Il Giudizio e il Processo nella Settima Arte. Virus, inquinamento ambientale e tutela dell’ecosistema e della salute

di Stefano Colombo

Il giudizio, il processo, le strategie difensive, le arringhe e, più in generale, tutto ciò che ruota attorno al mondo del diritto e dell’amministrazione della giustizia costituiscono da sempre terreno fertile per la cosiddetta Settima Arte, il Cinema che, traendo spunto dalle aule dei tribunali e dalle toghe di giudici, pubblici ministeri e avvocati, ha prodotto film memorabili, vere e proprie pietre miliari caratterizzate da momenti di grande emozione e da indelebili prove d’attore, accanto a pellicole decisamente più mediocri o, addirittura, pessime.

Questo articolo si propone di passare brevemente in rassegna – evitando accuratamente ogni anticipazione dei finali, i cosiddetti spoiler – alcuni dei film più interessanti e rappresentativi che hanno avuto ad oggetto la realtà giudiziaria, estremamente variegata e multiforme, con  riferimento specifico alle problematiche legate all’inquinamento ambientale ed atmosferico e alla diffusione di virus ed altri agenti patogeni, in questo modo ricollegandomi alla – purtroppo – tragica e per certi versi straniante situazione attuale, che tutti noi stiamo sperimentando sulla nostra pelle a causa del coronavirus Covid-19 (o CoVid-2) che ha determinato una vera e propria pandemia globale.

A partire dalla metà del secolo scorso – in particolare, con i tristemente noti disastri di Seveso del 1976 e di Chernobyl del 1986 – la problematica della tutela dell’ambiente, inteso nella sua multiforme nozione di paesaggio (naturale e culturale), ecologia e sviluppo armonico del territorio ha assunto sempre maggior rilievo, tanto nella produzione legislativa (a livello comunitario, con l’adozione della direttiva 2004/35/CE e, a livello nazionale, con l’introduzione del decreto legislativo n.° 152 del 2006) quanto nelle decisioni giurisprudenziali che, già a partire dalle importanti prese di posizione della Corte Costituzionale del 1987 (sentenze n.° 210 e n.° 641), hanno configurato l’ambiente quale vero e proprio bene giuridico meritevole di tutela, a interesse diffuso.

In particolare, proprio i disastri ecologici sopra citati hanno messo chiaramente in evidenza come i danni all’ambiente e alla salubrità dell’ecosistema (aria, acqua, suolo e ogni sua ulteriore componente, ivi comprese le forme di vita animali e vegetali) possono avere significative ripercussioni su altri beni giuridici costituzionalmente tutelati, primi fra tutti la vita umana e la salute, oltre che riflessi importanti sugli stili, le abitudini, le condizioni e la qualità della vita di ciascun abitante del pianeta, come stiamo concretamente sperimentando in questo periodo di lockdown.

Il cinema ha frequentemente immortalato le ripercussioni e le ricadute che i disastri ambientali ovvero particolari patologie dovute alla diffusione di virus e altri agenti patogeni hanno determinato nel mondo della giustizia e nelle aule giudiziarie.

In alcuni casi, l’inquinamento e le problematiche legate alla tutela dell’ambiente e della salute delle persone hanno costituito semplicemente lo spunto per costruire trame ulteriori, che si sono sviluppate in altre direzioni e hanno esplorato altri territori, come la psicologia del giudice o dell’avvocato, in altri film, invece, hanno costituito l’ossatura fondamentale e caratterizzante della storia.

Nel primo filone, rientra certamente uno dei film più riusciti della cinematografia italiana e, al contempo, uno dei meno popolari, probabilmente perché non classificabile nelle più conosciute “commedie all’italiana” di quegli anni. Si tratta del bellissimo “In Nome del Popolo Italiano” – film di Dino Risi del 1971 con protagonisti Ugo Tognazzi e l’immenso Vittorio Gassman.

In questo caso, l’inquinamento delle acque e del territorio determinato dall’industria dello spregiudicato imprenditore Lorenzo Santenocito (Vittorio Gassman) spinge il giudice istruttore Mariano Bonifazi (Ugo Tognazzi) ad intraprendere una vera e propria sfida con sé stesso e con i suoi principi etici e morali (che saranno pesantemente messi in discussione, nel corso della vicenda) per accertare la colpevolezza o meno dell’imprenditore, apparentemente implicato nella morte misteriosa di una ragazza.

Il profilo dell’inquinamento ambientale rimane dunque sulla sfondo e non rappresenta il nucleo centrale della trama ma, di fatto, costituisce la scintilla che innesca una vera e propria rivalità fra il giudice integerrimo e saldo nei propri convincimenti morali e l’imprenditore spregiudicato e disonesto, rivalità che sfocia in un finale decisamente inaspettato e – sicuramente – sconvolgente per qualsiasi operatore del diritto, degna conclusione di un film assolutamente drammatico e appassionante.

I film sulle conseguenze e sul riverbero che hanno avuto – a livello giuridico e processuale – le più svariate forme di inquinamento o disastro ambientale sono decisamente numerosi se sorvoliamo l’Oceano Atlantico e ci trasferiamo negli Stati Uniti. Tenuto conto del particolare contesto in cui sono ambientate e delle regole processuali di common law, molte di queste pellicole ruotano attorno ad un topos decisamente classico nella cinematografia americana e, più in generale, nella mentalità statunitense, ovvero lo scontro fra il titano apparentemente invincibile perché fornito di enormi mezzi economici, amicizie potenti, contatti influenti (grandi case farmaceutiche, importanti industrie del settore o, in alcuni casi, il governo di singoli Stati o addirittura quello federale) e il protagonista del film, l’underdog (sfavorito), generalmente un avvocato, che si batte con coraggio, senza grandi risorse e apparentemente senza alcuna possibilità di vittoria, per sostenere la causa in cui crede, gettando il cuore oltre l’ostacolo.

E’ del 1998 il film “A Civil Law” di Steven Zaillian (Premio Oscar per la sceneggiatura di “Schindler’s List”) che traspone in pellicola un fatto realmente accaduto, il pesante inquinamento delle falde acquifere della cittadina di Woburn nel Massachusetts con sostanze industriali tossiche ed il conseguente scontro tra l’avvocato di un piccolo studio legale di Boston (personaggio interpretato da un ottimo John Travolta) e due importanti industrie del Paese.

E’ interessante notare come il film ponga l’accento sulla correlazione fra il danno  ambientale e, più in generale, l’inquinamento e il danno alla salute, dal momento che gli abitanti di Woburn che incaricano l’avvocato Jan Schlichtmann di dare battaglia ai due colossi industriali sostengono che l’inquinamento delle acque abbia determinato casi di leucemia e altre gravi malattie. Non sarà facile – ovviamente – dimostrare il nesso di causalità e il film non manca di sottolineare le risorse economiche e la spregiudicatezza delle due industrie asseritamente responsabili  e le difficoltà in cui viene a trovarsi lo svantaggiato avvocato protagonista.

La trama di fondo sembra essere simile a quella del recente “Dark Waters” – “Cattive Acque” (2019), anch’esso basato su una storia vera, in cui l’avvocato Rob Bilott (interpretato da Mark Ruffalo) intraprende una battaglia legale serrata e decisamente rischiosa contro l’importante industria chimica “Dupont” che, secondo  la sua tesi, sarebbe responsabile dell’inquinamento dell’acqua di un lago in Virginia e delle conseguenti malattie per gli abitanti della zona.

L’inquinamento di una falda acquifera e l’apparente correlazione con i tumori degli abitanti di una cittadina della California costituisce l’ossatura del celebre “Erin Brockovich – Forte come la verità” di Steven Soderbergh (2000) con protagonista Julia Roberts nei panni della segretaria di un piccolo studio legale che, pur trovandosi in una situazione economica e famigliare piuttosto problematica, decide di indagare e di mettersi contro l’importante (e potente) Pacific Gas and Electric Company.

Anche questo film è basato sulla storia vera di Erin Brockovich, promotrice nel 1993 di quella che è considerata tuttora la più grande azione legale negli Stati Uniti contro un’industria energetica e, ancora oggi, donna strenuamente impegnata nella tutela dell’ambiente e nell’approfondimento dei casi di inquinamento delle falde acquifere sia in America che in altre parti del mondo.

Non posso concludere questa breve rassegna senza citare il capolavoro “Philadelphia” di Jonathan  Demme (1993) che tratta in modo estremamente profondo e toccante un tema delicatissimo quale la diffusione del virus dell’HIV e, conseguentemente, dell’AIDS, la tristemente nota sindrome ad esso collegata.

Proprio come il coronavirus in questo periodo, l’HIV aveva raggiunto l’apice della propria diffusione tra la fine degli anni ’80 e l’inizio degli anni ’90, quando il mondo aveva iniziato a conoscere questo virus e a constatarne la portata e i drammatici effetti (ad ogni livello, tenuto conto che, proprio nel 1991, aveva perso la vita a causa dell’AIDS Freddie Mercury, celebre frontman della rock band inglese Queen).

A differenza però del Covid-19, il contagio da HIV era ricollegato a determinati comportamenti, anche correlati alla sfera sessuale, con la conseguenza che, alla persona colpita dal virus e praticamente destinata – in quel periodo – a morte certa, veniva riservato anche un ingiustificato e del tutto riprovevole stigma sociale.

E’ quanto accade al protagonista di “Philadelphia”, l’importante avvocato Andrew Beckett  (interpretato da un magistrale Tom Hanks) che, dopo aver contratto l’AIDS e trovandosi quindi alle prese con gli effetti e le problematiche di una malattia ancora sconosciuta e malauguratamente letale, viene altresì licenziato dallo studio legale in cui lavora – che non tollera la presenza di un omossessuale tra i propri collaboratori – e deve lottare in giudizio per tutelare la propria dignità e sfidare pregiudizi e discriminazioni, aiutato soltanto da uno squattrinato avvocato, precedentemente suo rivale (altrettanto magistralmente interpretato da Denzel Washington), unico ad accettare di patrocinarlo davanti ad una Corte.

Il film si segnala, anche, per la meravigliosa colonna sonora e, in particolare, per la toccante “Streets of Philadelphia” che è valsa un Premio Oscar al suo autore ed interprete Bruce Springsteen. Nella speranza di uscire presto e bene dalla situazione attuale, particolarmente drammatica e difficile, confido che queste pellicole, sicuramente interessanti dal punto di vista tecnico e decisamente toccanti dal punto di vista emotivo, possano costituire un valido passatempo per questi giorni di lockdown.