Il lavoro da misurare

Una delle sfide per il Consiglio Superiore sarà la capacità di fondare le proprie decisioni su una misurazione, il più possibile precisa, del lavoro dei magistrati italiani. Si tratta di dare finalmente un contenuto ai concetti normativi di standard di rendimento (l’indicatore che valuta la laboriosità dei magistrati ai fini della loro valutazione di professionalità, numero o fascia quantitativa al di sotto della quale si possono presenta-re criticità sotto il profilo della produttività) e di carico esigibile (il parametro utilizzato per i programmi di gestione, obbligatori nel settore civile e in fase di introduzione anche per il settore penale: la circolare prevede che venga estratta la media esigibile del precedente quadriennio e sulla base di quella si programmi la produttività futura, po-tendo il dirigente decidere di mantenere la produttività dell’anno precedente, di diminuirla entro il 15% o aumentarla entro il 15%, con l’obbligo poi di spie-gare perché eventualmente si prevede di diminuire o aumentare la produttività media esigibile al di là del-la soglia), ma soprattutto si tratta di valutare il lavoro “pretendibile”, cioè la quantità di lavoro che il singolo magistrato può sostenere assicurando una risposta di giustizia di qualità, oltre la quale saranno possibili ritardi, errori, in-giustizia.Il lavoro del giudice è lo stesso in tutto il Paese, a cambiare sono il contesto sociale in cui si opera, le dimensioni e le condizioni degli uffici, le dotazioni di personale e risorse: è perciò necessario uno sforzo che consenta di dare un “valo-re”, un “peso”, al lavoro di ogni magistrato, che spesso è fatto di molteplici attività, non tutte riducibili in termini di “numero di sentenze” e “numero di procedimenti definiti”.

Una misurazione del lavoro che tenga conto di tutto – come quella, effettivamente, proposta di recente dalla ANM, che però non ha ancora trovato ingresso nei lavori consiliari – può avere molteplici effetti: esiste infatti un limite oggettivo alla capacità dei magistrati di far fronte ad una domanda di giustizia che cresce in misura esponenziale e in modo disomogeneo, alla quale deve darsi una risposta che non può essere affidata alle ri-sorse esistenti, dovendosi con forza richiedere adeguati aumenti di organico, di personale e di risorse e migliore redistribuzione delle stesse.

Come valutare

Il lavoro da misurare

Le valutazioni periodiche di professionalità (previste per legge), oltre ad essere un elemento di verifica utile, sono una occasione preziosa per ciascun magistrato per rappresentare all’esterno il proprio lavoro e la propria esperienza professionale. Si può pensare a come semplificare il procedimento, ma senza ridurlo ad una “presa d’atto senza rilievi”: occorre pensare che si tratta dell’esito di una cooperazione tra il magistrato, al quale è affidato il compito di descriversi nell’autorelazione, indicando tutto ciò che qualifica il suo percorso: ruolo, specializzazione, provvedimenti significativi, attività di collaborazione, ecc.; il dirigente (o il semidirettivo), che deve redigere un rapporto basato sulle proprie conoscenze del lavoro del collega e delle sue specificità; il Consiglio Giudiziario, che ha il compito di raccogliere e vagliare le informazioni così ricevute, alla luce delle particolarità del distretto; il Consiglio Superiore, che opera la valutazione finale.Questa non consiste in un giudizio di valore, ma certifica la presenza dei vari indicatori, che possono avere un rilievo per qualsiasi altra situazione, dal con-ferimento di incarichi ai procedimenti disciplinari, e soprattutto consentono di valutare oggettivamente il lavoro dei magistrati, tenendo conto delle condizioni e dei carichi di lavoro quando vi sono elementi di criticità. Nelle valutazioni di professionalità devono tenersi separate le vicende disciplinari, ad esempio evitando che si attenda la definizione del giudizio disciplinare, per il quale non vi sono termini prefissati e che rischia di bloccare la progressione di professionalità, quando vi sia un parere positivo del Consiglio Giudiziario, ed escludendo l’incidenza automatica delle sanzioni disciplinari per illeciti funzionali (es. ritardi) in assenza di altri elementi di criticità.

Sono nettamente contraria al c.d. diritto di tribuna, ovvero alla possibilità che gli avvocati presenti nel Consiglio Giudiziario assistano alle discussioni e alle decisioni adottate in composizione ristretta: occorrerà vigilare, ed eventualmente opporsi con forza, nei modi più opportuni ed efficaci, alla proposta – che viene avanzata da alcune parti politiche – di coinvolgere i “laici” nelle valutazioni di professionalità, ricordando che si tratta pur sempre di parti private, e di professionisti che continuano a svolgere la propria attività professionale negli stessi uffici in cui operano i magistrati che dovrebbero valutare, con prevedibili interferenze nella serenità di giudizio e nel rispetto dei diversi ruoli.

Incarichi e responsabilità

Incarichi direttivi e semidirettivi: costituisce l’aspetto più sensibile dell’attività del CSM, anche se non è la parte più importante. Occorre partire dal concetto che non si tratta di posizioni di privilegio o di ‘premi alla carriera’ – i magistrati si distinguono tra loro solo per diversità di funzioni: art. 107 Cost. – ma di un servizio che si rende per una migliore organizzazione degli uffici e nell’ottica di una gestione il più possibile par-tecipata (sotto questo profilo, ad esempio si potrà verificare, in sede di conferma e/o di proposta tabellare, che chi ricopre questo tipo di incarichi svolga effettivamente il lavoro giudiziario, soprattutto nel caso di semidirettivi, nella misura prevista).Credo si debba mantenere la discrezionalità faticosamente conquistata negli ultimi anni ed evitare di ancorare i giu-dizi a parametri rigidi come era la sola “anzianità senza demerito”. Si deve tener conto dell’attività professionale svolta (e dunque l’anzianità, intesa come esperienza acquisita in un settore, con giudizio positivo in occasione delle valutazioni, dovrà essere valorizzata) e di quant’altro il magistrato ha fatto – con impegno e risultati effettivi –e che lo rendono in grado di assumere lo specifico incarico per cui concorre.

incarichi e responsabilità

Per evitare scelte oggetto di censure da parte del giudice amministrativo e incomprensibili ai colleghi, tuttavia, cre-do sia necessario graduare indicatori generali, indicatori specifici e merito: l’attuale gerarchia prevista dal TU dirigenza può essere, di fatto, sovvertita dal CSM e ciò dà luogo ad un contenzioso spesso infinito, deleterio per gli uffici. Stabilire dei requisiti più netti – ad esempio un periodo minimo di esercizio delle medesime funzioni da ricoprire, o una soglia mini-ma di anzianità più elevata di quella attuale, o un periodo minimo di permanenza nell’incarico prima di poter presentare nuove domande anche per i posti apicali – permette delle decisioni più prevedibili (consentendo a ciascuno di partecipare ai concorsi solo se in possesso di requisiti minimi). Per sottrarre il conferimento degli incarichi direttivi alla logica della spartizione si dovrà ovviamente curare la tratta-zione delle pratiche in stretto ordine cronologico evitando la trattazione congiunta di più pratiche al Plenum; può essere utile, soprattutto per determinati incarichi, procedere all’audizione dei candidati.



Va portata attenzione al rispetto del giudicato amministrativo: se è vero che il giudice amministrativo non può sostituirsi al Consiglio nel conferimento degli incarichi, è un’esigenza ormai sentita che il potere del CSM debba essere esercitato nel rispetto della normativa primaria e secondaria, oltre che dell’obbligo di motivazione. Ne consegue che dopo una sentenza di annullamento (di primo grado esecutiva o passata in giudicato), il Consiglio dovrà procedere – ovviamente se ne sussistono i presupposti, in base al tipo di decisione assunta dal g.a. – non ad una mera “nuova motivazione” ma ad una più completa “nuova valutazione” dei profili dei candidati, senza automatismi ma adottando la nuova decisione con responsabilità (e ovviamente conformandosi al giudicato quando preciso e puntuale).

Procedimenti disciplinari

Con forza va ribadito che il procedimento disciplinare dovrà essere severo verso chi tradisce la funzione giudiziaria (c.d. disciplinare da abuso) e dà all’esterno l’immagine di scarsa credibilità valutando con equità, al contra-rio, gli illeciti c.d. funzionali, in cui incorrono soprattutto i magistrati più laboriosi e scrupolosi (ridardi, scarcerazioni ritardate…): i magistrati non devono rispondere per fatti riconducibili a carenze e negligenze esterne o non dipendenti dal loro operato.

Va ripresa con energia la pratica, adottata in sede di plenum nella scorsa consiliatura su proposta dei consiglieri di Unicost, volta a richiedere al Ministro l’adozione di ogni iniziativa opportuna per introdurre legislativamente l’istituto della riabilitazione, relativamente agli illeciti disciplinari sanzionati con ammonimento e censura (tra i quali quelli per ritardo nel deposito dei provvedimenti). Credo infine che qualora all’esito del procedimento disciplinare intervenga una sentenza di assoluzione, la vicenda non debba avere alcun ulteriore rilievo in altra sede.