della tipologia di TFS spettante occorre distinguere in base all’Amministrazione presso la quale si presta o si è prestato servizio: la cd. “indennità premio di servizio” spetta infatti a favore dei dipendenti degli Enti locali, del Servizio Sanitario Nazionale e degli altri Enti iscritti al fondo di previdenza ex INADEL assunti con contratto a tempo indeterminato prima del 31.12.2000 e che hanno risolto, per qualsiasi causa, il loro rapporto di lavoro e quello previdenziale con almeno un anno di iscrizione; la cd. “indennità di buonuscita”, invece, spetta ai lavoratori iscritti al fondo di previdenza per i dipendenti civili e militari dello Stato assunti con contratto a tempo indeterminato prima del 31.12.2000 e che hanno risolto, per qualunque causa, il loro rapporto di lavoro e quello previdenziale con almeno un anno di iscrizione.

Rimane in ogni caso in trattamento di fine servizio, inteso quale TFS-indennità di buonuscita, tutto il personale cd. “non contrattualizzato” alle dipendenze della Pubblica Amministrazione (come, a mero titolo d’esempio, i militari, i docenti ed i ricercatori universitari, gli avvocati e procuratori dello Stato, il personale della carriera diplomatica e prefettizia, il personale dei Vigili del Fuoco, i dipendenti della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica e quelli del Segretariato Generale della Presidenza della Repubblica nonché, per quanto in questa sede maggiormente interessa, il personale appartenente ai ruoli della magistratura ordinaria), ivi compreso quello assunto successivamente al 31.12.2000.

L’indennità di buonuscita, in particolare, consiste in una somma di denaro corrisposta al lavoratore quando termina il servizio e si determina sostanzialmente moltiplicando un dodicesimo dell’80%  della retribuzione annua lorda percepita alla cessazione dal servizio, comprensiva della tredicesima mensilità, per il numero degli anni utili (cfr., in proposito, il D.P.R. n.1032/1973 s.m.i.).

A partire dal 01.05.2014, inoltre, tale retribuzione annua lorda non può eccedere la soglia degli €240.000/00 lordi e si considera come anno intero la frazione di anno superiore a sei mesi (mentre quella pari o inferiore a sei mesi viene trascurata).

Per anni utili, poi, si intendono i servizi resi con iscrizione al fondo di previdenza, quelli riscattati e quelli relativi ad anzianità di servizio convenzionali la cui copertura previdenziale è prevista da apposite disposizioni legislative.

L’indennità di buonuscita è corrisposta d’ufficio e, quindi, il lavoratore non deve presentare alcuna istanza per ottenere detta prestazione (anche se il diritto alla buonuscita – o ad eventuali riliquidazioni o aggiornamenti della stessa nel tempo – si prescrive dopo cinque anni dal momento in cui è sorto, e ciò sia per gli iscritti sia per i loro superstiti, prescrizione che può evidentemente essere interrotta da qualsiasi atto dell’interessato rivolto all’INPS-Gestione Separata Dipendenti Pubblici o all’Amministrazione di appartenenza dal quale possa rilevarsi univocamente l’intenzione di avvalersi del diritto stesso).

L’iscrizione all’INPS-Gestione Separata Dipendenti Pubblici ai fini dell’indennità di buonuscita comporta l’obbligo del versamento di un contributo che, per ogni iscritto, è pari al 9,60% della retribuzione contributiva annua (ex art. 18 della Legge n. 75/1980 s.m.i.) e che  grava sul lavoratore per una percentuale dell’aliquota complessiva pari al 2,50%.

Infine, va tenuto presente che i lavoratori con diritto all’indennità di buonuscita che aderiscono ad un fondo di previdenza complementare scelgono automaticamente il TFR, sicché il valore dell’indennità di buonuscita maturata fino a quel momento costituirà in tal caso il montante al quale si aggiungeranno i nuovi accantonamenti annui per il TFR e le relative rivalutazioni.

Orbene, per quanto in questa sede maggiormente interessa e come già accennato, sono utili ai fini dell’indennità di buonuscita i servizi di ruolo; i servizi non di ruolo, purché di durata non inferiore ad un anno continuativo (ex artt. 1 e 4 della Legge n. 1077/1966 s.m.i.); i servizi ricongiunti ai sensi della Legge n. 523/1954 s.m.i.; i servizi con periodi di iscrizione IPOST-ex ENPAS; i servizi con periodi di iscrizione OPAFS-ex ENPAS; i servizi ricongiunti ai sensi dell’art. 28 della Legge n. 23/1986 s.m.i. (ossia, personale docente e non docente delle università statizzate) e dell’art. 4, comma 4, della Legge n. 243/1991 s.m.i. (ossia, professori e ricercatori delle università libere); i servizi resi presso Enti disciolti; i servizi resi dal personale interessato alle norme sulla mobilità; il servizio militare di leva in corso o successivo alla data del 30.01.1987 (data di entrata in vigore della Legge n.958/1986 s.m.i.) effettuato da personale assunto in servizio dopo tale data e che cessi dal rapporto di lavoro in posizione di ruolo; le anzianità di servizio convenzionali la cui copertura previdenziale è prevista da apposite disposizioni legislative; ed i servizi e periodi riscattati.

Dunque, questo essendo il relativo quadro normativo di riferimento, sembrerebbe potersi concludere nel senso che il cd. “riscatto” degli anni del corso di studi universitario ed assimilati e gli eventuali contributi figurativi connessi al servizio militare ed assimilati possano essere utili, oltre che ai fini della detta normativa sul cd. “massimale contributivo” e nei correlativi limiti e termini tutti sopra già ricordati, anche sotto il profilo dell’ammontare dell’indennità di buonuscita che, appunto, è determinata sostanzialmente moltiplicando un dodicesimo dell’80% della retribuzione annua lorda percepita alla cessazione dal servizio, comprensiva della tredicesima mensilità, per il numero degli anni utili, per tali intendendosi anche il servizio militare di leva in corso o successivo alla data del 30.01.1987 (data di entrata in vigore della Legge n. 958/1986 s.m.i.) effettuato da personale assunto in servizio dopo tale data e che cessi dal rapporto di lavoro in posizione di ruolo nonché i servizi ed i periodi riscattati, fermo restando in ogni caso il limite di €240.000/00 con riferimento alla detta retribuzione annua lorda percepita alla cessazione dal servizio (compresa la tredicesima mensilità) rilevante a tali fini e considerando come anno intero la sola frazione di anno superiore a sei mesi (cfr., in proposito ed in particolare, il già ricordato D.P.R. n.1032/1973 s.m.i. – si ricordi altresì, come già evidenziato, che i lavoratori con diritto all’indennità di buonuscita che aderiscono ad un fondo di previdenza complementare scelgono automaticamente il TFR, sicché il valore dell’indennità di buonuscita maturata fino a quel momento costituirà in tal caso il montante al quale si aggiungeranno i nuovi accantonamenti annui per il TFR e le relative rivalutazioni).

Ovviamente, fermo restando tutto quanto precede da un punto di vista strettamente tecnico-giuridico ed in relazione alla correlativa fattispecie generale ed astratta e sia pure con tutte le incertezze ed i dubbi anche interpretativi che – come già accennato –  la complessità tecnico-giuridica e la delicatezza anche da un punto di vista socio-economico delle questioni qui in rilievo inevitabilmente comportano, sembra in ogni caso opportuno ribadire nuovamente, ed anche a tali fini, la necessità che il singolo soggetto interessato effettui anche sotto quest’ultimo profilo (come appunto già evidenziato in precedenza rispetto alle altre connesse tematiche affrontate nell’ambito della presente monografia) le necessarie verifiche con precipuo riferimento alla propria posizione individuale tramite i competenti organi ed uffici dell’Ente previdenziale di riferimento (segnatamente, per quanto concerne il personale appartenente ai ruoli della magistratura ordinaria, tramite i competenti uffici ed organi dell’INPS-Gestione Separata Dipendenti Pubblici), e ciò anche in relazione ai relativi costi che, invero, variano molto a seconda del singolo caso concreto e richiedono l’effettuazione di calcoli necessariamente individualizzati nonché, conseguentemente, in relazione altresì all’analisi dei correlativi costi/benefici.

Del resto, non potrebbe essere diversamente, attesa la particolare natura dei diritti e delle posizioni giuridiche soggettive di cui qui si controverte e rispetto ai quali, probabilmente, sarebbe opportuno riflettere tenendo conto, più in generale, del fatto che attualmente il concorso per l’accesso ai ruoli della magistratura ordinaria è di fatto strutturato alla stregua di un concorso pubblico di secondo grado, con tutto ciò che ne consegue anche sotto il profilo (qui in rilievo, in particolare) dell’età, evidentemente così più avanzata, di accesso al mondo del lavoro rispetto a quanto accadeva in passato, e sotto il profilo, connesso, del futuro trattamento pensionistico proprio di siffatta categoria di lavoratori della Pubblica Amministrazione (peraltro, la natura di concorso pubblico di secondo grado da riconoscere attualmente, a ben vedere, al concorso per l’accesso ai ruoli della magistratura ordinaria sembra avere significative ripercussioni anche sotto il profilo della cd. “anzianità convenzionale” rilevante anch’esso, evidentemente e sia pure incidentalmente ed indirettamente, sotto il particolare aspetto e la particolare tematica qui esaminati – al tema si è già dedicata apposita monografia del 05.07.2015 pubblicata sul portale internet “Centro Studi Giuridici – Nino Abbate”).    

Insomma, come più volte già evidenziato e come risulta evidente da tutto quanto fin qui esposto, trattasi di tematica estremamente complessa e delicata involgente molteplici aspetti ed interessi tutti ugualmente meritevoli di tutela giuridica e, pertanto, da approfondire con spirito costruttivo e collaborativo eventualmente anche mediante la costituzione di un tavolo tecnico con le istituzioni ed i soggetti tutti a vario titolo interessati dalle vicende normative in commento nel tentativo di individuare la soluzione più adeguata rispetto alle varie problematiche tecnico-giuridico-applicative in rilievo nel caso di specie, tavolo tecnico la cui costituzione sarebbe auspicabile anche in funzione dell’istituzione e regolamentazione di adeguate forme di previdenza ed assistenza complementare in favore del personale appartenente ai ruoli della magistratura ordinaria, così come già avvenuto rispetto ad altre categorie di lavoratori del settore pubblico, nella prospettiva di assicurare una sempre maggiore sostenibilità dell’intero sistema pensionistico italiano e, al tempo stesso e come richiesto anche dal contesto normativo e socio-economico europeo in cui l’Italia si trova attualmente a vivere ed operare, una congrua tutela giuridica in favore delle future generazioni pure sotto il profilo in esame (tutela evidentemente funzionale anch’essa, in ultima istanza, al perseguimento dell’obiettivo – avuto principalmente di mira dal Legislatore della cd. “Riforma Dini delle pensioni” – di assicurare la sostenibilità del sistema pensionistico italiano medesimo).

Non resta, allora, che attendere eventuali ulteriori futuri sviluppi normativi e giurisprudenziali.

Isernia, lì 15 dicembre 2015

Dott. Marco Pietricola     

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