Il Processo Civile Telematico: aspetti tecnico-giuridici di Andrea Penta

1.     Premessa. Il quadro normativo di riferimento. 2. Le modalità di redazione degli atti processuali. 3. L’iscrizione a ruolo della causa. 4. La procura alle liti. 5. L’orario di trattazione delle cause. 6. I fascicoli. 7. I rinvii d’udienza. 8. La verbalizzazione. 9. Le notifiche eseguite direttamente a mezzo pec dagli avvocati. 10. La fase di trattazione. 11. La fase istruttoria. 12. La fase decisoria. 13. Il procedimento monitorio. 14. I principali problemi in ambito fallimentare (cenni). 15. La volontaria giurisdizione. 16. Varie.

1.     Premessa. Il quadro normativo di riferimento.

Il primo atto normativo che ha dato il vero impulso al PCT  (dopo i decreti sull’obbligatorietà della tenuta informatica dei registri di cancelleria  e dopo il fondamentale d.P.R. 123/2001, oggi per una parte della dottrina abrogato) è l’art. 4 del d.l. 29 dicembre 2009, n. 193, convertito con modificazioni nella legge 22 febbraio 2010, n. 24 (intitolato “Interventi urgenti in materia di funzionalità del sistema giudiziario”). Tale norma attribuisce al Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro per la pubblica amministrazione e l’innovazione, il potere regolamentare di individuare le nuove regole tecniche per l’adozione nel processo civile e nel processo penale delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (art. 4). Introduce importanti modifiche al codice di procedura civile (artt. 125, 163 e 167 c.p.c.), prevedendo l’obbligatoria indicazione negli atti processuali del codice fiscale delle parti e dei difensori, da utilizzare come chiave primaria per la loro identificazione da parte del sistema informatico (art. 4, comma 8, lett. a, b, c). Impone altresì l’ adozione della posta elettronica certificata per tutte le comunicazioni e notificazioni nel processo civile (ed in quello penale). Altro corpo normativo cardine è poi il Codice dell’Amministrazione Digitale, cosiddetto C.A.D., ossia il d.lgs. 7 marzo 2005, n. 82 che, tuttavia, non esaurisce il suo ambito di applicazione al mondo della giustizia, dettando regole generali per tutte le amministrazioni. Oltre ad affermare il diritto dei cittadini all’uso delle tecnologie telematiche per interagire con le pubbliche amministrazioni e sancire l’obbligo della p.a. di usare nuove tecnologie, il CAD istituisce il domicilio digitale del cittadino (art. 3bis) e l’INI-PEC (art. 6bis). Ma, soprattutto, il CAD  innova  e disciplina la nozione di documento informatico (già prevista dalla legge cd. Bassanini n. 59/97, dal d.P.R. 445/2000 e in norme penali) agli artt. 20 e ss., della loro sottoscrizione (art. 24) delle varie ipotesi di copie e duplicati informatici di documenti analogici o informatici (23, 23, 23bis) , in merito alle quali rinvia a regole tecniche (art. 71) che solo di recente sono state emanate (DPCM 13.11.2014). Sulla base del fondamentale citato art. 4  del d.l. 29 dicembre 2009, n. 193 (convertito, con modificazioni, nella l. 22 febbraio 2010, n. 24) è stato poi emanato il DM n. 44/2011, che, a sua volta, ha disciplinato le basi del PCT, con le successive integrazioni e modifiche dai Decreti Ministeriali nn. 209/2012 e 48/2013.  Infine, il d.l. 179/2012  (come integrato e modificato dal d.l. 90/2014 e con il d.l. 123/2014),  il d.l. 90/2014 ed il d.l. 132/2014 hanno completato la disciplina e fornito le scadenze di avvio del Processo Civile Telematico in primo e secondo grado e nelle procedure esecutive.

 2. Le modalità di redazione degli atti processuali.

Con l’introduzione del PTC sono cambiate, almeno a decorrere dal 30.6.2014, anche le modalità di redazione dei provvedimenti telematici.

Il d.l. 18 ottobre 2012, n. 179, contenente “Ulteriori misure urgenti per la crescita del Paese”, pubblicato nella Gazz. Uff. 19 ottobre 2012, n. 245, convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, L. 17 dicembre 2012, n. 221, ha all’art. 16-bis, intitolato “Obbligatorietà del deposito telematico degli atti processuali”, statuito, tra l’altro, quanto segue:

<<1. Salvo quanto previsto dal comma 5, a decorrere dal 30 giugno 2014 nei procedimenti civili, contenziosi o di volontaria giurisdizione, innanzi al tribunale, il deposito degli atti processuali e dei documenti da parte dei difensori delle parti precedentemente costituite ha luogo esclusivamente con modalità telematiche, nel rispetto della normativa anche regolamentare concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici. Allo stesso modo si procede per il deposito degli atti e dei documenti da parte dei soggetti nominati o delegati dall’autorità giudiziaria. Le parti provvedono, con le modalità di cui al presente comma, a depositare gli atti e i documenti provenienti dai soggetti da esse nominati.

2. Nei processi esecutivi di cui al libro III del codice di procedura civile la disposizione di cui al comma 1 si applica successivamente al deposito dell’atto con cui inizia l’esecuzione.

3. Nelle procedure concorsuali la disposizione di cui al comma 1 si applica esclusivamente al deposito degli atti e dei documenti da parte del curatore, del commissario giudiziale, del liquidatore, del commissario liquidatore e del commissario straordinario.

4. A decorrere dal 30 giugno 2014, per il procedimento davanti al tribunale di cui al libro IV, titolo I, capo I del codice di procedura civile, escluso il giudizio di opposizione, il deposito dei provvedimenti, degli atti di parte e dei documenti ha luogo esclusivamente con modalità telematiche, nel rispetto della normativa anche regolamentare concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici. Il presidente del tribunale può autorizzare il deposito di cui al periodo precedente con modalità non telematiche quando i sistemi informatici del dominio giustizia non sono funzionanti e sussiste una indifferibile urgenza. Resta ferma l’applicazione della disposizione di cui al comma 1 al giudizio di opposizione al decreto d’ingiunzione.…>>.

A far data dal 30.6.2014, a norma dell’art. 16 bis d.l.179/2012, convertito in l. 221/2014 e successivamente modificato dall’art. 44 del d.l. 90 del 24.6.2014, il deposito degli atti processuali e dei documenti da parte dei difensori delle parti ‘precedentemente costituite’ e degli altri soggetti esterni, nei giudizi di competenza del Tribunale iniziati a far data dal  30.6.2014, avrà luogo esclusivamente con modalità telematiche; tale forma di deposito obbligatorio varrà anche per i ricorsi per ingiunzione dinanzi al Tribunale, di cui agli artt. 633 e ss. c.p.c.. Ai sensi del medesimo art. 44, per i giudizi già pendenti al 30.6.2014, fino al 31.12.2014 gli atti ed i documenti potranno essere depositati, oltre che nel tradizionale formato cartaceo, anche in modalità telematica ed in tal caso il deposito si perfeziona esclusivamente con tale ultima modalità.

Si osserverà il regime tradizionale cartaceo per gli atti introduttivi dei giudizi diversi da quello monitorio, i quali, pertanto, restano esclusi dall’obbligo di deposito telematico. Nonostante le opinioni contrarie, anche l’art. 44 del d.l. n. 90/2014 fa esclusivamente riferimento, per i giudizi diversi da quello monitorio, ai soli atti endoprocessuali, con riguardo sia al deposito telematico obbligatorio sia a quello facoltativo. Tale interpretazione è stata pure recepita nella circolare D.A.G., Direzione Generale Giustizia Civile, del 27 giugno 2014, nella parte in cui “ritiene che l’entrata in vigore delle norme di cui all’art. 16 bis d.l. cit. non innovi in alcun modo la disciplina previgente in ordine alla necessità di un provvedimento ministeriale per l’abilitazione alla ricezione degli atti introduttivi e di costituzione in giudizio. Dunque, nei tribunali già abilitati a ricevere tali atti processuali ai sensi dell’art. 35 DM 44/11, continuerà a costituire facoltà (e non obbligo) delle parti, quella di inviare anche gli atti introduttivi o di costituzione in giudizio mediante deposito telematico. Laddove, invece, tale abilitazione non sussista, essa dovrà essere richiesta”.

In termini estremamente sintetici (per una disamina più completa vedasi infra), gli atti che possono essere depositati telematicamente con valore legale presso ogni tribunale dovrebbero essere quelli riguardanti:

  1. l’intero procedimento monitorio fino alla richiesta di esecutorietà
  2. i procedimenti di cui al libro III del codice di procedura civile, per gli atti successivi al deposito dell’atto con cui inizia l’esecuzione (art. 16-bis, co. 2, d.l. n. 179/2012);
  3. il contenzioso ordinario limitatamente a:
    1. atti e documenti di parte (incluse le dismissioni di mandato professionale e la nomine dei consulenti di parte);
    2. memorie autorizzate dal giudice;
    3. comparsa conclusionale e memoria di replica (o note ex art. 429 c.p.c.);
    4. memorie autorizzate dal giudice ex art. 183, co. 6, c.p.c.;
    5. elaborati di consulenza tecnica d’ufficio;
    6. memorie integrative nel rito delle locazioni o nelle cause di separazione e divorzio;
    7. istanze di correzione o di anticipazione.

Per quanto concerne il settore famiglia, rientrano nella categoria degli atti non suscettibili di deposito telematico, oltre al ricorso introduttivo (anche delle separazioni consensuali e dei divorzi congiunti) ed alla memoria difensiva di costituzione, altresì le memorie integrative depositate dopo l’udienza presidenziale. E’ noto, infatti, che, in relazione alla natura fin dall’origine contenziosa dei procedimenti di separazione giudiziale e di scioglimento del matrimonio non si accompagna l’assimilabilità dell’udienza presidenziale di comparizione dei coniugi, avente unicamente la finalità di dare luogo al tentativo di conciliazione e, in caso di esito negativo, di adottare i provvedimenti temporanei ed urgenti e fissare l’udienza dinanzi al giudice nominato per il prosieguo del giudizio, all’udienza prevista dall’art. 180 c.p.c. Ne deriva che, riguardo ai termini per la costituzione del coniuge convenuto e a quelli di decadenza dello stesso per la formulazione delle domande riconvenzionali, ivi compresa quella di riconoscimento dell’assegno divorzile, quale udienza di prima comparizione, rilevante ai sensi dell’art. 180 c.p.c. e degli art. 166 e 167 c.p.c., deve intendersi esclusivamente quella innanzi al giudice nominato all’esito della fase presidenziale, fermo restando la ritualità della domanda riconvenzionale relativa all’assegno divorzile già proposta con la comparsa di risposta dinanzi al Presidente del tribunale (Cassazione civile, sez. I, 28/03/2007, n. 7653; Cassazione civile, sez. I, 07/02/2006, n. 2625).

Quanto alle funzioni presidenziali, si evidenzia l’attuale pratica indisponibilità per il presidente di una propria consolle con la quale gestire la materia delle assegnazioni e riassegnazioni, oltre che la incompletezza e problematicità del software per il deposito dell’atto telematico da parte del presidente.

Sono da considerarsi atti introduttivi, e quindi non depositabili telematicamente con valore legale, altresì le istanze ex art. 709 ter c.p.c.

Per quanto riguarda i procedimenti di volontaria giurisdizione è, invece, ad oggi possibile depositare, con valore legale, solo i ricorsi ex art 337-bis e seguenti c.c.

E’, pertanto, privo di valore legale – tra gli altri – il deposito degli atti introduttivi nel procedimento ordinario (atto di citazione, ricorso introduttivo del giudizio, comparsa di costituzione e risposta, interventi autonomi), riguardando l’obbligatorietà del deposito telematico, nei procedimenti contenziosi e di volontaria giurisdizione, solo gli atti successivi alla costituzione in giudizio (id est, gli atti endoprocessuali)

Con riferimento all’istituto dell’amministrazione di sostegno, occorre tener presente che il procedimento per la nomina dell’amministratore, il quale si distingue, per natura, struttura e funzione, dalle procedure di interdizione e di inabilitazione, non richiede il ministero del difensore nelle ipotesi, da ritenere corrispondenti al modello legale tipico, in cui l’emanando provvedimento debba limitarsi ad individuare specificamente i singoli atti, o categorie di atti, in relazione ai quali si richiede l’intervento dell’amministratore; necessita, per contro, detta difesa tecnica ogni qualvolta il decreto che il giudice ritenga di emettere, sia o non corrispondente alla richiesta dell’interessato, incida sui diritti fondamentali della persona, attraverso la previsione di effetti, limitazioni o decadenze analoghi a quelli previsti da disposizioni di legge per l’interdetto o l’inabilitato, per ciò stesso incontrando il limite del rispetto dei principi costituzionali in materia di diritto di difesa e del contraddittorio (cfr. Cassazione civile, sez. I, 20/03/2013, n. 6861; Corte Costituzionale, 19/04/2007, n. 128). Occorre, pertanto, domandarsi se in quest’ultima evenienza l’iterprocedimentale debba o meno essere rispettoso delle nuove regola introdotte in tema di PCT.

Nei procedimenti civili, contenziosi o di volontaria giurisdizione (per i quali l’obbligatorietà è prevista, ripetesi, per “il deposito degli atti processuali e dei documenti da parte dei difensori delle parti precedentemente costituite”: art. 16-bis, co. 1, d.l. n. 179/2012), sono state registrate incertezze per:

  • il reclamo ex art. 669 terdecies c.p.c. (interpretabile come giudizio diverso dalla fase cautelare di prima istanza);
  • l’istanza di correzione di errore materiale (che, però, può essere proposta direttamente dal difensore della parte costituita);
  • il procedimento cautelare in corso di causa (rilevate prassi di iscrizione come autonomo procedimento, invece che come sub-procedimento, ma preferibile tesi endoprocedimentale);
  • l’opposizione avverso l’ordinanza che chiude il c.d. rito sommario Fornero, ai sensi della legge n. 92/2012 nonché l’opposizione avverso il decreto emesso ai sensi dell’art. 28 legge n. 300/1970 (giudizi diversi, argomentabile per analogica dalla norma in tema di opposizione a decreto ingiuntivo, ma potrebbe essere valorizzato anche l’argomento contrario, secondo cui nulla prevedendo la legge, a differenza di quanto previsto per l’opposizione a decreto ingiuntivo, tali opposizioni sono da intendere atti endoprocedimentali).

Per Trib. Torino 20.7.2014, dato che nessuna norma consente il deposito in forma telematica dell’atto introduttivo del giudizio, dev’essere dichiarato inammissibile il ricorso ex art. 702bisc.p.c., depositato in quella forma.

Nei procedimenti esecutivi, sono stati ritenuti fuori dal campo di obbligatorietà:

  • i ricorsi al giudice dell’esecuzione in opposizione successivi all’inizio dell’esecuzione depositati ai sensi degli artt. 615 e 617, co. 2, c.p.c. e ai sensi dell’art. 619 c.p.c. e gli atti di introduzione dei relativi giudizi di merito;
  • i ricorsi per l’esecuzione di obblighi di fare e non fare ex art. 612 c.p.c.;
  • i ricorsi in opposizione a proroga nel rilascio;
  • gli atti di intervento e le istanze di sospensione dirette al giudice dell’esecuzione;
  • le istanze di conversione del pignoramento;
  • le dichiarazioni di terzo pignorato e le relative contestazioni;
  • gli atti relativi agli incidenti nell’esecuzione per rilascio.

Nelle procedure concorsuali(per le quali l’obbligatorietà è prevista per il “deposito degli atti e dei documenti da parte delcuratore, del commissario giudiziale, del liquidatore, del commissarioliquidatore e del commissario straordinario”: art. 16-bis, co. 2, d.l. n. 179/2012) sono stati ritenuti esclusi:

  • i ricorsi per concordato preventivo c.d. “pieno”;
  • i ricorsi per concordato preventivo c.d. prenotativo;
  • i reclami ex artt. 26 e 36 l.f.

 2.1. Nelle ipotesi in cui le parti procedano al deposito telematico dell’atto introduttivo o di costituzione in giudizio (in assenza della speciale abilitazione ministeriale prevista dall’art. 35 del d.m. n. 44/2011), la valutazione circa la legittimità di tali depositi, involgendo profili prettamente processuali, sarà di esclusiva competenza del giudice. Di conseguenza, non spetta al cancelliere la possibilità di rifiutare tali atti inviati con modalità telematiche dalle parti.

Nel caso di atto introduttivo depositato telematicamente, anziché in formato cartaceo, si discute su quali siano le conseguenze sul piano processuale. In tale ipotesi le conseguenze ricollegabili alla violazione vanno dalla mera irregolarità all’inesistenza dell’atto. La circostanza che in questo caso la competente struttura ministeriale abbia espressamente chiarito che, trattandosi di questione interpretativa riservata al giudice, le cancellerie dovranno comunque accettare gli atti introduttivi del giudizio depositati in modalità telematica senza possibilità di rifiuto, depone a favore della tesi meno rigorosa, che risente di un evidentefavorverso la modalità telematica.

D’altra parte, per i procedimenti instaurati a decorrere dal 30.6.2014 il deposito degli atti endoprocessuali, provenienti dalle parti costituite o dagli ausiliari del giudice, deve avvenire esclusivamente mediante invio telematico (così come anche per i procedimenti instaurati prima del 30.6.2014, a decorrere dal 31.12.2014, sarà consentito il deposito di atti endoprocessuali solo con modalità telematica). La circolare DAG del 27.6.2014 (in ciò pienamente confermata dalla successiva circolare del 28.10.2014), valorizzando l’avverbio “esclusivamente”, suggerisce che in quest’ultimo caso, a differenza del primo, le cancellerie dovrebbero rifiutare un atto depositato in formato cartaceo (in particolare, a decorrere dal 30 giugno 2014, le cancellerie “nei procedimenti di nuova instaurazione, non dovranno più ricevere il deposito in forma cartacea degli atti endoprocessuali di parte, salve le eccezioni di cui ai commi 8 e 9 art. 16 bis d.l. 179/12″), anziché telematicamente (si pensi ad un ricorso per d.i.). Tuttavia, l’esistenza di margini per interpretazioni divergenti nell’applicazione della norma induce qualche perplessità circa l’indicazione contenuta nella menzionata circolare D.A.G. (si pensi, ad esempio, all’eventualità che il giudice chiamato a decidere la controversia assuma un indirizzo divergente da quello adottato dalla cancelleria in sede di accettazione/rifiuto dell’atto, con possibili riflessi in tema di decadenza).

Due sono allora le possibili opzioni ermeneutiche:

1. l’atto è addirittura inesistente, in quanto non conforme allo schema normativo, previsto come “esclusivo”, legittimando la dichiarazione di inammissibilità (arg. ex Cass. Sez. L, Sentenza n. 21447 del 12/10/2007, Rv. 600156 e Sez. 3, Sentenza n. 12391 del 21/05/2013, Rv. 626402, in tema di deposito effettuato a mezzo posta) o, addirittura, di irricevibilità da parte della cancelleria;

2. la violazione non è prevista a pena di nullità dall’art. 156, co. 1, c.p.c., onde il giudice può invitare la parte a “regolarizzare” il deposito (arg. ex. Cass. Sez. U, Sentenza n. 5160 del 04/03/2009, Rv. 607475, in tema di deposito effettuato a mezzo posta).

Corollario della seconda posizione, è la sanatoria per raggiungimento dello scopo, ai sensi dell’art. 156, co. 3, c.p.c. (arg., ancora, ex. Cass. Sez. U, Sentenza n. 5160 del 04/03/2009, Rv. 607475, in tema di deposito effettuato a mezzo posta). Anche se non manca chi, ritenendo che la patologia non riguarderebbe i requisiti di forma e di sostanza dell’atto (e, quindi, non integrando gli estremi della nullità), esclude l’applicabilità, sia pure in via estensiva, del principio del raggiungimento dello scopo.

La questione assume particolare rilievo nell’ipotesi di atto per il quale si ponga un problema di decadenza (come, ad es., nell’ipotesi delle memorie ex art. 183, co. 6, c.p.c.), dovendosi valutare se il deposito in forma cartacea valga o meno ad impedire la decadenza. La prevalenza dell’una o dell’altra opzione ermeneutica, da un lato, rischia di incoraggiare prassi “permissive” circa l’obbligatorietà della modalità telematica, dall’altro, all’opposto, di sanzionare le parti con pesanti decadenze processuali a fronte di interpretazioni non ancora consolidate e condivise circa la stessa delimitazione degli atti “endoprocedimentali” (sul punto vedasi il par. 10.1).

E’ a darsi, peraltro, atto di un orientamento della giurisprudenza di merito che tende ad allargare le maglie degli atti suscettibili di essere depositati telematicamente. Invero, Trib. Roma, ord. 24.1.2015, ha ritenuto che la DGSIA, nel rilasciare i decreti ex art. 35 DM 44/11, è priva, per legge, del potere di individuare il novero degli atti depositabili telematicamente e la tipologia dei procedimenti nei quali esercitare la facoltà di deposito telematico. In particolare, la DGSIA non avrebbe, in siffatta evenienza, alcun potere di limitare i depositi telematici solo per alcuni procedimenti e per determinati atti. Il giudice capitolino sostiene, inoltre, che la comparsa di costituzione e risposta depositata telematicamente deve essere in ogni caso considerata ammissibile, atteso che non è “prevista da alcuna norma la sanzione processuale di inammissibilità del deposito dell’atto introduttivo o di costituzione in via telematica, e dunque spetta al giudice, sulla base della normativa costituzionale, processuale e telematica, verificare l’idoneità del suddetto deposito al raggiungimento dello scopo cui è deputato (cfr. altresì Trib. Milano,  ord. 7.10.2014). Deve,  quindi, ritenersi  ammissibile  il  deposito  di  atti  e  provvedimenti non espressamente contemplati nel decreto autorizzatorio secondo il principio generale contenuto nell’art. 121 c.p.c. (per il quale gli atti del processo, per cui la legge non richiede forme determinate, possono essere compiuti nella forma più idonea, al raggiungimento del loro scopo) ed, inoltre, trova applicazione il principio generale di cui all’art. 156 c.p.c. (per il quale l’atto eventualmente invalido, se ha raggiunto lo scopo cui è destinato, come nel caso di specie a seguito dell’accettazione dell’atto da parte della cancelleria, con immediata visibilità per il giudice e per tutte le altri parti del processo, non può essere dichiarato nullo; cfr. Tribunale Bologna, ord. 16.07.2014)”.

Il DGSIA avrebbe, quindi, solo il potere-dovere di verificare, in un determinato ufficio giudiziario, l’installazione e l’idoneità delle attrezzature informatiche, nonché la funzionalità dei servizi di comunicazione dei documenti informatici; nessuna norma consentirebbe, invece, alla stessa di individuare ed inserire nel decreto ex art. 35 d.m. 44/11 il novero degli atti depositabili telematicamente oppure la tipologia di procedimento rispetto al quale esercitare la facoltà di deposito telematico; da ciò seguirebbe l’impossibilità per il giudice di dichiarare inammissibili o irricevibili depositi telematici ai atti in uffici giudiziari privi di quel “valore legale”perchè inseriti arbitrariamente da DGSIA nei decreti ex art. 35 d.m. 44/11. La verifica spettante a DGSIA ex art. 35 d.m. 44/11, tra l’altro, oggi non avrebbe più ragione di esistere, se è vero che in tutti i tribunali, sin dal 30 giugno 2014, è accertata l’installazione e l’idoneità delle attrezzature informatiche, nonché la funzionalità dei servizi di comunicazione dei documenti informatici, così come richiesto dell’art. 35 del d.m. 44/11.

In quest’ottica, si è ritenuto ammissibile, per i procedimenti instaurati tanto prima che dopo il 30 giugno 2014, il deposito telematico degli atti introduttivi del giudizio, esclusi dal novero degli atti indicati dai primi quattro commi dell’art. 16bisl. n. 221 del 2012, posto che ciò che non è previsto non può ritenersi per ciò solo vietato, stante il principio di libertà di forme (art. 121 c.p.c.), e avendosi riguardo al divieto di pronunciare la nullità di un atto del processo se la nullità non è comminata dalla legge, e comunque mai ove risulti accertato che l’atto ha raggiunto lo scopo a cui è destinato (art. 156 c.p.c.). Il ché avverrebbe nel caso di specie, dato che l’atto introduttivo telematico è accettato dal cancelliere ed è inserito nel fascicolo di parte e, quindi, raggiunge il proprio scopo di permettere la presa di contatto tra la parte e l’ufficio giudiziario, di esprimere la difesa della parte e di realizzare il rapporto processuale con la controparte (Tribunale Brescia, 07/10/2014).

Vanno altresì segnalate, quali norme di chiusura di un sistema che con le sue rigidità non voglia compromettere i diritti costituzionali di difesa, le disposizioni dell’art. 16 bis, commi 8 e 9, del d.l. n. 179/2012 (che attribuiscono al Presidente del Tribunale in caso di malfunzionamenti o al giudice nello stesso caso o per ragioni specifiche la possibilità di “autorizzare” il deposito di atti o copie di atti in formato cd. cartaceo), i cui contorni sono concretamente rimessi al diritto vivente.

Una volta che sia stato eseguito il deposito telematico dell’atto relativo ad un giudizio pendente (ad esempio, una memoria), non debbono far séguito il deposito cartaceo né alcun ulteriore adempimento, essendo il deposito telematico del tutto equivalente, ai fini di cui all’art. 170 c.p.c., a quello eseguito in cancelleria.

L’atto da depositare telematicamente in giudizio può essere predisposto con qualsiasi redattore di testi e va convertito in formato pdf. Non è consentito stampare l’atto, scansionarlo ed allegarlo come pdf o file immagine.

Per una più facile lettura dell’atto depositato in formato elettronico è consigliabile che lo stesso venga suddiviso in paragrafi e capitoli; è ammesso che all’interno del corpo dell’atto vengano inserite figure e/o immagini; non è ammesso l’utilizzo di macro, le quali sono considerate elementi attivi il cui inserimento è vietato dall’art. 13 del provvedimento DGSIA del 16 aprile 2014 (per una più approfondita disamina vedasi infra).

 3.      L’iscrizione a ruolo della causa.

Ora, con l’entrata in vigore del PCT, gli atti introduttivi per i quali è ammesso il deposito telematico devono essere accompagnati dalla nota di iscrizione a ruolo, che può essere compilata a mano o elaborata in automatico daisoftwarespredisposti per la generazione della busta da inviare telematicamente all’ufficio giudiziario competente. La nota di iscrizione a ruolo deve essere in ogni caso sottoscritta digitalmente dall’avvocato prima dell’invio. Al fine di una corretta redazione della stessa dovranno essere inseriti tutti i dati di ciascuna parte; nel caso di pluralità di attori/ricorrenti o convenuti/resistenti, andranno necessariamente inseriti i dati anagrafici e fiscali di tutti i soggetti. Occorre prestare una particolare attenzione nell’indicazione del codice relativo all’oggetto della controversia, in quanto da esso dipendono la correttezza dell’assegnazione alla sezione di riferimento e dei rilievi statistici.

Si raccomanda:

  • ai difensori di prestare attenzione, all’atto della iscrizione a ruolo, in particolare in relazione alla gestione informatizzata e mediante “codici a barre” del fascicolo da parte della cancelleria, nell’indicare correttamente l’oggetto della causa con il relativo codice ed il codice fiscale e l’indirizzo delle parti;
  • alla cancelleria l’iscrizione a ruolo del fascicolo anche solo con la velina dell’atto di citazione.

Al fine del corretto calcolo dell’importo del contributo unificato deve essere indicato con esattezza il valore della causa.  Si rammenta la necessità di inserire la dichiarazione di valore sia negli atti introduttivi, sia – quando vengano introdotte modifiche della domanda cui consegua un aumento di valore della causa – nella memoria ex art. 183, VI comma, n. 1), c.p.c., nonché di ribadire l’indicazione del valore all’interno della nota di iscrizione a ruolo.

Si evidenzia che nel processo telematico, venendo a mancare il controllo preventivo del cancelliere, l’eventuale omissione non sarebbe emendabile e costringerebbe la cancelleria ad avviare l‘iteramministrativo di irrogazione delle sanzioni di legge.

Se viene effettuato il pagamento con i metodi tradizionali (acquisto marca lottomatica o versamento con mod. F23), il contributo unificato e l’anticipazione forfettaria delle spese (attualmente marca da bollo da € 27,00) devono essere acquisiti tramite scanner in un unico file in formato .pdf ed allegati alla busta telematica (alcuni softwares disponibili prevedono un apposita sezione per l’inserimento di tale file e prevedono l’inserimento degli estremi di pagamento).

All’atto della richiesta copie, o in occasione di altro accesso alla cancelleria e, comunque, su richiesta dell’ufficio, occorrerà consegnare in cancelleria l’originale delle ricevute di versamento del contributo e della marca da bollo (debitamente annullata).

Ove si provveda al pagamento del contributo unificato e dei diritti di cancelleria in forma telematica, al termine del procedimento il sistema informatico genererà la quietanza di pagamento, denominata “ricevuta telematica”, sia in formato .xml (firmato digitalmente in formato CAdES a norma dell’art. 27, comma 3, provv. DGSIA 16.4.2014) sia in formato .pdf; al fine di consentire alla cancelleria un’immediata riconciliazione dei dati contabili, nella busta informatica dovrà essere inserito il file.xml firmato; il file.pdf potrà essere inserito solo in caso di impossibilità di allegazione del file.xml firmato, oppure sarà stampato ed esibito alla cancelleria in caso di espressa richiesta da parte di quest’ultima al difensore. Non vi è alcun obbligo di consegna della ricevuta in cancelleria.

 4. La procura alle liti.

La procura alle liti va redatta su foglio separato rispetto all’atto giudiziario (ricorso, memoria, comparsa, ecc.), e deve essere allegata alla busta telematica non come allegato generico ma inserita nell’apposita sezione prevista dai redattori disponibili e denominata appunto “procura alla lite”. Essa può essere rilasciata in due diversi modi:

a) nel caso in cui la parte non sia in possesso di una firma digitale o firma elettronica qualificata, la procura deve essere redatta su supporto cartaceo e sottoscritta con firma autografa sia dalla parte che dall’avvocato; la copia cartacea dovrà essere successivamente scansionata e salvata come file in formato pdf con il nome di “procura alle liti”; l’avvocato dovrà procedere a firmare digitalmente il file in .pdf e tale firma sarà considerata attestazione di conformità all’originale dell’avvocato e sarà trasmessa all’ufficio giudiziario;

b) nel caso in cui, invece, la parte sia in possesso di firma digitale può essere rilasciata una procura digitale; l’atto verrà compilato con un qualsiasi programma di videoscrittura come documento informatico, convertito successivamente in pdf e firmato digitalmente prima dalla parte e poi dall’avvocato.

La procura notarile generale o speciale può essere redatta su supporto cartaceo e successivamente scansionata, oppure generata direttamente in via informatica. In entrambi i casi è necessario che il file della procura notarile venga firmato digitalmente dall’avvocato, che ne attesta la conformità all’originale.

5. L’orario di trattazione delle cause (ex art. 83 disp. att. c.p.c., il giudice istruttore fissa l’ordine e gli orari di trattazione delle cause).

In primo luogo, l’applicazione del PCT presuppone, soprattutto se si intende verbalizzare con la consolle il corso dell’udienza, un numero contingentato di cause da trattare, non superiore a venti. A tal fine sarà imprescindibile ripartire le stesse in varie fasce orarie, onde evitare una perniciosa sovrapposizione nella loro trattazione.

Sarebbe opportuno, pertanto, che:

  • in ciascuna udienza venisse fissato, anche attraverso l’utilizzo dello strumento previsto dall’art. 168-bis, 5° co., c.p.c., un numero massimo di 20 (venti) cause, tale da consentire un’adeguata trattazione, effettiva e decorosa, per ciascuna di esse;
  • l’udienza venga tendenzialmente divisa in tre fasce (predeterminate) orarie di trattazione: a) la prima (indicativamente dalle ore 9.00 alle ore 10.00) dedicata a cause con incombenti (prevedibilmente ex ante) necessitanti di una minore durata (cause provenienti da rinvii ex artt. 181 e 309 c.p.c.; ammissione dei mezzi istruttori – da avvenire preferibilmente, allorquando viene fissata un’apposita udienza, nel corso di tale udienza, evitando di riservarsi -; conferimenti di incarichi peritali; precisazioni delle conclusioni; discussione orale in cause semplici o ripetitive); b) la seconda (indicativamente dalle ore 10.00 alle ore 11.00) riservata ad attività di più lunga durata o, comunque, di durata non prevedibile e, dunque, alla prima comparizione delle parti (in occasione della quale il giudice potrebbe aver bisogno di chiarimenti o di indicare questioni rilevabili d’ufficio, l’attore potrebbe avvertire la necessità di chiedere di essere autorizzato a chiamare un terzo ovvero di proporre le domande e le eccezioni che sono conseguenza della domanda riconvenzionale – cd. reconventio reconventionis – o delle eccezioni proposte dal convenuto ed entrambe le parti potrebbero essere indotte a precisare e modificare le domande, le eccezioni e le conclusioni già formulate – cc.dd. mutatio ed emendatio libelli -), all’esame delle c.t.u., all’interrogatorio libero delle parti ed ai tentativi di conciliazione; c) la terza (indicativamente dalle ore 11.00 in poi) destinata all’assunzione delle prove ed ai procedimenti cautelari;
  • negli atti difensivi che richiedono la fissazione dell’udienza ad opera della parte l’orario di udienza venisse sempre indicato nelle ore 9 e ss.;
  • nel fissare gli orari per fasce i magistrati tenessero conto della verosimile durata di ciascuno degli incombenti, assicurando in ogni caso un adeguato spazio di interlocuzione con i difensori;
  • nella determinazione dell’orario dell’udienza di rinvio il giudice tenesse conto della sua prevedibile durata, anche sulla base delle indicazioni degli avvocati.

 6. I fascicoli.

Nell’impostazione tradizionale (fondata sul cartaceo) i difensori dovrebbero aver cura di predisporre i fascicoli di parte in aderenza a quanto previsto dall’art. 74 disp. att. c.p.c., con sezioni separate per atti e documenti, tutti correttamente affoliati, con distinta e congruente numerazione che trovi riscontro nell’indice del fascicolo. Inoltre, dovrebbero rilegare i fascicoli di parte in modo da consentire una facile estrazione dei documenti (in particolare, per rendere agevole l’esame e l’eventuale fotocopiatura dei documenti). Ora, con l’invio telematico della documentazione allegata alle memorie istruttorie, il problema si porrà, di fatto, solo per i documenti depositati unitamente agli atti introduttivi del giudizio che, di regola, verranno ancora depositati in formato cartaceo.

Se è vero che l’art. 9, co. 3, del d.m. n. 44/2011 statuisce che “la tenuta e conservazione del fascicolo informatico equivale alla tenuta e conservazione del fascicolo d’ufficio su supporto cartaceo” (fermi restando gli obblighi di conservazione dei documenti originali unici su supporto cartaceo previsti dal codice dell’amministrazione digitale e dalla disciplina processuale vigente), in tal modo esonerando la cancelleria dall’obbligo di formazione del fascicolo d’ufficio su supporto cartaceo (prevista dal D.P.R. n. 123/2001), è altrettanto vero che, anche per i fascicoli iscritti a ruolo dopo il 30.6.2014, permarrà per le parti l’obbligo di depositare gli atti di costituzione in giudizio ed i documenti ad essi allegati in formato cartaceo, così come rimarrà, per il giudice, la facoltà di depositare in formato cartaceo i propri provvedimenti (ad eccezione di quelli assunti nell’ambito del procedimento monitorio). D’altra parte, vi sarà la necessità, ad es., di produrre l’originale cartaceo del documento la cui sottoscrizione autografa sia stata oggetto di disconoscimento; in tal caso, fermo restando, per la parte già costituita a mezzo di un difensore, l’obbligo di invio telematico, laddove il giudice dovesse dar corso al subprocedimento di verificazione, la parte verrebbe verosimilmente onerata dallo stesso giudice di produrre l’originale cartaceo; analoga fattispecie si verificherebbe nell’ipotesi di disconoscimento della conformità all’originale della copia di un documento e di proposizione di querela di falso sullo stesso. Tale originale cartaceo, depositato in cancelleria, andrebbe necessariamente custodito nel fascicolo precedentemente formato.

In ogni caso, pur a fronte delle previsioni del D.M. n. 44/2011, la reale tenuta del fascicolo di ufficio sarà “ibrida”, in quanto, almeno per un certo periodo, continueranno a “convivere” atti e documenti depositati in formato cartaceo ed atti e documenti depositati in modalità telematica.

Per quanto riguarda la tenuta dei fascicoli (art. 36), occorrerebbe provvedere alla ripartizione del fascicolo d’ufficio in sottofascicoli contenenti: a) gli atti introduttivi delle parti (atto di citazione o ricorso, comparsa di costituzione o memoria difensiva del convenuto e degli eventuali terzi chiamati in causa), b) le memorie ex art. 183, co.6, c.p.c. e le eventuali memorie autorizzate; c) i verbali di udienza (all’interno dei quali vanno ulteriormente separati quelli concernenti le prove costituende assunte), tutti numerati su ogni facciata in modo progressivo; d) le c.t.u., con i relativi decreti di liquidazione; e) le comparse conclusionali e le memorie di replica; all’interno di ogni sottofascicolo gli atti siano inseriti secondo un ordine cronologico; in quest’attività la cancelleria venga coadiuvata dai laureati in tirocinio presso l’ufficio. Con l’avvento del PTC, peraltro, il problema non dovrebbe più porsi per gli atti indicati alle lettere a), b), d) ed e), fermo restando che per i verbali, qualora si adottasse la modalità telematica, dovrebbero inevitabilmente essere inseriti in calce i numeri di pagina.

Nell’ambito del PTC, qualora i difensori intendano ritirare il fascicolo di parte ed il giudice lo autorizzi, si darà atto a verbale della autorizzazione e del ritiro, indicandosi il nome dell’avvocato che vi procede; non occorrerà che il difensore firmi il verbale e/o la copertina del fascicolo d’ufficio.

  7.     I rinvii d’udienza.

Sarebbe opportuno che:

  • in caso di rinvio con assegnazione di termini, il giudice fissasse l’udienza almeno 10 giorni dopo la scadenza dell’ultimo termine, al fine di consentire il tempestivo inserimento telematico degli atti a cura della cancelleria;
  • come regola generale, in tutti i casi di comunicazioni effettuate mediante fax o posta elettronica, i difensori si impegnano a confermare, con lo stesso mezzo ed entro tre giorni, l’avvenuta ricezione dell’atto all’indirizzo e-mail od al numero di fax che dovranno essere indicati con adeguata evidenza nella comunicazione della cancelleria.

 8. La verbalizzazione.

Le udienze del g.i. non siano pubbliche (art. 84, co. 1), atteso che, ai sensi dell’art. 128, co. 1, c.p.c., solo l’udienza di discussione dinanzi al collegio è pubblica a pena di nullità; da ciò deriva che, anche al fine di rispettare la privacy delle parti (soprattutto per evitare che parti e testimoni siano costretti a riferire fatti personali dinanzi a terzi estranei al processo) e, comunque, per garantire una ordinata trattazione delle cause, queste ultime andranno chiamate e trattate in numero non superiore a due contestualmente (nel senso di consentire la verbalizzazione alle parti della seconda causa nel mentre viene trattata dinanzi al giudice la prima. Con l’avvento del processo civile telematico, sarà, del resto, materialmente impossibile trattare contestualmente due o più cause, richiedendo ognuna di esse l’utilizzo della consolle del magistrato.

Come è noto, all’attualità il verbale viene redatto, nell’impossibilità di tenere udienza con la collaborazione del personale amministrativo, direttamente dal giudice o dagli avvocati sotto la direzione del giudice. In particolare, nel caso di indisponibilità delle cancellerie ad assicurare il servizio di verbalizzazione delle udienze sia tradizionale sia mediante strumenti informatici, il giudice procede alla verbalizzazione di persona ovvero autorizza, su accordo delle parti e sotto la sua direzione e controllo, la redazione del verbale ad opera di uno dei difensori.

Dovendosi (recte, potendosi), come detto, utilizzare, ai fini della verbalizzazione, la consolle in dotazione a ciascun magistrato, non può escludersi a priori la possibilità che il giudice, preferendo concentrare le sue attenzioni sui chiarimenti offerti dagli avvocati o dalle parti, sulle eventuali dichiarazioni da queste ultime rese in sede di libero interrogatorio o sul raccoglimento della prova, affidi agli avvocati presenti ed interessati alla causa la verbalizzazione sotto sua dettatura mettendo a loro disposizione la sua consolle. Tale meccanismo sarebbe di difficile percorribilità ove i giudici decidessero di avvalersi, oltre alla consolle, di programmi di dettatura telematica basati sul timbro della voce (quale “Dragon”).

La verbalizzazione delle attività di udienza deve svolgersi quanto più possibile (e compatibilmente con la necessità di evitare dilatazioni nei tempi di svolgimento quando più cause siano chiamate alla stessa ora) con l’uso deisoftwaredi redazione per il PTC (consolle del magistrato o mag-office), che i giudici si impegnino ad utilizzare, specie per le prove orali per testi; è opportuno, peraltro, riaffermare che la verbalizzazione non è atto del giudice.

Va ribadito che la redazione del verbale con modalità telematica non è obbligatoria, essendo la previsione normativa limitata agli atti processuali ed ai documenti da parte dei difensori delle parti precedentemente costituite e dei soggetti nominati o delegati dall’autorità giudiziaria (consulenti tecnici, custodi, ecc.). La verbalizzazione in via telematica, peraltro, comporterà che non sarà più di fatto possibile la confessione spontanea ex art. 229 c.p.c., atteso che la parte che manchi di certificato di firma digitale non può rilasciare la confessione giuridicamente rilevante ai fini di cui alla norma citata, né quel valore può ricondursi alla produzione telematica eventualmente effettuata dal suo difensore (che, a tutto concede, assume la valenza di una mera ammissione).

Inoltre, poiché l’art. 88 disp. att. c.p.c., in tema di verbale di conciliazione, continua a prevedere che “La convenzione conclusa tra le parti per effetto della conciliazione davanti al giudice istruttore è raccolta in separato processo verbale, sottoscritto dalle parti stesse, dal giudice e dal cancelliere“, non sarà possibile in siffatta evenienza redigere un verbale di conciliazione interamente telematico, ma occorrerà stampare su carta il verbale in modo da consentirne alle parti la sottoscrizione; altrimenti, la mancanza di sottoscrizione autografa delle parti determinerebbe notevoli difficoltà in sede di trascrizione. In tal senso, anche circolare D.A.G. del 27 giugno 2014: “Diverso è, invece, il caso del verbale di conciliazione. Rimane, infatti, in vigore l’art. 88 disp. att. c.p.c., a mente del quale “la convenzione conclusa tra le parti per effetto della conciliazione davanti al giudice istruttore è raccolta in separato processo verbale, sottoscritto dalle parti stesse, dal giudice e dal cancelliere”. In tale ipotesi, infatti, la mancanza di sottoscrizione autografa delle parti determinerebbe certamente notevoli difficoltà in sede di trascrizione, sicché è altamente probabile che, in questi casi, il giudice provvederà a stampare su carta il verbale in modo da consentirne alle parti la sottoscrizione.“. Più di recente la Circolare del Ministero della Giustizia del 28.10.2014 ha preso atto che l’art. 45, co. 1, lett. a), del d.l. n. 90/2014 ha operato una modifica dell’art. 126 c.p.c., eliminando la necessità della sottoscrizione del verbale d’udienza da parte dei soggetti intervenuti e prescrivendo che del verbale stesso sia data lettura in udienza, ad opera del cancelliere; la lettera c) dello stesso comma ha, poi, soppresso, all’art. 207, 2° comma, c.p.c., le parole “che le sottoscrive”; in tal modo viene superato il problema di consentire ai soggetti intervenuti e, in particolare, ai testimoni ed alle parti presente in udienza, che abbiano reso l’interrogatorio, di sottoscrivere il verbale, posto che, come è noto, la consolle del magistrato, allo stato attuale, permette la sottoscrizione di atti solo da parte del giudice. L’ultima circolare ha, però, ribadito, nei termini su esposti, che diverso è il caso del verbale di conciliazione.

Altro caso in cui si pone il problema del deposito dell’originale cartaceo di documenti già depositati mediante invio telematico è rappresentato dal documento la cui sottoscrizione autografa sia stata oggetto di disconoscimento. In tal caso, fermo restando, per la parte già costituita a mezzo di un difensore, l’obbligo di invio telematico, laddove il giudice dovesse dar corso al subprocedimento di verificazione, la parte verrebbe verosimilmente onerata dallo stesso giudice di produrre l’originale cartaceo. Tale originale, depositato in cancelleria, andrebbe necessariamente custodito nel fascicolo precedentemente formato. Simili ipotesi si verificherebbero nei casi di disconoscimento della conformità all’originale della copia di un documento, ovvero di proposizione di querela di falso sullo stesso.

E’ auspicata, a tal riguardo, la collaborazione dei tirocinanti di cui all’art. 73 d.l. n. 69 del 21.6.2013, conv. in legge con modificazioni dalla l. n. 98 del 9.8.2013. E’ apprezzato l’utilizzo in udienza, da parte degli avvocati, di strumenti ed applicativi informatici che consentano loro la predisposizione in digitale delle rispettive deduzioni d’udienza.

La verbalizzazione, pur contenendo tutte le istanze delle parti, sia sintetica, avendo cura il giudice di sintetizzare le deduzioni a verbale e le richieste delle parti.

In particolare, all’esito dell’introduzione del PTC, la verbalizzazione avverrà sotto la direzione del giudice, che provvederà a sintetizzare a verbale le deduzioni e le richieste delle parti. Il Tribunale di Roma ha stabilito che il verbale redatto tramite la consolle del magistrato e depositato telematicamente con firma digitale dal giudice venga stampato dalla cancelleria ed inserito nel fascicolo d’ufficio.

Previa comunicazione alla controparte, possono essere ammesse note a verbale predisposte in via anticipata dalle parti, purchè presentino una lunghezza limitata (non più di due pagine con interlinea 1,5 e con carattere 12), abbiano un contenuto non ripetitivo di argomentazioni già svolte e presentino una forma decorosa (non sono, ad es., ammessi fax). In particolare, in caso di specifica necessità di verbalizzazione (ad es., capitolazione della prova orale nel rito del lavoro, specificazione di dati catastali, verbale di conciliazione delle parti) i difensori potranno ora presentare deduzioni su supporto informatico (chiavetta USB, ecc.) ed il giudice provvederà, nell’ambito dei suoi poteri di direzione dell’udienza, ad inserire la deduzione nel verbale di udienza, assicurando alla controparte la possibilità di controdeduzioni, anche brevi, a verbale.

9. Le notifiche eseguite direttamente a mezzo pec dagli avvocati.

Qualora l’avvocato abbia notificato a mezzo PEC in proprio (ai sensi della L. n. 53/1994; il ricorso alla procedura di notifica telematica risulta praticabile, a far data dal 25.6.2014, da tutti gli avvocati per il sol fatto di essere iscritti all’albo professionale) un atto giudiziario:

o se trattasi di atto introduttivo del procedimento, il difensore dovrà estrarrà una copia cartacea del medesimo e del relativo messaggio PEC (completo di tutti gli allegati), nonché della ricevuta di accettazione e di quella di consegna, apporrà in calce a ciascuno di essi la certificazione di conformità degli esemplari analogici agli originali informatici (a norma dell’art. 9, comma 1-bis, L. n. 53/1994) e curerà il deposito con modalità tradizionali presso la cancelleria in sede di iscrizione a ruolo, dopodiché – una volta formato il fascicolo informatico – provvederà al deposito telematico degli originali informatici del tutto;

o se trattasi di atto endoprocessuale, il difensore depositerà telematicamente – secondo la previsione dell’art. 19-bis delle nuove specifiche tecniche (provv. DGSIA 16.4.2014) – l’atto notificato, unitamente al relativo messaggio PEC (completo di tutti gli allegati), alla ricevuta di accettazione ed a quella di consegna.

Ai sensi dell’art. 51, co. 2, del d.l. n. 90 del 24.6.2014, gli atti si considerano tempestivamente depositati in modalità telematica quando la ricevuta di avvenuta consegna venga generata entro la fine del giorno di scadenza (ore 23:59:59). Poiché, tuttavia, la certezza della regolarità del deposito può aversi solo successivamente all’esecuzione dei controlli  automatici (terzo messaggio di posta certificata) e, in ultima analisi, solo a seguito della verifica della regolarità degli atti da parte del cancelliere (quarto messaggio), sarà opportuno per gli avvocati evitare il deposito degli atti nelle ultime ore del giorno di scadenza (e, in particolare, dar corso al deposito telematico con almeno 48 ore di anticipo rispetto alla scadenza del rispettivo termine), al fine di avere tempo e modo di rimediare ad eventuali propri errori tecnici. Anche perché, tenuto conto che gli atti e i documenti sono visibili alle parti del giudizio solo a seguito dell’accettazione della cancelleria, un deposito effettuato molto a ridosso dell’orario di scadenza potrebbe comportare che detta visione sia possibile per le altre parti in un momento successivo alla scadenza giuridica del termine alle stesse assegnato o, comunque, a ridosso dello stesso. Il deposito anticipato consente altresì alla cancelleria di aprire la busta (ciò che avviene di norma il primo giorno lavorativo successivo alla ricezione della RAC) e segnalare eventuali anomalie – ostative all’accettazione del deposito – in tempo utile per permettere all’avvocato di sanare tali anomalie e provvedere entro il termine al deposito telematico rituale.

L’art. 3 bis, co. 3, della l. 21.1.1994, n. 53, prevede che “La notifica si perfeziona, per il soggetto notificante, nel momento in cui viene generata la ricevuta di accettazione e, per il destinatario, nel momento in cui viene generata la ricevuta di avvenuta consegna“. Pertanto, mentre per le notifiche eseguite dalle cancellerie assume esclusiva valenza la RdAC, con l’ultimo intervento normativo è stato esteso alle notifiche eseguite in proprio a mezzo Pec il principio della scissione dei momenti perfezionativi (nel senso che, una volta perfezionata la notifica – con tutti i controlli, anche manuali, previsti – l’efficacia della stessa retroagisce al momento della RAC). Peraltro, la coincidenza tra i due momenti (solitamente trasmessi a distanza di pochissimi secondi) rende praticamente contestuale l’esecuzione delle due fasi nella gran parte dei casi.

In particolare, con riferimento al momento di perfezionamento della notificazione telematica, quest’ultima è stata vincolata alla materiale conoscenza dell’atto da parte del destinatario. La questione trova autorevolissimi precedenti in sede di legittimità (Corte Costituzionale sentt. 14.01.2010, n. 3, e 26 novembre 2002, n. 477; Cass. SS.UU. ord.  21 ottobre 2004, n. 458) ed è stata rielaborata a sostegno di una eccezione proposta, in sede giudiziale, nel primo periodo di operatività della notifica via PEC. A fronte del rilievo secondo cui la mancata visione del messaggio da parte del destinatario,  coincisa con lo “smarrimento della password” di accesso all’account di pec, potesse e dovesse ritenersi produttiva di irregolarità nella notifica (che, nel caso di specie, atteneva a ricorso per dichiarazione di fallimento e pedissequo decreto di comparizione davanti al tribunale), il giudice del reclamo, ritenuta l’equivalenza tra la trasmissione dell’atto per via telematica effettuata ai sensi dell’articolo 48 del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82 (come sostituito dall’art. 33, comma 1, del decreto legislativo 30 dicembre 2010, n. 235) e la notificazione per mezzo del servizio postale, ha individuato il momento del perfezionamento nella “…generazione della ricevuta di avvenuta consegna da parte del gestore di posta elettronica certificata del destinatario e ciò indipendentemente dall'”apertura del messaggio” (Corte d’Appello Bologna, sent. 30/5/2014).

Ancor meno rilevante è stata poi ritenuta l’ignoranza sulle modalità di funzionamento della posta elettronica certificata, assunta a sostegno della tardiva opposizione a decreto ingiuntivo di pagamento, pervenuta alla cognizione del Tribunale di Mantova e specificata nella mancata conoscenza, da parte del destinatario, delle modalità di scaricamento dei documenti allegati e della disponibilità della presenza di programmi specifici per la loro visualizzazione. Il giudice adito ha richiamato le disposizioni sulle notificazioni dirette a mezzo PEC ed, in particolare, al momento del suo perfezionamento, da sole ritenute utili a consentire la declaratoria di inammissibilità dell’opposizione perchè tardiva (Tribunale Mantova, sez. lavoro sent. 3 giugno 2014).

In definitiva, il flusso informativo che l’avvocato riceve a mezzo PEC è il seguente:

  • una prima ricevuta (automatica) di avvenuto invio (accettazione deposito);
  • una seconda ricevuta (automatica) di avvenuta consegna del messaggio contenente la busta (consegna deposito); questa ricevuta attesta l’avvenuto deposito dell’atto con valore legale e ad ogni effetto processuale;
  • un terzo messaggio (automatico) con l’esito dei controlli automatici (esito controlli automatici deposito. Controlli terminati con successo. Busta in attesa di accettazione);
  • un quarto messaggio (di competenza della cancelleria) contenente l’esito dei controlli eseguiti dalla cancelleria (accettazione deposito – accettazione avvenuta con successo); l’accettazione da parte della cancelleria non costituisce deposito, ma mero inserimento dell’atto nel fascicolo digitale.

Come si è già visto, le cancellerie devono garantire l’accettazione degli atti depositati (e, quindi, delle buste inviate telematicamente) entro il giorno successivo all’invio del deposito (recte, a quello di ricezione da parte dei sistemi del dominio giustizia), effettuando il relativo controllo almeno due volte al giorno (la prima all’inizio dell’orario di lavoro delle cancellerie e la seconda verso la fine di tale orario)[29]. L’esigenza di garantire la tempestiva accettazione degli atti e documenti depositati dalle parti si evidenzia nitidamente allorchè i termini per il deposito di atti siano scaglionati (per disposizione o per scelta del giudice), in maniera tale che alla scadenza di un primo termine si ricolleghi la decorrenza del secondo (è il caso dei termini di cui agli artt. 183 e 190 c.p.c.), atteso che un ritardo nell’accettazione del deposito eseguito nel primo termine comporterebbe inevitabilmente un’automatica decurtazione del secondo termine.

L’accettazione delle buste viene effettuata dalle cancellerie secondo l’ordine cronologico di consegna delle stesse. Il rigetto del deposito da parte dell’ufficio non impedisce comunque il successivo deposito entro i termini assegnati o previsti dalla vigente normativa processuale (art. 16bis, co. 7, d.l. 18.10.2012, n. 179).

Riguardo alla gestione degli errori rilevati dal sistema, si segnala la contrarietà dell’Avvocatura a soluzioni che comportino il rifiuto diretto dell’atto da parte della cancelleria sul rilievo che ogni questione debba essere rimessa alla valutazione del giudice (è stato evidenziato, ad esempio, che anche la mancata sottoscrizione degli atti è stata ritenuta causa di nullità e non di inesistenza – Cass. Sez. 3, Sentenza n. 6264 del 20/04/2012, Rv. 622296 – sottratta come tale alla valutazione del cancelliere). In particolare, è stato evidenziato che, a fronte del rischio di un rifiuto dell’atto, con la ricevuta di avvenuta consegna si avrebbe solo un effetto “provvisorio”, subordinato al buon esito dell’ultima ricevuta (la quarta), vale a dire dell’accettazione finale da parte dell’ufficio.

Raccogliendo tali preoccupazioni, la circolare D.A.G. del 27 giugno 2014 ha precisato che “Le cancellerie, in presenza di anomalie del tipo WARN o ERROR, dovranno sempre accettare il deposito, avendo cura, tuttavia, di segnalare al giudicante ogni informazione utile in ordine all’anomalia riscontrata. A tal fine è fortemente auspicabile che i capi di ciascun ufficio e i dirigenti di cancelleria concordino tra loro modalità di segnalazione degli errori il più possibile efficaci e complete.

Va ricordato che gli atti depositati telematicamente ed i relativi allegati non vengono stampati dalla cancelleria, in quanto ha valore legale di originale il solo documento telematico. Gli avvocati possono richiedere comunque copia degli atti e degli allegati depositati dalla controparte presso la cancelleria, dietro pagamento dei diritti di copia.

Nel caso in cui le suddette registrazioni di cancelleria riportino una data successiva a quella di scadenza del termine di deposito dell’atto, è opportuno che l’avvocato depositi telematicamente – utilizzando la funzione “memoria generica” – la ricevuta di consegna (RAC/RdAC), in modo che essa venga resa visibile al giudice e alla controparte per la verifica della tempestività del deposito.

E’ comunque rimessa al giudice ogni valutazione in ordine alla tempestività dei depositi ai sensi dell’art. 13, co. 5, d.m. 44/2011, disponendo il giudice, attraverso la consolle del magistrato (“contenuto fascicolo”), della data e dell’orario della ricevuta di avvenuta consegna. Al fine di verificare la tempestività del deposito di un atto o di altra attività processuale connessa alla data di perfezionamento di una comunicazione telematica, il giudice provvederà a controllare la data di comunicazione tramite la sua consolle o attraverso la stampa della ricevuta telematica fatta dalla cancelleria.

Poiché allo stato le comunicazioni telematiche ed i loro esiti sono visibili e consultabili dalla cancelleria e dal giudice tramite la sua consolle, ma tecnicamente non lo sono dagli utenti esterni (e, quindi, dagli avvocati) né dal PST o da PdA, è opportuno che la cancelleria provveda, nei fascicoli ancora a regime misto (telematico e cartaceo), a stampare la ricevuta telematica, anche per consentire il controllo dell’avvocato (in specifico, di controparte). In ogni caso, ai fini della formulazione di un’eccezione di tardività per mancato rispetto dei termini perentori (nonostante la stessa possa essere rilevata d’ufficio), la parte che ne abbia interesse potrà verificare detta circostanza accedendo direttamente alla cancelleria (per verificare, appunto, l’esito delle comunicazioni effettuate dalla cancelleria alle altre parti ed il momento di perfezionamento delle stesse rispetto alle controparti).

Ai fini della valutazione circa la ritualità della comunicazione, l’utente dovrà procedere all’analisi del motivo della mancata consegna, riconducibile a tre tipologie (rif. nota D.G.S.I.A. 1 febbraio 2013):

  • casella sconosciuta, casella scaduta o non attivata;
  • casella piena;
  • problemi di connessione fra i sistemi.

Gli esiti sub 1 e 2 sono considerati imputabili al destinatario, a differenza del terzo esito. In ogni caso, occorre valutare se la mancata individuazione dell’indirizzo p.e.c. del destinatario da parte del sistema non sia piuttosto attribuibile ad un errore nell’inserimento del codice fiscale del soggetto destinatario, in quanto in questo caso la mancata comunicazione non è ad esso imputabile (pertanto, è necessario verificare che per il soggetto associato al fascicolo sia indicato correttamente il codice fiscale).

Quanto alla prova dell’avvenuta notificazione, mentre allo stato sembra reputarsi sufficiente la stampa cartacea della copia degli avvisi di accettazione e di consegna delle comunicazioni telematicamente inviate (in una con quella degli atti inviati e, quindi, anche della relazione di notificazione), il Tribunale di Napoli (ord. 20.5.2014) ha richiesto altresì l’allegazione processuale del certificato di firma digitale del gestore di PEC del notificante, attestante l’integrità del messaggio a norma dell’art. 9 del dPR 68/2005, da ritenersi ragionevolmente memorizzato su supporto cartaceo (es.: CD, penna di memoria USB).

La parte che dimostri di essere incorsa in una decadenza per causa a sé non imputabile potrà presentare istanza di rimessione in termini ai sensi dell’art. 153, co. 2, c.p.c.. È altamente consigliabile che il difensore verifichi senza indugio il corretto funzionamento dei sistemi informatici (proprio e ministeriale), qualora non giunga in tempi brevi dal gestore di posta del Ministero della giustizia la ricevuta di avvenuta consegna (RAC o RdAC); a maggior ragione si attiverà immediatamente in caso di omessa ricezione delle comunicazioni di avvenuta accettazione (RdAC) da parte del gestore di posta del Ministero della giustizia.

E’ chiaro che è necessario che l’avvocato corredi l’istanza di rimessione in termini con l’intera documentazione – cartacea e informatica – occorrente per ricostruire il deposito nelle varie fasi di esecuzione del medesimo.

La rimessione potrà essere concessa – ferma restando la piena discrezionalità del giudice al riguardo – in tutti i casi in cui risulti che la non tempestiva effettuazione del deposito sia derivata da problemi di funzionamento dei sistemi informatici del ministero (ivi inclusi quelli di gestione della posta elettronica certificata) non imputabili al difensore; analogamente, quando il ritardo vada ascritto ad una comunicazione di cancelleria via Pec mancante – in tutto o parzialmente – del relativo provvedimento o alla quale sia stato allegato un documento errato (ad es., per errata scansione di un provvedimento giurisdizionale non digitale), anche se sia stata generata la ricevuta di avvenuta consegna da parte del gestore di posta elettronica certificata del destinatario. In tali casi, del resto, il cancelliere dovrà procedere a nuova trasmissione o, in caso di reiterata impossibilità, all’invio mediante fax per le comunicazioni o UNEP per le notifiche (art. 16, 6, l. 17.12.2012, n. 221, e art. 136, co. 3, c.p.c.).

Si applicano gli artt. 136 e 137 nel caso l’invio telematico non sia possibile per cause non imputabili al destinatario.

La rimessione in termini potrà, inoltre, essere concessa quando l’accettazione, a cura del cancelliere, del deposito telematico compiuto dall’avversario abbia avuto luogo in un tempo tale da impedire alla parte di contraddire sugli atti e/o documenti in questione nel rispetto del termine all’uopo assegnatole[37]. Giustifica ovviamente la rimessione in termini l’eventuale errore, da parte della cancelleria, di selezione del fascicolo di destinazione del deposito telematico.

Va ricordato che, qualora la comunicazione sia rivolta ad un soggetto che – pur avendone l’obbligo ai sensi dell’art. 16, co. 6, del d.m. 44/2011 – non abbia provveduto ad istituire o comunicare (anche in caso di variazione) all’Ordine di appartenenza il proprio indirizzo di posta elettronica certificata, la comunicazione sarà eseguita mediante deposito in cancelleria (senza alcun ulteriore incombente) e da detto momento decorreranno tutti i termini[38].

Nei predetti casi l’avvocato potrà presentare l’istanza di rimessione in termini, dimostrando di essere incorso nella decadenza connessa alla comunicazione del provvedimento, sia pure sia stata generata la ricevuta di avvenuta consegna da parte del gestore di posta elettronica certificata del destinatario[39]. A tal fine avrà l’obbligo di allegare alla richiesta la documentazione a suffragio delle circostanze impeditive.

Si rammenta, inoltre, che gli atti ed i documenti depositati telematicamente diventano visibili alle altre parti del giudizio solo a seguito dell’accettazione operata dalla cancelleria; per cui un deposito eseguito molto a ridosso dell’orario di scadenza potrebbe precludere agli avvocati degli altri contendenti la possibilità di disamina e replica nel successivo termine previsto dalla legge o dal giudice.

Da ultimo, si evidenzia che, laddove la cancelleria rifiuti – per proprio errore o per errore dell’avvocato nell’indicazione del ruolo di destinazione dell’atto (contenzioso ordinario, invece di “volontaria giurisdizione” o “lavoro” o “esecuzioni”, o viceversa) – un deposito telematico, l’avvocato verrà immediatamente avvisato per via telefonica al fine di consentirgli un nuovo deposito.

Qualora, invece, il difensore abbia effettuato un deposito telematico esattamente individuando il ruolo di destinazione dell’atto, ma omettendo – o inserendo in maniera errata – il numero di ruolo del procedimento, la cancelleria integrerà/correggerà d’ufficio il dato mancante/erroneo ed accetterà l’atto.

In mancanza di specifica e tassativa elencazione si è poi dovuto procedere ad un intervento interpretativo finalizzato ad individuare quelle tipologie di atti che, pur rientrando nella generale categoria della materia civile, non possono essere notificate mediante PEC, stante la riserva di esclusività attribuita all’ufficiale giudiziario in alcune fattispecie richiedenti la sua personale partecipazione. In alcuni casi l’indagine è stata rapida ed ha condotto all’elaborazione di una significativa (seppur non esaustiva) lista in cui rientrano l’avviso di rilascio dell’immobile, la notifica da eseguire all’estero, la citazione di testi o l’atto di pignoramento immobiliare. Per alcune di queste attività è la stessa legge che predispone utili alternative all’intervento dell’ufficiale giudiziario (così è per la citazione testi, inoltrabile anche ai sensi dell’art. 250 c.p.c.), mentre per altre ipotesi la valutazione si è rivelata meno agevole e foriera di interessante ed affatto sopito dibattito, talora mancante di univoco orientamento. Tra queste si annovera l’atto di precetto cambiario, che, nella sua composizione tradizionale, impone la preventiva e obbligatoria certificazione di conformità degli originali dei titoli posti a fondamento del credito e trasposti (talvolta anche mediante allegazione in fotocopia o semplice menzione) nell’atto da notificare al debitore; essa – si è detto – costituisce prerogativa esclusiva dell’u.g. pubblico ufficiale ed esclude, quindi, l’eventualità che alla sua notificazione possa procedersi mediante comunicazione di PEC; un indirizzo minoritario, peraltro, muovendo dalla possibilità, espressamente riconosciuta all’avvocato, di attestare l’autenticità dell’atto da notificare a mezzo PEC (art. 3 bis, co. 2, L. 53/94), ha ritenuto possibile procedere in tal senso (cioè consentire la notifica direttamente all’avvocato), previa scansione del documento cartaceo contenente la certificazione rilasciata dell’u.g. da allegare in una con il precetto.

Può poi capitare che la notifica non attenga ad un atto introduttivo, ma a copia di un atto non digitalmente nativo ed acquisito da un provvedimento disponibile in formato cartaceo; in tal caso sarà necessario apporre la specifica attestazione di conformità già predisposta dalla legge: “Ai sensi e per gli effetti degli artt. 3 bis, commi 2 e 6 l. n. 53/94 e successive modifiche e d.lgs. n. 82/2005, si attesta che l’atto notificato è copia fotoriprodotta conforme all’originale da cui è stata estratta”; il d.l. 90/2014, a tal riguardo, abilita l’avvocato (o l’ausiliario del giudice) ad autenticare atti e documenti acquisiti dal fascicolo telematico (senza la necessità del tradizionale passaggio dalla cancelleria e del pagamento di un diritto). In tal caso essi saranno notificabili necessariamente nel formato PDF/immagine.

Ci si domanda se sia possibile utilizzare la domanda giudiziale notificata a mezzo p.e.c. anche ai fini della sua trascrizione, altrimenti affidata all’acquisizione di apposita copia dell’atto notificato in formato cartaceo e con l’intervento dell’ufficiale giudiziario (vale a dire, se sia praticabile un’operazione che utilizzi, quale copia per la trascrizione, quella estratta dalla notifica eseguita mediante PEC e quindi stampata su materiale cartaceo e comprensiva, ovviamente, di allegati e ricevute PEC di accettazione e consegna, nonchè dell’attestazione di conformità all’originale digitalmente trasmesso, apposta dall’avvocato “pubblico ufficiale” ex art. 6 comma 1 L. 53/1994). Il Conservatore di Verona ha manifestato il suo assenso, escludendo la necessità di previa iscrizione a ruolo del giudizio al solo fine di conseguire il rilascio dell’attestazione di conformità all’atto notificato tradizionalmente.

Per quanto concerne la questione sulla generalizzata possibilità di notificare via PEC l’atto di intimazione di sfratto per morosità , negativo deve essere il giudizio del magistrato nell’ipotesi in cui l’atto non dovesse aver raggiunto personalmente il destinatario, ritenendosi in tal caso obbligatorio l’avviso del tentativo di notificazione non effettuata a “mani proprie“, prescritta dall’ultimo comma dell’art. 660 c.p.c. ed affidata all’ufficiale giudiziario mediante invio di raccomandata/a.r.. L’orientamento privilegiato non sanziona l’attività espletata dal notificante, acconsentendo alla rimessione in termini per la rinnovazione dell’incombente (da effettuarsi nelle forme tradizionali).

Per quanto concerne le comunicazioni alle PP.AA., va ricordato che, in base al d.l. n. 90/2014, essendo stato prorogato il termine ultimo per la comunicazione dell’unica pec relativa alla PA al 30 novembre 2014, sino a quest’ultima data le comunicazioni alle PP.AA. costituite a mezzo di propri dipendenti dovranno avvenire con le modalità tradizionali. Le eventuali comunicazioni medio tempore effettuate (in assenza di indicazione dell’unica pec di riferimento) in cancelleria sono, pertanto, irrituali. 

Nell’ipotesi di PP.AA. difesa a mezzo di proprio dipendente, regolarmente censito nel RegInde (come previsto dall’art. 7, co. 4, lett. a, delle regole tecniche), che abbia indicato il predetto indirizzo p.e.c. nell’atto, occorre domandarsi se tale indicazione possa essere equiparata ad un’elezione di domicilio ovvero, dato il tenore letterale dell’art. 16, co. 12, D.L. n. 179/2012, la comunicazione vada comunque eseguita esclusivamente all’indirizzo p.e.c. comunicato ai sensi della predetta disposizione. In tale ultimo senso si pone la nota D.G.S.I.A. dell’8 luglio 2014, la quale precisa come l’inserimento dei dati del dipendente sia finalizzato solo a consentire a quest’ultimo la consultazione del fascicolo e l’eventuale deposito in modalità telematica.

Mentre nell’ipotesi di comunicazione da parte della cancelleria è stata prevista l’esclusività di un indirizzo p.e.c. (per l’appunto quello di cui all’art. 16, co. 12, D.L. n. 179/2012), non essendo stata inserita alcuna limitazione per le notifiche ai sensi della legge n. 53/1994, si discute se per le notifiche effettuate dagli avvocati sia idoneo qualsiasi indirizzo p.e.c. delle PP.AA., purché risultante da pubblici registri (in particolare l’IPA – Indice delle Pubbliche Amministrazioni -) ovvero la limitazione di cui all’art. 16, co. 12, in tema di comunicazioni e notificazioni alle PP.AA. si applichi anche alle notifiche effettuate dagli avvocati ex lege n. 53/1994.

Secondo le disposizioni normative (art. 16 d.m. n. 44/2011), anche ove il difensore abbia indicato nell’atto, ai sensi dell’art. 125 c.p.c., un indirizzo P.E.C. diverso da quello comunicato al proprio Ordine e da questi comunicato al Ministero della Giustizia, la comunicazione deve avvenire comunque all’indirizzo censito nel RegInde e, nell’ipotesi di inidoneità della casella etc., la comunicazione avverrà ritualmente in cancelleria.

10. La fase di trattazione.

E’ opportuno precisare, quanto al dies a quo  di decorrenza dei termini concessi ai sensi dell’art. 183, co. 6, c.p.c., che, all’esito dell’introduzione del PTC, poiché ogni comunicazione di cancelleria in modalità telematica si intende perfezionata nel momento in cui viene generata la ricevuta di avvenuta consegna da parte del gestore di posta elettronica certificata del destinatario (RAC o RdAC), ai sensi dell’art. 16, commi 2 e 3, del d.m. 44/2011, da tale momento – ferma la regola generale per cui dies a quo non computatur in termino – iniziano a decorrere termini processuali perentori ed ordinatori connessi all’avvenuta comunicazione del provvedimento. A tal proposito si precisa che la data effettiva di recapito della comunicazione è quella di consegna nella casella di PEC dell’avvocato e non quella (eventualmente posteriore) in cui il messaggio viene riversato sull’eventuale software client di posta elettronica (es. Outlook) in uso all’avvocato.

11. La fase istruttoria.

A ogni documento dovrà corrispondere un file pdf numerato, che deve essere nominato in modo da identificarne, sinteticamente, il contenuto (nella consolle del magistrato, infatti, non è visibile la “descrizione file” inserita nel redattore, ma solo il “nome” del file allegato) ed è necessario premettere lo “0” ai primi nove allegati (es.: 01, 02, 03, etc.) e, nel caso si producano più di cento documenti, il doppio zero per le successive decine (es.: 001, 002, 0010, 0020, etc.).

Le produzioni documentali andranno, pertanto, opportunamente caricate in files separati (1 file = 1 documento) e ciascun file dovrà contenere lo stesso numero menzionato nell’elenco documentale; è sconsigliata la produzione di files zippati, stante che gli stessi offrono un risparmio minimo in termini di peso del documento e possono risultare difficilmente intellegibili da parte del giudice.

L’atto potrà essere formato utilizzando qualsiasi elaboratore di testi (Microsoft Word, LibreOffice, OpenOffice, ecc.) e dovrà essere poi salvato (recte,convertito) in formato “pdf”, attenendosi alle prescrizioni del d.m. 44/2011 e del provvedimento DGSIA del 16 aprile 2014; il file .pdf non deve, pertanto, come si è già anticipato, essere creato tramite la scansione del documento cartaceo, ma soltanto attraverso la conversione di un file di testo privo di elementi attivi (ad es., l’atto non deve contenere l’immagine della procura a margine o delle sottoscrizioni autografe, del tutto inutili in quanto la sottoscrizione dell’atto avviene con la firma digitale); in caso di mancata osservanza di tali precetti, l’atto verrebbe creato in maniera difforme da quanto previsto in particolare dall’art. 12 delle specifiche tecniche (provv. DGSIA citato). Alla stregua del più recente aggiornamento delle regole tecniche licenziate con provvedimento del DGSIA del 16/4/2014, è abilitato (art. 19bis) l’utilizzo dei documenti informatici o copie informatiche, anche per immagine, dei documenti analogici, fatta eccezione per i casi in cui l’atto da notificare sia un documento originale informatico, necessitante – in questo caso – del sopracitato formato PDF/testo, inderogabile nei casi in cui l’atto da notificarsi sia l’atto del processo da trasmettere telematicamente all’ufficio giudiziario (esempio: atto di citazione).

Tutti gli allegati all’atto possono essere depositati nei seguenti formati: pdf; odf; rtf; txt; jpg; gif; tiff; xml; zip; rar; arj (gli ultimi tre si riferiscono ai formati compressi). Il nome del file allegato non può contenere lettere accentate, apostrofi ed i simboli: ! ” 1 £ $ % & / 0 = ?. Peraltro, al fine di non appesantire la busta telematica e di evitare di raggiungere velocemente la capienza massima di 30 Mb, si suggerisce di astenersi – per quanto possibile – dall’allegazione di files con estensione .tiff, .jpeg o altri formati “fotografici”. Il nome del file può essere scelto liberamente.

Per quanto concerne la tecnica di redazione di un atto di parte, si suggerisce di eseguire le citazioni di giurisprudenza, in linea di massima, in nota a piè pagina, indicandone gli estremi. Per le sentenze di merito si citerà anche la fonte, mettendo a disposizione del giudice e della controparte quelle inedite o di difficile reperimento. Solo le sentenze ritenute più importanti per la loro particolare rilevanza per la soluzione del caso di specie, oppure quelle che si ritiene di dover neutralizzare con la tecnica del distinguishing, diversificando la fattispecie di causa rispetto a quella decisa nel precedente, potranno essere riprodotte per esteso, in tutto o in parte, nel testo.

Per una più facile lettura dell’atto depositato in formato elettronico è consigliabile che lo stesso venga suddiviso in paragrafi e capitoli. Si raccomanda di utilizzare, nell’atto, il link (cd. collegamento ipertestuale) tra testo e singoli documenti citati ed allegati (procedura resa possibile dall’invio contestuale di atti e documenti), in modo tale da poter visualizzare un documento richiamato semplicemente operando sull’atto che lo richiama. Inoltre, soprattutto per gli atti complessi, è gradita la strutturazione dell’atto attraverso l’utilizzo di segnalibri che vanno a creare il cd. albero di navigazione.

11.1. Si discute se un atto depositato telematicamente, ma non formato nel rispetto delle regole tecniche sia inammissibile per violazione di norme regolamentari (così Trib. Roma 9.6.2014) o sia nullo solo su eccezione di parte. Si tende, invece, a sostenere che un atto in pdf ottenuto da una precedente scansione sia inammissibile (Trib. Roma 5.6.2014; Trib. Udine 17.6.2014). La questione che si è riscontrata più di frequente nella pratica è la sorte degli atti non conformi al disposto di cui all’art. 12, lett. b, delle regole tecniche (espressamente richiamate dall’art. 11 del d.m. n. 44/2011), nella parte in cui prescrive che il documento “è ottenuto da una trasformazione di un documento testuale, senza restrizioni per le operazioni di selezione e copia di parti; non è pertanto ammessa la scansione di immagini”. La questione – con precipuo riferimento, ad esempio, alla sorte degli atti solo scansionati – si pone in maniera non troppo dissimile da quella relativa al deposito dell’atto con modalità non consentita:

  1. la violazione non è prevista a pena di nullità dall’art. 156, co. 1, c.p.c., onde il giudice può al più invitare la parte a “regolarizzare” il deposito;
  2. l’atto è inammissibile, in quanto redatto in violazione delle forme consentite dalle norme regolamentari in materia (art. 121c.p.c.).

Fra queste due opzioni, si pone la linea interpretativa di chi, pur postulando la nullità dell’atto, attribuisce rilievo al criterio del raggiungimento dello scopo, ai sensi dell’art. 156, co. 3, c.p.c. (in tal modo reputando l’atto regolare anche se difforme dalle prescrizioni normative) ovvero alla possibilità di disporne la rinnovazione ai sensi dell’art. 162 c.p.c., nonché quella che restringe la rilevabilità della violazione ad eccezione di parte. Ad esempio, per Trib. Livorno 25.7.2014, il ricorso (per la concessione di decreto ingiuntivo) introduttivo depositato in un file formato.pdf qualora non sia però un atto nativo digitale, ottenuto mediante la trasformazione di un documento testuale, senza restrizioni per le operazioni di selezione e copia di parti, ma un file ottenuto mediante la scansione di immagini (avendo, evidentemente, il legale redatto l’atto, stampato lo stesso, fatto sottoscrivere, con sottoscrizione autografa, la procura a margine dalla ricorrente, autenticato la stessa, sempre con sottoscrizione autografa, sottoscritto con firma autografa il medesimo, e poi scannerizzato l’atto e sottoscritto il file digitale così ottenuto con firma digitale) è nullo, ai sensi dell’art. 156, co. 2, c.p.c., in quanto viola la normativa vigente in tema di processo telematico e non è idoneo al suo scopo (rendere l’atto immediatamente intelligibile a tutti gli attori del processo e rendere l’atto navigabile ad ogni attore del processo con l’utilizzo degli elementi dell’atto, senza la necessità di ricorrere a programmi di riconoscimento ottico dei caratteri, detti OCR).

La questione, anche in questo caso, assume particolare rilievo nell’ipotesi di atto per il quale si ponga un problema di decadenza, non potendosi adottare una soluzione diversa a seconda dell’eventualità o meno che l’atto sia riproponibile senza limitazioni (come nel caso del ricorso per decreto ingiuntivo). La soluzione, peraltro, dovrebbe essere diversificata a seconda della casistica e del tipo di errore rilevato dal sistema (difetto di procura, certificato di firma non valido, etc.).

Trib. Milano, ord. 12.1.2015, valorizzando quanto prescritto dall’art. 16bis, co. 4, d.l. n. 179/2012 (conv. in l. n. 221/2012), laddove stabilisce che il Presidente del Tribunale può autorizzare il deposito con modalità non telematiche quando i sistemi informatici del dominio giustizia non sono funzionanti e sussiste una indifferibile urgenza, ha, in un caso in cui il difetto di funzionamento del sistema informatico era stato provocato, tra l’altro, dalle numerose istanze di autorizzazione al deposito analogico presentate lo stesso giorno, autorizzato la parte al deposito della memoria ex art. 190 c.p.c. in formato cartaceo.

Va ribadito che, una volta che sia stato eseguito il deposito telematico dell’atto relativo ad un giudizio pendente (ad esempio, una memoria), non debbono far séguito il deposito cartaceo né alcun ulteriore adempimento (quale la controfirma da parte del cancelliere dell’atto depositato telematicamente), essendo il deposito telematico del tutto equivalente, ai fini di cui all’art. 170 c.p.c., al deposito in cancelleria.

Non ci sono limiti al numero di documenti che gli avvocati possono depositare telematicamente, ma occorre tenere conto che le specifiche tecniche impongono che la dimensione massima della bustasia di 30 Mb.

Poiché il processo di cifratura dell’allegato della busta determina un aumento del “peso” della stessa pari quasi al doppio, è consigliato di evitare, se possibile, di sottoscrivere digitalmente i documenti che non richiedano specificamente la sottoscrizione digitale. A tal ultimo riguardo, va ricordato che la firma digitale va apposta obbligatoriamente all’atto principale, alla procura ed alla nota di iscrizione a ruolo. Semmai, per i documenti che contengono testi e scritture con caratteri piccoli o molto piccoli (si pensi alle Condizioni Generali nei contratti) è consigliabile procedere con l’ingrandimento delle sole clausole di maggiore interesse da depositare in un file separato, per una migliore leggibilità da parte di tutti gli utenti.

E’ raccomandata la scansione dei documenti con la risoluzione più bassa consentita dal proprio dispositivo scanner (100/150 dpi in modalità “TESTO” e “bianco/nero”), evitando di usare la “scale dei grigi” o, peggio, il “colore”, a meno che ciò non risulti indispensabile avuto riguardo alla natura dei documenti da produrre (come, ad es., rilievi fotografici). Occorre verificare, tuttavia, l’integrale leggibilità del documento trasmesso ed aumentare, dunque, gradualmente la risoluzione in caso contrario.

Nel caso in cui l’avvocato debba procedere alla trasmissione di una busta di peso superiore ai 30 Mb, anche alla luce dell’art. 51, co. 2, ultima parte, del d.l. 90/2014 è ammesso l’invio di busta integrativa (o anche più buste) della stessa tipologia del primo invio (ad es., memoria art. 183) contenente (o contenenti) i documenti esclusi dall’invio principale (ad es., verificato che non si può contenere la busta entro i 30 Mb, si indica in una delle memorie ex art. 183, co. 6, c.p.c. che l’invio sarà multiplo e che parte dei documenti sarà inclusa in altra busta). Nel primo invio sarà contenuto l’atto con in calce l’elenco completo dei documenti che si producono ed i documenti stessi fino a 30 Mb; nel secondo invio, da effettuare immediatamente dopo, saranno contenuti i documenti residui che non si sono potuti trasmettere con il primo invio perché eccedenti i 30 Mb. In concreto, la gestione degli invii successivi può presentare delle difficoltà, sia dal lato del difensore (che deve curare che l’ultimo invio sia perfezionato entro il termine di scadenza) che dal lato dell’ufficio (non solo quanto agli adempimenti di cancelleria, ma anche per il giudice, che deve orientarsi nella consultazione degli allegati suddivisi in più invii).

L’avvocato della parte non costituita ha la possibilità di accedere al fascicolo digitale allo scopo di visionare i soli atti e/o documenti depositati con modalità telematica dalla/e controparte/i. A tal fine è necessario provvedere alla redazione di un apposito atto, denominabile “procura ex art. 76 disp. att. c.p.c.”, attraverso il quale la parte non costituita conferisce al proprio difensore apposito incarico di esaminare il fascicolo d’ufficio. Tale atto – da redigersi ed autenticarsi secondo le regole valevoli per la procura alla lite – verrà quindi trasmesso dall’avvocato per via telematica sotto forma di “istanza generica” (o altra specifica voce identificata dagli schemi informatici ministeriali, in corso di rilascio da parte degli uffici a ciò preposti), avendosi cura di identificare correttamente il numero di ruolo del procedimento interessato.

Al momento del recapito della busta nel fascicolo di competenza verrà restituito all’avvocato un messaggio di errore (“il mittente non ha accesso al fascicolo”), che sarà corretto dalla cancelleria mediante intervento sul sistema informatico. La cancelleria provvederà ad associare il nominativo dell’avvocato alla parte, consentendo così la visualizzazione degli atti e documenti depositati telematicamente.

Resta sempre possibile – per la parte e per gli avvocati – recarsi in cancelleria per la consultazione, a video, dei documenti ed eventualmente per la richiesta di eventuale copia degli stessi con pagamento dei relativi diritti.

L’art. 16 bis d.l. 179/2912 (nella parte in cui dispone che “il deposito degli atti processuali e dei documenti da parte dei difensori delle parti precedentemente costituite ha luogo esclusivamente con modalità telematiche, nel rispetto della normativa anche regolamentare concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici“) va interpretato, con particolare riferimento all’ammissibilità del deposito di atti e documenti (esemplificativamente: una citazione testimoniale, un ricorso notificato) nel corso dell’udienza, nel senso che la norma si riferisce ai soli depositi fuori udienza. Da ciò consegue che, nel caso in cui la produzione documentale avvenga in udienza, i documenti, purchè corredati da indice, potranno essere esibiti in forma cartacea e, ove ammessi in corso o in esito all’udienza, saranno acquisiti al fascicolo in forma cartacea e saranno inseriti nel fascicolo informatico secondo quanto previsto dall’art. 14 del d.m. n. 44/2011 e dall’art. 15 del d.m. 16.4.2014. E’, comunque, raccomandato il deposito telematico di tali atti processuali prima dell’udienza, ferma la facoltà del giudice di disporre l’esibizione dell’originale o il deposito dell’atto cartaceo (ad es., il ricorso di lavoro notificato). Resta ferma altresì la facoltà per il giudice di assegnare alla parte un termine per provvedere al deposito dei documenti la cui richiesta di produzione venga avanzata in udienza.

Poiché l’art. 1 del d.m. 209 del 15.10.2012 ha abrogato l’art. 13, co. 1, primo periodo, del d.m. 44/2011 (ove di prevedeva che “la parte che procede al deposito invia ai procuratori delle parti costituite copia informativa dell’atto e dei documenti allegati“), lo scambio degli atti e delle comparse depositate telematicamente si intende avvenuto con l’accettazione della busta del depositante da parte del cancelliere. E’, pertanto, escluso ogni obbligo giuridico di comunicare all’avvocato della controparte l’avvenuto deposito telematico di atti o documenti. Lo scambio di copie di cortesia cartacee o a mezzo e-mail tra gli avvocati è, pertanto, lasciato alla libera determinazione e ad accordi tra le parti costituite.

La cancelleria non stamperà copia cartacea degli atti e dei documenti depositati, ma si limiterà ad apporre, su ciascun fascicolo nel quale sia stato effettuato almeno un deposito telematico, l’annotazione: “Vi è deposito telematico in atto… Data e firma del cancelliere”.

Mentre il d.P.R. n. 123/2001 prevedeva l’onere della cancelleria di “digitalizzare i documenti prodotti o acquisiti in formato cartaceo sempre che l’operazione non sia (recte, fosse) eccessivamente onerosa (“Nel fascicolo informatico sono inseriti, secondo le modalità di cui al comma 1, anche i documenti probatori offerti in comunicazione prodotti dalle parti o comunque acquisiti al processo. Per i documenti probatori prodotti o comunque acquisiti su supporto cartaceo l’inserimento nel fascicolo informatico delle relative copie informatiche è effettuato dalla cancelleria, sempre che l’operazione non sia eccessivamente onerosa.“), l’art. 14, co. 2, del d.m. n. 44/2011 configura un vero e proprio obbligo in tal senso, onde garantire che la tenuta informatica sia effettivamente equivalente alla tenuta del fascicolo su supporto cartaceo (“La cancelleria o la segreteria dell’ufficio giudiziario provvede ad effettuare copia informatica dei documenti probatori e degli allegati su supporto cartaceo e ad inserirla nel fascicolo informatico, apponendo la firma digitale ai sensi e per gli effetti di cui all’articolo 22, comma 3, del codice dell’amministrazione digitale“.).

In via transitoria e fino al 31.12.2014, nel caso di fascicoli con memorie o documenti di particolare lunghezza o scarsamente leggibili nel formato digitale (semplificativamente: manoscritti, cartografie, certificati o atti notarili di vecchia datazione) e per ragioni specifiche che andranno esplicitate, il giudice potrà avanzare richiesta ai difensori, in udienza, di copia cartacea di cortesiadi atti o documenti singolarmente individuati e già depositati telematicamente (si pensi a memorie di particolare lunghezza o, comunque, a files di grandi dimensioni). Tale copia, ove l’avvocato ritenga di aderire alla richiesta, sarà consegnata direttamente al giudice anche con un’ulteriore copia per ognuna delle controparti (e, dunque, senz’altro non verrà inserita nel fascicolo processuale), e senza il tramite della cancelleria, al fine di non aggravare quest’ultima di compiti non istituzionali e, comunque, di attività non certificabili. Analoga richiesta potrà essere indirizzata saltuariamente dal giudice alla cancelleria, soprattutto laddove si tratti di files di grandi dimensioni.

E’ da evitare la richiesta di copie cartacee di cortesia al di fuori degli specifici casi indicati e, comunque, una generalizzata richiesta da parte del giudice in tal senso.

In ogni caso, fino al 30.6.2015 (data nella quale si prevede che verrà assicurata la disponibilità di apparati idonei ad emulare efficacemente l’odierno metodo di consultazione del cartaceo) i difensori si impegnano a consegnare, ad uso esclusivo del giudice (in composizione monocratica o collegiale), copia di cortesia sottoscritta degli atti depositati in via telematica il giorno feriale immediatamente successivo a quello di scadenza del termine previsto per l’ultimo deposito (memoria ex art. 183, co. 6, n. 3, e memoria di replica ex art. 190 c.p.c.) o, comunque, in tempo utile per l’esame da parte del giudice in vista dell’espletamento dei successivi incombenti processuali. I Presidenti di ogni sezione, anche mediante avvisi affissi nella bacheca della sezione, potranno prevedere la consegna di copia cartacea anche dei documenti allegati (parimenti corredati di attestazione di conformità all’originale telematico) in funzione della differente tipologia di contenzioso assegnata a ciascuna sezione e delle specifiche esigenze di ciascuna sezione.

In proposito, va ricordato che, in base all’art. 16bis, co. 9, d.l. 18.10.2012, n. 179, conv. in l. 20.12.2012, n. 221, “Il giudice può ordinare  (in udienza o con apposito provvedimento) il deposito di copia cartacea di singoli atti e documenti per ragioni specifiche“, oggettive (si pensi ad un atto di parte depositato telematicamente che sia di difficile lettura per una cattiva scansione), diverse dalla “cortesia” di cui sopra e connesse ad esigenze processuali o di svolgimento dell’udienza. Va sottolineato, comunque, che, trattandosi, secondo la dizione di legge, di deposito di “copia cartacea di singoli atti e documenti”, esso presuppone il previo deposito mediante invio telematico dell’originale informatico. Tale atto sarà oggetto di formale attestazione di deposito da parte della cancelleria e sarà (a differenza, come si è visto, delle copie informali) inserito nel fascicolo cartaceo del processo.

Peraltro, l’art. 111 disp. att. c.p.c., che non risulta abrogato, prevede espressamente un deposito cartaceo e, precisamente, che “il cancelliere non deve consentire che s’inseriscano nei fascicoli di parte comparse … di cui non gli sono contemporaneamente consegnate le copie in carta libera per il fascicolo d’ufficio e per gli altri componenti del collegio“. Anche se deve ritenersi che, se la parte (per obbligo normativo o per scelta normativamente consentita) opera il deposito tramite invio telematico, la menzionata norma risulta inapplicabile. Ha offerto un chiarimento definitivo sul punto la circolare del 28.10.2014, a tenore della quale, se è vero che tale disposizione presuppone un deposito in forma cartacea (eseguito materialmente presso la Cancelleria di un ufficio giudiziario), è altrettanto vero che, se per obbligo normativo o per scelta normativamente consentita la parte opera il deposito tramite invio telematico, la norma in esame risulta inapplicabile. Invero, nel momento stesso in cui l’atto inviato telematicamente viene accettato dal cancelliere, l’atto medesimo entra a far parte del fascicolo telematico ed è visibile a tutte le altre parti, oltre che al giudice. Sulla base di tale principio, il Ministero ha invitato le cancellerie ad accettare il deposito degli atti endoprocessuali inviati in forma telematica, senza doverne rifiutare il deposito per il fatto che non sia stata allegata copia cartacea.

Il deposito telematico delle memorie contenenti il capitolato di prova consente al giudice di inserire il capitolato ammesso nel modello di verbale redatto con la consolle, al fine di facilitare la verbalizzazione dei testi e per una più facile lettura delle deposizioni testimoniali (ad ogni capitolo ammesso e riprodotto nel verbale telematico seguirà, quindi, la verbalizzazione della deposizione).

All’esito dell’escussione dei testi o del raccoglimento degli interrogatori formali non deve essere estratto con modalità cartacea il relativo verbale al fine di farlo sottoscrivere dal teste o dalla parte privi della firma digitale, essendo sufficiente che dello stesso sia data lettura in udienza ad opera del cancelliere (art. 45, co.1, lett. a, d.l. n. 90/2014). Peraltro, avendo l’art. 45 modificato l’art. 126 c.p.c. nel senso, oltre che di prescrivere l’obbligo di dare lettura del verbale alle parti, anche di eliminare la necessità che lo stesso venga sottoscritto da parte dei soggetti intervenuti (nonché di sopprimere all’art. 207, co. 2, c.p.c. le parole “che le sottoscrive”), permane la previsione della sua sottoscrizione da parte del cancelliere. Sembrerebbe, pertanto, che, comunque, in questi casi il verbale debba essere redatto nel tradizionale formato cartaceo e completato, dopo la lettura, dalla sottoscrizione autografa a penna del cancelliere. In quest’ottica, non avrebbe senso l’esclusione della sottoscrizione delle “persone intervenute” in un atto destinato a rimanere in formato cartaceo (salvo ottimistica previsione di scansione ed allegazione nel fascicolo telematico). Si sarebbe aspettati che il magistrato, titolare della qualifica di pubblico ufficiale e, quindi, abilitato a dare atto di quanto verificatosi in udienza, potesse apporre la propria firma digitale al verbale da lui redatto dando atto, con valenza fidefacente fino a querela di falso, di quanto accaduto in sua presenza (cfr., in tal senso, Cass. 3.9.2003, n. 12828 e Cass. 9.3.1984, n. 1639).

In caso di verbale di giuramento del ctu, ove il consulente non potesse firmare (sottoscrizione prescritta dall’art. 207 c.p.c.) il verbale in quanto non provvisto di firma digitale, era previsto che il giudice si sarebbe potuto limitare a dare atto del giuramento e del rilascio dei fascicoli di parte al consulente, potendo il consulente ed i difensori apporre la sottoscrizione, per consegna e ritiro dei fascicoli, sulla copertina del fascicolo d’ufficio. Ora (dato che, come si è visto, l’art. 45, co. 1, lett. a, d.l. n. 90/2014 ha eliminato l’obbligo di sottoscrizione del verbale di udienza da parte dei terzi in genere e, quindi, anche dei c.t.u.) nel verbale di giuramento del CTU il giudice darà atto (ove ciò accada) del fatto che i fascicoli di parte vengono ritirati dai difensori e contestualmente consegnati al CTU.

A far data dal 3 marzo 2014, le comunicazioni ai ctu vengono eseguite dalla cancelleria solo a mezzo Pec; tuttavia, poiché alcuni periti (in particolare medici e psicologi) non dispongono e/o non consultano regolarmente la casella di posta elettronica certificata, deve essere anche cura dei difensori delle parti sollecitarli e/o avvertirli con altri mezzi. Inoltre, poiché ad oggi una vasta platea di professionisti non è censita sul registro generale degli indirizzi elettronici di cui al d.m. 44/2011, è necessario che gli addetti alle cancellerie, nel rapportarsi con i professionisti (e, comunque, all’atto del deposito), segnalino l’assoluta necessità di curare la propria iscrizione al “Reginde” da parte loro, laddove tale iscrizione non sia stata curata dai rispettivi ordini di appartenenza. D’altra parte, un professionista potrebbe essere debitamente iscritto ad Ini-pec, ma non risultare, in modo legittimo, iscritto a ReGindE o al Registro Imprese (unici registri attualmente consultabili), con la conseguenza che, in questo caso, si vedrebbe negato il diritto a ricevere comunicazioni e notificazioni di cancelleria all’indirizzo P.E.C. correttamente istituito.

La redazione del verbale di udienza di assunzione prove orali o giuramento CTU è opportuno che avvenga con l’utilizzo della Consolle del Magistrato. Qualora il giudice non si avvalga della Consolle del Magistrato per redigere tali verbali, il verbale stampato e da lui sottoscritto sarà, a tutti gli effetti, l’originale. In tal caso il Tribunale di Torino raccomanda, comunque, al giudice di provvedere anche al deposito telematico, tramite consolle, di una copia di cortesia del verbale, in calce alla quale deve essere apposta la dicitura “copia telematica di cortesia di originale cartaceo”; questa copia sarà inviata alle parti costituite, a cura della cancelleria, senza necessità di scansionare l’originale cartaceo del verbale.

11.2. Come condivisibilmente proposto dal consigliere Cananzi, il rito civile è strutturato in relazione a quello che è un processo di natura cartacea, con la conseguenza che lo stesso va adattato alla nuova realtà del PCT.

E’ evidente che, al cospetto di una quantità di atti particolarmente lunghi e prolissi, da consultare solamente in via telematica, il rischio che qualcosa sfugga al giudice è assolutamente concreto.

La proposta si fonda sulle seguenti linee direttive: a) invito al divieto dell’abuso dello strumento del processo, nonché ad esplicitare l’obbligo di chiarezza e di sinteticità degli atti dei difensori, come già è previsto peraltro nel Codice di procedura amministrativo, con effetti anche sul governo delle spese; b) rendere residuale la possibilità di una dilazione, di una concessione di termine ai sensi dell’ articolo 183, comma 6, del codice di rito; c) riformare il processo contumaciale ed eliminare il merito possessorio; d) consentire al giudice di rendere, attraverso lo strumento tecnologico, una sentenza ugualmente motivata, seppur sintetica, per esempio mediante i richiami ipertestuali, ma anche attraverso meccanismi di motivazione per relationem con gli atti del processo.

Per quanto più interessa la presente sede, “Nell’ambito dei rapporti fra il PCT e le norme processuali, in una prospettiva de iure condendo, urge adeguare l’ordito normativo alle mutate esigenze conseguenti all’implementazione del processo telematico, che poco tollera pratiche parassitarie ed abusive dello strumento processuale, così come non è compatibile con una inutile proliferazione degli scritti difensivi, che rende disagevole, non solo per il giudice, la ricerca a video delle istanze assertive e probatorie delle parti.

Questo intento dovrebbe tradursi sul piano pratico nei seguenti interventi correttivi e/o integrativi:

a) inserire nell’àmbito del libro primo del codice di rito una norma di ordine generale che vieti l’abuso dello strumento processuale, nonché espliciti l’obbligo di chiarezza e di sinteticità dei libelli difensionali, al pari di quanto già prevede il c.p.a. all’art. 3, comma 2, con conseguenze, in caso di sua violazione, non solo in punto di governo delle spese di lite, ex art. 88 c.p.c.;

b) assicurare, di conseguenza, fin dalla fase introduttiva del giudizio, la completezza e autosufficienza degli atti processuali e delle articolazioni istruttorie, sì da consentire il ricorso alla concessione dei termini ex art. 183, comma 6, c.p.c. in via meramente residuale ed eccezionale, ossia solo quando dalla dialettica processuale emerga, a parere del giudicante, la necessità effettiva di precisare o modificare domande ed eccezioni o di chiedere l’ammissione di prove non articolabili negli atti introduttivi;

c) riformare il processo contumaciale, ricollegando l’effetto della ficta confessio alla mera mancata costituzione a seguito di regolare notifica dell’atto introduttivo, nonché procedere all’eliminazione del merito possessorio, assicurando una tutela del possesso solo in sede sommaria, di modo che, una volta esaurita la fase del reclamo, sia possibile rivedere la questione solo con il petitorio (il che accelererebbe di gran lunga una serie di controversie, senza ingolfare la scrivania telematica del giudicante);

d) con riguardo alla motivazione del prodotto decisorio, ammettere testualmente la facoltà del giudice di operare, mediante i qui auspicati richiami ipertestuali, un mero e sintetico rinvio a verbali, atti o documenti processuali nonché di far ricorso al criterio della ragione più liquida, ciò essendo suggerito da esigenze di economia processuale e dal principio costituzionale di celerità del giudizio;

e) limitare con riguardo alla fase di appello i possibili motivi di gravame alla violazione di norme (di diritto sostanziale o processuale) ed all’errore manifesto di valutazione dei fatti”.

In definitiva, occorre incentivare la “tipizzazione” gli atti, con l’introduzione di  regole in ordine alla loro forma, rendendo cogente l’impegno alla sinteticità e consentire (anche sotto il profilo normativo) il ricorso all’ipertesto specialmente per l’indicizzazione dei documenti.

 12. Fase decisoria.

Mentre gli atti digitalizzati (scansionati) devono essere controfirmati ad opera del cancelliere (come previsto dal d.m. n.44/2011 (artt. 14, co. 2, e 15, co. 4), non altrettanto è prescritto per gli atti depositati dal giudice a seguito del d.m. 209/2012 (che ha modificato l’art. 15, co. 1, d.m. 44/2011), nonostante l’art. 133 c.p.c. continui a prevedere espressamente la sottoscrizione da parte del cancelliere della sentenza.

E’ opportuno che i procuratori delle parti provvedano al deposito delle precisazioni delle conclusionistesse in via telematica, utilizzando l’apposito modello denominato “deposito foglio precisazione conclusioni” (così da agevolare il giudice nell’inserimento delle stesse in sentenza a mezzo “copia e incolla”) e che, comunque, riproducano le precisazioni delle conclusioni nella comparsa conclusionale, anch’essa depositata telematicamente. Una tale trasmissione informatica degli atti di parte (introduttivi, su richiesta del giudice, e conclusivi, già normativamente contemplata) potrebbe senz’altro “snellire” il successivo lavoro del giudice nella stesura in sentenza tanto dei dati identificativi delle parti e dei loro difensori, quanto nella ricostruzione degli elementi di fatto e di diritto (come diversamente prospettati dalle parti nei rispettivi atti difensivi), quanto delle rispettive conclusioni. A titolo esemplificativo, potrebbe trovare generale applicazione l’opzione per la confluenza automatica (ed “esplicitata”) in sentenza (ovviamente nella parte introduttiva- “istituzionalmente” deputata alla ricostruzione del fatto e delle contrapposte difese delle parti) degli atti introduttivi del giudizio di ciascuna parte, nel loro contenuto fedele (fatte salve le eventuali deroghe dovute, ad esempio, alla eccessiva lunghezza degli atti introduttivi, tale da rendere doverosa una loro debita sintesi giudiziale, ovvero alla considerazione giudiziale della inutilità di riportare le istanze istruttorie ovvero le produzioni documentali eventualmente menzionate dalla parte negli atti introduttivi in questione), ma al contempo graficamente evidenziato, “rispetto al resto” della sentenza, da opportuni accorgimenti grafici (es.: carattere corsivo; carattere di grandezza inferiore al resto della sentenza).

Il giudice segnalerà tempestivamente alle parti la sua decisione di procedere ai sensi dell’art. 281sexies c.p.c. (in particolare, ne avviserà le parti con il provvedimento che fissa l’udienza di precisazione delle conclusioni): ove richiesto dalle parti e se lo ritenga opportuno, potrà consentire lo scambio di brevi note difensive, rinviando la discussione ad udienza successiva al termine di deposito all’uopo concesso. Parimenti, discussa la causa, il giudice fisserà un’udienza successiva, da tenere nel più breve tempo possibile, per sottoporre ai difensori eventuali ulteriori temi di discussione e per l’emanazione della sentenza. Il testo scritto della motivazione e del dispositivo, dopo essere stato letto in udienza, dovrebbe essere depositato immediatamente in cancelleria. Ora, con l’introduzione del PTC, il g.i. potrà, contestualmente alla sottoscrizione del verbale che contiene la sentenza, inviare telematicamente quest’ultima apponendovi la propria firma digitale; in subordine, la cancelleria sarebbe tenuta a scannerizzare il verbale contenente la sentenza.

La nota spese potrà essere inviata telematicamente come allegato alle memorie ex art. 190 c.p.c. ovvero alle note ex art. 409 c.p.c. o in sede di deposito delle altre memorie autorizzate in vista della decisione delle controversie.

La comunicazione di cancelleria (inviata tramite Pec) avente ad oggetto la sentenza non deve essere limitata al solo dispositivo, ma estesa alla versione integrale della sentenza stessa (art. 45, co. 1, lett. b, d.l. n. 90/2014, che ha modificato in parte qua l’art. 133 c.p.c.).

Nell’ipotesi in cui i giudici non redigano le sentenze per il tramite della Consolle del Magistrato (come pure è auspicato), le cancellerie (in ossequio all’art. 15, co. 4, d.m. 44/2011 e del provvedimento del DGSIA del 16.4.2014) provvederanno a scansionare i provvedimenti cartacei del magistrato in formato .pdf, a sottoscriverli digitalmente e ad associarli al corrispondente evento del SICID o del SIECIC: tale onere sussiste indipendentemente dalla necessità di eseguire comunicazioni di cancelleria relative a quei provvedimenti e, quindi, vale anche per le sentenze ex artt. 281 sexies e 429 c.p.c..

La cancelleria deve provvedere ad accettare i provvedimenti telematici del giudice ed a depositarli nel fascicolo informatico non oltre il giorno utile successivo al loro invio da parte del giudice stesso.

Già si prevedere che sorgeranno problemi in sede di appello concernenti:

a)  la data di deposito dei provvedimenti: attualmente il sistema considera solamente, quale data di deposito, quella dell’invio del provvedimento controfirmato dal Presidente. La data del deposito della minuta da parte del relatore deve essere estratta mediante  controllo dei flussi personali di deposito del magistrato. Non esiste, in sintesi, una funzione assimilabile all’attuale “registro deposito minute” dei relatori, con conseguenti ricadute sulla tempestività del deposito dei provvedimenti da parte del singolo componente del Collegio;

b)   le modalità di deposito della sentenza collegiale. L’applicativo non consente  il deposito della sentenza controfirmata dal Presidente: quest’ultimo deve inviarla al relatore, che deve poi provvedere al deposito. Per eliminare l’inconveniente, occorre che il fascicolo sia caricato “in condivisione” al Presidente, ma ciò richiede che la cancelleria inserisca il collegio in Sicid. Detto adempimento richiede, da un lato, impegno del personale (non concretamente esigibile in alcune Corti d’Appello che gestiscono carichi di lavoro significativi) e, comunque, adeguata formazione sulla funzionalità.

13. Il procedimento monitorio.

A decorrere dal 30.6.2014, per il procedimento davanti al tribunale di cui al libro IV, titolo I, capo I, c.p.c., escluso il giudizio di opposizione, il deposito dei provvedimenti, degli atti di parte e dei documenti ha luogo esclusivamente con modalità telematiche, indipendentemente dalla data di iscrizione del procedimento (art. 16bis, co. 4, d.l. 179/2012). L’obbligatorietà del deposito è ribadita anche nella circolare D.A.G. del 27 giugno, cit., che addirittura invita le cancellerie, limitatamente al procedimento monitorio, a rifiutare “il deposito dei provvedimenti predisposti e inviati dal magistrato in modalità diverse da quelle telematiche di cui all’art. 16 bis

In sostanza, il ricorso per decreto ingiuntivo, eventuali integrazioni o chiarimenti ed anche l’istanza di esecutorietà in caso di mancata opposizione da parte del debitore potranno essere presentati dagli avvocati solo in modalità telematiche. Non esisterà, quindi, più un fascicolo cartaceo per il ricorso per d.i.

Quanto al ricorso, è opportuno ricordare che lo stesso dovrà essere redatto secondo le regole tecniche di cui all’art. 11 del d.m. n. 44/2011 e, dunque, l’atto dovrà essere convertito e/o salvato in formato pdf e salvato digitalmente. Infatti, differentemente dagli allegati, il formato pdf del ricorso dovrà essere “editabile” (essendo così modificabile, in particolare consentendo le funzioni “copia” e “incolla”) e non potrà, pertanto, derivare dalla scansione di un documento cartaceo. Al ricorso non dovrà essere allegato in calce il provvedimento del giudice, così come era prassi per i ricorsi depositati in forma cartacea. La cancelleria è autorizzata, come si è visto, a rifiutare i depositi che non rispettino le indicazioni che precedono.

La procura dovrà essere redatta su atto separato e dovrà contenere elementi che la individuano e la collegano al ricorso, salvo che non si tratti di procura generale (notarile) alle liti. Qualora venga allegata una procura priva di elementi identificativi, sarà richiesta al difensore l’integrazione della stessa, con l’indicazione dei detti elementi. Saranno accettate e ritenute valide anche le procure in calce o a margine dei ricorsi presentati. In tali ipotesi dovrà semplicemente essere scansionata la pagina su cui è stata redatta la procura, che potrà anche essere priva degli elementi identificativi. La procura dovrà essere sottoscritta dalla parte ed autenticata dal difensore, scansionata e, controfirmata digitalmente dal difensore, allegata al ricorso, unitamente ai documenti.

Poiché il decreto (anche se di rigetto) del giudice viene redatto dal giudice stesso utilizzando l’apposito software ministeriale che recupera automaticamente le generalità delle parti, è indispensabile che gli avvocati pongano particolare cura ed attenzione al corretto inserimento di tali dati. Al fine di evitare, per quanto possibile, provvedimenti di “sospensione” del procedimento o di rigetto del ricorso, il difensore curerà che la documentazione comprovante l’esistenza del credito sia completa, ordinata ed analiticamente indicata nell’atto. Il giudice provvederà telematicamente a segnalare l’eventuale necessità di ulteriore documentazione ovvero di chiarimenti su quella già prodotta, concedendo a tal fine un termine non inferiore a 15 giorni.

Le parti vengono inserite dagli avvocati e debbono essere indicate per esteso. Per le imprese va inserita la ragione sociale senza anteporre altre parole (es.: ditta, società, ecc.), a meno che non facciano parte della ragione sociale. Le abbreviazioni “S.p.A., S.r.l.” vanno inserite senza puntini dopo le singole lettere. Per gli enti locali (es.: ASL) occorre indicare la dicitura esatta (es.: Azienda Sanitaria Locale). Per gli enti nazionali, invece, è sufficiente indicare l’abbreviazione comunemente accettata (es.: INPS) senza punteggiature.

Nell’ipotesi in cui in sede monitoria venga esperita l’azione fondata su titolo di credito, è necessario depositare in cancelleria gli originali del medesimo titolo, e ciò in ottemperanza alle previsioni di cui all’art. 66, co. 3, r.d. 14.12.1933, n. 1736, al fine di evitare opposizioni fondate su un’eventuale “duplicazione di titolo”. Peraltro, per quanto concerne la cambiale, l’inosservanza dell’onere di depositare in cancelleria il titolo è rilevabile solo su eccezione di parte, con la conseguenza che l’omesso deposito della cambiale non impedisce l’emanazione del d.i.

L’invio di documentazione successiva (perché richiesta dal giudice) o di istanze successive (ad es., rimessione in termini per mancata notifica del decreto entro i 60 giorni) deve avvenire sempre n via telematica mediante il redattore atti.

Va ricordato che, nell’ipotesi di mancata allegazione o di sottoscrizione digitale della nota d’iscrizione a ruolo o di incompleta redazione della stessa, la cancelleria è autorizzata a rifiutare il deposito.

Nel caso di richiesta di immediata esecutività del decreto, al fine di ottenere la maggiore visibilità sulla consolle del giudice, è opportuno che l’avvocato, oltre a selezionare la relativa opzione nel redattore di atti PCT, inserisca l’indicazione “immediatamente esecutivo” dopo le parole “ricorso per decreto ingiuntivo”.

Tutti i documenti allegati da inviare telematicamente al tribunale devono essere identificabili nel contenuto attraverso il nome (ad es.: “Allegato 1 – Fattura n. 10 del 15.1.2013”). Il ricorrente avrà cura di scansionare i documenti che allega al ricorso, in modo che siano facilmente individuabili e visibili da parte del magistrato. La scansione potrà avvenire, quindi, per singolo allegato oppure (ma solo se riguarda fatture, documenti di trasporto ed estratti autentici) per gruppi omogenei; gli allegati saranno identificati attraverso il numero indicato nell’elenco documenti di cui al ricorso.

Qualora un documento scansionato non sia leggibile, il magistrato richiederà un nuovo deposito telematico o, in ipotesi di impossibilità di una scansione leggibile, il deposito cartaceo presso la cancelleria dei decreti ingiuntivi, ex art. 16bis, co. 9, d.l. n. 179/2012.

Come si è già visto in precedenza, il deposito telematico potrà essere effettuato, in caso di superamento del limite di 30 mega byte complessivi, adottando determinate modalità sempre per via telematica.

Ove la parte ricorrente sia assistita da due o più avvocati, il professionista che predispone la busta telematica dovrà identificarli mediante il redattore di atti PCT e apporrà unicamente la sua firma digitale alla busta telematica (poiché il sistema non consente l’apposizione di più di una firma).

Anche il giudice dovrà pronunciarsi sulla richiesta monitoria (accoglimento, rigetto, sospensione, esecutorietà) esclusivamente in formato elettronico utilizzando la Consolle del Magistrato. Questo è attualmente l’unico procedimento in cui il giudice è obbligato a provvedere in modalità telematica. Ai sensi del comma 4 dell’art. 16-bisd.l. n. 179/12 (come ribadito dalla circolare del 28.10.2014), le cancellerie non dovranno nemmeno ricevere il deposito dei provvedimenti predisposti ed inviati dal magistrato in modalità diverse da quelle telematiche di cui all’art. 16-bis.

Per quanto concerne il decreto ingiuntivo europeo, il Tribunale ha di recente (decr. 8.4.2015, n. 10488) risolto, sulla base dell’interpretazione di quanto prescritto dal Regolamento (CE) n. 1896/2006, un contrasto tra la normativa europea che regola l’ingiunzione di pagamento europea e la normativa interna che disciplina il ricorso per decreto ingiuntivo. Difatti, come si è visto, per la normativa nazionale l’ingiunzione di pagamento segue le norme di cui al libro IV, titolo I, capo I del codice di procedura civile (artt. 633 c.p.c. ss.); ai sensi dell’art. 16-bis d.l. 18 ottobre 2012, n. 179 (convertito dalla l. 17 dicembre 2012, n. 221) «a decorrere dal 30 giugno 2014, per il procedimento davanti al tribunale di cui al libro IV, titolo I, capo I del codice di procedura civile, escluso il giudizio di opposizione, il deposito dei provvedimenti, degli atti di parte e dei documenti ha   luogo esclusivamente con modalità telematiche». Pertanto, per tutti i ricorsi monitori depositati dopo il 30 giugno 2014, l’eventuale deposito su supporto cartaceo è sanzionato con l’inammissibilità. Al contrario, secondo la normativa europea ed in particolare secondo quanto prescritto dal Regolamento CE 1896/2006, l’ingiunzione di pagamento va introdotta a mezzo di una procedura semplificata che prevede l’utilizzazione di moduli “standard” resi disponibili agli interessati.

Il tribunale meneghino risolve il contrasto ritenendo ammissibile il deposito cartaceo alla luce di alcune considerazioni sicuramente condivisibili. Innanzitutto, il giudice parte dalla premessa che il procedimento monitorio europeo è un istituto autonomo e diverso dai procedimenti monitori interni agli Stati Membri e, pertanto (quanto all’Italia), non è riconducibile al «procedimento davanti al tribunale di cui al libro IV, titolo I, capo I del codice di procedura civile» sottoposto all’obbligo della forma telematica. Pertanto, il Regolamento non sostituisce né armonizza i meccanismi vigenti di recupero dei crediti non contestati previsti dalla legislazione nazionale. Di conseguenza, già sulla base di tale argomentazione può concludersi che la legislazione interna non è applicabile ai casi disciplinati da quella europea, regolando le due normative istituti diversi. Quindi al procedimento ingiuntivo europeo non può applicarsi l’art. 16-bisd.l. 179/2012. D’altro canto, il tribunale sottolinea che il Regolamento n. 1896/2006 espressamente introduce una regolamentazione relativa alla forma della ingiunzione europea. Difatti, come prevede l’art. 7 comma 5 del Reg. cit., “la domanda è presentata su supporto cartaceo o tramite qualsiasi altro mezzo di comunicazione, anche elettronico, accettato dallo Stato membro d’origine e di cui dispone il giudice d’origine”. L’Italia ha comunicato, nel rispetto del Regolamento in parola, che “il mezzo di comunicazione accettato ai fini dell’ingiunzione prevista dal regolamento n. 1896/2006/CE è il supporto cartaceo”. Alla luce dei dati sopra riportati, il Regolamento, quindi, non può essere interpretato nel senso che l’art. 16-biscit. imponga anche per la ingiunzione europea l’obbligo della forma telematica. E’ sufficiente, difatti, che le ingiunzioni europee di pagamento “siano presentate su supporto cartaceo: non vi sono altri requisiti”. La forma elettronica è prevista solo come alternativa, ma il supporto cartaceo resta la regola comune di base.

Il tribunale, però, va ben al di là di una semplice e personale interpretazione letterale del Regolamento e ritiene che la soluzione prospettata va presa anche alla luce delle direttive interpretative offerte dalla giurisprudenza di Lussemburgo (Corte cost., sent. 8 giugno 1984, n. 170; cfr. CGCE, sent. 16 dicembre 1993, C-334/92, Wagner). La Corte di Giustizia, infatti, in materia di procedimento di ingiunzione europea ha avuto modo di precisare che gli Stati membri non possono imporre liberamente requisiti ulteriori di forma

Si ricorda che l’opposizione al decreto ingiuntivo e la costituzione dell’opposto nel relativo giudizio avverranno, invece, solo in modalità cartacea per espressa previsione normativa.

Ai fini della consultazione da remoto (id est, per via telematica) dei fascicoli informatici e limitatamente ai procedimenti per ingiunzione (id est, per avere accesso temporaneo al fascicolo digitale monitorio, onde visionare i documenti prodotti dal creditore e valutare se proporre eventualmente opposizione), il difensore dell’ingiunto (che non abbia ancora iscritto a ruolo la causa di opposizione) può depositare telematicamente, come “atto principale”, un’istanza di accesso al fascicolo corredata dalla procura speciale rilasciata dall’ingiunto. Secondo la circolare del 28.10.2014, va garantita la visione di atti e documenti al debitore ingiunto, oltre che al difensore della parte, munito di procura, che ancora non abbia iscritto a ruolo l’eventuale causa di opposizione. La mera visione del fascicolo informatico deve ritenersi gratuita, mentre per l’estrazione di copia e per il pagamento dei relativi diritti varranno le regole generali.

Peraltro, avuto riguardo alla natura digitale del fascicolo monitorio, gli avvocati degli opponenti che notifichino in proprio l’atto di citazione in opposizione a d.i. sono tenuti a depositare telematicamente il relativo avviso ex artt. 645, co. 1 (secondo periodo), c.p.c. e 9 l. n. 53/1994. E’ consigliabile, almeno in una prima fase, che analogo deposito l’avvocato effettui  anche in caso di notifica a mezzo di ufficiale giudiziario.

Nel caso di opposizione a decreto ingiuntivo, il giudice assegnatario della causa, ove diverso da quello che ha emesso il decreto ingiuntivo, non potrà vedere gli atti della fase monitoria, se non a seguito di specifica abilitazione alla visione da parte del giudice che ha provveduto nel giudizio monitorio (sul punto, comunque, si richiama l’orientamento giurisprudenziale secondo cui “La documentazione prodotta con il ricorso per ingiunzione è destinata, per effetto dell’opposizione al decreto e della trasformazione in giudizio di cognizione ordinaria, ad entrare nel fascicolo del ricorrente, restando a carico della parte opposta l’onere di costituirsi in giudizio depositando il fascicolo contenente i documenti offerti in comunicazione. Ne consegue che, in difetto di tale produzione, questi ultimi non entrano a fare parte del fascicolo d’ufficio e il giudice non può tenerne conto.” (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 17603 del 18/07/2013, Rv. 627318); analogamente, ove per disposizione tabellare il giudice assegnatario della richiesta di esecutorietà non sia lo stesso che ha emesso il decreto ingiuntivo.

In caso di instaurazione del giudizio di opposizione, l’opposto costituito (sia che la costituzione avvenga in via telematica sia che avvenga in via cartacea) procede (in quanto il fascicolo telematico del procedimento monitorio non risulta allo stato accessibile al giudice designato alla trattazione del giudizio di opposizione, né per i difensori costituiti in tale procedimento, a meno che gli stessi non siano anche parte del procedimento monitorio) a depositare telematicamente nel fascicolo dell’opposizione le copie dei documenti informatici già prodotti nel monitorio (onde permetterne l’esame al giudice dell’opposizione) o a scansionare la documentazione originale in suo possesso depositata nel monitorio. Tuttavia, poiché l’invio telematico, fino a quando l’atto di opposizione non potrà essere proposto con modalità telematiche, potrà essere assolto solo con le memorie di cui all’art. 183, co. 6, c.p.c., per depositare la detta documentazione già al momento della costituzione in giudizio della parte opposta, quest’ultima dovrà ricostruire in forma cartacea la stessa attraverso la stampa dei documenti informatici conservati nel fascicolo telematico.

A seguito di richiesta di emissione del decreto di esecutorietà inoltrata in via telematica, la cancelleria verificherà preventivamente l’avvenuto decorso del termine per l’opposizione di cui agli artt. 641 ss. c.p.c. e, in ipotesi di verifica negativa, provvederà a rifiutare la richiesta. Qualora, viceversa, la verifica abbia esito positivo, la richiesta telematica sarà accettata ed il giudice emetterà telematicamente il decreto di esecutorietà, verificando previamente dalla propria consolle l’assenza di opposizione. Gli avvocati, di regola (cfr. i vari protocolli), si impegnano ad inoltrare la richiesta di esecutorietà telematica dopo aver verificato che non sia stata notificata l’opposizione e, comunque, non prima che siano decorsi almeno 7 giorni dal passaggio in giudicato del d.i., onde evitare disguidi e/o emissioni di provvedimenti errati. Alla richiesta dovrà essere allegata la scansione del ricorso, del d.i., della relata di notifica e, in ipotesi di notifica avvenuta tramite l’Ufficio Postale, dello statino della raccomandata e dell’avviso di ricevimento (cartolina verde). Nel caso di notifica ex art. 145 c.p.c. alla persona fisica che rappresenta la società ingiunta, dovrà essere depositata telematicamente, oltre ai documenti indicati sopra, la visura camerale aggiornata.

Trib. Milano, 28.10.2014, ha sostenuto che, nel caso in cui l’ingiunzione di pagamento sia stata emessa con formalità telematiche, ai fini della esecutorietà non è previsto il rilascio da parte del cancelliere di attestazione di non interposta opposizione al d.i., in quanto la normativa tecnica e le modalità di funzionamento del sistema informatico prevedono l’automatica segnalazione della pendenza di un’opposizione, a mezzo di un altro specifico alert. Conseguentemente, il controllo giudiziale (in funzione della formula esecutiva) concerne la presenza o non dell’apposito alert da parte della cancelleria a cui compete di registrare lo specifico evento ostativo alla esecutorietà (id est, “consegnato avviso di opposizione”); ciò vuol dire che in assenza di detto alert il giudice deve procedere emettendo il decreto di esecutorietà, a mezzo consolle (cd. esecutorietà telematica).

Qualora si sia proceduto alla notifica del ricorso per ingiunzione e del pedissequo decreto in via telematica, ai sensi dell’art. 3bisdella l. n. 53/1994 (notifica in proprio via Pec), il difensore dovrà allegare alla richiesta di esecutorietà, al fine di documentare il perfezionamento della notifica, la copia scansionata della documentazione prevista all’art. 9, co. 1bis, l. n. 53/1994 e, dunque: a) il messaggio di Pec, il cui oggetto dovrà essere “notifica ai sensi della legge 53/1994”; b) tutti gli atti allegati al messaggio (ricorso monitorio, d.i., relata di notifica ex art. 3bis, co. 5, l. n. 53/1994 e sottoscritta con firma digitale); c) la ricevuta di accettazione del gestore Pec del notificante; d) la ricevuta di avvenuta consegna del gestore Pec del destinatario; e) le relative attestazioni di conformità di cui al comma 1bisdell’art. 9 l. n. 53/1994.

Poiché ora gli avvocati possono estrarre copia, senza pagare i relativi diritti, degli atti contenuti nei fascicoli direttamente dal Portale dei Servizi Telematici ed attestarne la conformità, per un d.i. non provvisoriamente esecutivo l’avvocato potrà estrarre copia direttamente dal suo computer del provvedimento del giudice, attestarne la conformità e, quindi, procedere alla notificazione all’ingiunto tramite ufficiale giudiziario o mediante Pec (se il destinatario ha una Pec riportata in un pubblico registro). Viceversa, in caso di d.i. esecutivo, occorrerà comunque il rilascio della copia esecutiva da parte dell’Ufficio.

 14. I principali problemi in ambito fallimentare (cenni).

Per le procedure concorsuali (ma la criticità riguarda anche le procedure esecutive – specialmente immobiliari) è stato possibile riscontrare, nella prima fase, l’inadeguatezza dell’interfaccia per le esame delle istanze (in particolare, con riferimento al “visto agli atti”), nonché la mancanza di adeguate funzionalità  per la gestione dell’udienza di verifica dello stato passivo e l’esame delle istanze di insinuazione. Si deve ancora rilevare  il mancato funzionamento delle funzioni di messaggistica (pure sviluppato) con i curatori ed il mancato sviluppo delle funzioni per l’emissione dei mandati di pagamento e per la verifica ed il controllo delle attività degli ausiliari del magistrato (attività queste che connotano fortemente il lavoro del giudice delegato ed acquisiscono particolare importanza). Si riscontra, infine, la vera e propria mancanza della gestibilità di riti ormai da tempo introdotti, quali ad esempio, il concordato preventivo in bianco.

La situazione, per grandi linee, è la seguente.

1. Il PCT all’interno del procedimento fallimentare raramente viene utilizzato. La “posta” (id est, la gestione ordinaria) viene smaltita su cartaceo: la cancelleria stampa le istanze pervenute telematicamente, i giudici delegati provvedono a margine o con nota scritta e la cancelleria successivamente scannerizza la risposta. La verifica del passivo spesso viene svolta utilizzando programmi privati (come Falco), nel senso che i curatori si avvalgono in aula dei loro pc, predispongono all’esito della verifica il verbale definitivo, lo salvano su pen-drive e lo stampano per farlo firmare ai giudici delegati (usando, per la stampa, il computer e la stampante in dotazione all’ufficio).

2. Il PCT nei giudizi prefallimentari non viene di fatto usato; se il ricorso per dichiarazione di fallimento viene introdotto in via telematica, viene tendenzialmente dichiarato inammissibile (perchè gli atti introduttivi devono avere per legge forma cartacea); non è frequente il ricorso a memorie, che non di rado vengono depositate (oltre che in via telematica, essendo un obbligo di legge) anche in formato cartaceo (comunque, trattandosi di casi limitati, le cancellerie provvedono eventualmente, su richiesta, a stamparle)

3. Il PCT nei giudizi di opposizione ex 98 e, più in generale, nel contenzioso rappresenta probabilmente la situazione, attualmente ed in prospettiva, più problematica, perchè tutti gli atti successivi a quelli introduttivi (ormai in tutte le cause) devono essere depositati telematicamente. Per questi giudizi l’unica soluzione pratica allo stato percorribile è quella di chiedere in udienza agli avvocati le copie di cortesia.

4. Molto raramente si predispone il verbale di udienza avvalendosi della consolle, così come di rado vengono depositate sentenze attraverso il PCT.

Per quanto riguarda le procedure esecutive la consolle del magistrato appare poco funzionale  all’emissione dell’ordinanza di vendita e di assegnazione e alla gestione dei sub procedimenti. Si riscontra, infine, anche la mancanza di “placheholder“.

 15. La volontaria giurisdizione.

Per quanto concerne la volontaria giurisdizione  è stata riscontrata la mancanza di modelli tipici a disposizione dei magistrati, la gestione incompleta della procedura di amministrazione di sostegno (ricalcata sul modello del processo civile ordinario senza distinguere la peculiare e rilevante fase di gestione della procedura successiva alla nomina dell’amministratore), la mancanza di una politica per lo sviluppo di punti di accesso o sportelli di prossimità per l’uso del Pct anche da parte dei cittadini e/o delle Pubbliche Amministrazioni. Un aspetto particolare, da considerare, riguarda il rispetto delle norme sulla privacy ed il trattamento dei dati sensibili: tra gli altri, ad esempio, il settore tutelare nel quale vengono acquisite informazioni attinenti agli aspetti della salute (di cui è vietata la divulgazione), dello status e delle relazioni personali e del patrimonio delle persone. L’attuale logica del sistema, connotato da una sostanziale visibilità a tutte le parti del processo, non appare adeguato in tali situazioni sia per carenze nella gestione della procedura sia per la impossibilità di profilare in modo differente la visibilità degli atti. Così, a titolo esemplificativo, una parte costituita durante la nomina dell’amministratore di sostegno di fatto continua ad avere piena visibilità degli atti anche durante la gestione dell’amministrazione (fase nella quale il fascicolo non è ostensibile erga omnes, ma anzi è riservato), a meno che non si ricorra a soluzioni drastiche quali la cancellazione della parte dal registro (con effetto ex tunc). Occorre, quindi, prevedere una gestione delle regole di visibilità più avanzata e selettiva rispetto a quella oggi adottata.

 16. Varie.

Da segnalare è la mancanza di integrazione della figura del Pubblico Ministero nella infrastruttura del P.C.T.. Ciò, in effetti, pregiudica sia la possibilità di effettuare da parte dell’ufficio giudiziario le comunicazioni e le trasmissioni degli atti (si pensi alla notevole quantità di documenti che devono essere trasmessi nell’ambito dei riti consensuali concorsuali o nei riti di famiglia o nella volontaria tutelare) sia la possibilità per il Pubblico Ministero di accedere (per consultarli) ai fascicoli in cui assume il ruolo di parte, di estrarre copia degli atti e di depositare i propri atti, con evidente pregiudizio per la funzione svolta e disparità di trattamento anche rispetto alle parti private.

Si osserva, inoltre, che:

a)    l’interfaccia realizzata per compiere le estrazioni statistiche (e disponibile dalla consolle del magistrato –  cd. cruscotto del magistrato) non appare di facile ed intuitivo utilizzo né  ne risulta sufficientemente testato diffuso ed evoluto l’utilizzo;

b)  la gestione e l’utilizzo di documenti telematici richiede una capillare diffusione di software aggiuntivi  (come ad es. Dragon, PDF Wiewer, ecc.) che possono agevolare il complesso lavoro del giudicare, sollevando il magistrato da incombenze meramente pratiche ed esecutive;

c)   l’attuale sistema non consente al magistrato la consultazione di provvedimenti risalenti nel tempo nè è agevole la loro consultazione dagli applicativi di cancelleria (cd. problema della “storicizzazione di consolle”);

d)  la banca dati di giurisprudenza distrettuale presente nel software del magistrato non è coerentemente e sufficientemente sviluppata ed evoluta e presenta numerosi malfunzionamenti.

Tra le criticità riscontrate e strettamente connessa alla forte domanda di preservare la qualità del lavoro da parte dei magistrati, prioritaria sembra la questione delle  difficoltà di operare esclusivamente mediante lettura video alla consultazione di complessi atti e documenti, quando a ciò si deve provvedere con apparecchiature inefficienti ed obsolete. A ciò consegue che  non è solo necessario garantire una adeguata fornitura di beni e sevizi ma occorre anche che essi siano costantemente efficienti ed adeguati al mutare delle esigenze tecnologiche.

Occorrono, quindi, non solo pc, scanner e video di dimensioni sufficienti, ma anche stampanti veloci individuali (non multifunzione), materiali di consumo ed apparecchiature necessari a meglio gestire l’udienza e le esigenze di lettura (come doppi monitor e tastiere aggiuntive).

Da parte dei magistrati si segnala ancora la difficoltà nell’approvvigionamento e sostituzione dellesmartcard necessarie ad accedere ai software per i magistrati ed alle funzionalità del p.c.t..

Andrebbe valutata la possibilità di garantire, quantomeno ai magistrati che ne facciano richiesta, la fornitura di doppi monitor (di adeguate dimensioni), di più tastiere, di webcam e microfoni (eventualmente anche in dotazione domestica).

Sul piano della gestione ordinaria, sono state rilevate le seguenti difficoltà operative:

a) la generalmente denunciata difficoltà nell’esame degli atti e, soprattutto, dei documenti depositati telematicamente e ciò non solo per la mancanza di formazione e informazione in ordine alle modalità di utilizzo dei software o per la mancata adozione di accorgimenti organizzativi, ma anche per l’indubbia complessità di lettura a video degli atti processuali e per la mancanza di adeguati programmi di gestione documentale;

b)  la sussistenza di difficoltà nell’esame dei fascicoli (sia analogici, sia telematici) per la loro sostanziale incompletezza e ciò in quanto non sempre si procede alla digitalizzazione dei documenti e degli atti prodotti in forma cartacea (pure prevista dall’art. 9 del D.M. n. 44/2011) e quasi mai alla sistematica riproduzione a stampa (ed all’inserimento nel fascicolo cartaceo) degli atti e dei documenti depositati telematicamente;

c) l’ abrogazione di fatto della figura del cancelliere di udienza;

d)   la preoccupazione per la mancanza di dotazioni necessarie ed utili per la tutela delle condizioni di salute dei magistrati e del personale in conseguenza dell’introduzione del processo civile telematico.

In attesa di tecnologie più performanti e strumenti tecnologici più evoluti (quali, ad esempio, scrivanie elettroniche), l’uso della carta per la lettura e soprattutto lo studio degli atti rimane imprescindibile. Occorre, quindi, nell’immediatezza l’adozione di norme o regolamenti che soddisfino la necessità di preservare il fascicolo cartaceo, prevedendo, quantomeno, la sistematica riproduzione a stampa (salvo diversa disposizione del giudice) degli atti e consentendo la stampa dei documenti (ovvero il loro deposito in forma cartacea) su disposizione del giudice.

È opportuno chiarire che tali copie, funzionali alle concrete esigenze del magistrato, non possono e non devono sostituire il fascicolo elettronico, la cui fondamentale utilità (per la conoscibilità degli atti, l’eliminazione del rilascio delle copie, la continua reperibilità e disponibilità) non è messa in discussione: anzi, al contrario (proprio nella logica del perfetto parallelismo tra fascicolo cartaceo e telematico), va effettivamente perseguito l’obbligo di digitalizzazione degli atti acquisiti in forma analogica prescritto ma non omogeneamente adempiuto.

E’ chiaro che l’obiettivo finale dovrebbe essere il cambiamento del concetto tradizionale di udienza verso forme nuove di dibattito procedimentale che assumano come centrale l’utilizzo delle nuove tecnologie (videoconferenza e registrazione in luogo della verbalizzazione).

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