Il concorso in magistratura come concorso di secondo grado: profili economici con particolare riguardo alla cd. “anzianità convenzionale”

di Marco Pietricola

Com’è noto, il concorso per l’accesso alla magistratura ordinaria si atteggia da alcuni anni, e precisamente dalla data di entrata in vigore della Legge n. 111/2007, che ha modificato il Decreto Legislativo n. 160/2006, alla stregua di un cd. “concorso pubblico di secondo grado” essendo necessario, oltre al conseguimento della “classica” laurea in giurisprudenza (e salvo il possesso di altri requisiti afferenti, in particolare ma non solo, il pieno godimento dei diritti civili nonché l’incensurabilità della propria condotta),  anche il possesso dei requisiti indicati analiticamente dal disposto dell’articolo 2 del predetto Decreto Legislativo n. 160/2006, ossia, tenuto conto che ai fini dell’anzianità minima di servizio necessaria per l’ammissione non sono cumulabili le anzianità maturate in più categorie fra quelle previste e di seguito specificate, al concorso per esami per l’accesso alla magistratura ordinaria sono ammessi: a) i magistrati amministrativi e contabili; b) i procuratori dello Stato che non sono incorsi in sanzioni disciplinari; c) i dipendenti dello Stato, con qualifica dirigenziale o appartenenti ad una delle posizioni dell’area C prevista dal vigente contratto collettivo nazionale di lavoro-comparto Ministeri, con almeno cinque anni di anzianità nella qualifica e che abbiano costituito il rapporto di lavoro a seguito di concorso per il quale era richiesto il possesso del diploma di laurea in giurisprudenza conseguito, salvo che non si tratti di seconda laurea, al termine di un corso universitario di durata non inferiore a quattro anni e che non sono incorsi in sanzioni disciplinari; d) gli appartenenti al personale universitario di ruolo docente in materie giuridiche in possesso del diploma di laurea in giurisprudenza che non sono incorsi in sanzioni disciplinari; e) i dipendenti, con qualifica dirigenziale o appartenenti alla ex area direttiva, della pubblica amministrazione, degli enti pubblici a carattere nazionale e degli enti locali, che abbiano costituito il rapporto di lavoro a seguito di concorso per il quale era richiesto il possesso del diploma di laurea in giurisprudenza conseguito, salvo che non si tratti di seconda laurea, al termine di un corso universitario di durata non inferiore a quattro anni, con almeno cinque anni di anzianità nella qualifica o, comunque, nelle predette carriere e che non sono incorsi in sanzioni disciplinari; f) gli abilitati all’esercizio della professione forense e, se iscritti all’albo degli avvocati, non incorsi in sanzioni disciplinari (si noti che per abilitati all’esercizio della professione forense debbono intendersi coloro che hanno superato gli orali dell’esame di avvocato mentre non è necessaria l’iscrizione al relativo albo professionale; viceversa, sono esclusi i semplici abilitati al patrocinio, dopo un anno di pratica forense); g) coloro i quali hanno svolto le funzioni di magistrato onorario (ossia, giudice di pace, giudice onorario di tribunale, vice procuratore onorario, giudice onorario aggregato) per almeno sei anni senza demerito, senza essere stati revocati e senza essere incorsi in sanzioni disciplinari; h) i laureati in possesso del diploma di laurea in giurisprudenza conseguito, salvo che non si tratti di seconda laurea, al termine di un corso universitario di durata non inferiore a quattro anni e del diploma conseguito presso le scuole di specializzazione per le professioni legali previste dall’articolo 16 del Decreto Legislativo n. 398/1997 s.m.i.; i) i laureati che hanno conseguito la laurea in giurisprudenza al termine di un corso universitario di durata non inferiore a quattro anni, salvo che non si tratti di seconda laurea, ed hanno conseguito il dottorato di ricerca in materie giuridiche; l) i laureati che hanno conseguito la laurea in giurisprudenza a seguito di un corso universitario di durata non inferiore a quattro anni, salvo che non si tratti di seconda laurea, ed hanno conseguito il diploma di specializzazione in una disciplina giuridica al termine di un corso di studi della durata non inferiore a due anni presso le scuole di specializzazione di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 162/1982 s.m.i.; m) i laureati che hanno conseguito la laurea in giurisprudenza a seguito di un corso universitario di durata almeno quadriennale e che hanno concluso positivamente lo stage presso gli uffici giudiziari o hanno svolto il tirocinio professionale per diciotto mesi presso l’Avvocatura dello Stato ai sensi dell’art. 73 del Decreto Legge n. 69/2013 nel testo vigente a seguito dell’entrata in vigore del Decreto Legge n. 90/2014 convertito con Legge n. 114/2014.

E’ evidente, dunque, come l’accesso alla magistratura ordinaria sia oggi consentito, salvo il possesso degli ulteriori requisiti di legge di cui sopra si è detto e salvo ovviamente il superamento delle relative prove concorsuali,  solo a coloro che, oltre ad aver completato un determinato percorso di studi universitari, abbiano maturato altresì una significativa esperienza post laureamprofessionalizzante ovvero professionale in senso proprio, e ciò nel chiaro intento, fatto proprio evidentemente dal legislatore della detta riforma normativa,  di assicurare una più attenta selezione dei candidati e degli aspiranti all’accesso alla carriera di magistrato ordinario nella prospettiva, conseguentemente ed in ultima istanza, di innalzare la qualità del servizio-giustizia, per così dire, fornito ai consociati.

Questi apparendo in sostanza il contenuto e la ratio della riforma delle disposizioni legislative e regolamentari concernenti l’accesso alla magistratura ordinaria, occorre allora chiedersi se tutto ciò non si traduca altresì nell’opportunità e, per certi aspetti, nella necessità di assicurare anche, sempre a livello normativo, il riconoscimento – sia in termini di carriera che da un punto di vista economico – di siffatta maggiore specializzazione e professionalizzazione dei “vincitori” del relativo concorso pubblico.

Ebbene, una prima risposta parrebbe pervenire dalla lettura dell’articolo 4, comma 2, della Legge n. 425/1984 s.m.i., in base al quale: “I periodi di servizio e di attività professionale, richiesti dai rispettivi ordinamenti per l’accesso alle carriere di magistratura e di avvocatura dello Stato, sono riconosciuti, in favore dei magistrati e degli avvocati dello Stato nominati a seguito di pubblico concorso, nella misura fissa di cinque anni e sono valutati attribuendo un beneficio del 3 per cento per ciascun anno, da calcolare sullo stipendio o livello retributivo iniziali dell’attuale carriera di appartenenza”.

Trattasi all’evidenza di una norma che riconosce una cd. “anzianità convenzionale” di cinque anni in favore di tutti coloro che per l’accesso nei rispettivi ruoli di appartenenza del personale di magistratura hanno appunto sostenuto e superato un cd. “concorso pubblico di secondo grado” ossia un concorso pubblico per l’accesso al quale, come già evidenziato in precedenza, è necessario, oltre al conseguimento di un determinato titolo di studio (in genere, di carattere universitario), anche il possesso e la maturazione di una data pregressa attività in senso lato professionalizzante.

Inoltre, in base alla prevalente giurisprudenza amministrativa, tale cd. “anzianità convenzionale” rileva esclusivamente da un punto di vista e sotto un profilo di carattere economico-retributivo e non rispetto ad aspetti di natura giuridica ovvero afferenti alle relative e rispettive progressioni di carriera e, soprattutto, non si atteggia alla stregua di un istituto giuridico illogico ed irrazionale rispondendo anzi pienamente, a ben vedere, ai principi di rilevanza costituzionale ed europea di uguaglianza e ragionevolezza (in questo senso, fra le altre, cfr.: Cons. Stato, n. 1636/2003; T.A.R. Lazio – Roma, n. 8243/2011 e T.A.R. Sicilia – Catania, n. 574/2011).

In particolare, è stato ritenuto che “La scelta legislativa di applicare parametri stipendiali differenti al personale di magistratura che ha avuto accesso nei ruoli con un concorso di secondo grado, escludendo dal beneficio coloro che invece hanno avuto accesso ai propri ruoli con un concorso di primo grado, seppure produce le opinabili conseguenze pratiche evidenziate dai ricorrenti (e cioè che a parità di lavoro e di funzioni si possa avere diritto ad una remunerazione inferiore), non si presenta illogica ed irrazionale. Chi è stato assunto in servizio a seguito di un concorso di primo grado ha infatti goduto del vantaggio di potervi partecipare prescindendo dal possesso di altri titoli di studio, professionali o didattici, che, se richiesti, avrebbero potuto precluderne la partecipazione, ove non posseduti; e la evidente diversa situazione di partenza tra i magistrati fin qui considerati giustifica, sul piano logico (oltre che dei principi costituzionali e comunitari), le scelte normative prima richiamate, salva la possibilità di possibili ripensamenti da parte del legislatore nella sede sua propria, ossia “de iure condendo”(così, nello specifico, cfr.: T.A.R. Sicilia – Catania, n. 574/2011, poc’anzi già ricordata).   

Il Consiglio di Stato, inoltre, ha espressamente affermato che “Le agevolazioni o i benefici di qualsiasi specie, come i riconoscimenti di anzianità convenzionali, in quanto di carattere derogatorio, costituiscono il frutto di scelte discrezionali dell’Autorità regolatrice, con la conseguenza che, in via di principio, non può pretendersene l’estensione ad altre situazioni non espressamente previste”  (in tal senso, cfr.: Cons. Stato, n. 1264/2003).    

Questo essendo il quadro normativo e giurisprudenziale di riferimento, occorre allora domandarsi se, tutto ciò premesso e considerato, non debba concludersi per il riconoscimento dei benefici derivanti dalla cd. “anzianità convenzionale” anche in favore di coloro che abbiano avuto accesso alla magistratura ordinaria a seguito del superamento del relativo concorso pubblico così come rimodulato ad opera della normativa sopra richiamata ossia, come già detto, così come rimodulato e ridisegnato a seguito dell’entrata in vigore della Legge n. 111/2007 di modifica del Decreto Legislativo n. 160/2006 (cd. “Riforma Mastella”).

Orbene, si è in precedenza utilizzato il condizionale, laddove si è parlato del fatto che una prima risposta all’interrogativo posto in questa sede all’attenzione dell’interprete e del lettore parrebbe pervenire dalla lettura dell’articolo 4, comma 2, della Legge n. 425/1984 s.m.i., in quanto, in realtà, una recente pronuncia dei giudici amministrativi (e cioè T.A.R. Sicilia – Catania, n. 25/2014, una delle poche pronunce, per quanto consta, allo stato rese nella materia de qua, evidentemente ancora in fase evolutiva) ha sì riconosciuto il diritto a beneficiare della cd. “anzianità convenzionale” in questione in favore di coloro che hanno avuto accesso alla magistratura ordinaria a seguito del superamento del relativo e “nuovo” concorso pubblico (ossia, quello delineato come un cd. “concorso pubblico di secondo grado” dalla più volte ricordata riforma legislativa de qua), e tuttavia ciò ha fatto individuando precisi e rigorosi limiti applicativi.

Per comodità espositiva e per la relativa chiarezza ed efficacia argomentativa, si ritiene opportuno, al riguardo, riportare integralmente i tratti salienti della suddetta pronuncia: “Tale analisi deve essere necessariamente condotta attraverso l’esegesi del dato normativo contenuto nell’art. 4, comma 2, della Legge n. 425/1984 che fa espresso riferimento ai “periodi di SERVIZIO e di ATTIVITÀ PROFESSIONALE richiesti dai rispettivi ordinamenti per l’accesso alle carriere di magistratura …”. In altre parole, il riconoscimento dell’estensione del predetto beneficio economico deve passare attraverso la verifica dell’esistenza dei presupposti indicati dall’art. 4 citato (servizio e attività professionale) e non dalla semplice circostanza di aver sostenuto un “concorso di secondo grado”, trattandosi di un’espressione alquanto vasta e indefinita, priva, peraltro, di riferimenti normativi e di alcuna precisa connotazione giuridica. A tal fine, va osservato che il comma 1 dell’art. 2 del D.Lgs. 5 aprile 2006 n. 160, come sostituito dall’art. 1 della Legge 30 luglio 2007, n. 111, dispone che “Al concorso per esami, tenuto conto che ai fini dell’anzianità minima di servizio necessaria per l’ammissione non sono cumulabili le anzianità maturate in più categorie fra quelle previste, sono ammessi: a) i magistrati amministrativi e contabili; b) i procuratori dello Stato che non sono incorsi in sanzioni disciplinari; c) i dipendenti dello Stato, con qualifica dirigenziale o appartenenti ad una delle posizioni dell’area C prevista dal vigente contratto collettivo nazionale di lavoro-comparto Ministeri, con almeno cinque anni di anzianità nella qualifica, che abbiano costituito il rapporto di lavoro a seguito di concorso per il quale era richiesto il possesso del diploma di laurea in giurisprudenza conseguito, salvo che non si tratti di seconda laurea, al termine di un corso universitario di durata non inferiore a quattro anni e che non sono incorsi in sanzioni disciplinari; d) gli appartenenti al personale universitario di ruolo docente di materie giuridiche in possesso del diploma di laurea in giurisprudenza che non sono incorsi in sanzioni disciplinari; e) i dipendenti, con qualifica dirigenziale o appartenenti alla ex area direttiva, della pubblica amministrazione, degli enti pubblici a carattere nazionale e degli enti locali, che abbiano costituito il rapporto di lavoro a seguito di concorso per il quale era richiesto il possesso del diploma di laurea in giurisprudenza conseguito, salvo che non si tratti di seconda laurea, al termine di un corso universitario di durata non inferiore a quattro anni, con almeno cinque anni di anzianità nella qualifica o, comunque, nelle predette carriere e che non sono incorsi in sanzioni disciplinari; f) gli avvocati iscritti all’albo che non sono incorsi in sanzioni disciplinari; g) coloro i quali hanno svolto le funzioni di magistrato onorario per almeno sei anni senza demerito, senza essere stati revocati e che non sono incorsi in sanzioni disciplinari; h) i laureati in possesso del diploma di laurea in giurisprudenza conseguito, salvo che non si tratti di seconda laurea, al termine di un corso universitario di durata non inferiore a quattro anni e del diploma conseguito presso le scuole di specializzazione per le professioni legali previste dall’articolo 16 del Decreto Legislativo 17 novembre 1997, n. 398 e successive modificazioni; i) i laureati che hanno conseguito la laurea in giurisprudenza al termine di un corso universitario di durata non inferiore a quattro anni, salvo che non si tratti di seconda laurea, ed hanno conseguito il dottorato di ricerca in materie giuridiche; l) i laureati che hanno conseguito la laurea in giurisprudenza a seguito di un corso universitario di durata non inferiore a quattro anni, salvo che non si tratti di seconda laurea, ed hanno conseguito il diploma di specializzazione in una disciplina giuridica, al termine di un corso di studi della durata non inferiore a due anni presso le scuole di specializzazione di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 10 marzo 1982, n. 162”.Ora, mentre non sussistono dubbi circa la riconducibilità delle attività indicate alle lettere a), b), c), d), e), g) ai “periodi di servizio e di attività professionale” menzionati dall’art. 4, comma 2, della Legge n. 425/1984, non appaiono, invece, riconducili alla predetta norma le altre fattispecie e, in particolare, quelle sub h) e l), che presuppongono solo un’attività di studio e sono prive di alcun connotato che possa qualificare le rispettive attività in termini di “servizio” o di “attività professionale”.Tale ricostruzione appare, peraltro, aderente ai canoni ermeneutici fissati in più occasioni dalla Corte Costituzionale in relazione al principio di uguaglianza di cui all’art. 3 Cost. – in base ai quali è dato riconoscere disparità di trattamento nei casi in cui situazioni del tutto assimilabili siano disciplinate con norme diverse, ovvero situazioni differenziate fra di loro siano assoggettate ingiustificatamente ad un’identica disciplina – stante l’evidente eterogeneità delle attività indicate dall’art. 2 del D.Lgs. n. 160/2006, non tutte assimilabili o esattamente sovrapponibili allo svolgimento di attività di servizio o professionale di cui all’art. 4, comma 2, della Legge n. 425/1984″  (in questo senso, testualmente, cfr.: T.A.R. Sicilia – Catania, n. 25/2014, poc’anzi già menzionata).

Ebbene, com’è agevolmente evincibile dalla lettura della pronuncia sopra riportata e qui in commento, il diritto a beneficiare della cd. “anzianità convenzionale” ovvero, come anche suole dirsi, il cd. “diritto all’equiparazione” (rispetto a tutti coloro che hanno avuto accesso alle carriere di magistratura e di avvocatura dello Stato a seguito del superamento di un cd. “concorso pubblico di secondo grado”), diritto appunto di natura esclusivamente economica e pari sostanzialmente ad un incremento retributivo del 15% dello stipendio d’ingresso distribuito lungo un arco temporale di cinque anni ossia un incremento retributivo pari al 3% per ciascun anno (per un ammontare mensile di circa 250/00 Euro al netto delle relative ritenute fiscali e previdenziali)  ex comma 2 dell’articolo 4 della detta Legge n. 425/1984 s.m.i., il diritto a beneficiare della cd. “anzianità convenzionale”, si diceva, è stato così riconosciuto esclusivamente in favore di coloro che hanno superato il concorso per l’accesso alla magistratura ordinaria e che possono vantare una pregressa esperienza professionale ovvero lavorativa (a mero titolo d’esempio: avvocati, funzionari pubblici, magistrati onorari, e via dicendo), mentre è stato negato a coloro che viceversa hanno avuto accesso alla magistratura ordinaria, previo superamento del relativo concorso pubblico, in forza di precedenti esperienze di studio post-universitario (ad esempio, laureati in possesso del relativo diploma rilasciato dalle competenti Scuole di Specializzazione per le Professioni Legali previste dall’articolo 16 del Decreto Legislativo n. 398/1997 s.m.i. e laureati in possesso del diploma di specializzazione in una disciplina giuridica conseguito al termine di un corso di studi della durata non inferiore a due anni svoltosi presso le Scuole di Specializzazione di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 162/1982 s.m.i.).

E’ lecito a questo punto chiedersi se effettivamente un simile orientamento dei giudici amministrativi sia pienamente rispettoso del principio costituzionale di uguaglianza e ragionevolezza (attesa l’equiparazione normativa che il legislatore ha effettuato tra tutti i vari titoli sopra ricordati per l’accesso alla magistratura ordinaria ed atteso altresì, ad esempio, il fatto che i laureati in possesso del relativo diploma rilasciato dalle competenti Scuole di Specializzazione per le Professioni Legali previste dall’articolo 16 del Decreto Legislativo n. 398/1997 s.m.i. possono essere delegati a svolgere le funzioni di pubblico ministero in sede dibattimentale davanti al Giudice di Pace nonché dinanzi al Tribunale in composizione monocratica, secondo quanto meglio previsto e precisato nelle dette disposizioni normative e nelle relative previsioni di ordinamento giudiziario, così potendo anch’essi in astratto maturare una pregressa e significativa esperienza professionale, oltre a progredire negli studi universitari e post-universitari, al pari degli altri soggetti oggi legittimati a partecipare al concorso pubblico per l’accesso alla magistratura ordinaria) e se, conseguentemente, sia da attendersi o meno un ripensamento legislativo e giurisprudenziale in materia ovvero se, piuttosto, tale opzione ermeneutica sia destinata viceversa a consolidarsi sulla base di un’interpretazione letterale delle disposizioni di cui all’articolo 4, comma 2, della Legge n. 425/1984 s.m.i. così come fatta propria anche dalla citata pronuncia del T.A.R. Sicilia – Catania, n. 25/2014 qui in commento.

E’ ancora presto per giungere ad una precisa conclusione in merito, atteso che si tratta, evidentemente, di materia in continua evoluzione e frutto di recenti interventi normativi.

Un dato, però, è certo: la questione qui in esame potrebbe avere ripercussioni anche in ordine al trattamento stipendiale di tutti coloro che hanno avuto accesso alla magistratura ordinaria in forza del superamento del relativo concorso pubblico così come strutturato prima della cd. “Riforma Mastella” alla luce del noto principio del cd. “riallineamento-riparametrazione” delle carriere retributive tra magistrati.

Trattasi, dunque, di questioni complesse e delicate, sulle quali non resta che attendere eventuali successivi sviluppi normativi e giurisprudenziali.

Isernia, lì 28.06.2015

Dott. Marco Pietricola     

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