Il processo penale in absentia

di Roberta D’Onofrio

1. L’ “effettiva conoscenza” del processo da parte dell’imputato nella riforma dell’art. 175 cpp.

Il principio della “effettiva” conoscenza del processo da parte dell’imputato non risultava codificato, nel nostro ordinamento giuridico, quantomeno fino alla riforma dell’istituto della rimessione in termini, come introdotta dal D.L. 21 Febbraio del 2005 n.17 convertito nella Legge 22 Aprile 2005 n.60.

Fino a quel momento il nostro ordinamento era improntato al modello della conoscenza “legale” del processo da parte dell’imputato,  non tenuto ad alcun obbligo di informazione, fondato unicamente sul principio della ritualità delle notificazioni.

In effetti, l’originaria disciplina codicistica prevedeva la possibilità della restituzione nel termine, per proporre impugnazione avverso la sentenza contumaciale o l’opposizione al decreto penale di condanna, esclusivamente  per l’imputato che provasse di non aver avuto effettiva conoscenza del provvedimento, sempre che l’impugnazione non fosse stata proposta dal difensore e il fatto non fosse dovuto a sua colpa ovvero, qualora la sentenza contumaciale fosse stata notificata mediante consegna al difensore nei casi previsti dagli artt. 159, 161 comma 4 e 169, il soggetto non si fosse sottratto alla conoscenza degli atti del procedimento.[1]

Ma il sistema legale di conoscenza del processo da parte dell’imputato coniato dal legislatore italiano, fondato su presunzioni,  è risultato in stridente contrasto con l’art. 6 Cedu : la sentenza Somogyi c. Italia n. 67972/01 del 18 maggio 2004 e la sentenza Sejdovic c. Italia n. 56581/00 del 10 novembre 2004, difatti, dimostrano come a ben poco siano valsi gli sforzi del nuovo codice di procedura penale intervenuto nel 1988 e le successive interpolazioni normative volte ad una risistemazione della disciplina della contumacia .[2]

Il caso Somogyi riguardava un’inchiesta per traffico d’armi nell’ambito della quale veniva imputato un cittadino ungherese, Tamas Somogyi. Il giudice delle indagini preliminari di Rimini aveva fatto notificare in Ungheria l’avviso di fissazione dell’udienza preliminare, tradotto in lingua magiara, a mezzo di una semplice lettera raccomandata, che fu, poi, restituita al Tribunale di Rimini con la firma del destinatario. Successivamente il Sig. Somogyi, non presentandosi all’udienza preliminare né al dibattimento, fu dichiarato contumace, difeso da un avvocato d’ufficio e condannato ad anni otto di reclusione con sentenza definitiva del 22 giugno 1999. Arrestato in Austria, estradato in Italia e condotto in esecuzione pena, egli dichiarò di non aver mai avuto conoscenza “effettiva”  delle imputazioni mosse a suo carico, né della pendenza del processo nei suoi confronti.  La sua richiesta di restituzione nel termine per impugnare di cui all’art. 175 comma 2 c.p.p., presentata al giudice dell’esecuzione, venne, poi,  rigettata il 24 ottobre 2000 con la considerazione che il ricorrente avrebbe dovuto presentare un cosiddetto appello tardivo dal momento che la suddetta restituzione sarebbe stata ammissibile solo nel caso di mancata conoscenza della condanna per causa di forza maggiore, nel cui ambito non poteva ricondursi anche  la volontaria sottrazione alla conoscenza degli atti del procedimento da parte dell’imputato. A questo punto il sig. Somogyi, in data 5 Marzo del 2001, proponeva ricorso alla Corte di Strasburgo sostenendo la non conformità della sua condanna in contumacia ai principi dell’equo processo consacrati nell’art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali. La Corte adìta ribadiva, da un lato, che l’assenza di un imputato in un processo a suo carico non fosse di per sé stessa incompatibile con l’art. 6 della Convenzione,ma, al contempo stabiliva il seguente principio:  “vi è un diniego di giustizia quando un individuo condannato in absentia non può ottenere successivamente che una giurisdizione statuisca di nuovo, dopo averlo sentito, sul merito dell’accusa in fatto e in diritto, ove non sia stabilito in maniera non equivoca che abbia rinunciato alla sua facoltà di comparire e di difendersi, né che abbia avuto l’intenzione di sottrarsi alla giustizia”.

Con la sentenza Somogyi, quindi, l’Italia veniva condannata per  la violazione dell’art. 6 sull’equo processo.

Nella mancata risposta del legislatore interno, la Corte di Strasburgo  veniva sollecitata, poi, nuovamente, e si pronunciava con la sentenza Seidovic contro Italia prima che  si intervenisse sulla disciplina della restituzione in termini con il D.L. 21 febbraio 2005 n. 17, convertito con la l. 22 aprile 2005 n. 60.

La sentenza Sejdovic, del 10 novembre 2004, infatti, riconosce un vero e proprio difetto strutturale del sistema giuridico italiano che lo rende non conforme ai principi della Convenzione e indica le misure di carattere generale atte ad impedire la ripetizione di situazioni analoghe a quelle riscontrate nel caso in esame.[3]

In questa occasione il governo Italiano era invitato a garantire il diritto delle persone iniquamente condannate in contumacia ad ottenere che una giurisdizione statuisse di nuovo, dopo averle sentite nel rispetto delle esigenze di cui all’art 6 Cedu, sul merito delle accuse, suggerendo altresì due possibili soluzioni: sopprimere tutti gli ostacoli normativi alla restituzione del termine per impugnare ovvero prevedere la celebrazione di un nuovo giudizio. Si era evidenziata, quindi, l’inadeguatezza dell’art 175, comma 2 c.p.p., il quale non costituiva quel rimedio che consentisse automaticamente la riapertura del procedimento in favore del condannato giudicato in abstentia, precedentemente mai informato in maniera effettiva delle pendenze a suo carico e non rinunciante inequivocabilmente al suo diritto a presenziare.[4] Nel caso in esame il giudice europeo aveva statuito che il mancato ritrovamento dell’imputato, il quale aveva lasciato il territorio italiano nell’immediatezza dei fatti oggetto di giudizio e pertanto dichiarato contumace, non poteva elevarsi ad indice di una consapevole rinuncia a comparire, mancando la prova dell’esistenza di una comunicazione ufficiale.

In risposta al monito europeo, il legislatore ha inciso su due punti: la restituzione nel termine e il regime delle notificazioni. Con le modifiche all’art. 175 c.p.p., l’obiettivo del legislatore è stato quello di garantire in modo più concreto la possibilità di un’impugnazione della sentenza contumaciale da parte del condannato che non risultasse essere stato pienamente – effettivamente-  informato dell’esistenza di un procedimento a suo carico rinunciando a prendervi parte attiva, sia partecipando al giudizio che presentando impugnazione; ampliando i termini per presentare la richiesta di restituzione nel termine, infine, si è inteso rendere più agevole il ricorso all’istituto previsto dall’art. 175 c.p.p. consentendo a chi fosse realmente ignaro di una pendenza giudiziaria a proprio carico di avvalersi degli strumenti “riparatori” apprestati dall’ordinamento.

Il comma 2 dell’art. 175 c.p.p., nella sua formulazione successiva al D.L. 21 febbraio 2005 n. 17, convertito con la l. 22 aprile 2005 n. 60,   prevede che il soggetto giudicato in contumacia ha diritto alla restituzione nel termine «salvo che … abbia avuto effettiva conoscenza del procedimento o del provvedimento e abbia volontariamente rinunciato a comparire ovvero a proporre impugnazione. A tal fine l’autorità giudiziaria compie ogni necessaria verifica».

Stando all’interpretazione letterale, avallata da autorevole dottrina, [5] le due condizioni impeditive per accedere alla restituito in integrum sarebbero alternative tra loro: provata l’effettiva conoscenza del procedimento oppure la rinuncia a comparire in giudizio, nessuna importanza sarebbe stata assegnata alla mancata cognizione- in maniera effettiva- del provvedimento conclusivo dello stesso. In tal modo il legislatore ha voluto escludere che il soggetto, il quale si disinteressi “volontariamente” del processo che lo coinvolge, possa poi avanzare richiesta di restituzione nel termine per impugnare.

La novella introdotta dalla riforma del 2005, dunque, assume una portata “rivoluzionaria” rispetto ai principi fino ad allora vigenti in termini di partecipazione dell’imputato al processo.

Fino a quel momento era rimasto in auge il principio della “presunzione di conoscenza legale” del processo da parte dell’imputato ove risultasse rispettato lo schema legale del regime notificatorio. L’unica possibilità di scalfire siffatto impianto presuntivo, per l’imputato ignaro, era la remota possibilità che questi dimostrasse la propria mancata effettiva conoscenza per cause tipizzate di “forza maggiore o caso fortuito”. L’onere della prova di siffatti eventi atipici ed eccezionali incombeva integralmente su colui che chiedeva la restituzione in termini.

A seguito della novella del 2005, invece, si è operata una”rivoluzione copernicana” del sistema, soprattutto in punto di onere della prova.  

Nell’attualità, infatti, è stato introdotto in capo al giudice l’obbligo di compiere la necessaria verifica per accertare che l’imputato fosse effettivamente a conoscenza del procedimento a suo carico sgravandosi, pertanto, l’interessato dall’onere di fornire la probatio diabolica della prova negativa della conoscenza.

Si aggiunga, poi, che  la restituzione in termini da istituto quasi inaccessibile (ante 2005) è divenuto  un vero e proprio istituto aperto anche alle ipotesi in cui gli indici presuntivi della conoscenza risultino ambigui o contraddittori ossia laddove la prova della conoscenza del processo sia basata su indici ‘ deboli’ di cui si parlerà meglio nel proseguo.

Il che risulta a maggior ragione rivoluzionario ove si rifletta sugli stretti collegamenti fra la norma di cui all’art. 175 c.p.p. e l’art. 670, comma III, cpp il quale ne richiama la disciplina nella ipotesi di domanda di restituzione in termine per l’impugnazione della sentenza irrevocabile inoltrata al Giudice dell’essecuzione.

La norma, invero, non brilla di linearità e chiarezza per ciò che attiene l’ individuazione dell’oggetto dell’effettiva conoscenza da parte dell’imputato capace di determinare la preclusione alla restitutio in integrum. In particolare, il dubbio interpretativo nasce dall’utilizzo del termine “procedimento” che, inteso in senso tecnico, appare riferirsi a tutta la sequenza procedimentale dalla acquisizione della notitia criminis fino alla sentenza definitiva. Come affermato da dottrina e giurisprudenza, risulta essere idoneo, a fondare l'”effettiva” cognizione del procedimento, il primo ‘contatto ufficiale’ con l’iter processuale, anche se distante nel tempo dalla vocatio in iudicium.

Tali conclusioni  non sembrano andare, però,  esenti da critiche poiché, almeno nell’ottica della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo, la conoscenza “effettiva” del procedimento presuppone, ex art. 6, un atto formale di contestazione idoneo ad informare l’accusato, nel più breve tempo possibile, in una lingua comprensibile e in modo dettagliato, della natura e dei motivi dell’accusa elevata a suo carico, al fine di consentirgli di difendersi nel “merito”. [6]

La norma, così come introdotta con il D.L. 21 febbraio 2005 n. 17, convertito con la l. 22 aprile 2005 n. 60, lascia insoluti non pochi problemi pratici: il legislatore non è riuscito a delineare un preciso spartiacque tra una conoscenza legale ed una effettiva del procedimento. Se, da un lato,  ha sgravato l’imputato dal rendere prova della propria non conoscenza, non ha specularmente introdotto dei criteri atti ad orientare l’organo giudicante per una verifica circa l’effettiva conoscenza che il soggetto possa avere del giudizio a suo carico.

Difatti , anche la modifica in tema di notificazioni lascia margini di incertezza. Anzitutto, le condizioni per ottenere la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale in appello da parte dell’imputato ex art. 603 comma 4 c.p.p non sono state coordinate con il nuovo testo dell’art. 175 c.p.p. Il soggetto restituito nel termine è ancora onerato, per poter ottenere la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, a dimostrare che la sua mancata comparizione in primo grado non sia dovuta ad un proprio comportamento colpevole o che non si sia volontariamente sottratto alla conoscenza degli atti del procedimento. Ben potrà accadere, quindi, che, nonostante la restituzione nel termine per impugnare, il soggetto non ottenga un vero e proprio “nuovo processo” perdendo, in ogni caso, il diritto al doppio grado di merito e l’opzione per i riti alternativi a carattere premiale. Nel contempo, non si è colta l’occasione per rivedere completamente il meccanismo delle notificazioni: un sistema basato su una conoscenza “legale” al momento del controllo sulla regolare costituzione delle parti mal si concilia con la verifica sulla conoscenza “effettiva” imposta al giudice al fine di negare la restituzione nel termine ex art. 175 c.p.p. Occorrerebbe, invece, un controllo più rigoroso dei motivi della non presenza dell’imputato in udienza, dando reale preferenza alle forme di notificazioni a mani proprie. Numerosi sono i punti che il legislatore ha lasciato insoluti, il che ridonda  a svantaggio dell’organo giudicante.

Si pensi alle ipotesi in cui, anche una volta divenuta irrevocabile  la sentenza ( e ciò in base al richiamo espresso contenuto nell’art. 175 c.p.p. all’articolo 670 c.p.p. da leggersi in combinato disposto), il condannato avrebbe potuto facilmente sollevare eccezioni circa la mancata effettiva conoscenza del procedimento svoltosi a proprio carico, seppur formalmente il regime notificatorio fosse, secondo i parametri legali, rispettato. Pertanto, il giudice adìto ai sensi dell’articolo 670 c.p.p. è chiamato a controllare la validità del titolo esecutivo, sia sotto il profilo dell’esistenza del provvedimento da cui trae origine che sotto quello della sua esecutività.[7] La richiesta ex art 175 c.p.p, d’altro canto, presuppone in linea generale, che vi sia divergenza tra conoscenza legale ed effettiva della decisione, mentre la declaratoria di non esecutività trova la necessaria premessa nel difetto di conoscenza legale del provvedimento. Il legislatore, expressis verbis, ha ovviato a tale differenza di regime concependo l’istanza formulata ai sensi dell’art. 175 come subordinata all’accertamento della validità del titolo esecutivo, nel senso che potrà esserci una decisone sulla restituzione solo nel caso di rigetto della questione sulla non esecutività del titolo. La verifica della corretta notificazione del titolo esecutivo deve avvenire sotto il profilo meramente formale, essendo l’indagine affidata al giudice dell’esecuzione limitata al controllo  dell’effettiva esistenza del titolo esecutivo e della sua legittima formazione, mentre resta estranea , agli effetti di tale verifica, la conoscenza piena – effettiva- che del titolo abbia avuto l’imputato. Siffatta, invero,  potrà solamente rilevare ai fini di un’istanza di restituzione del termine, spettando al giudice il potere di valutare la ricorrenza dei presupposti per l’accoglimento della stessa.[8]

2. Dal principio dell’ “effettiva conoscenza” del processo a quello del processo in “absentia”

Lo sfondo legislativo fin qui tratteggiato permette di cogliere in pieno laratiodella riforma del 2014, che ha abolito la contumacia ed è stata salutata con favore nella parte in cui ha introdotto la possibilità di sospendersi il processo nei confronti dell’imputato ignaro.

La ratio del d.l. 21 febbraio 2005, n.17, poi convertito dalla L. 22 aprile 2005, n.60, risiede nella necessità,  di introdurre un sistema aggiuntivo ed ulteriore, rispetto all’ordinario regime notificatorio – sul quale il legislatore non ha in alcun modo inciso- per consentire all’Autorità Giudiziaria di vagliare l’effettiva conoscenza del processo da parte dell’imputato e di sospenderne il giudizio laddove ricorrano indici sintomatici di mancata conoscenza; dall’altro, nella volontà di rimediare al “difetto strutturale” del sistema codicistico italiano, individuato dalla Corte europea, nell’assenza di un meccanismo effettivo volto a concretizzare il diritto delle persone condannate in contumacia (e che non siano state effettivamente informate del procedimento a loro carico e a condizione che non abbiano rinunciato in maniera certa e consapevole a comparire ) ad ottenere che una giurisdizione esamini nuovamente il caso, nel rispetto dei principi di cui all’art. 6 Cedu.

Su questo panorama si innesta la L. 67 del 2014 la quale si è mossa seguendo alcune direttrici: abolizione del rito contumaciale; sospensione del processo nei confronti degli irreperibili di fatto; nuova regolamentazione del c.d. processo in assenza; previsione di rimedi restitutori, volti a permettere all’imputato di ottenere una nuova pronuncia nel merito in primo grado ove non abbia potuto partecipare al processo.

È così rimasta ferma l’impostazione originaria del codice di rito: partecipare al processo è un diritto dell’imputato, non è un obbligo.

 La rinuncia a tale diritto presuppone la conoscenza delle accuse a carico e poiché per l’irreperibile di fatto  tale conoscenza è solo ipotetica il processo va sospeso.

Nel caso in cui la prova della mancata partecipazione al processo per legittimo impedimento o per mancata conoscenza del processo intervenga successivamente alla sua celebrazione, operano i rimedi restitutori. Il processo è celebrato in assenza quando l’imputato rinuncia espressamente a partecipare o quando vi sono degli elementi da cui desumere che egli abbia avuto conoscenza dell’esistenza del procedimento.[9]

Punto fermo in questa disamina deve restare il concetto che la L. 67 del 2014 non incide sulla normativa in tema di notifiche,  che resta salda nel suo impianto ordinario.

Ciò che la novella si propone di apportare come fattore di novità è il passaggio da una conoscenza legale del procedimento ad una conoscenza effettiva: si valorizzano tutti quegli indici che, anche in ipotesi atipiche ovvero di una conoscenza ‘non qualificata’ del procedimento, permettono di far evincere che il soggetto abbia avuto contezza degli addebiti a proprio carico consentendo, in tal modo, la celebrazione in sua assenza.

Secondo la nuova formulazione dell’articolo 420-bis comma 1 c.p.p.,se l’imputato, libero o detenuto non è presente all’udienza e, anche se impedito, ha espressamente rinunciato ad assistervi non si pone alcun problema di sorta per l’organo giudicante: egli procederà in sua assenza e non sussiste alcuna violazione dei propri diritti, ricorrendo in tal caso una rinuncia non equivoca al diritto di partecipare al processo.

La rinuncia espressa deve essere in equivoca, consapevole e volontaria ed implica che l’imputato conosce anche l’accusa sulla quale si fonda il processo.

Siffatta non può non essere intesa come atto personalissimo, in quanto tale insuscettibile di essere surrogato con una manifestazione di volontà che sia espressa dal mero difensore.

Oltre alla rinuncia la quale presuppone una dichiarazione di volontà espressa di mancata partecipazione alla prima udienza (e si badi bene non al processo tout court considerato) , il legislatore ha introdotto una serie di “indici presuntivi” dell’effettiva conoscenza, quelle che la dottrina definisce delle ‘inedite fictiones‘ in tema di conoscenza del processo.[10]

Secondo la lettera della legge, vi sono fatti sintomatici che impongono di presumere la conoscenza del procedimento, da tale conoscenza presunta si ricaverebbe, a sua volta ed in via presuntiva, la conoscenza dell’imputazione e della vocatio in iudicum. In effetti, anche la disciplina del processo in assenza risponde (come quella delle notifiche) all’esigenza fondamentale di porre il soggetto in condizioni di partecipare al giudizio a suo carico. [11]

Infatti, il tradizionale sistema delle notifiche, con tutta la sua disciplina, rimane a monte, sia in senso logico che temporale, rispetto agli accertamenti che il giudice è tenuto a compiere al fine di pronunciare l’ordinanza con la quale dispone di procedere in assenza dell’imputato. Ciò posto, la l. n. 67 del 2014 non vuole affatto eliminare (nel configurare la pienezza del contraddittorio) la conoscenza formale che deriva da una valida notifica; vuole però cambiare  profondamente il ruolo della notifica, dato che essa diventa ora solo un prerequisito del processo celebrato in assenza dell’imputato. [12] La novella, infatti, aggiunge alla conoscenza formale dell’atto (citazione per l’udienza), prodotta dalla notifica, un requisito ulteriore, consistente nella reale (non formale) conoscenza del procedimento da parte dell’imputato. Solo la combinazione di questi due requisiti consente al giudice di procedere in assenza dell’imputato. All’esito dei suddetti accertamenti  sulla regolarità delle notifiche e sull’eventuale impedimento a comparire dell’imputato o del suo difensore (prima fase) il giudice (se l’imputato non è comparso in udienza) potrà affrontare la questione del processo in assenza (seconda fase).

A questo punto egli dovrà accertare l’esistenza delle condizioni previste dal secondo comma dell’art. 420 bis c.p.p., ossia se risulti comunque con certezza che l’imputato sia a conoscenza del procedimento (o si sia volontariamente sottratto alla conoscenza del procedimento o di atti del medesimo). Occorre allora analizzare singolarmente i casi di assenza ‘ non impeditiva’ contenuti nell’art. 420-bis commi 1 e 2 c.p.p. i quali, in tal modo, saldandosi con la valida verifica dell’avviso a monte –  verifica dell’avviso di fissazione dell’udienza preliminare contenente i requisiti dell’art. 419, comma 1 c.p.p. nel rispetto del termine a comparire ci cui all’art. 419, comma 4, c.p.p. nonché della norme in materia di notificazione- dovrebbero essere in grado di colorare di cosciente volontarietà l’assenza dell’imputato all’udienza e legittimare la decisione di procedere in assenza.

È di tutta evidenza che anche in questo quadro risolutorio possono crearsi delle perplessità data la differenziazione dei casi che involgono la conoscenza o meno del procedimento, difatti, in prima approssimazione, occorre tener distinti i casi di conoscenza – e quindi del regime notificatorio- forte o debole, ovvero ‘ qualificata’ o ‘ non qualificata’.[13]  Un regime notificatorio ‘ forte’ ovvero ‘ qualificato’ si può trovare nell’ipotesi di imputato che abbia ricevuto personalmente la notifica dell’avviso di fissazione dell’udienza, oppure quando ha espressamente rinunciato a comparire all’udienza medesima. Una valida rinuncia espressa integra una ipotesi di assenza non impeditiva, derivante da conoscenza qualificata consentendo di raggiungere il massimo grado di certezza circa la contezza del soggetto in relazione al procedimento a proprio carico. Di qui, l’assoluta serenità per l’organo giudicante di dichiararne l’assenza. . In tal sede è da sottolineare come la novella non ha per nulla inciso sul sistema di notifica ammettendo così che la consegna a mani non sia l’unica e principale modalità poiché ad essa si somma la notifica a mezzo postale, la consegna da parte dell’incaricato del servizio postale o il ritiro della raccomandata effettuata dall’interessato.[14]

Di contro, la situazione del regime notificatorio ‘ debole’ o ‘ non qualificato’ si evidenzia nella situazione in cui l’imputato non sia a conoscenza certa e personale del provvedimento di fissazione dell’udienza preliminare, ad esempio per non avere ricevuto la notifica a mani proprie dell’avviso di udienza,  ma risulta che egli abbia avuto contezza della pendenza del procedimento a suo carico,  da evincersi attraverso la valutazione di uno degli indici sintomatici previsti dall’articolo 420-bis comma 2 cpp. In queste ipotesi, l’assenza dell’imputato il giorno dell’udienza preliminare, senza che sia addotto un impedimento, induce il giudice a procedere in assenza ma l’imputato che successivamente non risulti essere  a conoscenza del procedimento a suo carico potrà esperire i rimedi resi tutori.

Se, infatti, la rinunzia al diritto di partecipare al processo presuppone la conoscenza effettiva delle accuse da parte dell’imputato, al di fuori dei casi in cui la notificazione è effettuata nelle mani dell’interessato (situazione questa alla quale può essere equiparato il ritiro diretto o da parte di un delegato del plico presso l’Ufficio postale), non è possibile far discendere la conoscenza dell’atto dalla regolarità delle notificazioni “deboli”, giacché, in questi casi,  non sempre la conoscenza legale coincide con la conoscenza “effettiva e personale” del provvedimento.

La novella sembra affidarsi ad alcuni meccanismi presuntivi: si è ritenuto che l’elezione del domicilio, la nomina del difensore di fiducia e l’esecuzione di un provvedimento limitativo della libertà personale, poiché generalmente implicano la conoscenza del procedimento, consentano di attribuire all’assenza dell’imputato il significato di una rinunzia tacita ad esercitare personalmente il diritto di difesa. Sennonché, non necessariamente a una delle situazioni ricomprese nell’elenco stilato dal legislatore, corrisponde realmente la consapevolezza dell’imputato circa l’esistenza del procedimento. E anche accettando l’idea che la sussistenza dei presupposti indicati dall’art. 420-bisc.p.p. attesti la consapevolezza della pendenza di un procedimento penale, far derivare da ciò la presunzione che l’imputato non comparso sia a conoscenza dell’accusa posta a suo carico e abbia consapevolmente rinunciato al suo diritto di partecipare al processo sembra eccessivo.

L’elezione di domicilio indubbiamente è funzionale a favorire le notificazioni, agevolando le autorità competenti nella ricerca dei luoghi in cui potere effettuare la consegna dell’atto. In mancanza di una modifica del regime delle notificazioni, tuttavia, è inevitabile chiedersi se il legislatore con la riforma abbia voluto realmente rafforzare il diritto dell’imputato ad essere presente al processo o sia stata realizzata un’opera machiavellica atta nascondere i segni di un sistema lacunoso.[15]

Critiche, soprattutto, devono rivolgersi alla disciplina delle notificazioni ad interposta persona che consente di ritenere raggiunta la conoscenza dell’atto mediante una mera fictio iuris.[16]

L’indagato (o imputato) è chiamato a collaborare lealmente alla notificazione indicando il luogo in cui vuole ricevere gli atti con una dichiarazione o elezione di domicilio che ha effetti tendenzialmente estesi all’intero procedimento ivi compresa la fase del giudizio.

L’art. 161 c.p.p. stabilisce che, nel primo atto compiuto con l’intervento della persona sottoposta alle indagini, il P.M. o la P.G. devono invitare l’indagato ad eleggere domicilio per le notificazioni avvertendolo che ha l’obbligo di comunicare ogni mutamento del domicilio dichiarato o eletto e che, in mancanza di tale comunicazione o nel caso di rifiuto di dichiarare o eleggere domicilio, le notificazioni verranno eseguite mediante consegna al difensore. Prevede poi che analogo invito debba essere formulato dall’autorità giudiziaria quando per la prima volta notifica un atto all’imputato o indagato. In tal caso egli deve essere avvisato che, se la dichiarazione o elezione di domicilio risulterà mancante, insufficiente o inidonea le successive notificazioni verranno eseguite nel luogo in cui l’atto è stato notificato. Con l’invito a dichiarare o eleggere domicilio l’indagato è messo a conoscenza della pendenza del procedimento ed è invitato a indicare dove vuole ricevere tutti gli atti successivi. Avendo fornito questa indicazione,  egli ha l’onere di comunicare eventuali mutamenti del domicilio dichiarato o eletto e viene informato (a pena di nullità ex art.171 comma 1 lett e) che se non lo farà gli atti potranno essere validamente notificati presso il difensore ovvero nel luogo in cui è avvenuta la prima notifica. Da quanto esposto emerge che, se vi è stata dichiarazione o elezione di domicilio, la eventuale mancata conoscenza della celebrazione del processoè tendenzialmente imputabile, secondo il principio ispiratore della riforma,  ad una sorta di negligenza dell’interessato che infatti si può dolere solo se l’omessa comunicazione del mutamento del domicilio dichiarato o eletto è dipesa da caso fortuito o forza maggiore (art. 161 comma 4 ultima periodo).

In coerenza con tale impostazione,  la novella legislativa ha previsto che si possa procedere in assenza dell’imputato che “nel corso del procedimento  abbia dichiarato o eletto domicilio”.

Il ragionamento è chiaro: l’imputato ha avuto conoscenza del procedimento quando ha dichiarato o eletto domicilio; ciò gli avrebbe consentito – se si fosse comportato secondo diligenza – di venire a conoscenza della celebrazione del processo e, se lo avesse voluto, anche della data d’udienza. Se non è presente, quindi, è perché ha rinunciato ad esserlo o perché non si è adoperato, come avrebbe potuto o dovuto fare, per ricevere le informazioni a lui destinate. A regime delle notificazioni invariato, sembrerebbe che la sussistenza di uno degli indicatori tipici considerati dall’art. 420-bis c.p.p. consenta di celebrare il processo in assenza a prescindere dalle modalità con cui sia stata effettuata la notifica dell’avviso di fissazione dell’udienza preliminare. «Con il paradosso per cui si dovrebbe procedere in absentia anche nei confronti dell’imputato divenuto irreperibile o al quale la comunicazione della data del processo sia stata comunicata al difensore d’ufficio per l’impossibilità sopravvenuta di procedere alla notifica nel domicilio dichiarato eletto».[17]  

In questi casi, cioè, in base ad una interpretazione rigoristica degli indici sintomatici dell’effettiva conoscenza del processo se la notificazione dell’avviso è stata effettuata regolarmente, ove ricorra, ad esempio, l’elezione del domicilio da parte dell’imputato, essendovi in atti la prova della conoscenza del procedimento, il processo dovrebbe essere comunque celebrato in assenza, salvo poi l’imputato dimostrare che, a causa della irreperibilità sopravvenuta, non si è avuta effettivaconoscenza del processo, con conseguente operatività dei rimedi restitutori. Con i limiti, tuttavia, derivanti dall’aver posto nuovamente a carico dell’interessato la prova che l’assenza è stata dovuta ad una incolpevole mancata conoscenza della celebrazione del processo. Rimettendo, così, però, il legislatore,  alla scelta del  giudicante la responsabilità di celebrare un processo nei confronti di un soggetto del quale sia dubbia la effettiva conoscenza del processo, pur in presenza di un indice sintomatico  (una presunzione) di effettiva conoscenza. Non può non rilevare, sul punto, l’interprete, infatti, come l’indice presuntivo della conoscenza del procedimento rappresentato dalla elezione di domicilio non possa non avere un contenuto più  significante variabile a seconda che sia intervenuto all’inizio o nel corso del procedimento o, addirittura, nel processo,  ed in conseguenza del diverso contegno processuale intrattenuto dall’imputato nel corso del procedimento o del processo. 

Altro indicatore sintomatico è che durante le indagini il soggetto sia stato ‘arrestato, fermato, o sottoposto a misura cautelare’. Ma anche in questo casa i  dubbi non sono pochi : trattasi di provvedimenti che potrebbero essere stati adottati diversi anni prima, o disposti da un’ autorità differente od ancora essere relativi a fatti diversi.[18] L’idea, altresì, che dalla mera esecuzione di tali provvedimenti discenda una sorta di onere d’informazione, a carico dell’indagato, sugli sviluppi futuri del procedimento non convince perché non tiene adeguatamente conto del monito della giurisprudenza della Corte europea attenta a non fare affidamento solo su elementi presuntivi, bensì a considerare l’effettiva conoscenza della esistenza del processo e la volontà non equivoca di parteciparvi. Senza trascurare che si tratta di un onere oggettivamente gravoso che rischia di fare aumentare il numero dei processi rispetto ai quali venga successivamente fornita la prova della incolpevole assenza dell’imputato.

La nomina del difensore di fiducia  è l’ultimo degli indici sintomatici previsti dalla legge.  Non dissimile dalle critiche mosse agli altri ‘indicatori’ preposti dal legislatore è quella movibile a quest’ultimo: se la nomina vale a dimostrare la consapevolezza del soggetto di essere sottoposto ad indagine penale in un certo momento, il rinvio a giudizio potrebbe arrivare a distanza di molti anni davanti ad una diversa autorità. Si consideri, poi, che il difensore di fiducia, nominato all’inizio del procedimento, potrebbe aver rimesso il mandato ancora in fase indagini, con ciò interrompendo ogni via informativa con l’assistito. Tale assetto presuntivo ha iniziato a far riflettere l’ermeneuta sulla validità o meno della elezione di domicilio presso il difensore d’ufficio, in ragione,  più che di connotati astratti, della consistenza materiale del patrimonio informativo posseduto dall’indagato e della solidità e stabilità del suo stato personale e di soggiorno. Grazie a tale sviluppo concettuale si è formato l’orientamento giurisprudenziale più innovativo secondo cui le notificazioni al difensore d’ufficio sarebbero, di per sé, inidonee a dimostrare l’effettiva conoscenza del procedimento o del provvedimento in capo all’imputato, salvo che la conoscenza non emerga aliunde ovvero non si dimostri che il difensore d’ufficio sia riuscito a rintracciare il proprio assistito ed a instaurare un effettivo rapporto professionale con lui.[19]

Nel quadro descritto,  occorre soffermarsi anche sulla tematica  delle notifiche per compiuta giacenza. Nemmeno questa norma è stata incisa dalla novella, e quindi essa continua a regolare la relativa forma di notifica.  Anche in questo caso occorre ribadire  che le due fasi (notifica e processo in assenza) sono autonome, e vanno sottoposte a verifica ciascuna sulla base delle normative che le riguardano. Ne consegue che potrà esservi una valida notifica all’imputato (dell’avviso di udienza) anche se perfezionatasi “per compiuta giacenza”.Ma nella successiva fase in cui il giudice dovrà accertare se esistono le condizioni per procedere in assenza dell’imputato, sarà necessario accertare se l’imputato stesso abbia avuto conoscenza del procedimento, a prescindere dalla notifica avvenuta per compiuta giacenza, bensì sulla base di tutte le condizioni previste dal secondo comma dell’art. 420 bis c.p.p. .Pertanto, in presenza di -almeno una di- queste ultime, il giudice dovrà procedere in assenza dell’imputato, nonostante che la notifica dell’avviso di udienza gli sia stata notificata “per compiuta giacenza”.[20] E’ evidente che proprio il tema delle notifiche per compiuta giacenza offre i più sensibili spunti di riflessione in ordine alla necessità, in presenza di siffatto regime notificatorio per sua natura molto “debole”, di un maggiore e più attento controllo della valenza sintomatica dell’indice presuntivo dell’effettiva conoscenza che si vada, di volta in volta, a delineare. Ciò ove l’interpreti si spinga a ricercare non solo un’interpretazione letterale della novella di cui all’art. 420 bis cpp ma che sia orientata al rispetto non solo delle norme costituzionali ma anche delle norme della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo immediatamente alle prime interposte (vedasi l’art. 117 della Costituzione in richiamo ai principi di cui all’art. 6 CEDU)

3. Prospettive ermeneutiche a confronto

La novella delineata non è stata esente da critiche. Autorevole dottrina ha  equiparato il sistema delineato dalla Legge a quanto sancito in materia civilistica come il doppio passaggio praesumptum de praesumto. Vi sarebbero dei fatti sintomatici che impongono di presumere la conoscenza del procedimento e da siffatta conoscenza presunta del procedimento, si ricaverebbe, a sua volta, nuovamente in via presuntiva, la conoscenza dell’imputazione e della vocatio in iudicum; ancora, poi, da queste ultime si dovrebbe presumere la volontaria rinuncia a comparire.[21] In presenza di un fatto sintomatico, la conoscenza dell’accusa e del processo risulterebbe, ancora una volta,  affidata esclusivamente al meccanismo delle notificazioni. Di qui la particolarità: ci troveremmo davanti ad una catena di presunzioni che finisce con l’incidere sul diritto fondamentale dell’imputato di avere conoscenza del processo a suo carico.  Tuttavia, la descritta catena di presunzioni  avrebbe, secondo la citata dottrina, un anello debole, nella specie, nel punto in cui  la conoscenza del processo viene fatta ricavare dalla conoscenza del procedimento a mezzo di canoni fittizi in considerazione del fatto che  dal compimento di un atto di indagine possono passare anni e possono verificarsi sviluppi inaspettati al punto da cambiare completamente il quadro dell’originaria accusa.

In senso deteriore rispetto alla previgente disciplina della dichiarazione di contumacia, dunque, si porrebbe la novella introdotta con la L. 28 Aprile 2014 n.67 dal momento che mentre in passato era consentito al giudicante valutare liberamente l’improbabilità che l’imputato non avesse avuto effettiva conoscenza della prima udienza, attualmente sussisterebbero degli indici sintomatici codificati di conoscenza del “procedimento” (ad esempio, la nomina a difensore di fiducia, l’elezione di domicilio etc.) una volta constatata la presenza dei quali sarebbe precluso al giudicante ogni ulteriore valutazione.

E’ questa, l’impostazione di parte della Giurisprudenza[22] la quale, attenta al dato letterale dell’art. 420 bis c.p., sottolinea l’impossibilità, in concreto, per il giudicante di effettuare valutazioni concrete ed ulteriori rispetto alla conoscenza “effettiva” laddove ricorra unod egli  indici sintomatici prescelti dal legislatore per valutare la presumibile conoscenza del “procedimento” da parte dell’imputato.

Con la conseguenza che sarebbe anomalo, in presenza di alcuno degli indici suddetti, che il Giudicante si soffermasse al punto tale da dover disporre la rinnovazione della notifica a mani ex art. 420 quater c.p.p. e, nel caso di constatata impossibilità di rinnovazione della notifica a mani, addirittura fino ad arrivare a sospendere il processo.

E’ noto, infatti, che nel disegno del legislatore,  la mancata rinnovazione della notifica a mani in favore dell’imputato ai sensi dell’art. 420 quater cpp comporta che l’itinerario processuale rimanga  sospeso, con la sola possibilità di assumere, esclusivamente a richiesta di parte, prove non rinviabili secondo le modalità del dibattimento. Dopo un anno dalla dichiarazione di sospensione – e in seguito con cadenza annuale – sempre che il giudice non ne ravvisi anteriormente necessità, vengono disposte nuove ricerche ai fini di notificare l’avviso (art. 420-quinquies c.p.p.), con trasmissione dell’ordinanza di sospensione anche alla locale sezione di polizia giudiziaria, competente per le ulteriori ricerche ai sensi dell’art. 143 bis Disposizioni di Attuazione al Codice di procedura Penale. E’ noto, ancora come la sospensione del processo comporti anche la sospensione della prescrizione per un periodo non superiore a un quarto del termine massimo, elevabile a seconda della sussistenza o meno di situazioni di recidiva.[23] E’ notorio, ancora, come l’ordinanza di sospensione possa essere  revocata solo se le ricerche abbiano avuto esito positivo o se l’imputato nelle more abbia nominato un difensore di fiducia e in ogni altro caso in cui vi sia la prova certa che l’imputato abbia conosciuto il procedimento nei suoi confronti.

Ebbene, secondo l’impostazione interpretativa che privilegia il dato letterale di cui all’art. 420 bis cpp, sarebbe “anomalo”, addivenirsi alla sospensione del processo, con tutte le conseguenze in termini di empasse che ne deriverebbe, nelle ipotesi in cui ricorra pure un elemento sintomatico di conoscenza del processo, così come normativamente tipizzato.

4. Una  possibile soluzione

La soluzione del problema, a parere di chi scrive, non può prescindere dal tentativo di fornire una interpretazione che, oltre ad essere attenta al dato letterale, si ponga come concreta attuazione dei principi ispiratori instillati al legislatore interno dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. Questo per il fatto che una interpretazione costituzionalmente orientata non può non essere illuminata dai principi dettati dalla Convenzione  per la Salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, così come interpretata dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo.    

A ben leggere, dunque, la disposizione di cui all’art. 420 bis c.p.p. è possibile trovare una soluzione interpretativa adeguatrice.

Il comma secondo dell’art. 420 bis del codice di procedura penale introduce, a conclusione dell’elenco degli indici sintomatici dell’effettiva conoscenza del procedimento da parte dell’imputato una ‘ clausola di chiusura’: ‘ il giudice procede altresì in assenza dell’imputato nel caso in cui l’imputato assente abbia ricevuto personalmente la notificazione dell’avviso dell’udienza ovvero risulti comunque con certezza che lo stesso è a conoscenza del procedimento’.

Considerando che la disciplina delle notificazioni è rimasta invariata e che , specularmente, la mera regolarità formale della notificazione non garantisce la conoscenza effettiva dell’atto, tale clausola, aperta nel suo contenuto, permette all’organo giudicante di accertare comunque, nel caso concreto la certezza della conoscenza del procedimento.

E ciò anche nelle ipotesi in cui ricorra uno o più degli indici presuntivi elencati nella prima parte del secondo comma del detto articolo ma ove gli stessi siano tanto risalenti nel tempo (o meglio collocati così all’inizio del procedimento) o poco significativi da far dubitare che una conoscenza iniziale del procedimento non si sia tradotta, poi, in conoscenza certa del processo.

E’ evidente come siffatta indagine risulti del tutto inutile in tutte quelle ipotesi in cui vi sia prova che l’imputato, in virtù di un regime notificatorio “forte”, abbia ricevuto personalmente la conoscenza della prima udienza. Si pensi ad esempio, alle notifiche a mani  dell’imputato od anche a mani dello stesso o di un familiare convivente con il medesimo, sia a mezzo dell’ufficiale giudiziario che del servizio postale. Parimenti si può ritenere uno strumento notificatorio “forte” il ritiro della raccomandata inoltrata a mezzo del servizio postale, prima che intervenga la compiuta giacenza, ritiro che deve essere  effettuato, per disposizione regolamentare sul servizio postale, direttamente dal destinatario oppure  a mezzo di delegato dal destinatario, peraltro con allegazione necessaria alla delega della fotocopia del documento di identità del delegante.

Al contrario, il problema della valorizzazione del canone della risultanza della conoscenza certa del procedimento da parte dell’imputato si pone in presenza di tutte le altre forme di notificazione “debole”, quali, ad esempio, i casi di notifica nelle mani del portiere dello stabile od a mezzo del servizio postale perfezionatasi con la compiuta giacenza o, soprattutto, nelle ipotesi di decretazione di irreperibilità.

In tutte queste ipotesi, dunque, il giudicante dovrà necessariamente porsi il problema della significatività e rilevanza degli eventuali indici sistematici dell’effettiva conoscenza di volta in volta rinvenuti nel processo.

Nulla quaestio, ovviamente, ove ricorra una nomina, da parte dell’imputato, del difensore di fiducia e questi sia sempre presente al dibattimento oppure nelle ipotesi in cui vi sia una elezione di domicilio relativamente recente.

Il problema, invero, dovrà porsi in tutti quei casi in cui gli indici sintomatici della presumibile conoscenza del “procedimento” non risultino più dotati di attualità al momento in cui il giudicante deve, in prima udienza dibattimentale, dichiarare l’assenza dell’imputato.

Si pensi, ad esempio, alle ipotesi in cui la nomina del difensore di fiducia sia intervenuta in una fase assai risalente delle indagini e , poi, lo stesso non sia mai comparso al dibattimento ad assumere la difesa del proprio assistito, soprattutto laddove il regime notificatorio della prima udienza dibattimentale sia molto debole (ad esempio per compiuta giacenza dovuta ad irreperibilità all’indirizzo di residenza del destinatario).

Oppure alla ipotesi di domicilio eletto dall’imputato straniero presso il difensore all’inizio del procedimento, love, poi, il difensore nominato esprima al dibattimento la rinuncia al mandato difensivo e, di fatto, sia impossibile comunicare siffatto atto all’imputato, resosi, ormai, non più reperibile al processo.

E, pure, a tutte quelle ipotesi in cui all’elezione di domicilio presso il difensore sia seguìta la rinunci al mandato difensivo.

In questi ed in tutti i casi in cui insorga un serio e fondato dubbio sulla “certezza della conoscenza del procedimento” deve intervenire il canone imposto dalla clausola di salvaguardia che impone al giudicante di valutare, caso per caso, la perdurante valenza probatoria del dato sintomatico. E questo per evitare processi nei confronti di “convitati di pietra”, processi che, poi, eventualmente risulterebbero inutilmente dati in quanto suscettibili di essere rescissi anche ove portati a cosa giudicata.

La  clausola di salvaguardia si biforca in due ipotesi: la prima secondo cui si procede nei confronti dell’imputato non comparso che risulti comunque con certezza a conoscenza del procedimento;  la seconda, per cui si procede nei confronti dell’imputato non comparso che volontariamente si sia sottratto alla conoscenza del procedimento. Difatti, tutte le situazioni che si è ritenuto non potessero rientrare o nella conoscenza ‘ qualificata’ o in uno dei tre indici sintomatici di cui sopra, possono comunque essere attratte nell’orbita della ‘ certezza della conoscenza’. [24] Tale clausola residuale è suscettibile di ricomprendere variegate situazioni, e sarà allora compito dell’interprete , di volta in volta, verificare se e a quale grado di consapevolezza l’ipotesi ‘ atipica’ riesca in concreto a soddisfare l’esigenza di contezza del procedimento in capo al soggetto.[25]

Tale clausola non è , nello stesso tempo, andata esente da critiche. In dottrina è stato osservato come pur non dovendosi dar rilievo alla ritualità formale della notifica ma all’esistenza di un complesso di circostanze capaci di fondare l’effettiva conoscenza del procedimento queste stesse possono essere sì collegate ma distinte rispetto alla condizioni di regolarità della notifica.[26] Si riporta l’esempio della notifica all’imputato non detenuto: la prima notificazione, ove non sia possibile consegnare la copia personalmente all’interessato, è eseguita nella casa di abitazione o nel luogo in cui l’imputato esercita abitualmente l’attività lavorativa, mediante consegna di una copia dell’atto a una persona che conviva anche temporaneamente o, in mancanza, al portiere o chi ne fa le veci (art. 157 c.p.p).

È stato osservato come ,in un’ottica garantista occorrerebbe dare rilievo ai soli rapporti familiari “qualificati”, come quelli esistenti tra genitori e figli minori e tra coniugi. L’ufficiale giudiziario, inoltre, dovrebbe verificare con scrupolo i vincoli di parentela o la sussistenza di un rapporto di convivenza, con specifica annotazione nella relata di notifica, occorrendo qualcosa di più della mera apparenza di una situazione di convivenza. [27]

In ogni caso, l’art. 420-bis c.p.p. va interpretato alla luce dei principi fondamentali che lo hanno ispirato.

Ne consegue che, non potendo acquisire rilievo la mera regolarità delle notificazioni ad interposta persona, dovrebbero ricercarsi altri elementi da cui desumere la certezza della conoscenza del procedimento da parte dell’imputato, in mancanza dei quali si impone la rinnovazione dell’avviso di fissazione dell’udienza preliminare. In questi casi, dunque, deve procedersi ai sensi dell’art. 420-quater c.p.p. pur non sussistendo, a rigore, né  un impedimento a comparire -che legittimi il rinnovo dell’avvisoexart. 420-ter c.p.p.- né una nullità della notificazione. Ciononostante, avendo un dubbio sulla certezza della conoscenza del procedimento,  il giudice dovrebbe tentare di notificare l’atto personalmente all’imputato avvalendosi della polizia giudiziaria. A questo punto, non trattandosi di un soggetto irreperibile, il provvedimento probabilmente riuscirà a essere consegnato nelle mani dell’interessato. Ove ciò non si verificasse, dovrebbe, in coerenza,  disporsi la sospensione del processo.

 Ed è sintomatico come sia proprio la dottrina ad auspicare  che si attribuisca al giudice alcuni spazi di discrezionalità con  forme di valutazione in concreto della volontarietà della rinuncia a comparire, anche quando essa sia implicitamente fondata sugli elementi sintomatici. L’organo giudicante dovrebbe godere di uno spazio di autonomia che possa fungere da cardine nell’intero sistema volto a verificare se l’imputato abbia o meno consapevolezza dell’esistenza del procedimento e abbia rinunciato a parteciparvi.

Per concludere, occorrerebbe  interpretare ciascuno degli indicatori dell’art. 420-bis c.p.p. non come una presunzione legale astratta e formalistica, ma come un fatto concreto e specifico secondo regole di consolidata esperienza. Spetta al giudice, dunque, valutare senza rigidi automatismi, bensì con le ordinarie cautele del ragionamento indiziario, se in concreto possa affermarsi con certezza l’effettiva conoscenza del procedimento o la volontaria sottrazione alla conoscenza del procedimento o di atti del medesimo.

Pertanto, è proprio  l’inserimento della descritta clausola di chiusura a rappresentare  la chiave di volta del sistema: essa permette al giudicante di non doversi necessariamente agganciare a rigidi automatismi nell’iterlogico da seguire quanto di affidarsi ad ordinarie cautele del ragionamento indiziario per affermare se in concreto il soggetto abbia avuto effettiva conoscenza del procedimento o si sia volontariamente sottratto ad essa.

Roberta D’Onofrio

(con la collaborazione della tirocinante ex art. 73 L.n.98 del 2013, d.ssa Francesca Bucci)


[1] Per approfondimenti, D. Negri, L’imputato presente al processo. Una ricostruzione sistematica, Giappichelli, Torino, 2012.

[2] Oltre alle condanne di Strasburgo, una revisione del processo contumaciale sembrava imposta anche dalla disciplina in tema di mandato d’arresto europeo, in quanto l’articolo 5 della decisione quadro del consiglio dell’Unione 2002/584/GAI del 13 giugno 2002 ( recepita in Italia con legge 22 aprile 2005, n.69) prevede che, quando il condannato contumace non sia stato informato della data e del luogo dell’udienza, la sua consegna possa essere subordinata alla condizione che l’autorità giudiziaria emittente fornisca assicurazioni sufficienti a garantire alla persona la possibilità di chiedere un nuovo giudizio e di essere ad esso presente.

[3] Per approfondimenti, Tamietti, processo contumaciale e Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo: la Corte di Strasburgo sollecita l’Italia ad adottare riforme legislative, in Cass. Pen. 2005, pag. 989 ss.

[4] Va , ancora, notato come la Corte europea si è sempre limitata a postulare la necessità di garantire al contumace successivamente comparso la pronuncia sull’accusa a suo carico da parte di un nuovo giudice senza precisare se l’esigenza di restituito in integrum del diritto del contumace al processo in contraddittorio debba necessariamente implicare il ritorno del rito in prima istanza o se essa possa dirsi soddisfatta nell’ambito di un giudizio di impugnazione sulla sentenza contumaciale.

[5] R. Casiraghi, Il giudizio in assenza dell’imputato, cap. La disciplina del giudizio senza imputato : quadro retrospettivo., Giappichelli, Torino, Ius Novum 2014.

[6] P. Spagnolo, La disciplina della restituzione nel termine tra istanze sopranazionali e legislazione italiana. Articolo pubblicato sul web.

[7] Per un approfondimento, Il giudizio in contumacia e la restituzione nel termine a cura di Piercamillo Davigo, Consigliere della Suprema Corte di Cassazione, articolo pubblicato sul web.

[8] V. Silvestri, Relazione del Massimario, Le nuove disposizioni in tema di processo ‘in assenza’ dell’imputato, pag.40.

[9] Cfr.Cass., sez. V, 23 maggio 2006, n. 25618, in C.E.D. Cass., n. 234369, secondo la quale la prova dell’effettiva conoscenza da parte dell’imputato del procedimento e della rinuncia a comparire, nonché dell’effettiva conoscenza del provvedimento e della rinuncia ad impugnare può desumersi dal fatto che l’imputato abbia partecipato all’udienza preliminare, nominando un difensore di fiducia presso il quale ha eletto domicilio, avendo egli predisposto tutti gli strumenti di conoscenza legale dell’attività processuale; Cass., sez. I, 25 maggio 2006, n. 28619, ivi n. 234285, sulla base della considerazione che il difensore ha il dovere deontologico di far pervenire al proprio assistito gli atti a lui diretti personalmente, oppure di comunicare all’ufficiale giudiziario e all’ufficio giudiziario immediatamente gli eventi che rendevano impossibile la notificazione presso di lui. In senso contrario v. Cass., sez. I, 1 febbraio 2006, n. 18467, ivi n. 233871, per la quale la notifica presso il domicilio eletto nello studio del difensore di fiducia, pur dando luogo, nell’ambito del processo, ad una presunzione assoluta di conoscenza, non ne assicura l’effettività che può venire meno in presenza della comprovata negligenza del domiciliatario. Spetta, quindi, al giudice investito della richiesta di verificare se, in concreto la conoscenza sia mancata e se la mancanza dipenda da volontaria interruzione dei contatti da parte dell’interessato (equivalente a rinuncia a seguire gli sviluppi del procedimento) o da difetto di informazione da parte del suo fiduciario; Cass., sez. III, 1 febbraio 2006, n. 13215, ivi n. 233640, secondo la quale qualora la notifica sia stata regolarmente eseguita nel domicilio eletto presso il difensore di fiducia, poi sostituito con altro, senza revocare l’elezione di domicilio, il giudice ha l’obbligo di compiere ogni necessaria verifica in relazione all’effettiva conoscenza del provvedimento.

[10] Per una disamina completa, C. Conti, Processo in absentia a un anno dalla riforma: praesumptum de praesumpto e spunti ricostruttivi, in Diritto penale e processo 4/2015

[11] Carlotta Conti nel Processo in absentia a un anno dalla riforma: praesumptum de praesumpto e spunti ricostruttivi, in Diritto penale e processo 4/2015 osserva che ‘Se vogliamo tracciare alcune categorie generali – con tutte le relative approssimazioni, perché molti ordinamenti distinguono anche a seconda della gravità del reato, ritenendo non necessaria la presenza dell’imputato per i reati bagatellari- dall’esame del diritto comparato si ricava l’esistenza di tre modelli. Si delinea un primo modello “a presenza tendenzialmente necessaria” con accompagnamento coattivo per i reati più gravi. Si tratta di un meccanismo adottato nei sistemi di common law, in Spagna ed in Germania. così D. Negri, L’imputato presente al processo. Una ricostruzione sistematica, ristampa emendata, Torino, 2014, 32 Per un’apertura verso il sistema a presenza necessaria G. Lattanzi, Spunti critici sulla disciplina del processo contumaciale, in Leg. pen., 2004, 600. Si profila un secondo modello “a presenza obbligatoria” con sanzioni a carico dell’assente, quale tipicamente, il processo con privazione di garanzie. È, infine, individuabile un terzo modello “a presenza facoltativa”, dove la scelta di assistere al proprio processo è considerata un diritto dell’imputato dove tutto si gioca sulla consapevolezza della rinuncia e  sulle misure ripristinatorie in favore dell'”inconsapevole”.Si tratta del sistema accolto in Italia nel codice del 1913e nel codice del 1930 dopo la riforma del 1955 in modo semprepiù marcato fino ai giorni nostri. Considerano tale modello e un’espressione del sistema accusatorio temperato, P. Tonini eM. Ingenito, La sospensione del processo contro l’irreperibile ela frattura legislativa tra vecchia contumacia e nuova assenza,in Aa.Vv., Le nuove norme sulla giustizia penale, a cura di C. Conti, A. Marandola, G. Varraso, Padova, 2014, 181. Per un’approfondita disamina dei singoli ordinamenti, D. Vigoni,Panorama europeo in tema di giudizio senza imputato, in Aa.Vv.,Il giudizio in assenza dell’imputato, a cura di D.Vigoni, Torino,2014, 34 ss.’

[12] S. Marcolini, in Il giudizio in assenza dell’imputato, cap. I presupposti del giudizio in assenza, Giappichelli Editore, Torino, Ius Novum, 2014.

[13] Sulla distinzione, D. Chinnici, Sospensione del processo nei confronti degli irreperibili, in Treccani, la cultura italiana, Libro dell’anno 2015.

[14] QUATTROCOLO, Commento all’art. 2 l. n. 60 del 2005, in Legisl. pen. 2005, p. 292. Del resto se così non fosse non avrebbe senso la previsione della possibilità di dichiarare od eleggere domicilio: FILIPPI, op. cit., 2201 .In giurisprudenza, sottolineano che la disposizione dell’art. 157 comma 8-bis c.p.p. si applica a tutte le notificazioni successive alla prima compiute ai sensi dell’art. 157 c.p.p., anche se la prima notificazione sia stata regolarmente eseguita nell’abitazione dell’imputato: Cass., sez. IV, 11 ottobre 2005, n. 41649, in C.E.D. Cass., n. 232409, in cui si osserva che tale procedura, ispirata a garantire la ragionevole durata del processo in ottemperanza all’art. 111 Cost. non viola gli artt. 3 e 24 Cost. in quanto non elide il diritto dell’imputato ad essere informato direttamente del processo, ma lo regolamenta, potendo egli interrompere tale automatismo, eleggendo domicilio; Cass., sez. I, 11 aprile 2006, n. 17344, ivi n. 234020; v. però, Cass., sez. V, 24 ottobre 2005, n. 44608, ivi n. 232612, secondo la quale la disposizione di cui all’art. 157 comma 8-bis c.p.p. si applica solo alle notificazioni successive a quella eseguita ai sensi dell’art. 157 comma 8 (mediante deposito dell’atto e affissione dell’avviso), mentre non si applica nell’ipotesi in cui – come nella specie – l’imputato abbia precedentemente eletto domicilio nel luogo di abituale dimora ex art.161 c.p.p.

[15] Sul punto, ad esempio, sono ancora valide le osservazioni critiche della Giunta dell’Unione delle Camere penali a proposito del c.d. Progetto Mastella, secondo cui l’introduzione di elementi presuntivi di conoscenza – quali la nomina fiduciaria di un difensore o l’esecuzione di una misura cautelare – finisce per porre a carico dell’imputato un dovere di diligenza «che non trova alcun fondamento nel nostro sistema processuale e nella stessa Convenzione Europea e che tradisce un pregiudizio di fondo nei confronti delle persone sottoposte alle indagini, riguardo alle quali la celebrazione del dibattimento viene considerata come esito processuale ineluttabile» (Documento della Giunta e del Centro Marongiu sul testo del DDL Mastella su “Disposizioni in materia di accelerazione e razionalizzazione del processo penale, prescrizione dei reati, confisca e criteri di ragguaglio tra pene detentive e pene pecuniarie”, 20, in www.camerepenali.it).

[16] A. Ciavoli, Alcune considerazioni sulla nuova disciplina del processo in assenza e nei confronti degli irreperibili. Tante ombre e qualche luce, in dirittopenalecontemporaneo.it

[17] Come è stato osservato da A. Ciavoli, Alcune considerazioni sulla nuova disciplina del processo in assenza e nei confronti degli irreperibili. Tante ombre e qualche luce, in diritto penale contemporaneo.it

[18] Per una critica in tal senso, S. Marcolini, in Il giudizio in assenza dell’imputato, cap. I presupposti del giudizio in assenza, Giappichelli editore, Torino, Ius Novum. 2014

[19] Per un approfondimento anche giurisprudenziale, Carlo A. M. Brena, Note su elezione di domicilio e notifiche presso difensore: profili normativi e questioni applicative con riferimento alla cd. elezione di “stile”

[20] Per approfondimenti, D. Potetti I CASI TIPICI DI GIUDIZIO IN ASSENZA DELL’IMPUTATO (ART. 420 BIS, COMMA 2, C.P.P.).STANDARD CASES IN THE PRACTICE OF TRIAL IN ABSENTIA (ART. 420 BIS, COMMA 2, C.P.P.).

[21] C. Conti, Processo in absentia a un anno dalla riforma: praesumptum de praesumpto e spunti ricostruttivi, in Diritto penale e processo 4/2015

[22] V. Silvestri, Relazione del Massimario, Le nuove disposizioni in tema di processo ‘in assenza’ dell’imputato

[23] L’aggancio del termine massimo a quello di cui all’art. 161, co. 2, c.p.p. sembra giustificato dalla opportunità di non addossare all’imputato, cui «non può essere mosso alcun rilievo sotto il profilo della leale collaborazione», l’effetto negativo di rimanere sine die sottoposto a un procedimento penale, sebbene, almeno quanto ai fatti non particolarmente gravi, il rischio in concreto sia quello, per così dire, di una messa da parte dei processi fino alla maturazione della prescrizione

[24] V. Silvestri, Relazione del Massimario, Le nuove disposizioni in tema di processo ‘in assenza’ dell’imputato

[25] Per questi ed atri casi analoghi, A. Ciavola, Alcune considerazioni sulla nuova disciplina del processo in assenza e nei confronti degli irreperibili. Tante ombre e qualche luce, in dirittopenalecontemporaneo.it

[26] Per la critica, S. Marcolini, Il giudizio in assenza dell’imputato, cap. i Presupposti del giudizio in assenza.

[27] A. Ciavola, Alcune considerazioni sulla nuova disciplina del processo in assenza e nei confronti degli irreperibili. Tante ombre e qualche luce, in dirittopenalecontemporaneo.it

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