Il difficile punto di equilibrio tra il diritto allo studio ed il diritto alla salute in epoca Covid

di Andrea Penta

  1. Premessa la tutela offerta dalla Costituzione.

Nella nostra Costituzione i diritti fondamentali dei cittadini sono declinati con chiarezza e autorevolezza, e tra questi vi sono il diritto alla salute e il diritto allo studio e, più in generale, all’istruzione, valori questi (salute e istruzione) di primaria importanza per un Paese sviluppato come il nostro, attento al benessere dei propri cittadini e alla condivisione dei valori di cultura e conoscenza.

I due diritti, pur avendo la stessa importanza, sono percepiti dai cittadini con valori molto diversi. La salute, in particolare, viene percepita nella maggior parte dei casi come di primaria importanza e, quindi, da privilegiarsi nel caso in cui entri in rapporto o in conflitto con altri diritti pur costituzionalmente garantiti.

Per quanto la nostra maggiore capacità di apprendere certo si manifesti nei primissimi anni di vita, il comprendere, l’imparare, il conoscere continuano lungo tutto l’arco della nostra vita.

L’anelito verso la conoscenza e la cultura non è riservato solo a pochi eletti. In un Paese sviluppato come il nostro chi lo governa deve pensare ad obbiettivi di lungo orizzonte e non solo contingenti legati al presente.

Un secolo fa azzerare l’analfabetismo in Italia poteva sembrare un obiettivo impossibile da raggiungere (era quasi al 75% quando l’Italia è stata riunificata). Eppure in meno di sessant’anni è stato raggiunto. 

Tutto questo nella Costituzione è ben definito. Il primo comma dell’art. 32 sancisce che “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti”. Ed i commi 3 e 4 dell’art. 34 dispongono che “I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi. La Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso”. Tutto in una visione di eguaglianza di opportunità e servizio universalistico, come dichiarato dal secondo comma dell’art. 3, secondo cui “E` compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.

  • I rapporti tra lo Stato e le Regioni.

Con la riforma del titolo V della parte II della Costituzione del 2001, per quanto riguarda la sanità, allo Stato resta la determinazione dei livelli essenziali di assistenza validi per tutto il territorio nazionale e alle Regioni la responsabilità di legiferare, programmare, organizzare e gestire i propri servizi sanitari regionali secondo scelte e strategie sostanzialmente autonome.

L’art. 117 dalla riforma del 2001 ha introdotto il concetto di legislazione concorrente, prevedendo che per alcune determinate materie, sanità compresa, allo Stato resta il compito di determinare i principi fondamentali, mentre alle Regioni quello di legiferare, organizzare e gestire i propri servizi ispirandosi a principi di efficienza, di equità e di uniformità delle prestazioni, in piena autonomia e nel rispetto della Costituzione, dei vincoli derivanti dall’ordinamento della Unione Europea e dagli obblighi internazionali e dei principi fondamentali individuati dalle leggi statali.

Per il diritto allo studio, nel 2010, con la “legge Gelmini” ed il conseguente decreto legislativo n. 68 del 2012, la ripartizione delle competenze tra Stato e Regioni è stata definita attraverso un sistema integrato di strumenti e servizi che vede lo Stato con competenza esclusiva nella determinazione dei Livelli Essenziali delle Prestazioni (LEP), la Regione con competenza esclusiva in materia di tale diritto (disciplinando ed attivando gli interventi per il concreto esercizio del diritto allo studio) e l’Università che organizza i propri servizi, compresi quelli di orientamento e tutorato, garantisce il successo formativo degli studi e promuove attività culturali, sportive e ricreative, nonché interscambi tra studenti di università italiane e straniere.

In sintesi, lo Stato definisce gli standard che devono avere i servizi e finanzia in parte il diritto allo studio, mentre le Regioni devono organizzare al meglio il livello dei servizi ispirati a principi di efficienza, di equità, parità di trattamento e uniformità dei servizi e delle prestazioni. Esattamente come accade per il diritto alla salute, spetta alle Regioni nella loro autonomia il compito di organizzare e gestire i servizi sanitari ispirandosi sempre a principi di efficienza e uniformità dei servizi e delle prestazioni. 

  • Il diritto allo studio all’epoca del Covid.

Non di rado, nella situazione di crisi epidemiologica che stiamo vivendo, è difficile conciliare il diritto allo studio con il diritto alla salute.

Sulla base dei cc.dd. “Patti educativi di corresponsabilità” elaborati dalle Direzioni Didattiche Statali dei vari Circoli, i genitori devono tenere a casa i propri figli, immediatamente informandone il medico di base, nel caso in cui, prima di andare a scuola, presentino una sintomatologia respiratoria o una temperatura superiore a 37,5° ovvero abbiano avuto un contatto stretto con soggetto positivo o con persona in quarantena o isolamento domiciliare nei 14 giorni precedenti.

Sempre in base ai predetti Patti, i sintomi che obbligano alla permanenza degli alunni a casa sono: febbre, tosse, cefalea, sintomi gastrointestinali (nausea/vomito, diarrea), faringodinia, dispnea, mialgie, rinorrea/congestione nasale, brividi, anosmia, iposmia, ageusia, disgeusia (ECDC 31 luglio 2020).

E’ evidente un approccio di maggiore attenzione e prudenza nei confronti di sintomatologie che in altri tempi non avrebbero indotto i genitori a sospendere la frequenza scolastica.

E’ ormai imminente l’inizio del periodo invernale e, con esso, dell’influenza stagionale, la quale si presenta nella stragrande maggioranza dei casi proprio con i sintomi in precedenza elencati.

L’applicazione rigorosa delle riprodotte linee guida comporterebbe il più delle volte l’assenza da scuola dell’alunno per un periodo non inferiore a 10 giorni, con gravi ripercussioni sul piano dell’apprendimento e della continuità didattica.

Invero, se un alunno manifesta sintomi influenzali (un aumento della temperatura corporea), non può andare a scuola, prevedendo espressamente il Protocollo di sicurezza e le indicazioni del Comitato Tecnico Scientifico l’obbligo di rimanere a casa in presenza di temperatura pari o superiore ai 37,5°.

Nel caso in cui un alunno presenti un sintomo compatibile con COVID-19, presso il proprio domicilio, deve restare a casa e i genitori devono comunicare l’assenza scolastica per motivi di salute; i genitori informano anche il pediatra o il medico curante che, in caso di sospetto COVID-19, richiede tempestivamente il test diagnostico e lo comunica al Dipartimento di prevenzione per l’esecuzione del test.

In particolare, in base al rapporto ISS COVID-19 n. 58/2020, nel caso in cui un alunno presenti un aumento della temperatura corporea al di sopra di 37,5°C o un sintomo compatibile con COVID-19, presso il proprio domicilio:

1) l’alunno deve restare a casa; 2) i genitori devono informare il PLS/MMG; 3) i genitori dello studente devono comunicare l’assenza scolastica per motivi di salute; 4) il PLS/MMG, in caso di sospetto COVID-19, richiede tempestivamente il test diagnostico e lo comunica al DdP; 5) il Dipartimento di prevenzione provvede all’esecuzione del test diagnostico; 6) il Dipartimento di Prevenzione si attiva per l’approfondimento dell’indagine epidemiologica e le procedure conseguenti.

Nel caso di un alunno convivente di una persona contagiata, sarà considerato, su valutazione del Dipartimento di prevenzione, contatto stretto e “contatti stretti” di persone positive; eventuali suoi contatti stretti (ad esempio, compagni di classe) non necessiteranno di quarantena, a meno di successive valutazioni del Dipartimento di prevenzione (cfr. Circolare del Ministero della Salute del 24 settembre 2020).

Per il caso di alunni “contatti stretti” di persone positive è previsto che l’alunno venga posto in isolamento fiduciario per 10 giorni, trascorsi i quali sarà sottoposto a tampone antigenico rapido o molecolare.

Se l’alunno risulta negativo al test, dovrà comunque restare a casa se presenta altri sintomi non riconducibili al COVID, fino a guarigione clinica, seguendo le indicazioni del pediatra o medico di medicina generale il quale, al momento opportuno, redigerà una attestazione che il bambino/studente può rientrare a scuola.

  • Gli strumenti utilizzabili per rendere concreto il diritto allo studio.

Ammesso e non concesso che, una volta terminate le festività natalizie, si riuscirà ad assicurare la ripresa dell’attività didattica in presenza, occorre domandarsi in tutti i casi menzionati con quali modalità possa essere in concreto garantito il diritto allo studio.

I dirigenti scolastici sono tenuti ad adottare interventi volti a contemperare la tutela della salute degli studenti e del personale scolastico e universitario con la salvaguardia del diritto allo studio, al contempo garantendo gli stessi da eventuali effetti pregiudizievoli derivanti dalla sospensione delle attività didattiche in presenza.

In base ai “Patti educativi di corresponsabilità” elaborati dalle Direzioni Didattiche di Circolo, la scuola si impegna, tra l’altro, ad attivare percorsi volti al benessere e alla tutela della salute degli studenti, laddove i Dirigenti Scolastici si impegnano, tra l’altro, a “promuovere una didattica innovativa ed inclusiva, attenta ai bisogni di tutti e di ciascuno” e le famiglie, in un ottica di proficua collaborazione con la scuola, si impegnano, tra l’altro, a “suggerire proposte che possano contribuire al miglioramento dell’offerta formativa”.

Orbene, sulla base dei chiarimenti (cd. FAQ) forniti dal Ministero dell’istruzione, il personale docente, mentre se risulta positivo al Covid-19 (ove espressamente posto in condizione di malattia certificata) è impossibilitato allo svolgimento della prestazione lavorativa, se è posto in quarantena ovvero in isolamento fiduciario può svolgere DDI, avendo il CCNI, all’articolo 1, comma 3, disciplinato l’ipotesi, prevedendo altresì che il dirigente scolastico, in presenza di difficoltà organizzative personali o familiari del docente in quarantena o isolamento fiduciario, deve favorirne il superamento anche attraverso la concessione in comodato d’uso della necessaria strumentazione tecnologica (cfr. Nota del Ministero dell’Istruzione prot. 2002 del 9/11/2020); ciò in quanto, da un lato, “lo stato di quarantena non configura un’incapacità temporanea al lavoro per una patologia in fase acuta tale da impedire in assoluto lo svolgimento dell’attività lavorativa” e, dall’altro, “fino all’eventuale manifestarsi dei sintomi della malattia, il lavoratore non è da ritenersi incapace temporaneamente al lavoro ed è dunque in grado di espletare la propria attività professionale in forme diverse”; il periodo di quarantena con sorveglianza attiva, predisposta dalla Sanità pubblica per “monitorare l’eventuale insorgenza dei sintomi della malattia”, è di 10 giorni dalla data individuata dal provvedimento sanitario che la dispone.

Per quanto concerne, invece, gli alunni, in base alla nota del Ministero dell’Istruzione n. 1934 del 26 ottobre 2020 (contenente Indicazioni operative per lo svolgimento delle attività didattiche nelle scuole del territorio nazionale in materia di Didattica digitale integrata e di attuazione del decreto del Ministro della pubblica amministrazione 19 ottobre 2020), “All’alunno in quarantena la scuola dovrà in ogni caso garantire, ove la strumentazione tecnologica in dotazione lo consenta, l’erogazione di attività didattiche in modalità digitale integrata”.

Pertanto, all’alunno in quarantena (la quale si riferisce alla restrizione dei movimenti di persone sane per la durata del periodo di incubazione, ma che potrebbero essere state esposte ad un agente infettivo o ad una malattia contagiosa, con l’obiettivo di monitorare l’eventuale comparsa di sintomi e identificare tempestivamente nuovi casi ; cfr. Circolare Ministero della Salute del 12/10/2020 “COVID-19: indicazioni per la durata ed il termine dell’isolamento e della quarantena”) dovrebbe essere assicurata la DAD, anche se caso unico in classe.

  • Conclusioni.

Non assicurare nei casi su riportati, cui andrebbe equiparato quello della sospensione delle lezioni per allerte meteo, la didattica a distanza si tradurrebbe, da un lato, nella sostanza, nel privare l’alunno e la di lui famiglia del diritto allo studio e, dall’altro, nel disincentivare comportamenti coscienziosi e collaborativi da parte dei genitori i quali, nel timore di far perdere ai propri figli giorni di didattica ed in assenza di moduli alternativi, potrebbero decidere di mandarli ugualmente a scuola, pur al cospetto di sintomi equivoci, in tal modo favorendo, di fatto, la diffusione del contagio.

In quest’ottica, con ordinanza cautelare n. 710 del 19.11.2020, il Tar di Bari ha legittimato la didattica integrata digitale anche nelle scuole del ciclo primario (poi disciplinata dall’ordinanza n. 413 della Regione Puglia, attualmente in vigore), consentendo, su richiesta delle famiglie, di contemperare il diritto allo studio con il diritto alla salute degli studenti e delle loro famiglie e prevedendo l’obbligo della scuola di mettersi a disposizione di tutti gli alunni la Did, per rispettare il diritto di chi ne faccia richiesta (didattica cd. mista).

La crisi sanitaria prodotta dal Sars-cov-2 è ormai crisi strutturale – che quindi tocca tutti i livelli politici, culturali, sociali ed economici – ,perché il nostro sistema sanitario è stato distrutto da decenni di tagli.

Sulla scuola la realtà non cambia: classi sempre più numerose, spazi sempre più ridotti, taglio al personale ATA, riduzione del numero dei docenti, esternalizzazione di importanti servizi legati all’educazione e al sostegno, sono state scelte politiche dettate dalla necessità di ridurre i costi.

Il tema della didattica a distanza ha immediatamente reso evidente uno dei sintomi più gravi della crisi del sistema scolastico: nonostante un chiaro e preoccupante scenario di lungo periodo, le risposte istituzionali in tema di istruzione (e non solo) hanno sempre inseguito le evoluzioni dell’emergenza, senza mai riuscire ad anticipare i problemi e le sfide in arrivo.

Tuttora, dopo ben nove mesi dalle prime sospensioni dell’attività didattica, manca un piano organico che chiarisca ai singoli istituti scolastici come gestire il rapporto tra didattica in presenza e didattica digitale: non si può più parlare di emergenza, ma eventualmente di disorganizzazione e sottovalutazione dei problemi. La scuola, così come altri settori nevralgici del Paese, è stata vittima del sistematico scarico di responsabilità che ha visto protagonisti lo Stato e le Regioni, rimasti di fatto silenti di fronte alle numerose istanze dei dirigenti scolastici, posti di fronte all’enorme responsabilità derivante dalle scelte sull’apertura degli istituti d’istruzione.

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