Il procedimento di espropriazione immobiliare di Emanuela Musi

Premessa.

La proposta di riforma si pone il dichiarato obiettivo di ridisegnare la disciplina degli strumenti di risoluzione alternativa delle controversie.

Vale osservare, in via di prima approssimazione, che il chiaro riferimento ai “metodi alternativi di risoluzione delle controversie”, anche detti ADR (dall’acronimo inglese Alternative dispute resolutions), quali tecniche e procedimenti di risoluzione di controversie di tipo legale attinenti a diritti disponibili alternative rispetto al giudizio amministrato dagli organi giurisdizionali pubblici, non pare attagliarsi perfettamente al settore dell’esecuzione, nella misura in cui il processo esecutivo presenta delle peculiarità tali da escludere la sua riconducibilità tout court all’ambito delle vere e proprie “controversie” (si pensi alla forte limitazione del principio del contraddittorio, alla assenza di poteri di accertamento in capo al giudice dell’esecuzione, alla possibilità per il debitore di presentare istanze senza la necessità della difesa tecnica).

Ciò posto, appare piuttosto evidente come lo strumento disegnato dall’art. 10 si ponga quale alternativa alla liquidazione del bene staggito che avvenga all’interno di un processo (o procedimento) diretto dal G.E. e che sia attuata a mezzo dei suoi ausiliari (il riferimento è, in primis, al professionista delegato alle operazioni di vendita ex art. 591 bis c.p.c.). Tuttavia, non è dato comprendere se, nelle intenzioni della riforma, vi sia quella di consentire al debitore di realizzare, per il tramite della vendita diretta, la propria esdebitazione. Giova evidenziare che detto obiettivo non necessariamente si realizza nel processo esecutivo, atteso che, se la vendita del bene pignorato avviene per un prezzo inferiore al suo valore di mercato a fronte di crediti di importi elevati, la procedura sarà destinata a concludersi con l’incapienza, condizione tale da determinare la possibilità che il patrimonio del debitore sia nuovamente aggredito ai fini del soddisfacimento delle pretese rimaste insolute; esso è, invece, destinato a concretarsi allorché l’esecutato si avvalga di strumenti alternativi previsti dal codice di rito, quali ad es. la conversione del pignoramento (nella quale il G.E. determina la somma da sostituire al pignorato avuto riguardo all’intero importo dei crediti fatti valere nel processo) ovvero la sospensione concordata ex art. 624 bis c.p.c. (a fronte di una transazione raggiunta con il creditore/ ovvero con i creditori, con plausibile riduzione delle pretese fatte valere da parte degli stessi, viene formulata istanza di sospensione per un termine massimo di 24 mesi all’esito del quale la procedura, se non riassunta, verrà estinta), oppure da leggi speciali (si pensi alla disciplina della cd. crisi da sovraindebitamento ex lege 3/2012). Sicché, se all’esito della vendita diretta effettuata su istanza del debitore, non vi sarà l’esdebitazione (ovvero questa sarà solo eventuale, destinata, cioè, a verificarsi in concreto solo allorché la vendita avvenga ad un prezzo coincidente con l’importo dei crediti per cui si procede), giocoforza lo strumento disegnato dal legislatore, non rivelandosi conveniente per l’esecutato, potrebbe essere destinato a restare sulla carta.

Passando ad esaminare in concreto i presupposti e la disciplina dell’istituto si osserva quanto segue.

a) Il debitore, con istanza depositata non oltre dieci giorni prima dell’udienza prevista dall’articolo 569, primo comma, del codice di procedura civile, possa chiedere al giudice dell’esecuzione di essere autorizzato a procedere  direttamente alla vendita dell’immobile pignorato per un prezzo non inferiore al suo valore di mercato.

Nel disegno di legge, correttamente, è previsto un dies ad quem dell’istanza (coincidente con l’udienza ex art. 569 c.p.c.), tuttavia, allo stesso non è espressamente correlata la sanzione della inammissibilità per il caso della presentazione in un momento successivo. In via interpretativa, l’utilizzazione della espressione “non oltre” lascia pensare che il termine sia previsto a pena di preclusione; del resto, analoga disciplina vale per il termine previsto dall’art. 495 c.p.c. ai fini della presentazione della istanza di conversione, così come per quello previsto dall’art. 624 bis c.p.c. ai fini della sospensione concordata (istituti con i quali, è evidente, quello previsto dalla riforma condivide la natura di strumento alternativo alla liquidazione coattiva dei beni staggiti).

Ci si potrebbe porre il problema di stabilire se occorrerà fare riferimento alla data di udienza ex art. 569 c.p.c. formalmente fissata dal G.E. con il decreto (comunicato anche al debitore) ovvero a quella in cui si disponga in concreto la vendita del compendio pignorato; utilizzando la giurisprudenza formatasi in riferimento all’art. 495 c.p.c. e tenuto conto della finalità dell’istituto, appare ragionevole ipotizzare che il momento preclusivo vada individuato avuto riguardo alla seconda opzione (tra le molte, sul punto v. Cass. civ. 27852/2013 dove si fa espresso riferimento alla “pronuncia dell’ordinanza di vendita o di assegnazione” quale momento preclusivo della proposizione della istanza di conversione).

Quanto alla necessità della difesa tecnica ai fini della presentazione della istanza, giova osservare che, nell’ambito del processo esecutivo, le istanze del debitore (non anche le opposizioni esecutive che instaurano incidenti di cognizione) possono essere presentate anche personalmente dallo stesso, senza, cioè, necessità di difesa tecnica. Tuttavia, è agevole supporre che, ai fini della presentazione della istanza in questione, il debitore esecutato debba scegliere di rivolgersi ad un avvocato per assicurarsi il supporto tecnico necessario per la buona riuscita della operazione.

Giova evidenziare che, plausibilmente, al momento della celebrazione della udienza ex art. 569 c.p.c., il debitore sarà a conoscenza: 1) del valore di stima del compendio pignorato come determinato dall’esperto ex art. 568 c.p.c. (il G.E. nomina il perito contestualmente alla fissazione della udienza ex art. 569 c.p.c. e la perizia viene depositata, previa comunicazione alle parti, compreso il debitore, almeno 30 giorni prima della celebrazione della stessa; cfr. art. 173 bis disp. att. c.p.c.); 2) dell’importo dei crediti per cui si procede (ben vero, con la recente riforma dell’art. 569 c.p.c., come introdotta dalla l. 12/19 di conversione del d.l. 135/2018, il legislatore ha previsto che, entro 30 giorni prima dell’udienza, il creditore pignorante ed i creditori già intervenuti devono depositare una nota di precisazione del credito). È lecito ipotizzare, pertanto, che l’istanza per l’autorizzazione alla vendita diretta sia formulata dal debitore con l’indicazione di un prezzo non inferiore a quello determinato dal perito stimatore con i criteri di cui all’art. 568 c.p.c.; invero, per quanto sopra detto in ordine alla assenza di riferimenti alla esdebitazione del debitore quale risultato/conseguenza della vendita diretta, laddove l’importo dei crediti per cui si procede sia superiore al valore come stimato ex art. 568 c.p.c., l’istanza del debitore dovrà essere accompagnata da un’offerta che si avvicini quanto più possibile al primo piuttosto che al secondo.

b) Individuare i criteri per la determinazione del valore di mercato del bene pignorato ai fini dell’istanza di cui alla lettera a), prevedendo che all’istanza del debitore debba essere sempre allegata l’offerta di acquisto e che, a garanzia della serietà dell’offerta, sia prestata cauzione in misura non inferiore al decimo del prezzo proposto.

Il legislatore non ha previsto che l’offerta allegata all’istanza del debitore debba essere formalizzata avuto riguardo al prezzo del compendio pignorato come determinato dall’esperto stimatore, ma ha fatto riferimento al “valore di mercato del bene”.

In realtà, i criteri attraverso i quali si procede alla stima dell’immobile nell’ambito del processo esecutivo (come enucleati dall’art. 568 c.p.c. e dall’art. 173 bis disp. att. c.p.c.) sono volti ad assicurare proprio che il prezzo a base d’asta corrisponda il più possibile al reale valore di mercato del bene (nella vigente formulazione dell’art. 568 c.p.c., come rimodellato dalla l. 132/15, si fa espresso riferimento alle correzioni della stima per assenza della garanzia per vizi, per la presenza di oneri condominiali insoluti, per gli oneri di regolarizzazione urbanistica, per lo stato d’uso e di manutenzione). È, pertanto, auspicabile che, in assenza di un chiaro disposto normativo in tal senso, in via interpretativa si addivenga comunque alla conclusione che l’offerta debba essere effettuata sulla scorta del valore determinato nell’ambito del processo esecutivo dall’ausiliario del G.E. (e non, invece, attraverso una consulenza di parte eventualmente allegata all’istanza). Nondimeno, vi è il rischio che gli esiti della perizia di stima possano essere in qualche modo pilotati dallo stesso debitore esecutato che miri ad ottenere una stima al ribasso per poter consentire ad un familiare o ad altra persona a lui legata di effettuare la proposta da allegare all’istanza di vendita diretta (questa potrebbe essere la ragione per la quale non è prevista l’esdebitazione tout court quale conseguenza della vendita diretta, atteso che, solo in tal modo, è possibile scongiurare il concretarsi del rischio di cui sopra).

c) Prevedere che il giudice dell’esecuzione debba verificare l’ammissibilità dell’istanza ed instaurare sulla stessa il contraddittorio con il debitore, i comproprietari, il creditore procedente, i creditori intervenuti, i creditori iscritti e l’offerente.

Non è previsto un dies a quo della presentazione della istanza. Tuttavia, per quanto sopra detto circa la necessità di ancorare la valutazione dell’ammissibilità della stessa agli elementi ricavabili dalla perizia di stima ex art. 568 c.p.c., appare evidente che, fino a quando la detta perizia non risulti depositata agli atti della procedura, l’istanza, se non inammissibile, sarà comunque non valutabile dal G.E. (che ne potrà legittimamente riservare la valutazione nel contraddittorio delle parti all’udienza ex art. 569 c.p.c.).

Correttamente, il legislatore della riforma ha previsto che l’istanza debba essere valutata all’esito della rituale instaurazione del contraddittorio con la platea dei soggetti interessati: per quanto concerne i creditori iscritti, è importante evidenziare che gli stessi sono destinatari dell’avviso ex art. 498 c.p.c. a cura del creditore procedente (avviso che deve essere effettuato in vista della celebrazione della udienza ex art. 569 c.p.c.). Tuttavia non è detto che, a fronte dell’avviso ritualmente ricevuto, i detti creditori spieghino intervento nella procedura: in tal caso, laddove il debitore presenti l’istanza per l’autorizzazione alla vendita diretta, ad avviso di chi scrive, l’istante dovrà egualmente effettuare una comunicazione/notifica al creditore iscritto (destinato a perdere la garanzia del credito allorché si proceda alla vendita del bene ed alle conseguenziali cancellazioni), al fine di consentirgli di esprimere il proprio parere in ordine alla offerta formalizzata dal terzo ed alla opportunità di procedere alla vendita diretta.

Tra i possibili contraddittori della istanza del debitore vengono menzionati, altresì, i comproprietari: nel caso di pignoramento di bene indiviso, lo si ricorda, i comproprietari, destinatari dell’avviso ex art. 599 c.p.c., sono legittimati a partecipare all’udienza ex art. 569 c.p.c. in seno alla quale potranno formulare istanza di separazione in natura della propria quota/porzione (se possibile) ovvero istanza di assegnazione della quota pignorata (per quanti ritengono che l’istanza ex art. 720 c.c. possa essere formalizzata anche prima dello svolgimento del giudizio di divisione endoesecutiva). Ci si chiede se, previsto lo strumento della vendita diretta, sia consentito al debitore, proprietario di una quota indivisa di un bene sulla quale insiste il pignoramento, chiedere l’autorizzazione alla vendita dell’intero bene (con il consenso dei comproprietari) ovvero della sola quota (in tale ultimo caso, la valutazione del G.E., ad avviso di chi scrive, dovrà riguardare non soltanto i presupposti di ammissibilità della istanza, ma anche la convenienza della vendita della quota indivisa secondo quanto previsto dall’art. 600 2° co. c.p.c.; la detta norma esprime il favor del legislatore del 2005 per lo svolgimento del giudizio di divisione endoesecutiva, piuttosto che per la vendita della quota).

La partecipazione dell’offerente – la serietà (dell’offerta) del quale è, nelle intenzioni del legislatore,  garantita unicamente dal versamento della cauzione (pari al 10% del prezzo offerto) – all’udienza in cui sarà valutata l’istanza del debitore, appare ultronea, a meno che non si voglia ritenere che, a fronte del dissenso manifestato dalla platea dei soggetti interessati (creditori e/o comproprietari), l’offerente possa rilanciare, ovvero rimodulare l’offerta in modo da renderla più appetibile (in tal caso, però, dovrebbe essere prevista la possibilità di integrare la cauzione ai fini della valutazione di ammissibilità della istanza). 

d) Prevedere che il giudice dell’esecuzione, nel contraddittorio tra gli interessati, possa assumere sommarie informazioni, anche sul valore del bene e sulla effettiva capacità di adempimento dell’offerente.

Al fine di evitare che lo strumento in esame sia utilizzato da parte del debitore con finalità dilatorie è previsto, come detto, il versamento di una cauzione pari al 10% del prezzo offerto; tuttavia, il G.E., per poter valutare la convenienza della operazione che il debitore va a proporre, dovrà tener conto anche delle “capacità di adempimento dell’offerente”. Si chiede, cioè, al giudice di compiere una valutazione prognostica circa le possibilità dell’offerente di procedere in concreto al  versamento del prezzo offerto. Ben vero, il debitore potrebbe formulare la detta offerta tramite un familiare o conoscente al solo fine di evitare la delega delle operazioni di vendita all’udienza ex art. 569 c.p.c., sicché, opportunamente, il disegno di legge prevede che il G.E. debba assumere informazioni sulla capacità di adempimento dell’offerente; nondimeno, occorrerà che il legislatore disciplini le modalità con cui dette informazioni devono essere assunte (se tramite un onere di allegazione e produzione gravante direttamente sull’offerente, che dovrà fornire elementi che consentano al G.E. di valutarne la relativa capacità reddituale e patrimoniale, ovvero tramite l’esercizio di poteri istruttori – si pensi alla possibilità di richiedere informazioni alle P.A. ex art. 213 c.p.c. ovvero all’ordine di esibizione e art. 210 c.p.c., strumenti probatori che, tuttavia, non sono propri del processo esecutivo, bensì di quello di cognizione ed ai poteri del G.E. che, nei limitati casi in cui questo avviene, svolge istruttorie del tutto deformalizzate – si pensi al potere di assumere informazioni ai fini dell’adozione del provvedimento ex art. 549 c.p.c. ovvero ai fini della risoluzione di una controversia distributiva ex art. 512 c.p.c.).

e) Prevedere che con il provvedimento con il quale il giudice dell’esecuzione autorizza il debitore a procedere alla vendita debbano essere stabiliti il prezzo, le modalità del pagamento e il termine, non superiore a novanta giorni, entro il quale l’atto di trasferimento deve essere stipulato ed il prezzo deve essere versato.

Il debitore è legittimato a chiedere l’autorizzazione alla vendita diretta: a fronte della detta istanza, il G.E. dovrà adottare un provvedimento, assimilabile – quanto al contenuto – all’ordinanza di vendita ex art. 591 bis c.p.c. nella parte in cui stabilisce il prezzo del bene e le modalità di pagamento, nonché il termine entro il quale dovrà essere versato il saldo.

Per quanto concerne il prezzo del bene, ci si chiede quando questo sarà stabilito dal G.E.: invero, per quanto sopra detto, il prezzo sarà in concreto determinato dall’offerta del terzo che dovrà, preferibilmente, essere commisurata al valore di mercato del bene come indicato dall’esperto stimatore; ma nel d.d.l. si prevede che sia il G.E. a stabilire il prezzo del bene. E allora deve immaginarsi che, all’esito del contraddittorio instaurato con le parti e con l’offerente, vi sia quella possibilità sopra già accennata per quest’ultimo di rivedere al rialzo la proposta di acquisto (perché ad es. il prezzo offerto si discosta dal valore stimato dall’esperto) – in tal caso, ovviamente, dovrà essere integrata la cauzione -.

Il G.E. è chiamato, altresì, a stabilire le modalità di pagamento del prezzo ed il termine entro il quale dovrà essere stipulato l’atto e versato il saldo prezzo. Tanti gli scenari che si aprono a questo punto: 1. l’atto deve essere stipulato dinanzi ad un notaio o è possibile configurare una possibilità alternativa di definizione del sub procedimento instaurato in forza della istanza del debitore? Potrebbe essere emesso dal giudice il decreto di trasferimento? La proposta di legge parla di un “atto di trasferimento” che deve essere “stipulato”, dunque sembrerebbe obbligato il riferimento al notaio chiamato a rogare l’atto di compravendita nella forma pubblica necessaria ai fini della trascrizione (la vendita, sotto tale profilo, è assimilabile ad una vendita volontaria, sebbene tragga la sua occasione da una procedura esecutiva e sia legittima solo per effetto di un provvedimento autorizzatorio del G.E.); in alternativa, dovrebbe configurarsi la possibilità per il G.E. di emettere, all’esito del versamento del saldo prezzo, un decreto di trasferimento (la vendita sarebbe in tutto e per tutto coattiva, sebbene avvenga con modalità non competitive, bensì a trattativa privata, sfociando nell’emissione di un D.T., anch’esso suscettibile di trascrizione); non appare, invece, configurabile la stipula dell’atto davanti a professionista diverso; 2. se entro il termine stabilito non viene rogato l’atto per causa non imputabile all’offerente (ad es. l’istruttoria del mutuo, tramite il quale questi dovrà versare il saldo prezzo, si incaglia per fatti estranei alla sfera di controllo dello stesso), è possibile ottenerne una proroga ovvero la rimessione in termini? L’istanza dovrà essere formulata dall’offerente o dal debitore?; 3. se entro il termine previsto dall’ordinanza del G.E. non sia versato il saldo prezzo, si applicherà l’art. 587 c.p.c.? (non è previsto espressamente, dipenderà dalla natura che si intenda attribuire alla detta vendita; se coattiva, nulla quaestio, se volontaria potrebbe profilarsi l’inadempimento dell’offerente all’obbligo di concludere il contratto assunto in sede di formulazione dell’offerta ed eventualmente la possibilità di agire ex art. 2932 c.c. da parte del debitore ovvero del creditore in surroga?). Ben vero, la lettera h) dell’art. 10 del d.d.l. induce a ritenere che il fallimento del sub procedimento della vendita diretta (per effetto della mancata stipula dell’atto nel termine assegnato ovvero del mancato versamento del saldo prezzo) implicherà la totale riespansione dei poteri del G.E. in ordine alla liquidazione del bene staggito (con immediata adozione del provvedimento di cui all’art. 569 c.p.c., analogamente a quanto avviene in caso di esito negativo del sub procedimento di conversione).

f) Prevedere che il giudice possa autorizzare il debitore a procedere alla vendita anche in caso di opposizione di uno o più creditori, nei casi in cui ritenga probabile che la vendita con modalità competitive non consentirebbe di ricavare un importo maggiore, in tal caso garantendo l’impugnabilità del relativo provvedimento autorizzatorio.

Il G.E., ai fini dell’autorizzazione alla vendita diretta, deve compiere le valutazioni sopra dette, delle quali dovrà dar conto nella ordinanza emessa all’esito dell’udienza svolta nel contraddittorio delle parti (che, tendenzialmente, coinciderà con l’udienza ex art. 569 c.p.c.); il parere dei creditori, nelle intenzioni del legislatore, parrebbe essere vincolante laddove positivo (il G.E. non potrà, in caso di consenso dei creditori, negare l’autorizzazione), non vincolante se negativo (nel senso che il G.E. potrà valutare di autorizzare egualmente la vendita diretta pronosticando la realizzazione, tramite la vendita competitiva, di un importo inferiore rispetto a quello offerto dal terzo; detta valutazione è particolarmente complessa e necessariamente astratta non potendosi conoscere prima di disporre la vendita, se non basandosi su informazioni assunte dal custode giudiziario ovvero sugli elementi ricavabili dalla perizia di stima in ordine alle condizioni giuridiche e materiali del bene pignorato, quale sarà il grado di appetibilità sul mercato dello stesso).

Quantomeno singolare che il legislatore abbia previsto la possibilità di impugnazione del provvedimento solo nel caso in cui il G.E. abbia inteso consentire la vendita diretta in contrasto col parere dei creditori. Ben vero, ad avviso di chi scrive, anche il provvedimento di diniego dell’autorizzazione dovrebbe essere impugnabile quale atto esecutivo ai sensi dell’art. 617 c.p.c..

g) Prevedere che il giudice dell’esecuzione possa delegare uno dei professionisti iscritti nell’elenco di cui all’articolo 179-ter delle disposizioni di attuazione del codice di procedura civile alla riscossione del prezzo nonché alle operazioni di distribuzione del ricavato e che, una volta eseguita la vendita e riscosso interamente il prezzo, ordini la cancellazione delle trascrizioni dei pignoramenti e delle iscrizioni ipotecarie ai sensi dell’articolo 586 del codice di procedura civile, da effettuare a cura delle parti contraenti.

Il G.E. può delegare un avvocato, un commercialista o un notaio per la riscossione del prezzo nonché per lo svolgimento della fase distributiva: nella vendita delegata il professionista viene autorizzato all’apertura di un conto sul quale sarà versata la cauzione nonché il saldo prezzo; in sede di autorizzazione della vendita diretta, il G.E. potrà scegliere di nominare un professionista incaricato di ricevere il saldo prezzo che dovrà previamente aprire un conto/libretto intestato alla procedura, nonché farvi confluire la cauzione versata dall’offerente, nonché di formare il progetto di distribuzione delle somme ricavate dalla vendita (trattasi di incarichi già tipizzati con riferimento all’istituto della delega dalla norma dell’art. 591 bis c.p.c. nn. 6 e 12). Resterà di competenza del G.E. l’adozione di un provvedimento che ordini la cancellazione delle formalità da effettuarsi a cura delle parti contraenti (ciò confermerebbe la natura ibrida della detta vendita nella misura in cui la cancellazione delle formalità che deve essere disposta dal G.E., e non invece con l’atto notarile di compravendita, si spiega solo se si riconduce la vendita diretta al genus delle vendite coattive).

i) Prevedere che l’istanza possa essere formulata per una sola volta a pena di inammissibilità.

Analogamente a quanto avviene per la conversione del pignoramento, l’istanza per la vendita diretta potrà essere formulata una sola volta. La riproposizione (a prescindere dalle ragioni per le quali la precedente non sia andata a buon fine, ovvero sia se il procedimento abbia subito un arresto nel suo incipit per difetto delle condizioni di ammissibilità, sia che il mancato buon esito sia dipeso dal mancato versamento del saldo ovvero dalla mancata stipula dell’atto) è preclusa e ciò con l’evidente intento di evitare un uso distorto dello strumento.

È appena il caso di precisare, in conclusione, che si rivela opportuna una presa di posizione del legislatore quanto alla individuazione della natura giuridica della vendita diretta anche ai fini della delimitazione dei confini della garanzia del compratore; inoltre, la procedimentalizzazione della vendita diretta rischia di interferire con l’efficacia di altri sistemi di chiusura anticipata delle procedure (si pensi alla cd. contestuale, prassi in uso in molti uffici giudiziari e consistente nella rinuncia da parte dei creditori depositata contestualmente alla stipula di un atto di compravendita tra il debitore ed un terzo che si accolli il debito residuo).