Il giornalismo e la pandemia

di Carlo Verna [1]

Ho sempre sostenuto che, nonostante siano diverse e moltiplicate le piattaforme su cui viaggia l’informazione professionale, l’entità morale e filosofica del giornalismo sia sempre la stessa.

E che l’orgoglio di recapitare in maniera corretta, come esige il rovescio passivo dell’art.21 della Costituzione, quel pacco prezioso che è la conoscenza, la consapevolezza di idee e di fatti, debba essere forte in chiunque svolga questa funzione.

Da questo punto di vista nulla è cambiato e nulla muterà per la tragedia epocale coronavirus, tanto caratterizzante dopo le guerre mondiali da doversi supporre che a.c e d.c. si possa scrivere da oggi con la minuscola, con riferimento al nome dato alla pandemia.

Fatta questa premessa, è tutto già profondamente diverso con un‘accelerazione dell’affermarsi del digitale. Un altro duro colpo per la vecchia cara carta stampata, per le edicole che restano aperte, ma sono giocoforza sempre meno frequentate.

Lo zoccolo duro di questo bene culturale che è il giornale, che si legge toccandolo e sfogliandolo, è infatti l’abitudine di tanti lettori. Ebbene quest’abitudine sta subendo una stangata micidiale ed è difficile immaginare che tutto ciò possa non pesare per sempre sulle aziende editoriali e sulla loro organizzazione.

La crisi della carta stampata era evidente da tempo, ma ancora sostenibile, anche rivendicando sostegno dello Stato perché non si estinguesse come i dinosauri. I padri costituenti furono talmente lungimiranti da parlare nel citato articolo 21 di “parola, scritto e ogni altro mezzo di diffusione“. Teorizzarono in buona sostanza un pluralismo di piattaforme, anche quando non si pensava al possibile accrescimento delle stesse e quando in Italia ancora non trasmetteva la televisione.

Ciò vuol dire che lo Stato ha un obbligo attivo di sostenere la piattaforma più in difficoltà. Senza dubbio la carta stampata. Inevitabilmente più alle corde oggi e dopo l’uscita dal tunnel del coronavirus.

Ma a soffrire nel mondo dell’informazione, in queste settimane, non sono solo i quotidiani pubblicati grazie a carta e inchiostro. C’e’ la radio, caratterizzata da un ascolto forte soprattutto in auto,  e c’è uno specifico paradosso, che rende unico il caso informazione.

Riguarda l‘editoria on line e quella televisiva. Non c’è altro settore, infatti, in cui a una crescita dei “clienti “possa corrispondere un calo dei ricavi. Tanta gente costretta a casa ha più tempo per navigare in rete, facendo lievitare il numero dei contatti con le testate web, nonché per seguire le tv nazionali e locali. Ebbene, però, quegli stessi “clienti” non comprano e dunque chi paga la pubblicità per promuovere le vendite, nella stragrande maggioranza dei settori a consumo zero, non acquista spazi pubblicitari. Anche qui sostegno indispensabile, considerando che sarebbe anche da premiare lo svolgimento di un servizio essenziale, che può configurarsi come pubblico soprattutto in questa fase.

Difficile definire lo scenario che verrà. Di certo non morirà il giornalismo, ancor più importante dopo che tutti avranno constatato la pericolosità delle fake news che la rete fa girare in modo virale.

Tanto che possiamo ben dire che i giornalisti professionali, rispetto a bufale e menzogne in grado di contaminare la comunità, siano un po’ come i medici. Mi sento solo di azzardare che l’informazione sarà più digitale, ne’ più ne’ meno, però, del Paese e del mondo. Ma dell’informazione non si potrà e non di dovrà, certamente, fare a meno.

[1] L’autore è Presidente dell’Ordine nazionale dei giornalisti