Illeciti penali ed amministrativi previsti dal D.L. 19/2020 e relativo apparato sanzionatorio

di Andrea Bigiarini e Fabio Doro in collaborazione con il Centro Studi “Nino Abbate” di Unità per la Costituzione

Sommario: – 1. Premessa; – 2. La “vecchia” contravvenzione ed il rinvio quoad poenam all’art. 650 c.p.; – 3. La depenalizzazione ed il “nuovo” illecito amministrativo; – 4. La “nuova” contravvenzione di cui all’art. 4 comma 6 d.l. 19/2020; – 5.  La successione di leggi e la disciplina transitoria; – 6. L’exitus dei procedimenti penali già iscritti; – 7. Le altre fattispecie penali rilevanti: a) L’epidemia colposa; b) I reati di falso;   – 8. L’applicabilità del principio nemo tenetur se detegere.

1. Premessa

Con d.l. 25 marzo 2020, n. 19 il Governo, alla luce della straordinaria necessità ed urgenza di emanare nuove disposizioni per contrastare l’emergenza epidemiologica da Covid-19, è nuovamente intervenuto in materia, adottando ulteriori misure di contrasto e contenimento alla diffusione del predetto virus.

Il presente scritto si propone di esaminare l’apparato sanzionatorio posto a presidio del rispetto delle misure di contenimento sopra indicate.

Come noto, il Governo aveva inizialmente affidato la funzione repressiva delle violazioni dei provvedimenti straordinari di contenimento adottati dalla pubblica amministrazione (si avrà modo di specificare meglio infra da quali soggetti della p.a. in particolare) ad una fattispecie penale costruita sul modello dell’art. 650 c.p.

Prima di procedere alla disamina della disciplina prevista dal d.l. sopra citato, ed in particolare dell’art. 4 del medesimo testo normativo (rubricato “Sanzioni e controlli”), dunque, occorre brevemente cennare alle sanzioni inizialmente previste dalle disposizioni di legge adottate all’indomani dell’inizio dell’emergenza. Disciplina, quella prevista dal d.l. 23 febbraio 2020, n. 6 (convertito in Legge 5 marzo 2020, n. 13), che è stata quasi integralmente abrogata per effetto dell’entrata in vigore del d.l. 19/2020, come espressamente previsto dall’art. 5 del medesimo testo normativo.

2. La “vecchia” contravvenzione ed il rinvio quoad poenam all’art. 650 c.p.

L’art. 3 comma 4 del d.l. 23 febbraio 2020, n. 6 (convertito in Legge 5 marzo 2020, n. 13), così disponeva: “salvo che il fatto non costituisca più grave reato, il mancato rispetto delle misure di contenimento di cui al presente decreto è punito ai sensi dell’art. 650 del codice penale”.

Come anticipato, dunque, la scelta del Legislatore dell’emergenza era stata quella di collocare la punizione dei comportamenti inosservanti delle misure di contenimento nell’alveo del diritto e del processo penale.

Tali misure di contenimento, la cui base legale era costituita dagli artt. 1 e 2 del medesimo decreto legge, potevano assumere un contenuto tipico o atipico[1]. Risultavano predeterminate, quantomeno nel genus,le misure elencate all’art. 1 comma 2 d.l. 6/2020; del tutto atipiche, viceversa, erano le “ulteriori misure” adottabili dalle autorità competenti per il contenimento e la gestione dell’emergenza di cui all’art 2 d.l. 6/2020, il cui contenuto risultava vincolato solo nel fine[2].

Ai sensi dell’art. 3 d.l. 6/2020, le misure anzidette (tipiche o atipiche) potevano essere adottate con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri (d.p.c.m.) o, nelle more dell’adozione degli stessi e nei casi di estrema necessità ed urgenza, dai Presidenti delle Regioni e dai Sindaci.

È di tutta evidenza, dunque, che il precetto della fattispecie penale sopra citata risultava costruito su un “affastellamento” di fonti di natura primaria e secondaria. Ciò che, se non poneva apparenti problemi di tenuta costituzionale – con riguardo al rispetto del principio di riserva di legge ex art. 25 comma 2 Cost. – per quanto concerne la etero-integrazione mediante misure cc.dd. tipiche (atti amministrativi adottati nei diversi livelli statale, regionale e comunale)[3], nondimeno poneva fondati dubbi sulla costituzionalità della fattispecie penale, con riguardo alla etero-integrazione da parte di misure (d.p.c.m., ordinanze regionali o sindacali) cc.dd. atipiche.

Con d.p.c.m. 8 marzo 2020 (art. 1, comma 1), applicabile all’intero territorio nazionale ai sensi del d.p.c.m. 9 marzo 2020 (in vigore dal 10 marzo 2020), sono state adottate tutta una serie di misure volte a contrastare e contenere il diffondersi del virus Covid-19, la più nota delle quali – tuttora in vigore – è il divieto di spostamento di persone in luoghi pubblici o aperti al pubblico, “salvo che per  gli  spostamenti  motivati  da comprovate esigenze lavorative  o  situazioni  di  necessità ovvero spostamenti per motivi di salute”.

I primi commentatori hanno privilegiato un’interpretazione dell’art. 3 comma 4 d.l. 6/2020 in chiave di fattispecie autonoma di reato, con rinvio all’art. 650 c.p. solo quoad poenam[4].

Si tratta di una impostazione assolutamente condivisibile sulla scorta di almeno due ordini di considerazioni: in primo luogo, il precetto risultava compiutamente descritto attraverso il richiamo alle misure di contenimento previste dal medesimo testo normativo, risultando, quindi, superfluo qualsivoglia tentativo di incanalare dette misure all’interno di una delle categorie di provvedimenti legalmente dati dall’Autorità enumerati dall’art. 650 c.p. (per ragioni di giustizia, sicurezza pubblica, ordine pubblico o igiene); in secondo luogo, la fattispecie di nuovo conio, a differenza dell’art. 650 c.p. – quantomeno nella lettura tassativizzante e costituzionalmente orientata adottata dalla giurisprudenza, che ritiene applicabile l’art. 650 c.p. solo in caso di inosservanza di atti amministrativi aventi natura provvedimentale destinati a soggetti previamente individuati o individuabili[5] – costituiva una vera e propria norma penale in bianco, riempita di contenuto da atti adottati da autorità amministrative (Presidente del Consiglio dei Ministri, Regioni, Sindaci) che, nei vari livelli territoriali, assumono carattere normativo (generale ed astratto), rivolgendosi ad una platea di soggetti indeterminati.

Fin da subito era stata stigmatizzata la scarsa efficacia general-preventiva di una fattispecie contravvenzionale che prevedeva come pena, richiamando l’art. 650 c.p., l’arresto fino a tre mesi in alternativa all’ammenda fino a € 206,00. Reato suscettibile di oblazione ai sensi dell’art. 162 bis c.p., con conseguente estinzione, mercé il pagamento di una somma corrispondente alla metà del massimo dell’ammenda stabilita dalla legge per la contravvenzione commessa (i.e. € 103,00), oltre alle spese del procedimento. L’unica strada per addivenire ad una pena effettiva, almeno per le inosservanze di maggiore gravità, era rimessa al potere del giudice di respingere con ordinanza la domanda di oblazione, ai sensi del comma 4 dell’art. 162 bis c.p.

Tali considerazioni avevano spinto alcuni interpreti a rispolverare il reato di cui all’art. 260 R.D. 27 luglio 1934, n. 1265 (Testo unico delle leggi sanitarie), fattispecie – almeno all’apparenza – perfettamente calzante rispetto al caso che ci occupa, volta a sanzionare con l’arresto e l’ammenda (cumulativamente, senza possibilità di oblazione) “[c]hiunque non osserva un ordine legalmente dato per impedire l’invasione o la diffusione di una malattia infettiva dell’uomo”. Tuttavia, è appena il caso di sottolineare che la (per vero esigua) giurisprudenza formatasi sul punto, in linea con l’indirizzo sopra cennato in tema di art. 650 c.p., pare avere adottato un’interpretazione restrittiva della nozione di “ordine legalmente dato”, destinato ad un numero finito di persone, preservando il carattere di determinatezza della fattispecie[6].

Ulteriore inconveniente di non poco conto – elemento, forse, determinante nella decisione del Governo di depenalizzare l’illecito in parola – è stata l’imponente mole di procedimenti penali che hanno “riempito gli armadi” delle Procure della Repubblica italiane fino all’entrata in vigore del d.l. 25 marzo 2020, n. 19, con evidente rischio di collasso del sistema della giustizia penale, già alle prese con le sospensioni procedimentali determinate dalla decretazione d’urgenza[7].

3. La depenalizzazione ed il “nuovo” illecito amministrativo

Sulla scorta di tali osservazioni, il Governo ha deciso di invertire la rotta, sostituendo alla fattispecie penale un illecito amministrativo, corredato da un apparato sanzionatorio sicuramente più efficace – in termini di effettività della “punizione” – rispetto alle pene previste per la violazione della fattispecie contravvenzionale sopra descritta. La scelta operata dal legislatore risulta apprezzabile anche da un punto di vista teorico-sistematico, avendo condotto all’eliminazione di una fattispecie penale della cui legittimità costituzionale, come cennato, si poteva quantomeno dubitare per difetto di determinatezza.

Più nel dettaglio, l’art. 4 comma 1 d.l. 25 marzo 2020, n. 19 recita: “[s]alvo che il fatto costituisca reato, il mancato rispetto delle misure di contenimento di cui all’articolo 1, comma 2, individuate e applicate con i provvedimenti adottati ai sensi dell’articolo 2, comma 1, ovvero dell’articolo 3, è punito con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 400 a euro 3.000 e non si applicano le sanzioni contravvenzionali previste dall’articolo 650 del codice penale o da ogni altra disposizione di legge attributiva di poteri per ragioni di sanità, di cui all’articolo 3, comma 3. Se il mancato rispetto delle predette misure avviene mediante l’utilizzo di un veicolo le sanzioni sono aumentate fino a un terzo”.

È mantenuta, rispetto alla fattispecie penale di cui all’art. 3 comma 4 del d.l. 6/2020, la clausola di riserva, che fa salva l’ipotesi in cui il medesimo fatto storico costituisca reato. Si tratta, innanzitutto, di quei casi che, già all’indomani dell’entrata in vigore del d.l. 6/2020, erano stati individuati come assorbenti, in termini di sovrapponibilità strutturale della fattispecie e di disvalore penale del fatto, rispetto al reato di cui all’art. 3 comma 4. Si fa riferimento, in particolare, all’ipotesi prevista dal combinato disposto degli artt. 438 e 452 c.p., laddove la condotta di inosservanza delle misure adottate per contrastare l’emergenza epidemiologica da Covid-19 integri gli estremi del delitto di c.d. epidemia colposa.

A seguito della depenalizzazione[8], inoltre, nella clausola di riserva deve ritenersi inclusa l’ipotesi specifica di reato disciplinata dall’art. 4 comma 6 d.l. 19/2020 (su cui torneremo infra), i.e. la condotta di inosservanza dell’ordine di restare in quarantena per i soggetti affetti da Covid-19.

Il precetto dell’illecito amministrativo in commento si ricava per relationem, esso sanzionando il mancato rispetto delle misure di contenimento di cui all’art. 1 comma 2 del medesimo decreto[9], salvo quella di cui alla lett. e, la cui violazione, come anticipato, costituisce reato.

Tali misure, negli ambiti anzidetti, possono essere adottate con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri (come già più volte avvenuto a partire dell’entrata in vigore del d.l. 6/2020), ai sensi dell’art. 2 comma 1 d.l. 19/2020, o dalle regioni, nelle more dell’adozione dei dd.p.c.m. e con efficacia limitata fino a tale momento, in relazione a specifiche situazioni sopravvenute di aggravamento del rischio sanitario verificatesi nel loro territorio o in una parte di esso, fatto salvo il divieto di incidere sulle attività produttive e su quelle di rilevanza strategica per l’economia nazionale.

Risultano espressamente escluse, ai sensi dell’art. 3 comma 2, le ordinanze contingibili ed urgenti adottate dai Sindaci in contrasto con le misure statali; la norma, peraltro, sanziona con l’inefficacia del provvedimento la violazione di tali limiti, ma il riferimento è improprio, giacché dovrebbe discutersi non di “inefficacia” ma piuttosto di “illegittimità” per violazione di legge.

La scelta del legislatore, probabilmente, si giustifica con la volontà di escludere ab origine che il provvedimento del Sindaco possa avere un qualche effetto, che, invece, avrebbe laddove si considerasse – come dovrebbe essere secondo le categorie generali – meramente illegittimo, essendo noto che un provvedimento amministrativo viziato produce comunque i suoi effetti finché non viene quantomeno sospeso dal giudice amministrativo.

In altri termini, l’art. 4 comma 1 d.l. 19/2020 opera un rinvio mobile e pro futuro – come, del resto, già accadeva in relazione al reato oggetto di depenalizzazione – ad atti amministrativi predeterminati quanto alla fonte di produzione (d.p.c.m. o ordinanza regionale o ordinanza del Sindaco) ed al contenuto di massima (nelle materie elencate all’art. 1 comma 2).

La violazione di tali provvedimenti è punita con la sanzione amministrativa pecuniaria di una somma da € 400,00 a € 3.000,00; ciò che consente di tenere in considerazione la diversa gravità in fatto delle singole inosservanze addebitate ai trasgressori. A scanso di equivoci, poi, nei medesimi casi, si esclude espressamente l’applicabilità della contravvenzione di cui all’art. 650 c.p., nonché – pare di capire – della contravvenzione di cui all’art. 260 R.D. 1265/1934 (salvo per il caso di cui si dirà infra). La sanzione amministrativa suindicata è aumentata sino ad un terzo se il mancato rispetto delle predette misure avviene mediante l’utilizzo di un veicolo.

Ai sensi del comma 2 dell’art. 4 d.l. 19/2020, poi, in caso di violazioni di misure afferenti alla chiusura di cinema, teatri ecc., alla limitazione o sospensione di eventi e competizioni sportive, alla sospensione dell’attività didattica di ogni ordine e grado, alla limitazione o sospensione delle attività commerciali di vendita al dettaglio (a eccezione di quelle necessarie per assicurare la reperibilità dei generi agricoli, alimentari e di prima necessità), alla limitazione o sospensione delle attività di somministrazione al pubblico di bevande e alimenti, alla limitazione o sospensione di altre attività d’impresa o professionali, nonché alla limitazione allo svolgimento di fiere e mercati, si applica in via cumulativa la sanzione amministrativa accessoria della chiusura dell’esercizio o dell’attività da 5 a 30 giorni.

La scelta del legislatore di procedere – salva l’ipotesi che si è vista – alla depenalizzazione delle fattispecie di illecito e di prevedere delle sanzioni amministrative implica l’applicazione, nei limiti che si vedranno appresso, degli istituti previsti dalla legge 24 novembre 1981, n. 689, che, come noto, detta una disciplina generale degli illeciti amministrativi, modellata, con qualche variazione, sul paradigma del codice penale.

Per quanto concerne l’identificazione delle condotte vietate, come si è visto in precedenza, il precetto fa riferimento alle “misure di contenimento di cui all’articolo 1, comma 2, individuate e applicate” nei d.p.c.m., nelle ordinanze regionali e nelle ordinanze adottate dai Sindaci nel rispetto delle prescrizioni statali.

Sotto questo profilo, va segnalata un’incongruenza che potrebbe dar luogo a lacune sotto il profilo sanzionatorio, giacché nell’ambito delle fonti di produzione prese in considerazione dal legislatore non rientrano le ordinanze che il Ministro della Salute può adottare nelle more dell’adozione dei d.p.c.m. in casi di estrema necessità ed urgenza per situazioni sopravvenute, previste dall’art. 2, comma 2.

Il precetto, infatti, rinvia esclusivamente al comma 1 dell’art. 2, e non anche al comma 2 della medesima disposizione, e il principio di legalità richiamato dall’art. 1 della legge n. 689/1981 non consente interpretazioni analogiche.

L’inclusione, invece, delle ordinanze del Sindaco tra le fonti di produzione, invece, deriva dal fatto che il precetto rinvia in toto all’art. 3, e quindi sia al comma 1, che fa riferimento all’ordinanza regionale, sia al comma 2, che invece richiama i provvedimenti dei Sindaci.

Trattandosi di illeciti amministrativi, ai sensi dell’art. 3 della legge n. 689/1981 rileverà non solo la condotta dolosa, ma anche quella colposa; quello dell’elemento soggettivo è proprio uno dei profili nei quali è possibile cogliere le implicazioni pratiche della scelta del legislatore di procedere con la depenalizzazione.

Invero, laddove si fosse al cospetto di una fattispecie penalmente rilevante l’art. 27 Cost. imporrebbe all’accusa l’onere di dimostrare la sussistenza dell’elemento soggettivo; nel caso di specie, invece, discutendosi di un illecito amministrativo trova applicazione il principio giurisprudenziale secondo cui la colpa si presume, ed è onere del soggetto sanzionato dimostrare l’assenza dell’elemento soggettivo nel giudizio di opposizione[10].

A questo proposito, la complessità delle fonti e la presenza di indicazioni non sempre univoche da parte della prassi potrebbe dar luogo a casi in cui vi potrebbe essere spazio per l’applicazione della c.d. esimente della buona fede, fermo restando che, alla luce del principio che si è sopra richiamato, il trasgressore dovrà dimostrare di essere incorso in un errore inevitabile, per essersi trovato in una situazione di incolpevole ignoranza dei presupposti dell’illecito, non superabile con l’uso della normale diligenza[11]; dovranno, dunque, sussistere elementi positivi idonei ad ingenerare in lui il convincimento della liceità della sua condotta e di aver fatto tutto quanto possibile per conformarsi al precetto[12].

Potranno trovare spazio anche le cause di esclusione della responsabilità previste dall’art. 4 della legge n. 689/1981, che fa riferimento all’adempimento di un dovere, all’esercizio di una facoltà legittima, allo stato di necessità e alla legittima difesa, e quindi a fattispecie sostanzialmente sovrapponibili a quelle previste dal codice penale.

Va precisato, a proposito dell’esercizio della facoltà legittima, che questa costituirà causa di esclusione della responsabilità nei limiti in cui si tratti di un diritto che le fonti che dettano le “misure di contenimento” ritengano già prevalente sull’esigenza di tutela della salute (es. il diritto al lavoro, che legittima lo spostamento, a meno che non si tratti chiaramente di un’attività chiusa dalle medesime disposizioni) o che debba ritenersi prevalente nell’ottica di un bilanciamento tra valori costituzionali.

A proposito dello stato di necessità, invece, va osservato che l’art. 1, comma 2, lett. a), consente gli spostamenti motivati da “situazioni di necessità e urgenza”, e che quindi si è al di fuori del fatto tipico punito come illecito amministrativo anche in quelle ipotesi in cui la necessità dello spostamento dipenda da esigenze anche più late da quelle che potrebbero assurgere a giustificazione applicando l’esimente dello stato di necessità.

Un esempio potrebbe essere l’urgenza di apprestare cure ad un animale, che, pur non rientrando nel concetto di stato di necessità ex art. 54 c.p., comunque potrebbe essere considerata come una situazione idonea a giustificare lo spostamento in deroga alle limitazioni alla circolazione.

Anche nell’ambito delle cause di esclusione della responsabilità è possibile cogliere le conseguenze pratiche della scelta del legislatore di procedere alla depenalizzazione, giacché, a differenza di quanto previsto dall’art. 131-bis c.p., nel sistema delle sanzioni amministrative la scarsa offensività in concreto del comportamento del trasgressore non è circostanza idonea ad escludere l’applicazione della sanzione[13]; al più, potrebbe essere presa in considerazione quale elemento in sede di quantificazione della sanzione.

Di particolare rilievo sistematico è la disposizione contenuta nel comma 5 dell’art. 4, che prevede che “in caso di reiterata violazione della medesima disposizione la sanzione amministrativa è raddoppiata e quella accessoria è applicata nella misura massima”.

Va osservato, infatti, che quando il legislatore richiama la “medesima disposizione” intende riferirsi a ciascuna delle “misure di contenimento” previste dall’art. 1, comma 2, cosicché, la violazione di ciascuna di esse dà vita ad un illecito autonomo, e, nel caso in cui sia compiuta con una unica condotta, troverà applicazione l’art. 8, primo comma, della legge n. 689/1981.

In secondo luogo, va osservato che, così disponendo, il raddoppio della sanzione pecuniaria e l’applicazione della sanzione accessoria nella misura massima è prevista soltanto per le ipotesi che l’art. 8, terzo comma, della legge n. 689/1981 definisce come di “reiterazione specifica”.

Nessun aumento di pena, invece, sarà concepibile laddove il soggetto violi, in tempi diversi, diverse misure di contenimento, anche se la circostanza, verosimilmente, potrà essere tenuta in considerazione per la quantificazione della sanzione amministrativa.

A proposito della scelta della sanzione da applicare in concreto, i criteri di riferimento sono contenuti all’art. 11 della legge n. 689/1981, e si dovrà dunque aver riguardo “alla gravità della violazione, all’opera svolta dall’agente per l’eliminazione o attenuazione delle conseguenze della violazione, nonché alla personalità dello stesso e alle sue condizioni economiche”.

In particolare, quanto più la condotta dell’agente metterà in pericolo la salute pubblica e ingenererà il rischio di contagio (si pensi ad un assembramento con un numero rilevante di persone), tanto più la sanzione dovrà essere vicina al massimo edittale; altro elemento da prendere in considerazione potrebbe essere, per le ipotesi di violazione delle limitazioni all’allontanamento dalla propria residenza, la meritevolezza delle ragioni dedotte dal trasgressore, potendosi ad es. giustificare l’applicazione della sanzione nella misura massima in tutte quelle ipotesi in cui la motivazione addotta alla base dello spostamento sia futile e, a maggior ragione, qualora la violazione sia strumentale al compimento di un illecito.

Per l’accertamento delle violazioni, il comma 3 dell’art. 4 d.l. 19/2020 fa espresso rinvio alla disciplina della L. 24 novembre 1981, n. 689 (legge-quadro in materia di depenalizzazione): rinvio che deve considerarsi riferito, in particolare, alla Sezione II del Capo I, rubricata “Applicazione”.

Il rinvio riguarda essenzialmente il procedimento applicativo della sanzione, e quindi alle note regole della necessità della contestazione immediata della violazione o, quando ciò non sia possibile, entro novanta giorni dall’accertamento[14] a pena di estinzione dell’obbligazione di pagamento della somma (art. 14 della legge n. 689/1981), del diritto degli interessati di presentare all’autorità competente le proprie osservazioni entro i successivi trenta giorni e dell’emissione, in caso di fondatezza dell’accertamento, di ordinanza ingiunzione (art. 18 della legge n. 689/1981).

È dubbia l’applicabilità all’illecito amministrativo in esame della sanzione accessoria della confisca ex art. 20 della legge n. 689/1981, in quanto se la natura generale di tale legge potrebbe indurre a rispondere affermativamente, il fatto che il legislatore abbia previsto una specifica sanzione accessoria (chiusura dell’esercizio o dell’attività) senza alcun esplicito richiamo alla confisca e abbia rinviato alla disciplina della legge n. 689/1981 limitatamente all’accertamento della violazione e non ad altri profili potrebbe invece portare a ritenere preferibile l’opinione negativa.

L’art. 4, comma 4, del d.l. n. 19/2020 prevede che “All’atto dell’accertamento delle violazioni … ove necessario per impedire la prosecuzione o la reiterazione della violazione l’autorità procedente può disporre la chiusura provvisoria dell’attività o dell’esercizio per una durata non superiore a 5 giorni”, fermo restando che tale periodo di chiusura provvisoria va“scomputato dalla corrispondente sanzione accessoria definitivamente irrogata, in sede di sua esecuzione”.

Si tratta, a ben vedere, di una sorta di “misura cautelare” che, ad una primissima lettura, non è chiaro se possa essere adottata dagli agenti che procedono all’accertamento del fatto o dall’autorità competente all’applicazione della sanzione amministrativa; a favore della prima opzione depone il riferimento temporale (“all’atto dell’accertamento”) e l’argomento letterale, dal momento che, al momento dell’accertamento della violazione, l’autorità che sta procedendo (questo il significato del participio presente “procedente”) sono proprio gli agenti accertatori.

Va rilevato, tuttavia, che non viene espressamente previsto dal legislatore uno strumento di tutela avverso l’imposizione di tale misura cautelare, né in via amministrativa né in via giurisdizionale, cosicché, non potendosi ragionevolmente sostenere l’applicabilità in via analogica dell’art. 19 della legge n. 689/1981 in materia di sequestro amministrativo, il trasgressore potrebbe scontare un deficit di tutela.

Non trova applicazione alle sanzioni amministrative in esame la disciplina del pagamento in misura ridotta prevista dall’art. 16 della legge n. 689/1981, in quanto il comma 3 dell’art. 4 del d.l. n. 19/2020 rinvia al riguardo alla disciplina speciale prevista dai commi 1, 2 e 2.1. dell’art. 202 del c.d. codice della strada (d.lgs. 30 aprile 1992, n. 285): in sintesi, ferma restando l’applicazione delle eventuali sanzioni accessorie, il trasgressore è ammesso a pagare, entro sessanta giorni dalla contestazione o dalla notificazione, una somma pari al minimo fissato dall’art. 4 comma 1 d.l. 19/2020, i.e. € 400,00. Tale somma è ridotta del 30% se il pagamento è effettuato entro cinque giorni dalla contestazione o dalla notificazione.

L’autorità preposta all’irrogazione delle sanzioni per le violazioni delle misure sopra elencate è il Prefetto (cfr. anche comma 9 dell’art. 4 d.l. 19/2020). Le sanzioni per le violazioni delle misure adottate dalle regioni o dal Sindaco, nei casi sopra descritti, sono irrogate dalle autorità che le hanno disposte, cioè dalle stesse regioni o dal comune.

Quanto ai termini del procedimento, che si sono sopra riassunti, va ricordato che essi devono ritenersi sospesi sino al 15.5.2020, ai sensi del combinato disposto dell’art. 103 del d.l. n. 18/2020 (a cui rinvia il terzo periodo del comma 3 dell’art. 4 del d.l. n. 19/2020) e dell’art. 37 del d.l. n. 23/2020.

Occorre soffermarsi brevemente, infine, sui profili di tutela giurisdizionale avverso l’ordinanza con la quale la P.A. applica le sanzioni amministrative previste dalla normativa in esame, che potrà formare oggetto di opposizione entro trenta giorni ai sensi dell’art. 6 del D. Lgs. n. 150/2011.

L’autorità competente sarà il giudice di pace del luogo dove è stata commessa la violazione ove sia irrogata la sola sanzione amministrativa pecuniaria, mentre sarà il Tribunale del medesimo luogo laddove invece sia applicata anche la sanzione accessoria della chiusura dell’esercizio o dell’attività o, se ritenuta applicabile, della confisca.

Il fatto che l’illecito amministrativo in esame consiste nella violazione di provvedimenti amministrativi implica che l’autorità giurisdizionale, laddove ravvisi l’illegittimità delle “misure di contenimento” violata dal trasgressore possa disapplicare il provvedimento amministrativo che le aveva adottate e, per l’effetto, revocare l’ordinanza ingiunzione; ciò, tuttavia, può avvenire soltanto per vizi di legittimità e non di merito, e quindi per le tradizionali figure dell’incompetenza, della violazione di legge (anche solo procedimentale) e dell’eccesso di potere e non per mere ragioni di inopportunità[15].

La disapplicazione sarà possibile anche se il d.p.c.m. o il provvedimento regionale o del Sindaco non siano state impugnati di fronte al giudice amministrativo, mentre resta radicalmente preclusa laddove vi sia una pronuncia di quest’ultimo che affermi la legittimità della misura di contenimento[16].

L’esercizio di tale potere non potrà, tuttavia, essere officioso ma richiede una specifica censura da parte del soggetto sanzionato, in virtù del principio della domanda, formulata nel termine decadenziale sopra indicato[17].

Anche sotto i profili della tutela giurisdizionale si colgono le conseguenze pratiche della scelta del legislatore di procedere con la depenalizzazione, dovendosi osservare che la sanzione penale viene applicata direttamente dall’autorità giudiziaria, con la quale colui che si pone contro l’ordinamento ha un contatto immediato, mentre nel sistema delle sanzioni amministrative la sanzione è applicata dalla P.A. con un procedimento meno garantito e il contatto con il giudice è soltanto successivo e rimesso alla diligenza del trasgressore nel rispettare un rigido termine di decadenza.

In secondo luogo, laddove l’inottemperanza alle misure di contenimento avesse continuato ad essere prevista come reato, nel relativo procedimento penale il giudice sarebbe stato tenuto a verificare d’ufficio la legittimità del d.p.c.m. o del provvedimento regionale o sindacale, a prescindere da una specifica censura di illegittimità da parte dell’imputato; doglianza, che, come si è vista, è invece necessaria in sede di opposizione all’ordinanza con cui viene applicata la sanzione amministrativa.

Un altro aspetto in cui si colgono le conseguenze pratiche della depenalizzazione è quella della prova dell’illecito, non solo perché, come si è visto, per quel che concerne l’elemento soggettivo opera una sorta di inversione dell’onere probatorio, ma anche su un piano più generale.

Invero, avanti al giudice civile che conosce dell’opposizione il verbale di accertamento redatto dagli agenti accertatori ha valenza probatoria privilegiata, in quanto, essendo redatto da un pubblico ufficiale, è un atto pubblico che fa piena prova dei fatti che l’agente accertatore attesta aver compiuto ed essere avvenuti in sua presenza nonché delle dichiarazioni rese dalle parti, fino a querela di falso[18]; questo si risolve in una semplificazione probatoria per la P.A., che ha pur sempre l’onere di dimostrare la fondatezza della sua pretesa sanzionatoria.

Tale semplificazione, invero, non vi è in un giudizio penale, giacché la prova della responsabilità penale dell’imputato si forma in contraddittorio tra le parti, e i verbali di accertamento non hanno alcuna valenza probatoria privilegiata, ma sono considerati alla stregua di qualsivoglia documento, il cui contenuto narrativo dovrebbe essere confermato dagli agenti accertatori in sede testimoniale

Sempre a proposito dell’aspetto probatorio, nel giudizio civile di opposizione a sanzione amministrativa, l’eventuale autocertificazione nella quale il trasgressore spiega le ragioni del proprio spostamento può essere considerata prova legale soltanto per quel che riguarda le dichiarazioni a lui sfavorevoli, potendo aver valenza di confessione stragiudiziale.

Per quanto riguarda, invece, il contenuto favorevole, sarà liberamente apprezzabile dal giudice, e avrà scarsa valenza probatoria, in virtù del principio per cui nessuno può precostituire una prova a favore di se stesso.

Ancora una volta, tale valenza di prova legale non sarebbe riconosciuta, invece, in un giudizio penale, laddove lo scritto resterebbe pur sempre liberamente apprezzabile dal giudice a livello di qualsiasi documento, sia per quel che riguarda le dichiarazioni rese contra se, sia per quanto riguarda, invece, i fatti favorevoli.

In conclusione, se la scelta della depenalizzazione è da salutare con favore per gli aspetti indicati all’inizio del presente paragrafo, va osservato che tale scelta potrebbe avere delle potenziali conseguenze negative per quanto concerne il venir meno di alcune garanzie sostanziali e processuali che l’interessato avrebbe laddove le condotte perseguite restassero nell’area del penalmente rilevante.

Tale sacrificio, nondimeno, non appare particolarmente una limitazione che vada al di là del costituzionalmente ragionevole, tenuto conto della natura degli interessi coinvolti e del fatto che la scelta della sanzione penale deve essere per l’ordinamento un’extrema ratio, soprattutto nel caso in cui si tratti di punire la mera inosservanza di un provvedimento (legittimamente) emesso dall’Autorità e la pericolosità per l’interesse tutelato (salute pubblica) sia meramente astratta e particolarmente difficile da accertare in concreto.

La scelta del legislatore, insomma, pur con tutti i profili di criticità che si sono rilevati, non appare irragionevole, e, anzi tiene conto del fatto che il mantenimento della sanzione penale avrebbe implicato delle problematiche sul piano del rispetto del principio di legalità e la necessità di instaurare dei procedimenti penali per fatti che, magari, potrebbero avere scarsa rilevanza sul piano della messa in pericolo del bene giuridico tutelato.

4. La “nuova” contravvenzione di cui all’art. 4 comma 6 d.l. 19/2020

Di notevole interesse in questa sede è il disposto del comma 6 dell’art. 4 d.l. 19/2020, che, come anticipato, fa salva la rilevanza penale – salvo che il fatto costituisca il più grave reato di epidemia colposa ai sensi degli artt. 438 e 452 c.p. – della condotta inosservante del divieto assoluto di allontanarsi dalla propria abitazione o dimora per le persone sottoposte alla misura della quarantena perché risultate positive al virus, di cui all’articolo 1 comma 2 lett. e.

Tale condotta, dunque, per ragioni non dissimili da quanto già detto supra in relazione all’art. 650 c.p., integra un’autonoma fattispecie di reato – il fatto tipico emerge distintamente dalla lettura congiunta dell’art. 4 comma 6 e dell’art. 1 comma 2 lett. e del d.l. 19/2020 – che richiama solo quoad poenam l’art. 260 R.D. 1265/1934. Peraltro, è appena il caso di sottolineare che la pena edittale del reato da ultimo menzionato, originariamente punito con l’arresto fino a sei mesi e con l’ammenda da lire 40.000 a lire 800.000, è stata contestualmente modificata con quella dell’arresto da 3 mesi a 18 mesi e con l’ammenda da € 500,00 ad € 5.000,00, per effetto del comma 7 dell’art 4 d.l. 19/2020.

Si ritiene, infatti, sussistere un rapporto di specialità per specificazione tra la fattispecie di cui all’art. 4 comma 6 del d.l. 19/2020 e quella di cui all’art. 260 R.D. 1265/1934. Peraltro, il principio di determinatezza della fattispecie penale appare pienamente rispettato, atteso che vi è una selezione ex ante sia del comportamento penalmente rilevante sia, soprattutto, dei soggetti destinatari del divieto assoluto di allontanarsi dalla propria abitazione o dimora: i.e. le persone sottoposte alla misura della quarantena perché risultate positive al virus; ciò che consente altresì di definire la contravvenzione in parola quale reato proprio.

Resta esclusa, dunque, dall’area di rilevanza penale la condotta di inosservanza della quarantena precauzionale imposta a soggetti che hanno avuto contatti stretti con casi confermati di malattia infettiva diffusiva o che rientrano da aree ubicate al di fuori del territorio italiano (art. 1 comma 2 lett. d).

Per entrambi gli illeciti appena descritti (quello penale di cui alla lett. e e quello amministrativo di cui alla lett. d), in ogni caso, il precetto risulta integrato altresì da un’ulteriore fonte secondaria, non espressamente disciplinata dal d.l. 19/2020[19]: il provvedimento di sottoposizione alla misura della quarantena, adottato dall’autorità sanitaria territorialmente competente.

5. La successione di leggi e la disciplina transitoria

Sulla scorta di quanto sopra detto, la depenalizzazione opera per tutte le condotte di violazione delle misure adottate ai sensi dell’art. 1 comma 2 d.l. 19/2020, ad eccezione di quella di cui alla lett. e. Ne consegue che, rispetto alla violazione del divieto assoluto di allontanarsi dalla propria abitazione o dimora per le persone sottoposte alla misura della quarantena perché risultate positive al virus – condotta già penalmente rilevante ai sensi dell’art. 3 comma 4 d.l. 6/2020 –, si può parlare di successione meramente modificativa di leggi penali ai sensi dell’art. 2 comma 4 c.p., ancorché si tratti di leggi eccezionali (sia il d.l. 6/2020 sia il d.l. 19/2020 sono stati emanati, infatti, per fronteggiare circostanze sanitarie così gravi da giustificare una normativa derogatoria del regime in atto[20].

Sul punto la giurisprudenza di legittimità[21], in adesione alla posizione espressa da autorevole dottrina[22], ha affermato che la regola derogatoria prevista dall’art. 2 comma 5 c.p. non debba essere applicata qualora si tratti di successione, tra loro, di norme temporanee o eccezionali, a condizione che le leggi che si succedono abbiano la medesima ratio e siano dirette a migliorare le disposizioni previgenti. In tal caso, infatti, la norma posteriore, lungi dall’essere volta al ripristino della legge ordinaria, ha come finalità quella di rendere più organica la disciplina precedentemente dettata: ciò che, all’evidenza, è avvenuto nel caso di specie.

In tal caso, dunque, per i fatti commessi in epoca antecedente all’entrata in vigore del d.l. 19/2020, troverà piena applicazione la sanzione prevista dalla norma vigente al tempo in cui fu commesso il reato (i.e. l’arresto fino a tre mesi in alternativa all’ammenda fino a € 206,00, con possibilità di oblazione), essa risultando più favorevole al reo.

Del resto, siffatta conclusione non muta anche aderendo al diverso indirizzo dottrinale che ritiene applicabile l’art. 2 comma 5 c.p. anche quando vi è successione di leggi eccezionali o temporanee tra loro, valendo ciascuna per i fatti commessi durante la sua vigenza[23].

Discorso diverso, invece, per quanto riguarda la citata depenalizzazione delle altre condotte di inosservanza delle misure adottate ai sensi dell’art. 1 comma 2 d.l. 19/2020, anch’esse per lo più precedentemente sussumibili nella fattispecie di cui all’art. 3 comma 4 d.l. 6/2020.

Rispetto ad esse, il Governo, al fine di non lasciare completamente esenti da sanzione i comportamenti trasgressivi posti in essere in epoca antecedente all’entrata in vigore del d.l. 19/2020, ha introdotto una disciplina transitoria; ciò che consente di controbilanciare gli effetti di abolitio criminis scaturenti dall’applicazione dell’art. 2 comma 2 c.p.

Peraltro, anche qualora si ritenesse preferibile aderire alla tesi dell’applicabilità dell’art. 2 comma 5 c.p. in caso di successione di leggi eccezionali – ciò che, in astratto, comporterebbe il mantenimento della rilevanza penale dei fatti commessi in costanza della disciplina previgente –, l’intervento esplicito del legislatore fuga ogni dubbio sul punto.

In particolare, l’art. 4 comma 8 d.l. 19/2020 prevede che le nuove sanzioni amministrative disciplinate dal medesimo articolo si applicano anche alle violazioni commesse anteriormente alla data di entrata in vigore del decreto, i.e. a quelle condotte inosservanti delle misure adottate per contrastare l’emergenza epidemiologica precedentemente integranti il reato di cui all’art. 3 comma 4 d.l. 6/2020.

In tali casi, tuttavia, le sanzioni amministrative sono applicate nella misura minima ridotta alla metà: cioè € 200,00. Decisione, in qualche modo, strategica, che consente di tenere la norma al riparo da possibili questioni di costituzionalità, atteso che l’illecito amministrativo – nei casi anzidetti – è punito con sanzione pecuniaria inferiore alla pena dell’ammenda astrattamente prevista per il reato di cui all’art. 3 comma 4 d.l. 6/2020 (€ 203,00)[24]. Trattasi, dunque, di sanzione non solo formalmente (stante la natura amministrativa e non penale) ma anche sostanzialmente più favorevole di quella precedentemente prevista in ordine al medesimo fatto.

6. L’exitus dei procedimenti penali già iscritti

Di notevole rilevanza pratica risulta, infine, il rinvio – salva clausola di compatibilità – agli artt. 101 e 102 del d.lgs. 30 dicembre 1999, n. 507, da cui si evince quanto segue:

a) se i procedimenti penali per le violazioni depenalizzate sono stati definiti, prima dell’entrata in vigore del d.l. 19/2020, con sentenza di condanna o decreto irrevocabili, il giudice dell’esecuzione – provvedendo con l’osservanza delle disposizioni dell’articolo 667 comma 4 c.p.p. – revoca la sentenza o il decreto, dichiarando che il fatto non è previsto dalla legge come reato, e dispone la trasmissione degli atti all’autorità amministrativa competente (il Prefetto). Nel caso in cui procedimento si sia concluso con l’irrogazione della pena dell’ammenda, essa sarà riscossa, insieme alle spese del procedimento, con l’osservanza delle norme sull’esecuzione delle pene pecuniarie;

b) se l’azione penale non è stata ancora esercitata, la trasmissione degli atti alla Prefettura è disposta direttamente dal pubblico ministero, che, in caso di procedimento già iscritto, annota la trasmissione nel registro delle notizie di reato. Ne consegue che non è necessario avanzare richiesta di archiviazione al giudice per le indagini preliminari. Se, invece, il reato risulta estinto per qualunque causa, il pubblico ministero richiede l’archiviazione a norma del codice di procedura penale. La richiesta ed il decreto del giudice che la accoglie possono avere ad oggetto anche elenchi cumulativi di procedimenti;

c) se l’azione penale è stata esercitata (generalmente attraverso richiesta di emissione di decreto penale di condanna), il giudice, ove l’imputato o il pubblico ministero non si oppongano, pronuncia, in camera di consiglio, sentenza inappellabile di assoluzione o di non luogo a procedere perché il fatto non è previsto dalla legge come reato, disponendo la trasmissione degli atti alla Prefettura.

7. Le altre fattispecie penali rilevanti

a) L’epidemia colposa

Come anticipato, la condotta di allontanamento dalla propria abitazione o dimora posta in essere da persone sottoposte alla misura della quarantena perché risultate positive al virus potrebbe, almeno astrattamente, integrare il delitto di cui agli artt. 438 e 452 c.p.; ciò determinando l’assorbimento della contravvenzione di nuovo conio.

Si tratta, tuttavia, di ipotesi di reato di difficile verificazione e, soprattutto, dimostrazione sul piano del nesso di causalità tra la condotta e l’evento, atteso che bisognerebbe provare che l’autore del reato, con la propria condotta negligente, imprudente, imperita (colpa generica) o comunque inosservante delle misure sopra dettagliatamente elencate (colpa specifica) ha diffuso germi patogeni, contagiando almeno un’altra persona e causando il pericolo di epidemia[25].

b) I reati di falso

Se, dunque, non è possibile il concorso di reati nell’ipotesi sopra indicata, dovendo trovare applicazione il reato più grave di cui agli artt. 438 e 452 c.p., in ossequio alla clausola di riserva, a conclusioni opposte si addiviene con riguardo ai cc.dd. reati di falso.

Il problema si era posto all’indomani dell’entrata in vigore del d.l. 6/2020 e dei dd.p.c.m. 8 e 9 marzo 2020, allorché era stata elaborata una (prima) autocertificazione, che il cittadino avrebbe dovuto esibire o compilare in sede di controllo da parte delle forze dell’ordine, per giustificare la propria presenza fuori dalle mura domestiche. Nonostante tale modello di autocertificazione facesse riferimento, erroneamente, all’integrazione del reato di cui all’art. 495 c.p. in caso di dichiarazioni mendaci, si era in ogni caso posta la questione dell’eventuale configurabilità del delitto di cui all’art. 483 c.p. in concorso con la contravvenzione di cui all’art. 3 comma 4 d.l. 6/2020. La risposta era stata affermativa, la condotta inosservante delle misure di contenimento – se accompagnata dalla falsa attestazione al pubblico ufficiale – ben potendo integrare sia l’uno sia l’altro reato, in ragione della diversità del fatto tipico e del differente bene giuridico tutelato dalle fattispecie penali in questione.

A seguito della depenalizzazione, di concorso di reati può propriamente parlarsi solo nelle ipotesi in cui la condotta trasgressiva del divieto di allontanamento dalla propria abitazione, posta in essere dalla persona sottoposta a quarantena poiché affetta da Covid-19, si accompagni ad una falsa dichiarazione sulle proprie qualità personali o sui motivi per i quali essa si trovi fuori dalla propria abitazione.

È di tutta evidenza che, in ogni caso, è tuttora possibile il concorso tra i delitti di falso e l’illecito amministrativo di cui all’art. 4 comma 1 d.l. 19/2020.

Più nel dettaglio, nonostante il disorientamento causato dal riferimento all’art. 495 c.p. – che, peraltro, permane anche nell’ultima versione dell’autocertificazione elaborata dal Ministero dell’Interno –, la falsa attestazione al pubblico ufficiale sulle ragioni per le quali la persona si trova fuori dalla propria abitazione, riversata nell’autodichiarazione sottoscritta ai sensi degli artt. 46 e 47 d.p.r. n. 445/2000, integra il delitto di falso ideologico commesso dal privato in atto pubblico, ai sensi del combinato disposto degli artt. 76 D.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445 e 483 c.p.[26]

Il reato di cui all’art. 495 c.p., secondo alcuni commentatori[27], potrebbe al più essere commesso – in concorso con quello di cui all’art. 4 comma 6 d.l. 19/2020 – da colui che, affetto da Covid-19 e sottoposto alla misura della quarantena, fosse trovato fuori dalla propria abitazione e dichiarasse falsamente al pubblico ufficiale (“sotto la propria responsabilità”, come recita il modello di autocertificazione vigente) di non essere risultato positivo al Covid-19. Ciò, sul presupposto che la condizione di positività al virus attenga a qualità della persona alle quali l’ordinamento ricollega effetti giuridici, come, appunto, il divieto assoluto di allontanarsi dalla propria abitazione o dimora di cui all’articolo 1 comma 2 lett. e d.l. 19/2020. È appena il caso di sottolineare che una lettura siffatta tiene solo a patto di ritenere tale condizione soggettiva direttamente afferente all’identificazione della persona.

Sul punto, infatti, la giurisprudenza è granitica nell’affermare che nella nozione di qualità personali, cui fa riferimento l’art. 495 c.p., rientrano, oltre all’identità e allo stato civile, anche altre qualità che pure contribuiscono ad identificare le persone, quali, ad esempio, il luogo di residenza, la professione, l’ufficio pubblico ricoperto, i precedenti penali o la certificazione antimafia[28]. Restano, viceversa, fuori dall’area di rilevanza penale le richieste dell’Autorità su qualità squisitamente personali non giustificate da esigenze di identificazione, ma rivolte ad altri fini[29].

Diversamente argomentando, in ogni caso, la condotta sopra descritta risulterebbe penalmente rilevante ai sensi dell’art. 483 c.p.

8. L’applicabilità del principio nemo tenetur se detegere

Merita un breve approfondimento, in questa sede, un ulteriore profilo problematico che è stato autorevolmente segnalato all’indomani dell’entrata in vigore del d.l. 6/2020 con precipuo riguardo ai delitti di falso[30]. L’applicabilità del principio nemo tenetur se detegere sembrerebbe, infatti, precludere in radice la punibilità dei reati di falso, in ragione del particolare momento in cui il mendacio è realizzato e per il fine a cui è diretto: evitare una contestazione da parte dell’agente accertatore.

In proposito, occorre precisare che tale osservazione deve essere più correttamente calibrata sull’ipotesi di reato di cui all’art. 483 c.p., atteso che la normativa processualistica – “fonte” del principio nemo tenetur se detegere – sancisce l’obbligo dell’indagato di dichiarare le proprie generalità e quant’altro può valere a identificarlo (art. 66 comma 1 c.p.p.). Ne consegue, per giurisprudenza e dottrina pacifiche, che la possibilità di mentire dell’indagato non si estende alle dichiarazioni sulle proprie generalità e su quanto altro valga ad identificarlo, condotta che integra il delitto di cui all’art. 495 c.p.

Il discorso è più complesso per quanto concerne l’art. 483 c.p. La giurisprudenza di legittimità, in più occasioni, ha avuto modo di esprimersi sull’applicabilità del principio nemo tenetur se detegere sub specie dell’esercizio del diritto di difesa ex art. 24 Cost., quale causa di giustificazione ex art. 51 c.p. –con riguardo ai reati di falso, in linea generale affermando la prevalenza dell’esigenza di affidabilità del documento, sulla cui veridicità si fonda il pubblico affidamento, sull’interesse difensivo del singolo[31].

Si tratta, nello specifico, di casi che avevano ad oggetto la contestazione del reato di falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale in atto pubblico (art. 479 c.p.) nei confronti di ufficiali o agenti di polizia giudiziaria, i quali avevano attestato false circostanze in sede di redazione di relazioni di servizio o di verbali di arresto in flagranza, al fine di non fare emergere la propria penale responsabilità in ordine agli episodi oggetto della relazione o del verbale.

Nello stesso senso, è stata considerata inapplicabile la scriminante del nemo tenetur se detegere nel caso di omessa consegna al curatore, da parte di un ex amministratore di una società fallita, della documentazione contabile, al fine di evitare che la stessa fosse utilizzata in suo pregiudizio in un processo penale già in corso[32], nonché nel caso di omessa presentazione della dichiarazione dei redditi provenienti da attività illecita da parte del titolare di una ditta individuale, determinata dall’esigenza di non fornire all’amministrazione prove a sé sfavorevoli[33].

Nei casi anzidetti la Suprema Corte ha ribadito la rilevanza processuale (rectius procedimentale), piuttosto che sostanziale, del principio in parola, stante la sua ratio consistente nella protezione dell’imputato/indagato da coercizioni abusive da parte dell’autorità: in altri termini, il principio del nemo tenetur se detegere opera esclusivamente nell’ambito di un procedimento penale già avviato a carico di una persona sottoposta ad indagini.

L’estensibilità degli argomenti sopra esposti all’ipotesi che ci occupa non è tuttavia scontata. Ed infatti, la persona che viene controllata fuori dalla propria abitazione, in violazione delle misure adottate per il contenimento del virus, adotta per ciò solo un comportamento illecito, sottoponibile, a seconda dei casi, a sanzione penale o amministrativa.

Si potrebbe, dunque, sostenere che – almeno per quanto riguarda la fattispecie non oggetto di depenalizzazione – la persona che fornisca false dichiarazioni al pubblico ufficiale per giustificare la trasgressione della misura della quarantena debba considerarsi già sostanzialmente, ancorché non formalmente, sottoposta ad indagini preliminari per il reato di cui all’art. 4 comma 6 d.l. 19/2020. Ne consegue che il mendacio riferito al pubblico ufficiale, astrattamente sussumibile nella fattispecie di cui all’art. 483 c.p., dovrebbe considerarsi “scriminato” dal diritto di mentire dell’indagato.

Considerazioni non dissimili – ma qui il terreno diventa ancor più scivoloso – potrebbero essere estese a coloro che, per evitare l’applicazione di una sanzione pecuniaria nell’ambito del procedimento amministrativo instaurando nei loro confronti, forniscano giustificazioni mendaci ai pubblici ufficiali accertatori.

Del resto, sembra propendere per questa soluzione un precedente specifico della Suprema Corte di Cassazione, la quale ha escluso il delitto di falso ideologico commesso dal privato in atto pubblico (art. 483 c.p.) – ravvisabile quando l’atto pubblico, nel quale sia trasfusa la dichiarazione del privato, sia destinato a provare la verità dei fatti attestati[34] – in relazione alla condotta di colui che, fermato dalla Polizia alla guida della propria auto, aveva dichiarato falsamente di essere regolarmente assicurato. La Suprema Corte è addivenuta a tale conclusione sulla scorta di due argomenti: da un lato, il verbale della polizia contenente le dichiarazioni del privato non è destinato ad attestare la verità dei fatti dichiarati; da un altro lato, “guidare una autovettura non assicurata costituisce un illecito sanzionabile [in via amministrativa] e, dunque, in virtù del generale principio nemo tenetur se detegere il privato non può essere costretto ad accusarsi di una violazione di legge”.

Tanto basta per lasciare aperta la discussione sul tema.


[1] Cfr. A. Natalini, In fuga dal virus: cosa rischia chi viola la “zona rossa”, in Guida dir., n.14, 21 marzo 2020, p. 69 ss.

[2] v. C. Ruga Riva, La violazione delle ordinanze regionali e sindacali in materia di Coronavirus: profili penali, in Sist. penale, n. 3, 2020, p. 239.

[3] Ibidem, p. 237 s.

[4] Cfr. A. Natalini, In fuga dal virus, cit., p. 74; G.  L. Gatta, Coronavirus, limitazione di diritti e libertà fondamentali, e diritto penale: un deficit di legalità da rimediare, in Sist. penale, 16 marzo 2020.

[5] La giurisprudenza di legittimità ritiene necessario, ai fini della configurabilità del reato di cui all’art. 650 c.p., che l’inosservanza riguardi un ordine specifico impartito ad un soggetto determinato in occasione di un certo evento o di una certa circostanza. Cfr. ex multis Cass., Sez. fer., I agosto 2013, n. 44238; Cass., Sez. I, 19 marzo 2013 n. 15936; Cass. Sez. I, 25 marzo 1999; Cass., Sez. I, 28 novembre 1995. Cfr. inoltre C. Cost. n. 168 del 1971 che ha dichiarato infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 650 c.p., sollevata in relazione all’art. 25 comma 2 Cost.

[6] Cfr. Cass., sez. VI, 22 gennaio 1982, in Cass. pen. 1983, 1226 (s.m), che stabilisce che, ai fini della applicabilità dell’art. 260 r.d. 27 luglio 1934 n. 1252, per stabilire se un determinato provvedimento possa essere qualificato come ordine occorre riferirsi al suo contenuto intrinseco e al suo aspetto formale, tenendo presente che costituiscono ordini i provvedimenti con i quali la p.a. impone obblighi di dare, di fare o di non fare. In applicazione di detto principio la Cassazione ha ritenuto che le disposizioni di cui al d.m. 14 novembre 1973 sulla vendita dei molluschi e concernenti i comportamenti da osservare per impedire il sorgere o il propagarsi del colera dovessero essere inquadrati nella categoria degli ordini, tali provvedimenti essendo destinati ai soggetti che si occupavano della commercializzazione dei molluschi e non alla generalità dei consociati.

[7] Cfr. G. L. Gatta, Un rinnovato assetto del diritto dell’emergenza Covid-19, più aderente ai principi costituzionali, e un nuovo approccio al problema sanzionatorio: luci ed ombre nel d.l. 25 marzo 2020, n. 19, in Sist. penale, 26 marzo 2020.

[8] Ulteriormente confermata, se ce n’era bisogno, dall’art. 5 d.l. 19/2020 (“Disposizioni finali”), che sancisce l’abrogazione (ad eccezione di alcune disposizioni di scarso rilievo in questa sede) del decreto-legge 23 febbraio 2020, n.  6, convertito, con modificazioni, dalla legge 5 marzo 2020, n. 13.

[9] Si tratta, in particolare, delle seguenti misure: a) limitazione della circolazione delle persone, anche prevedendo limitazioni alla possibilità di allontanarsi dalla propria residenza, domicilio o dimora se non per spostamenti individuali limitati nel tempo e nello spazio o motivati da esigenze lavorative, da situazioni di necessità o urgenza, da motivi di salute o da altre specifiche ragioni; b) chiusura al pubblico di strade urbane, parchi, aree gioco, ville e giardini pubblici o altri spazi pubblici; c) limitazioni o divieto di allontanamento e di ingresso in territori comunali, provinciali o regionali, nonché rispetto al territorio nazionale; d) applicazione della misura della quarantena precauzionale ai soggetti che hanno avuto contatti stretti con casi confermati di malattia infettiva diffusiva o che rientrano da aree, ubicate al di fuori del territorio italiano; (…); f) limitazione o divieto delle riunioni o degli assembramenti in luoghi pubblici o aperti al pubblico; g) limitazione o sospensione di manifestazioni o iniziative di qualsiasi natura, di eventi e di ogni altra forma di riunione in luogo pubblico o privato, anche di carattere culturale, ludico, sportivo, ricreativo e religioso; h) sospensione delle cerimonie civili e religiose, limitazione dell’ingresso nei luoghi destinati al culto; i) chiusura di cinema, teatri, sale da concerto sale da ballo, discoteche, sale giochi, sale scommesse e sale bingo, centri culturali, centri sociali e centri ricreativi o altri analoghi luoghi di aggregazione; l) sospensione dei congressi, di ogni tipo di riunione o evento sociale e di ogni altra attività convegnistica o congressuale, salva la possibilità di svolgimento a distanza; m) limitazione o sospensione di eventi e competizioni sportive di ogni ordine e disciplina in luoghi pubblici o privati, ivi compresa la possibilità di disporre la chiusura temporanea di palestre, centri termali, sportivi, piscine, centri natatori e impianti sportivi, anche se privati, nonché di disciplinare le modalità di svolgimento degli allenamenti sportivi all’interno degli stessi luoghi; n) limitazione o sospensione delle attività ludiche, ricreative, sportive e motorie svolte all’aperto o in luoghi aperti al pubblico; o) possibilità di disporre o di affidare alle competenti autorità statali e regionali la limitazione, la riduzione, la sospensione o la soppressione di servizi di trasporto di persone e di merci, automobilistico, ferroviario, aereo, marittimo, nelle acque interne, anche non di linea, nonché di trasporto pubblico locale; p) sospensione dei servizi educativi per l’infanzia di cui all’articolo 2 del decreto legislativo 13 aprile 2017, n. 65, e delle attività didattiche delle scuole di ogni ordine e grado, nonché delle istituzioni di formazione superiore, comprese le università e le istituzioni di alta formazione artistica musicale e coreutica, di corsi professionali, master, corsi per le professioni sanitarie e università per anziani, nonché i corsi professionali e le attività formative svolte da altri enti pubblici, anche territoriali e locali e da soggetti privati, o di altri analoghi corsi, attività formative o prove di esame, ferma la possibilità del loro svolgimento di attività in modalità a distanza; q) sospensione dei viaggi d’istruzione, delle iniziati- ve di scambio o gemellaggio, delle visite guidate e delle uscite didattiche comunque denominate, programmate dalle istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado sia sul territorio nazionale sia all’estero; r) limitazione o sospensione dei servizi di apertura al pubblico o chiusura dei musei e degli altri istituti e luoghi della cultura di cui all’articolo 101 del codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, nonché dell’efficacia delle disposizioni regolamentari sull’accesso libero o gratuito a tali istituti e luoghi; s) limitazione della presenza fisica dei dipendenti negli uffici delle amministrazioni pubbliche, fatte comunque salve le attività indifferibili e l’erogazione dei servizi essenziali prioritariamente mediante il ricorso a modalità di lavoro agile; t) limitazione o sospensione delle procedure concorsuali e selettive finalizzate all’assunzione di personale presso datori di lavoro pubblici e privati, con possibilità di esclusione dei casi in cui la valutazione dei candidati è effettuata esclusivamente su basi curriculari ovvero con modalità a distanza, fatte salve l’adozione degli atti di avvio di dette procedure entro i termini fissati dalla legge, la conclusione delle procedure per le quali risulti già ultimata la valutazione dei candidati e la possibilità di svolgimento dei procedimenti per il conferimento di specifici incarichi; u) limitazione o sospensione delle attività commerciali di vendita al dettaglio, a eccezione di quelle necessarie per assicurare la reperibilità dei generi agricoli, alimentari e di prima necessità da espletare con modalità idonee ad evitare assembramenti di persone, con obbligo a carico del gestore di predisporre le condizioni per garantire il rispetto di una distanza di sicurezza interpersonale predeterminata e adeguata a prevenire o ridurre il rischio di contagio; v) limitazione o sospensione delle attività di somministrazione al pubblico di bevande e alimenti, nonché di consumo sul posto di alimenti e bevande, compresi bar e ristoranti; z) limitazione o sospensione di altre attività d’impresa o professionali, anche ove comportanti l’esercizio di pubbliche funzioni, nonché di lavoro autonomo, con possibilità di esclusione dei servizi di pubblica necessità previa assunzione di protocolli di sicurezza anti-contagio e, laddove non sia possibile rispettare la distanza di sicurezza interpersonale predeterminata e adeguata a prevenire o ridurre il rischio di contagio come principale misura di contenimento, con adozione di adeguati strumenti di protezione individuale; aa) limitazione allo svolgimento di fiere e mercati, a eccezione di quelli necessari per assicurare la reperibilità dei generi agricoli, alimentari e di prima necessità; bb) specifici divieti o limitazioni per gli accompagnatori dei pazienti nelle sale di attesa dei dipartimenti emergenze e accettazione e dei pronto soccorso (DEA/ PS); cc) limitazione dell’accesso di parenti e visitatori a strutture di ospitalità e lungo degenza, residenze sanitarie assistite (RSA), hospice, strutture riabilitative e strutture residenziali per anziani, autosufficienti e non, nonché agli istituti penitenziari ed istituti penitenziari per minorenni; dd) obblighi di comunicazione al servizio sanita- rio nazionale nei confronti di coloro che sono transitati e hanno sostato in zone a rischio epidemiologico come identificate dall’Organizzazione mondiale della sanità o dal Ministro della salute; ee) adozione di misure di informazione e di prevenzione rispetto al rischio epidemiologico; ff) predisposizione di modalità di lavoro agile, anche in deroga alla disciplina vigente; gg) previsione che le attività consentite si svolgano previa assunzione da parte del titolare o del gestore di misure idonee a evitare assembramenti di persone, con obbligo di predisporre le condizioni per garantire il rispetto della distanza di sicurezza interpersonale predeterminata e adeguata a prevenire o ridurre il rischio di contagio; per i servizi di pubblica necessità, laddove non sia possibile rispettare tale distanza interpersonale, previsione di protocolli di sicurezza anti-contagio, con adozione di strumenti di protezione individuale; hh) eventuale previsione di esclusioni dalle limitazioni alle attività economiche di cui al presente comma, con verifica caso per caso affidata a autorità pubbliche specificamente individuate.

[10] Cfr., ex multis, Cass. civ., sez. II, 26 settembre 2019, n. 24081; Cass. civ., sez. III, 7 novembre 2017, n. 26306.

[11] Cfr. Cass. civ., sez. II, 30 gennaio 2020, n. 2139.

Non è sufficiente, pertanto, la mera ignoranza, ma occorre la prova dell’insuperabilità con l’ordinaria diligenza: cfr. Cass. civ., sez. II, 28 febbraio 2019, n. 6018; Cass. civ., sez. II, 15 gennaio 2018, n. 720; .

[12] Cfr. Cass. civ., sez. VI, 13 maggio 2019, n. 12629; Cass. civ., sez. II, 31 luglio 2018, n. 20219; Cass. civ., sez. II, 6 aprile 2011, n. 7885.

[13] Cfr. Cass. civ., sez. II, 12 febbraio 2016, n. 2956.

[14] Da intendersi non già come acquisizione da parte della P.A. del fatto nella sua materialità, ma come momento in cui l’autorità competente abbia momento in cui l’autorità competente abbia acquisito e valutato tutti i dati indispensabili ai fini della verifica dell’esistenza della violazione segnalata, ovvero in quello in cui il tempo decorso non risulti ulteriormente giustificato dalla necessità di tale acquisizione e valutazione, tenuto conto dunque delle caratteristiche e della complessità della situazione concreta: cfr., ex multis, Cass. civ., sez. II, 29 ottobre 2019, n. 27702.

[15] Cfr., ex multis, Cass. civ., sez. II, 24 gennaio 2013, n. 1742; Cass. civ., sez. II, 30 ottobre 2007, n. 22894; Cass. civ., sez. I, 29 settembre 2006, n. 21173; Cass. civ., SS.UU., 29 aprile 2003, n. 6627.

[16] Cfr., ex multis, sempre Cass. civ., SS.UU., 29 aprile 2003, n. 6627, nonché Cass. civ., sez. II, 15 febbraio 2007, n. 3390.

[17] Cfr. Cass. civ., sez. I, 16 aprile 2003, n. 6013; Cass. civ., sez. I, 11 settembre 2001, n. 11595.

[18] Cfr. art. 2700 c.c..

Va precisato, per completezza, che la valenza probatoria privilegiata riguarda esclusivamente i fatti attestati dal pubblico ufficiale nella relazione ispettiva come avvenuti in sua presenza o da lui compiuti o conosciuti senza alcun margine di apprezzamento o di percezione personale, nonché con riguardo alla provenienza del documento dallo stesso pubblico ufficiale ed alle dichiarazioni delle parti; non si estende, invece, alle valutazioni in essi contenuti, né alla sostanziale veridicità delle dichiarazioni rese al pubblico ufficiale dalle parti o dai terzi, né ai fatti di cui egli abbia avuto notizia da altre persone o a quelli che si assumono veri in virtù di presunzioni o di personali considerazioni logiche, per le quali il verbale conserva soltanto un’attendibilità intrinseca che può essere infirmata da una specifica prova contraria, non necessariamente da introdursi con querela di falso: cfr. Cass. civ., sez. V, 5 ottobre 2018, n. 24461; Cass. civ., sez. I, 30 maggio 2018, n. 13679; Cass. civ., sez. III, 6 ottobre 2016, n. 20025; Cass. civ., sez. lav., 7 novembre 2014, n. 23800; Cass. civ. sez. II, 27 ottobre 2008, n. 25844.

La querela di falso non è nemmeno necessaria laddove il verbale non sia suscettibile di assumere fede privilegiata per la sua insanabile contraddittorietà oggettiva: cfr. Cass. civ., SS.UU., 24 luglio 2009, n. 17355.

[19] Stigmatizza tale “grave lacuna normativa” G. L. Gatta, Un rinnovato assetto del diritto dell’emergenza Covid-19, loc. ult. cit.

[20] Per una definizione di legge eccezionale si rinvia a S. Vinciguerra, La riforma del sistema punitivo nella l. 24 novembre 1981, n. 689. Infrazione amministrativa e reato, Padova, 1983, p. 323.

[21] Cfr. Cass., Sez. I, 30 gennaio 2013, n. 11994; Cass., Sez. I, 28 luglio 2008, n. 31420; Cass, Sez. I, I luglio 2008, n. 26316.

[22] Cfr. F. Grispigni, Diritto penale italiano, I, Milano, 1952, p. 358; Bettiol, 171; F. Mantovani, Diritto penale. Parte generale, Padova, 2017, p. 91.

[23] Per questa posizione v. S. Vinciguerra, La riforma del sistema punitivo nella l. 24 novembre 1981, cit., 324; G. Fiandaca, E. Musco, Diritto penale. Parte generale, Bologna, 2019, p. 97.

[24] Cfr. G. L. Gatta, Un rinnovato assetto del diritto dell’emergenza Covid-19, loc. ult. cit.

[25] Cfr. Tribunale Trento, 16 luglio 2004, Marcucci e altri, in Riv. Pen., 2004, 1231: affinché la fattispecie preveduta e punita dall’art. 438 c.p. possa ritenersi integrata, occorre che la condotta del reato di epidemia, consistente nella diffusione di germi patogeni, cagioni un evento definito come la manifestazione collettiva di una malattia infettiva umana che si diffonde rapidamente in uno stesso contesto di tempo in un dato territorio, colpendo un rilevante numero di persone. L’evento che ne deriva è quindi, al contempo, un evento di danno e di pericolo, costituendo il fatto come fatto di ulteriori possibili danni, cioè il concreto pericolo che il bene giuridico protetto dalla norma, rappresentato dall’incolumità e dalla salute pubblica, possa essere distrutto o diminuito. Nella giurisprudenza di merito di particolare interesse anche il precedente, che renderebbe di fatto non applicabile al Covid-19 la fattispecie in esame, del Tribunale Bolzano, 13 marzo 1979, inGiur. di Merito, 1979, 945:non incorre nel reato di epidemia colposa chiunque, in qualsiasi modo, provochi un’epidemia, come ad es. chi, sapendosi affetto da male contagioso, si mescoli alla folla pur prevedendo che infetterà altre persone. Infatti, la norma – che per ragioni logiche, anche in vista del criterio storico, dev’essere interpretata restrittivamente – non punisce chiunque cagioni un’epidemia, ma chi la cagioni mediante la diffusione di germi patogeni di cui abbia il possesso, anche “in vivo” (animali di laboratorio), mentre deve escludersi che una persona, affetta da malattia contagiosa abbia il possesso dei germi che l’affliggono. Contra Cass., Sez. I, 26 novembre 2019, n. 48014, Rv. 277791, così massimata: “In tema di epidemia, l’evento tipico del reato consiste in una malattia contagiosa che, per la sua spiccata diffusività, si presenta in grado di infettare, nel medesimo tempo e nello stesso luogo, una moltitudine di destinatari, recando con sé, in ragione della capacità di ulteriore espansione e di agevole propagazione, il pericolo di contaminare una porzione ancor più vasta di popolazione; ne consegue che le forme di contagio per contatto fisico tra agente e vittima, sebbene di per sé non estranee alla nozione di «diffusione di agenti patogeni» di cui all’art. 438 cod. pen., non costituiscono, di regola, antecedenti causali di detto fenomeno”.

[26] Cfr., in materia analoga, Cass. Sez. V, 4 luglio 2018, n. 30099, Rv. 273806; Sez. 5, 19 febbraio 2018, n. 7857, Rv. 272277.

[27] Cfr. A. Natalini, Nuovo modello, delitto più grave di falsa attestazione, in Guida dir., n. 15, 28 marzo 2020, p. 16.

[28] Cfr. ex multis Cass., Sez. V, 8 luglio 2015, n. 37571; Cass., Sez. V, 8 novembre 2011, n. 1789; Cass., Sez. V, 19 marzo 2010, n. 22603; Cass., Sez. V, 3 dicembre 2010, n. 3042.

[29] Cfr. Cass., Sez. V, 6 novembre 1996, in Cass. Pen., 1997, 2704; Cass. Sez. V, 16 febbraio 1993, in Cass. Pen., 1994, 2995, in tema di attestazioni relative allo stato di coabitazione.

[30] G.M. Flick, Coronavirus: attenzione a quegli arresti, potrebbero essere illegittimi, intervista pubblicata su open.online.it del 13 marzo 2020. Argomento poi nuovamente rilanciato da G. L. Gatta, Un rinnovato assetto del diritto dell’emergenza Covid-19, loc. ult. cit. e da   Prof. Gatta e da A. Natalini, Nuovo modello, delitto più grave di falsa attestazione, cit., p. 16 s.

[31] Cfr. Cass., Sez. V, n. 8252, 2 marzo 2010, Rv. 246157; Cass., Sez. V, 5 marzo 2012, n. 8579, Rv. 251945; Cass., Sez. V, 2 ottobre 2012, n. 38085, Rv. 253545.

[32] Cass., Sez. V, 5 marzo 2015, n. 9746, Rv. 26294.

[33] Cfr. Cass., Sez. III, 22 novembre 2017, n. 53137, Rv. 271827, Cass. Sez. III, 29 novembre 2018, n. 53656, Rv. 275452.

[34] Anche questo punto, con riguardo al caso di specie, meriterebbe maggiore approfondimento.

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