Non vogliamo entrare nello specifico del caso Sirianni, poiché ognuno di noi deve maturare il proprio convincimento solo in base alla lettura delle due proposte, quella di maggioranza, che negava il superamento della valutazione di professionalità, e quella di minoranza che si esprimeva invece in senso favorevole e di cui era relatore il consigliere di Unicost, Marco Bisogni, e al conseguente dibattito in plenum che è scaturito.
Il merito di questa vicenda è di consentirci di ribadire alcuni principi di civiltà, purtroppo non sempre seguiti, con la doverosa premessa che nel caso Sirianni non rileva il tema, altrettanto importante, della “libera manifestazione del pensiero”. Il primo principio è che il cd. modello di magistrato, in positivo o in negativo, può valere esclusivamente sul piano culturale, ma non dovrebbe mai fare accesso nelle procedure amministrative del Consiglio Superiore della Magistratura riguardanti i singoli magistrati. È evidente, infatti, il rischio che per tale via si conformino i magistrati italiani secondo modelli che rispondono a concezioni soggettive e moralistiche, che dovrebbero essere estranee all’azione dell’organo di governo autonomo. Il CSM dovrebbe evitare qualsiasi giudizio morale sul magistrato, perché il CSM non è il padrone dei magistrati e non ha il compito di forgiarli secondo presunti modelli comportamentali. Se del caso, il sillogismo che si impone ai consiglieri del CSM è “non sei il mio modello di magistrato, ma non ci sono i presupposti per negare la valutazione di professionalità”.
Il secondo è l’affermazione del carattere riservato delle conversazioni private – a meno che le stesse non siano di per sé illegittime perché risolventesi nella loro materialità nella stessa violazione del precetto disciplinare – che non dovrebbero essere utilizzate in procedure amministrative al fine di trarre argomenti per desumere la mancanza di equilibrio ed indipendenza incompatibili con la figura di magistrato. Le conversazioni private, magari intrattenute con una persona amica, sono chiaramente caratterizzate da un linguaggio in libertà, nel quale spesso le parole non si pesano proprio perché rese in confidenza. Fare discendere da questo tipo di conversazioni conseguenze negative in procedure amministrative desta evidente allarme, come da sempre evidenziato dai consiglieri di Unicost.
Il terzo aspetto riguarda l’incidenza che devono avere i prerequisiti di equilibrio e indipendenza nelle procedure amministrative in seno al CSM. Se è infatti evidente che l’equilibrio deve avere anche valenza extragiudiziaria (si è fatto riferimento durante il dibattito in plenum al caso del magistrato che cammini nudo per strada), quello della indipendenza deve essere fortemente ancorato alla valutazione di come il
magistrato abbia svolto e svolga quotidianamente l’attività giudiziaria. Occorre in altri termini verificare la sussistenza di “condizionamenti” che possano influire negativamente o limitare le modalità di esercizio della giurisdizione e questa valutazione deve essere compiuta in modo rigoroso ed in concreto, non potendosi affidare a clausole di stile e supposizioni, ad automatismi. Analogamente rigorosa valutazione in concreto deve essere compiuta per verificare la eventuale perdita di “credibilità” (dovuta anche a condotte, di rilievo disciplinare, poste in essere non nell’attività giurisdizionale in senso stretto) nell’ambito lavorativo per le condotte tenute.
In assenza di queste ricadute, la “sanzione” del Csm è irragionevole e ingiusta.
Allontanarsi da queste direttrici, ad opera di altalenanti maggioranze consiliari, espressioni di un diverso modo di intendere il “modello di magistrato” rischia di condurre l’azione del CSM lontano dai principi dello Stato di diritto che dovrebbero innanzitutto albergare nell’organo che governa la magistratura.
La Direzione Nazionale di Unicost.