Intercettazioni: la riforma di una riforma mai entrata in vigore (parte prima)

di Onelio Dodero in collaborazione con il Centro Studi “Nino Abbate” di Unità per la Costituzione

Sommario: 1. Chi troppo vuole… 2. Critiche. 3. L’entrata (chissà quando) in vigore della riforma. 4. L’applicazione della riforma ai procedimenti iscritti dal 1° settembre 2020. 5. La modifica dell’art.114 c.p.p. 6. Dieta dimagrante. 7. Il divieto di trascrizione. 8. La riforma della riforma: il D.L. n.161/2019 e il nuovo art.268, comma 2 bis c.p.p. 9. Un bilanciamento di interessi. 10. Le conversazioni irrilevanti. 11. Conversazioni inerenti al mandato difensivo. 12. La nuova disciplina sulla trasmissione dei verbali e delle registrazioni per la conservazione nell’archivio (le modifiche agli artt.268, 269, l’abrogazione dell’art. 268 bis c.p.p.). 13. L’archivio delle intercettazioni. 14. Aspetti problematici dell’archivio delle intercettazioni.

1. Chi troppo vuole…

Le intercettazioni sono uno strumento di ricerca della prova tanto irrinunciabile quanto invasivo.

Un male necessario a beneficio delle indagini, dunque, seppure la sempre più marcata diffusione mediatica di colloqui registrati che hanno nulla a che spartire con l’oggetto delle indagini, ma che suscitano i più diversi appetiti a causa della qualità dei loquenti o della scabrosità dei temi trattati, rischia di fare perdere di vista quel beneficio, evidenziando solo il danno, talora irreparabile.

Per questo, il tema delle intercettazioni si risolve in un interminabile e acceso dibattito nel tentativo di trovare un punto d’equilibrio tra le esigenze investigative e la tutela dei diritti alla riservatezza di tutte le persone coinvolte, terzi e finanche indagati stessi.

Tra i tanti tentativi irrisolti di cogliere questo punto di equilibrio, nel tentativo di arginare ogni possibile nociva diffusione di colloqui non pertinenti con le indagini, la delega parlamentare di cui alla legge 23 giugno 2017 n.103, poi trasfusasi nel Decreto Legislativo n.216/2017, aveva scopo di aumentare il livello di tutela della riservatezza dei soggetti sottoposti ad intercettazioni, specialmente di coloro che risultassero occasionalmente coinvolti ed estranei all’attività investigativa.

A questo fine, la legge delega chiedeva che la riforma prevedesse

  • una serie di misure per bloccare la conoscibilità all’esterno di tali comunicazioni o conversazioni, anche ricorrendo alla sanzione penale (tutela a valle);
  • di limitare la possibilità per la p.g. di verbalizzare le conversazioni “irrilevanti” (tutela a monte);
  • un uso parsimonioso di quelle “rilevanti” da parte del P.M. prima e del Giudice poi in caso di eventuale richiesta e applicazione di una misura cautelare, prescrivendo la riproduzione soltanto dei brani essenziali a fini di prova.

Da qui, prendeva le mosse il testo elaborato nel Decreto Legislativo n.216/2017, nel difficile tentativo di conciliare i poteri investigativi con la tutela dei diritti alla riservatezza di terzi (e pure degli stessi indagati), secondo cinquemomenti qualificanti:

  • introduzione del divieto di trascrizione, anche sommaria, di

a)  intercettazioni irrilevanti;

b)  intercettazioni non rilevanti e contenenti dati sensibili;

c) intercettazioni intercorse tra indagato e difensore o comunque attinenti al mandato difensivo;

  • nuova disciplina sul deposito dei verbali e delle registrazioni;
  • introduzione di una nuova procedura di acquisizione al fascicolo delle indagini (quello del p.m., per intendersi) delle intercettazioni rilevanti;
  • istituzione dell’archivio riservato delle intercettazioni;
  • limiti alla riproduzione delle intercettazioni negli atti cautelari.

Come si legge nella Relazione illustrativa al provvedimento, le disposizioni adottate perseguivano “lo scopo di escludere, in tempi ragionevolmente certi e prossimi alla conclusione delle indagini, ogni riferimento a persone solo occasionalmente coinvolte dall’attività di ascolto e di espungere il materiale documentale, ivi compreso quello registrato, non rilevante a fini di giustizia, nella prospettiva di impedire l’indebita divulgazione di fatti e riferimenti a persone estranee alla vicenda oggetto dell’attività investigativa che ha giustificato il ricorso a tale incisivo mezzo di ricerca della prova[1].

2. Critiche.

Andando a comprimere uno dei nervi scoperti nei sempre difficili rapporti tra l’esigenza punitiva insita nel doveroso accertamento della responsabilità penale e la tutela della libertà e riservatezza delle conversazioni, il testo della riforma aveva immediatamente suscitato più che perplesse reazioni da più parti, anche contrapposte.

Ed infatti, unanimemente si criticava la scelta di voler sacrificare sull’altare della tutela della riservatezza sia uno dei più efficaci strumenti dell’indagine penale sia il diritto all’informazione sia quello alla difesa.

Si tratta di critiche che, risoltesi in pressioni politiche, poco a poco hanno, se non spento, certamente attenuato i lustrini di una riforma che forse aveva osato troppo, spingendosi oltre il consentito.

Chi troppo vuole, nulla stringe.

Prova ne sia che l’adagio popolare ha trovato puntuale e plastica espressione in quel tortuoso cammino seguito per l’entrata in vigore della riforma.

Si è trattato di un cammino fin da subito in salita, sempre più faticoso e, via via, trasformatosi da un percorso a ostacoli ad uno di guerra.

3. L’entrata (chissà quando) in vigore della riforma.

Come noto, le nuove disposizioni sarebbero dovute entrare in vigore dal 26 luglio 2018.

Tuttavia, il Decreto Legge 25 luglio 2018 n. 91, convertito con modificazioni nella legge n.108/2018, prorogò il termine al 31.3.2019.

A sua volta, la legge di Bilancio 2019 (legge 30 dicembre 2018. n. 145), ne dispose altra proroga al 31.7.2019.

Quindi, con il Decreto Legge 4.6.2019 n.53 (“Disposizioni urgenti in materia di ordine e sicurezza pubblica” o cosiddetto decreto sicurezza bis), l’efficacia delle nuove disposizioni slittò a “dopo il 31 dicembre 2019”, ossia al 1° gennaio 2020.

Tuttavia, con il Decreto Legge 30 dicembre 2019 n.161, l’entrata in vigore fu ancora prorogata a dopo il 29 febbraio 2020.

Nondimeno, la legge 28 febbraio 2020 n.7, di conversione del D.L., ha ancora una volta prorogato l’entrata in vigore a dopo il 30 aprile 2020, ossia al 1° maggio 2020.

Il varo era, pertanto, previsto il prossimo 1° maggio 2020.

L’ultimo colpo di coda è del 30 aprile scorso.

Il D.L. 30.4.2020 n.27, in vigore dal 1° maggio successivo, è l’ennesima occasione di un rinvio, nuovamente modificando l’art.9 D.Lvo n.216/2017:

«Art.  9  (Disposizione   transitoria).   

1. Le disposizioni di cui  agli  articoli  2,  3  4,  5  e  7  si  applicano ai procedimenti penali iscritti dopo il 31 agosto 2020.

 2. La  disposizione  di  cui  all’art.  2,  comma  1, lettera b), acquista efficacia a decorrere  dal  1°  settembre  2020.”.

La riforma dovrebbe, dunque, entrare in vigore dal 1° settembre 2020, seppur sembri ormai un poco temerario darlo per scontato.

4. L’applicazione della riforma ai procedimenti iscritti dal 1° settembre 2020.

Intanto, per evitare la coesistenza di differenti regimi nell’ambito del medesimo procedimento, il D.L. n.161/2019 aveva modificato l’originaria disposizione dell’art.9, comma 1 Decreto Legislativo n.216/2017 che prevedeva che “Le disposizioni di cui agli articoli 2, 3, 4, 5 e 7 si applicano alle operazioni di intercettazione relative a provvedimenti autorizzativi emessi dopo il 31 dicembre 2019”.

La disposizione portava con sé il rischio che nell’ambito di un medesimo procedimento penale potessero trovare applicazione, contemporaneamente, due distinti regimi in tema di intercettazioni: quello ante riforma per le intercettazioni disposte prima dell’entrata in vigore e la nuova disciplina per quelle autorizzate dopo l’entrata in vigore.

Per evitarlo, l’art.1 n.1 D.L. n.161/2019 era intervenuto sull’art.9, comma 1 D.Lvo n.216/2017 prevedendo che “Le disposizioni di cui agli articoli 2, 3, 4, 5 e 7 si applicano ai procedimenti penali iscritti dopo il 29 febbraio 2020.” (non più facendo dipendere l’applicazione delle nuove norme dai provvedimenti autorizzativi emessi dopo l’entrata in vigore, indipendentemente da quando si era instaurato il procedimento, ma prevedendo che la nuova disciplina avrà applicazione soltanto per i procedimenti iscritti dopo la sua entrata in vigore).

La legge di conversione 27.2.2020 n.28 ha modifica la data, portandola a dopo il 30 aprile 2020

Infine, il testé emesso D.L. 30 aprile 2020 n.27 adegua questa data a quella di entrata in vigore della riforma, ossia a dopo il 31 agosto 2020.

Dunque, la riforma si applicherà solo ai procedimenti iscritti dal 1° settembre 2020.

5. La modifica dell’art.114 c.p.p.

L’art. 2, comma 1 lett. a) D.L.n.161/2019 è intervenuto sull’art.2, comma 1, lett. b) Decreto Legislativo n. 216/2017.

L’art.2, comma 1, lett. b) aveva modificato l’art.114, comma 2 c.p.p. inserendo, dopo le parole “dell’udienza preliminare”, quelle “fatta eccezione per l’ordinanza indicata dall’articolo 292“.

In questo modo per le ordinanze che dispongono misure cautelari veniva meno il divieto di pubblicazione, anche parziale, «degli atti non più coperti dal segreto fino a che non siano concluse le indagini preliminari ovvero fino ai termine dell’udienza preliminare».

Il D.L.n.161/2019 interviene (anche) su questo aspetto, inserendo nell’art.114 c.p.p. il comma 2 bis: “È sempre vietata la pubblicazione, anche parziale, dei contenuto delle intercettazioni non acquisite ai sensi degli articoli 268 e 415 bis c.p.p.

Ossia, anche in relazione al contenuto delle ordinanze che applicano le misure cautelari permane il divieto di pubblicazione delle intercettazioni non acquisite agli atti secondo la procedura di cui agli artt. 268 e 415 bis c.p.p. (v. infra).

6. Dieta dimagrante.

Come rilevato, cercando un equilibrio tra le esigenze delle indagini e la tutela della riservatezza dei terzi (e pure degli stessi indagati), la riforma si articolava sui conseguenti punti:

  • le modalità di redazione del c.d. brogliaccio, ossia dei verbali delle operazioni di ascolto delle conversazioni e delle comunicazioni;
  • il deposito di tali verbali e il relativo avviso ai difensori;
  • l’archivio per la conservazione del materiale intercettato, in attesa della cernita tra quello che doveva confluire nel fascicolo delle indagini di cui all’art.373, comma 5 c.p.p. ( ossia il fascicolo del p.m.) e quello che doveva restare nell’archivio riservato;
  • le richieste al giudice di acquisizione al fascicolo delle indagini delle conversazioni che avrebbero costituito il materiale probatorio;
  • il relativo provvedimento del giudice e l’eventuale udienza stralcio;
  • le modalità di trasposizione delle conversazioni nella richiesta di misura cautelare e nella successiva ordinanza cautelare del giudice;
  • l’uso dei captatori informatici.

Si può convenire che il Decreto Legge n.161/2019 ha drasticamente “riformato la riforma”, sottoponendola a una severa cura dimagrante prima dell’entrata in vigore, ridisegnandola.

7. Il divieto di trascrizione.

L’obiettivo della riforma era di comprimere il più possibile lo spazio della potenziale diffusione mediatica del contenuto dei dialoghi registrati ed era perseguito riducendo il portato di quel che poteva essere trascritto.

La scelta, pertanto, era stata di vietare la trascrizione nei verbali della polizia giudiziaria (i cosiddetti brogliacci) delle conversazioni:

  • irrilevanti ai fini di indagine (art.268, comma 2 bis c.p.p.)
  • non rilevanti e contenenti dati personali sensibili (art.268, comma 2 bis c.p.p.)
  • inutilizzabili in quanto attinenti al rapporto difensivo (art.103, comma 7 c.p.p.).

In questi casi, il verbale della p.g. avrebbe riportato esclusivamente la data, l’ora e il dispositivo su cui la registrazione era intervenuta [2].

Al di là del già previsto divieto di trascrivere i dialoghi inerenti all’esercizio del mandato difensivo, la trascrizione delle altre conversazioni era ammessa se avesse superato il vaglio della irrilevanza.

Si tratta di un criterio che già presiedeva, o avrebbe sempre dovuto presiedere, all’operato della p.g., come, del resto, si aveva e si ha ancora modo di notare quando le annotazioni riportate sul brogliaccio ricorrono a formule del tipo “conversazione non utile”; “dialogo di natura privata”; “discussione familiare” e simili per indicare l’inutilità probatoria delle conversazioni che, pertanto, non vengono trascritte.

Il testo della riforma, però, andava oltre, con l’espresso divieto di riportare queste conversazioni fino a impedire anche il ricorso a sintetiche formule per fare intendere che il contenuto non atteneva alle indagini, dovendosi la p.g. limitare ad annotare nel verbale la data, l’ora e l’utenza intercettata.

L’intento, pertanto, era di permettere la trascrizione soltanto delle conversazioni rilevanti ai fini dell’indagine, con il conseguente problema d’individuare l’ambito della rilevanza della conversazione.

La norma, però, non indicava quali fossero le intercettazioni da trascrivere in quanto rilevanti, limitandosi a prevedere che non erano da trascrivere:

1) le comunicazioni o conversazioni irrilevanti ai fini delle indagini, sia per l’oggetto che per i soggetti coinvolti

2) le comunicazioni o conversazioni parimenti non rilevanti che riguardano dati personali definiti sensibili dalla legge

lasciando all’operatore il compito di riempire di contenuto i termini “irrilevanti” e “non rilevanti”.

Solo ancora un accenno, per ricordare che la valutazione di irrilevanza doveva riferirsi tanto all’oggetto del dialogo quanto ai soggetti interlocutori che, pertanto, non dovevano aver alcuna attinenza con l’indagine in corso.

Nulla, però, si prevedeva espressamente in caso di irrilevanza parziale della conversazione, ossia quando la registrazione contenga, come spesso accade, in parte contenuti irrilevanti o attinenti a dati sensibili e in parte elementi rilevanti ai fini di indagine.

Ponendo il divieto della trascrizione nel brogliaccio, la disciplina adombrava di attribuire direttamente alla polizia giudiziaria il compito di valutare, fin dai primi momenti dell’attività tecnica, quali conversazioni si dovessero, si potessero o fosse vietato trascrivere, anche sommariamente, nel verbale delle operazioni.

Tuttavia, per evitare che una scelta così rilevante quanto agli effetti fosse lasciata esclusivamente alla p.g., nonché per permettere il dovuto coordinamento investigativo tra tutti gli attori inquirenti, si prevedeva che anche il p.m. intervenisse in questa fase destinata al non agevole compito di selezionare le conversazioni captate che sarebbero state oggetto di trascrizione nei c.d. brogliacci. Nel testo riformato l’art.267, comma 4 c.p.p. stabiliva, infatti, che l’ufficiale di p.g., prima di provvedere ai sensi dell’art.268, comma 2 bis c.p.p., ossia prima di non procedere alla trascrizione ritenendo sussistente il divieto di trascrivere le conversazioni, informasse “preventivamente” il p.m. “con annotazione sui contenuti delle comunicazioni e conversazioni” intercettate, al fine di consentire un’interlocuzione preliminare destinata proprio alla successiva cernita delle conversazioni da inserire nei verbali di intercettazione.

All’esito dell’interlocuzione e della valutazione dell’annotazione redatta dalla p.g. sulle conversazioni da non trascrivere, l’art.268, comma 2 ter c.p.p. prevedeva che il p.m., se di diverso avviso, con decreto motivato potesse disporre che le comunicazioni e conversazioni di cui al comma 2 bis – ossia quelle ritenute irrilevanti dalla p.g. – fossero trascritte nel verbale di ascolto quando “ne ritiene la rilevanza per i fatti oggetto di prova” e che, parimenti, fossero trascritte anche le comunicazioni e conversazioni relative a dati sensibili “se necessarie a fini di prova”.

La predisposizione di questa formale procedura scritta di interlocuzione era destinata a una maggiore responsabilizzazione sia della polizia giudiziaria che del p.m. sulla cernita e selezione del materiale registrato fin dall’inizio delle operazioni.

Questa procedura peccava di eccessivo formalismo e non teneva conto del rapporto che quasi quotidianamente intercorre tra p.g. e p.m. in caso di intercettazioni.

Ovvio, infatti, che questa interlocuzione scritta sarebbe pur sempre stata preceduta da contatti e comunicazioni tra gli organi inquirenti, soprattutto nei casi di dubbia valutazione, rappresentando un aspetto naturale del rapporto investigativo che si instaura tra il p.m. e la p.g. ed essendo, pertanto, naturale che quest’ultima, soprattutto nei primi momenti delle intercettazioni, sottoponga al titolare dell’indagine il giudizio sulla “irrilevanza” o “non rilevanza” di alcune registrazioni, posto anche che una decisione affrettata sarebbe foriera di oggettivi nocumenti all’indagine.

Del resto, è un dato del tutto notorio per l’operatore che le conversazioni non sono sempre immediatamente intellegibili e tali da permettere un’unitaria, logica, lettura dei diversi avvenimenti cui si riferiscono in quanto spesso frazionate nel tempo, ricche di sfumature, di termini criptici, di argomenti diversi[3].

A risolvere queste oggettive difficoltà soccorreva anche la previsione contenuta nel nuovo quarto comma dell’articolo 268 c.p.p. che consentiva alla p.g. di richiedere “il differimento della trasmissione verbali delle registrazioni quando la prosecuzione delle operazioni rende necessario, in ragione della complessità delle indagini, che l’ufficiale di polizia giudiziaria delegata all’ascolto consulti le risultanze acquisite” e si prevedeva che il p.m. potesse disporre con decreto tale differimento.

8. La riforma della riforma: il D.L. n.161/2019 e il nuovo art.268, comma 2 bis c.p.p.

Con scelta draconiana, il Decreto Legge n.161/2019 (come anche modificato dalla legge di conversione):

  • cancella il divieto di trascrivere nei verbali della polizia giudiziaria (i cosiddetti brogliacci) le conversazioni irrilevanti ai fini di indagine
  • rivisita quello sulle conversazioni non rilevanti e contenenti dati personali sensibili,

riformulando in questi termini l’art.268, comma 2 bis c.p.p.:

Il pubblico ministero dà indicazioni e vigila affinché nei verbali non siano riportate espressioni lesive della reputazione delle persone o quelle che riguardano dati personali definiti sensibili dalla legge, salvo che risultino rilevanti ai fini delle indagini.” (in questi termini la legge di conversione ha modificato l’originario testo del D.L. «salvo che si tratti di intercettazioni rilevanti…»).

Conseguentemente viene abrogato l’art.268, comma 2 ter c.p.p. (“Il pubblico ministero, con decreto motivato, può disporre che le comunicazioni e conversazioni di cui al comma 2-bis siano trascritte nel verbale quando ne ritiene la rilevanza per i fatti oggetto di prova. Può altresì disporre la trascrizione nel verbale, se necessarie a fini di prova, delle comunicazioni e conversazioni relative a dati personali definiti sensibili dalia legge”).

Si cambia, dunque, tutto, tornando quasi al passato prossimo (quello della disciplina a oggi ancora vigente).

Il p.m. torna saldamente sulla tolda di comando delle intercettazioni, spettando soltanto a quest’ultimo di fornire alla p.g. le indicazioni utili a evitare che le trascrizioni riportino “espressioni lesive della reputazione delle persone” ovvero riguardino “dati personali definiti sensibili dalla legge” e “salvo che risultino rilevanti ai fini delle indagini.

Significa che la p.g., come secondo l’attuale normativa, interloquirà sul contenuto delle intercettazioni col p.m. mediante annotazioni che potranno riportare le trascrizioni integrali delle registrazioni, siano rilevanti o meno.

Si pone, però, un limite, demandandone al p.m. la salvaguardia: nei verbali non potranno essere trascritte, o anche sommariamente riportate, quelle conversazioni che ledano la reputazione delle persone cui i dialoghi si possano riferire o che riguardino dati personali sensibili a norma di legge.

Il divieto di trascrizione presuppone, come appena rilevato, la non rilevanza ai fini probatori di tali conversazioni.

Se, quindi, il dato sensibile o l’espressione lesiva della reputazione assumano rilevanza per l’oggetto e i fini di indagine, potranno/dovranno essere legittimamente trascritti[4].

I dati sensibili sono ricavabili dall’articolo 4, lettera B) Decreto Legislativo 30 giugno 2003 n. 196, intendendosi i dati personali idonei a rivelare l’origine razziale ed etnica, le convinzioni religiose filosofiche o di altro genere, le opinioni politiche, l’adesione a partiti, sindacati, associazioni od organizzazioni a carattere religioso, filosofico, politico o sindacale nonché i dati personali idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale.

Conseguentemente, si è soppressa la seconda parte dell’art. 267 comma 4, in modo che oggi la norma si limita a stabilire che “Il pubblico ministero procede alle operazioni personalmente ovvero avvalendosi di un ufficiale di polizia giudiziaria.

E’, pertanto, venuta meno la previsione per l’ufficiale di polizia giudiziaria di provvedere “a norma dell’articolo 268, comma 2-bis, informando preventivamente il pubblico ministero con annotazione sui contenuti delle comunicazioni e conversazioni.”

9. Un bilanciamento di interessi.

Si è annotato che, secondo il nuovo testo dell’art.268, comma 2 bis c.p.p. “Il pubblico ministero dà indicazioni e vigila affinché nei verbali non siano riportate espressioni lesive della reputazione delle persone o quelle che riguardano dati personali definiti sensibili dalla legge, salvo che risultino rilevanti ai fini delle indagini.”.

La nuova disposizione, così come formulata, lascia adito a problematiche interpretative, soprattutto in merito alla valutazione delle espressioni lesive della reputazione.

Dunque, il p.m. prima deve dare indicazioni alla p.g. e poi vigilare che vengano rispettate.

In via di prima approssimazione, è plausibile sostenere che l’Ufficio inquirente possa elaborare le indicazioni in oggetto in un provvedimento di carattere generale e astrattamente applicabile in ogni caso in cui si debba ricorrere alle intercettazioni, magari poi integrandolo con quelle indicazioni specifiche da adottare qualora la tipologia dell’inchiesta o la natura dei reati oggetto del procedimento lo richiedano.

Sempre in via di prima approssimazione, premesso che per “reputazione” si intende la stima e la considerazione di cui ogni persona gode nel sociale, ossia la considerazione in cui si è tenuti dagli altri (cfr. dizionario Treccani, dizionario Garzanti) l’inciso “espressioni lesive della reputazione delle persone” dovrebbe riguardare il contenuto di dialoghi che siano infamanti per una individuata persona, nel senso che danneggino la stima di cui quella persona gode verso i terzi, alludendo a fatti, comportamenti, atteggiamenti di per sé già lesivi o esprimendo giudizi di pari disvalore.

E possono essere “espressioni” che i dialoganti riferiscono a una terza persona, ovvero che uno dei loquenti rivolga all’altro e, se il caso, viceversa.

Al di là delle parole usate nel testo normativo, appare chiaro che l’intento legislativo sia quello di evitare la trascrizione di dialoghi non solo irrilevanti ai fini dell’indagine, ma il cui contenuto, con richiamo a fatti e circostanze, sia tale da mettere alla berlina la reputazione delle persone e che, se divulgati potrebbero cagionare immaginabili cadute di stima nell’opinione pubblica.

Proprio sul presupposto che si tratti di dialoghi senza alcun rilievo, oggettivo e soggettivo, per l’indagine, se ne vieta la trascrizione, per evitarne la successiva pubblicità.

Vige, pertanto, la regola del bilanciamento degli interessi: prevale la tutela della riservatezza se il danno alla stima non trovi la contropartita nel rilevante giovamento alle indagini; viceversa, nel caso contrario.

Difficile, se non impossibile e certamente defatigante, compilare un catalogo esaustivo di casistiche in quanto, trattandosi di materia assai variegata, spetterà alla sensibilità dell’inquirente stabilire se le espressioni registrate ledano la reputazione e se sia, o meno, necessario trascriverle in quanto assumano una portata probatoria rilevante per l’indagine.

Per consentire, comunque sia, che anche il difensore, quando gli sarà permesso di accedere al materiale delle intercettazioni, possa valutare se la conversazione non trascritta in quanto lesiva della reputazione non abbia anche una portata probatoria utile all’indagato, appare preferibile che il p.m. preveda che nel brogliaccio la trascrizione sia sostituita dall’inciso “dialogo rientrante nell’art.268, comma 2 bis c.p.p.” e simili.

Parimenti sarà necessario adottare disposizioni generali alla polizia giudiziaria per evitare che i verbali riportino dati personali sensibili, seppur in questo caso la normativa di settore sia di oggettivo aiuto, prevedendo che al posto della trascrizione nel “brogliaccio” si annoti “dialogo rientrante nell’art.268, comma 2 bis c.p.p.” o “conversazione privata relativa a dati sensibili “, come suggeriva la circolare del 2016 del CSM in materia e in tema di buone prassi.

Discende, pertanto, che debba pur sempre intervenire una preventiva interlocuzione con la polizia giudiziaria deputata all’ascolto delle conversazioni ogni qual volta siano registrate conversazioni astrattamente rientrabili nella previsione dell’art.268, comma 2 bis c.p.p., quanto meno al fine di valutare quelle che, pur lesive della reputazione o inerenti a dati personali sensibili, siano da riportare in quanto “rilevanti ai fini delle indagini”, contrastando con la ratio normativa un controllo ex post, ossia dopo il deposito dei verbali, in quanto renderebbe vano il chiaro intento legislativo di non dare pubblicità alle intercettazioni lesive della privacy (intesa sia come tutela della reputazione sia come protezione dei dati personali sensibili) se non significative, in senso probatorio, per l’indagine.

Quanto alla clausola di salvezza – “salvo che risultino rilevanti ai fini delle indagini.” – che consente di riportare le espressioni in esame, alla stregua dello spirito della riforma se ne suggerisce un’interpretazione che consenta di trascrivere quelle che, se non riportate nel verbale, si risolverebbero in un danno per la prova dei fatti oggetto dell’indagine e delle responsabilità o, comunque sia, ne sminuirebbero la portata.

Ancora un rilievo.

Nulla si prevede espressamente in caso di rilevanza parziale della conversazione, ossia quando la registrazione contenga, come spesso accade, in parte contenuti rilevanti per l’indagine e in parte attinenti a dati sensibili o a espressioni lesive della reputazione.

Le contrapposte esigenze di tutela del diritto alla riservatezza e della conservazione del materiale di indagine non consentono soluzioni “unitarie”, ora trascrivendo integralmente la registrazione, ora vietandola, l’un caso risolvendosi nella violazione del diritto, l’altro caso in una ingiustificata perdita del materiale probatorio.

In questi casi appare ovviamente proponibile, in quanto conforme alle finalità della legge, la trascrizione dei passaggi della conversazione contenenti gli elementi rilevanti ai fini di indagine.

Tuttavia, laddove non sia possibile separare gli elementi rilevanti ai fini dell’indagine dalle esigenze di riservatezza, la registrazione sarebbe necessariamente rilevante e, pertanto, integralmente trascrivibile, in quanto la riforma ha previsto che la tutela della riservatezza debba comunque cedere il passo alle esigenze dell’indagine.

Ed è ancora da considerare che valutare la rilevanza delle intercettazioni nei primi momenti dell’indagine rischia di risolversi in una erronea anticipazione di quei giudizi che solitamente si formulano alla fine dell’inchiesta, perché solo all’esito dell’istruttoria un dialogo che contenga anche dati personali sensibili si potrebbe rivelare prezioso, mentre tale non lo si reputava in un primo tempo[5].

A questo inconveniente potrebbe porre rimedio la procedura prevista dall’art.268, comma 6 c.p.p. nuova formulazione, la quale stabilisce che, il p.m. provveda a presentare al giudice l’elenco delle conversazioni (e dei flussi di comunicazioni informatiche o telematiche) che intenda far acquisire nel materiale probatorio in quanto rilevanti (si veda pure il nuovo art.415 bis, comma 2 bis c.p.p.).

La redazione dell’elenco in questione, avvenendo all’esito delle operazioni (o alla chiusura delle indagini, se sia intervenuta l’autorizzazione del gip) potrebbe costituire l’occasione per una rivisitazione critica del materiale e di quelle prime indicazioni alla p.g. di non trascrivere registrazioni contenenti espressioni lesive alla reputazione o dati personali sensibili, poi divenute però rilevanti per le indagini a seguito di una valutazione complessiva di quanto acquisito.

10. Le conversazioni irrilevanti.

Oltre all’espresso divieto di riportare le espressioni lesive dell’altrui reputazione e quelle inerenti a dati personali sensibili e di cui all’art.268, comma 2 bis c.p.p., si ritiene plausibile che, secondo una prassi virtuosa ormai consolidata e per evidenti economie, non sarà necessario che i verbali riportino dialoghi o comunicazioni del tutto irrilevanti per le indagini tanto per l’oggetto della conversazione quanto per i soggetti interlocutori, quali quelli attinenti ad argomenti di vita familiare o sociale e il cui contenuto, non avendo alcuna attinenza con l’indagine in corso, potrà essere sostituito con gli usuali incisi “dialogo irrilevante per le indagini”, “conversazione familiare” e simili.

Una soluzione pratica è quella usualmente adottata dagli inquirenti e poi espressa dal CSM nella circolare del 2016, con la quale si suggeriva, come buona prassi, di chiedere alla p.g. di riportare nel brogliaccio di ascolto annotazioni del tipo “intercettazione manifestamente irrilevante ai fini delle indagini” accompagnata dalla “mera indicazione, se conosciuti, degli interlocutori nonché, sinteticamente, della tipologia di oggetto (es. conversazione su argomenti familiari ovvero conversazione su temi strettamente personali)”.

11. Conversazioni inerenti al mandato difensivo.

L’art.103, comma 5 c.p.p. già prevede il divieto di registrare le conversazioni dei difensori (nonché investigatori privati autorizzati, consulenti tecnici e ausiliari) e tra costoro ed i propri assistiti; se, al contrario, registrate, ne dispone l’inutilizzabilità.

La riforma, sul punto non “riformata” dal D.L.n.161/2019, ha aggiunto un ulteriore periodo al comma 7 dell’art.103 in questione, stabilendo che «Fermo il divieto di utilizzazione di cui al primo periodo, quando le comunicazioni e conversazioni sono comunque intercettate, il loro contenuto non può essere trascritto, neanche sommariamente, e nel verbale delle operazioni sono indicate soltanto la data, l’ora e il dispositivo su cui la registrazione è intervenuta.

La norma, dunque, prevede un espresso divieto di trascrizione delle conversazioni, laddove siano state registrate.

A fronte del divieto, nel verbale delle operazioni si indicheranno “soltanto” la data, l’ora e l’utenza intercettata e il ricorso all’avverbio soltanto sembrerebbe escludere si possa aggiungere l’inciso “dialogo con il difensore” o simili.

Rileva, inoltre, che non potrà aver corso alcuna interlocuzione tra p.g. e p.m. sulla valutazione in ordine alla trascrivibilità di queste intercettazioni, stante l’assoluta e preliminare inutilizzabilità delle conversazioni intercorse con il difensore, a prescindere da ogni valutazione in ordine alla rilevanza delle stesse ai fini di indagine, quando, ovviamente siano inerenti all’esercizio del mandato (difensivo o di investigazione privata o di consulenza tecnica).

Peraltro, qualora la p.g., per la peculiarità del caso concreto, abbia dei dubbi sull’inerenza della specifica conversazione intercettata all’esercizio delle funzioni difensive dovrà necessariamente raccordarsi ed interloquire con il Pubblico Ministero per le conseguenti valutazioni.

Infatti, quanto all’ambito delle conversazioni del difensore tutelate dalla previsione dell’articolo 103 comma 5 e comma 7 c.p.p. la giurisprudenza ha costantemente ribadito che ”il divieto di intercettazioni relative a conversazioni o comunicazioni dei difensori non riguarda indiscriminatamente tutte le conversazioni di chi riveste tale qualifica, e per il solo fatto di possederla, ma solo le conversazioni che attengono alla funzione esercitata, in quanto la “ratio” della regola posta dall’art. 103 cod. proc. pen., va rinvenuta nella tutela del diritto di difesa “ (ex pluris, Cass. Sez. II, sent. n. 12111/2015).

12. La nuova disciplina sulla trasmissione dei verbali e delle registrazioni per la conservazione nell’archivio (le modifiche agli artt.268, 269, l’abrogazione dell’art. 268 bis c.p.p.).

La nuova disciplina introdotta con il D. L. n.161/2019 ha snellito la procedura da seguire una volta ultimata l’intercettazione, anche provvedendo a eliminare i paventati pericoli di sovrapposizione tra quanto previsto dall’art.268, comma 4 c.p.p., come nell’originario testo della legge di riforma, e quanto stabilito dall’art.268 bis successivo.

In sintesi, la riforma Orlando prevedeva che

 “I verbali e le registrazioni sono trasmessi al pubblico ministero, per la conservazione nell’archivio di cui all’articolo 269, comma l, immediatamente dopo la scadenza del termine indicato per lo svolgimento delle operazioni nei provvedimenti di autorizzazione o di proroga.” (art. 268, comma 4 c.p.p.).

Si disponeva, però che, al momento della scadenza dei termini delle operazioni di intercettazione, il p.m. con decreto potesse differire la trasmissione degli atti all’archivio, qualora la complessità delle indagini e le esigenze degli investigatori di valutare unitariamente il materiale raccolto lo rendesse necessario (art.268, comma 4 c.p.p.)[6].

La norma trovava ragione nel fatto che il termine poteva essere sfruttato per consentire di rivalutare ex post, una volta completato il quadro dell’indagine, il giudizio sull’irrilevanza di alcune conversazioni captate (intanto non trascritte in adesione all’allora divieto normativo) e sottoporle ex novo all’attenzione del p.m., per consentirgli, così, di disporne la trascrizione.

Facendo venir meno il divieto della trascrizione delle conversazioni irrilevanti e la conseguente procedura di valutazione interlocutoria tra p.g. e p.m. il D.L. n.161/2019 ha abrogato la disposizione in parola.

Come rilevato, il D.L. n.161/2019 interviene sostituendo il comma 4 dell’art.268 c.p.p., aggiungendovi il comma 5 e abrogando il successivo art.268 bis.

Stabilito quali intercettazioni possano essere annotate nel brogliaccio (non i dialoghi col difensore; non quelle di cui all’art.268, comma 2 bis c.p.p. se non rilevanti ai fini delle indagini) e come (ossia con trascrizione se rilevanti, ovvero con mera indicazione di sintesi dell’oggetto se del tutto irrilevanti), gli atti saranno trasmessi al p.m. per la conservazione nell’archivio e per il successivo deposito alla difesa.

La nuova formula dell’art.268, comma 4 c.p.p. prevede una scansione temporale per la trasmissione dei verbali e delle registrazioni, onerando la polizia giudiziaria di provvedere a inviarli al p.m. immediatamente.

E’ però significativo che la nuova formulazione della norma non preveda più che la trasmissione dei verbali e delle registrazioni debba avvenire immediatamente dopo la conclusione delle operazioni, ossia immediatamente dopo la scadenza del relativo termine come previsto dalle autorizzazioni e proroghe (“immediatamente dopo la scadenza del termine indicato per lo svolgimento delle operazioni nei provvedimenti di autorizzazione o di proroga.”).

Il nuovo testo si limita a stabilire che “I verbali e le registrazioni sono immediatamente trasmessi al pubblico ministero, per la conservazione nell’ archivio di cui all’articolo 269, comma 1.” (nuovo art.268, comma 4 c.p.p.).

La lettera della norma, pertanto, dispone che verbali e registrazioni siano immediatamente trasmessi al p.m. senza dover attendere la conclusione delle operazioni di intercettazione.

Nel corso del procedimento, pertanto, potranno susseguirsi più trasmissioni relative alla medesima intercettazione.

Quindi:

Entro cinque giorni dalla conclusione delle operazioni, essi (ndr: verbali e registrazioni) sono depositati presso l’archivio di cui all’articolo 269, comma 1, insieme ai decreti che hanno disposto, autorizzato, convalidato o prorogato l’intercettazione, rimanendovi per il tempo fissato dal pubblico ministero, salvo che il giudice non riconosca una proroga.

Se dal deposito può derivare un grave pregiudizio per le indagini, il giudice autorizza il pubblico ministero a ritardarlo non oltre la chiusura delle indagini preliminari” (art.268, commi 4 e 5 c.p.p.).

Pertanto, verbali e registrazioni sono immediatamente inoltrati dalla polizia giudiziaria al p. m., il quale ha l’obbligo di custodirli nell’archivio.

Oltre a questo obbligo di pronta custodia nell’archivio, entro 5 giorni dalla conclusione delle operazioni il p.m. dovrà depositare i verbali, le registrazioni, nonché i decreti che hanno disposto, autorizzato, convalidato, prorogato le intercettazioni custoditi nell’archivio, ossia dovrà metterli a disposizione dei difensori per un tempo che prefisserà (discovery).

La norma non prevede che il p.m. mantenga il deposito degli atti per un periodo stabilito, utile a consentire ai difensori di prenderne cognizione. Tuttavia, laddove il termine posto dal p.m. sia troppo limitato per l’esercizio dei diritti della difesa, quest’ultima potrà chiedere una proroga al giudice per le indagini preliminari (art.268, comma, ultima parte, c.p.p.).

Resta, comunque sia, salva la possibilità, ancorata al grave pregiudizio per le investigazioni, di ritardare il deposito ai difensori al termine delle indagini, dietro autorizzazione del giudice (ritardo della discovery: art.268, comma 5 c.p.p.) e vien da pensare che, essendo norma di buon senso, si tratterà della soluzione più praticata e che, nella prassi, questa eccezione si tradurrà nella regola ordinaria.

Ed infatti, nei procedimenti connotati da una pluralità di intercettazioni su più utenze e bersagli, emerge l’esigenza di poter disporre di un tempo adeguato a completare la trascrizione dei verbali di operazioni delle intercettazioni rilevanti e analizzarne, raccordandole, le risultanze. Inoltre, l’occasione potrebbe consentire di rivalutare ex post, una volta completato il quadro dell’indagine, un’iniziale irrilevanza delle conversazioni captate e sottoporle ex novo all’attenzione del p.m., per consentirgli, così, di disporne la trascrizione.

Dal combinato disposto tra gli artt.268, 269 c.p.p. e l’art.89 bis disp. att. c.p.p. (a sua volta modificato dal DL n.161/2019 rispetto al testo della riforma: v. infra) discende, pertanto, che:

  • i verbali della p.g. e le registrazioni, sono custoditi dal p.m. in un apposito archivio immediatamente dopo che la polizia giudiziaria li abbia trasmessi;
  • parimenti, nell’archivio deve essere custodito “ogni altro atto” relativo alle intercettazioni (art.269 comma 1 come riformulato dal D.L.n.161/2019);
  • salva l’autorizzazione del giudice a ritardare al termine delle indagini preliminari l’adempimento (eseguendolo unitamente all’invio dell’avviso di cui all’art.415 bis c.p.p.), il p.m., deve depositare ai difensori i verbali, le registrazioni e i decreti che hanno disposto, autorizzato, convalidato, prorogato le intercettazioni, entro 5 giorni dal termine delle operazioni di intercettazione, mettendoli a loro disposizione nell’archivio. 
13. L’archivio delle intercettazioni.

La novella prevede una scansione temporale per la trasmissione dei verbali e del materiale fonico inerente alle intercettazioni e il successivo deposito ai difensori, stabilendo che l’inoltro al p.m. avvenga immediatamente e che l’inquirente provveda a depositare gli atti ai difensori entro 5 giorni dalla conclusione delle intercettazioni, ovvero, in via d’eccezione, nel termine differito stabilito dal giudice per le indagini preliminari e coincidente con la chiusura delle indagini preliminari (art.268, commi 4 e 5 c.p.p.)

La trasmissione dei verbali e delle registrazioni (e dei flussi di comunicazioni informatiche o telematiche) comporta un preciso obbligo di custodia e di segreto, posto che il p.m. dovrà custodirli nell’archivio delle intercettazioni, qui restando coperti dal segreto d’indagine fino al momento del deposito ai difensori (entro i 5 gg. dalla conclusione delle relative operazioni o non oltre la chiusura delle indagini preliminari: art.268, commi 4 e 5 c.p.p.).

Il D.L. n.161/2019 prevede, dunque, al pari del testo originario della riforma, l’istituzione di un archivio dedicato alle intercettazioni.

Scompare, però, la definizione di “archivio riservato”, sostituita con quella “archivio delle intercettazioni”, ma resta lo stesso intento di custodire il materiale e gli atti relativi alle intercettazioni in un luogo dedicato, al fine di garantirne la segretezza.

L’archivio delle intercettazioni è destinato a custodire, infatti, non solo i verbali e le registrazioni, ma tutti gli atti relativi, ossia i decreti del giudice, le richieste del p.m. (e, si ritiene, le annotazioni della p.g., per quanto si annoterà infra).

Così dispone la nuova formulazione dell’art.269 c.p.p.:

“1. I verbali e le registrazioni, e ogni altro atto ad esse relativo, sono conservati integralmente in apposito archivio gestito e tenuto sotto la direzione e la sorveglianza del Procuratore della Repubblica dell’ufficio che ha richiesto ed eseguito le intercettazioni. Al giudice per le indagini preliminari e ai difensori dell’imputato per l’esercizio dei loro diritti e facoltà è in ogni caso consentito l’accesso all’archivio e l’ascolto delle conversazioni o comunicazioni registrate.” (in neretto le modifiche rispetto al testo come predisposto dalla riforma di cui al D.Lgs.n.216/2017)[7].

Sorge, però, spontaneo chiedersi quale disciplina possa applicarsi se, disposte le intercettazioni, gli atti siano poi trasmessi ad altra autorità giudiziaria per competenza a fronte dell’inciso “I verbali e le registrazioni, e ogni altro atto ad esse relativo, sono conservati integralmente in apposito archivio gestito e tenuto sotto la direzione e la sorveglianza del Procuratore… dell’ufficio che ha richiesto ed eseguito le intercettazioni..”.

A sua volta l’art. 89 bis disp.att.c.p.p., come modificato dal DL n.161/2019, disciplina anche le modalità operative dell’archivio (in neretto le principali innovazioni apportate dal D.L. e dalla legge di conversione)[8]:

“1. Nell’archivio digitale istituito dall’art.269 del codice, tenuto sotto la direzione e la vigilanza del Procuratore della Repubblica, sono custoditi i verbali, gli atti e le registrazioni delle intercettazioni a cui afferiscono.

2. L’archivio è gestito con modalità tali da assicurare la segretezza della documentazione relativa alle intercettazioni non necessarie per il procedimento, ed a quelle irrilevanti o di cui è vietata l’utilizzazione ovvero riguardanti categorie particolari di dati personali come definiti dalla legge o dal regolamento in materia. Il Procuratore della Repubblica impartisce, con particolare riguardo alle modalità di accesso, le prescrizioni necessarie a garantire la tutela del segreto su quanto ivi custodito.

3. All’archivio possono accedere, secondo quanto stabilito dal codice, il giudice che procede e i suoi ausiliari, il pubblico ministero e i suoi ausiliari, ivi compresi gli ufficiali di polizia giudiziaria delegati all’ascolto, i difensori delle parti, assistiti, se necessario, da un interprete. Ogni accesso è annotato in apposito registro, gestito con modalità informatiche; in esso sono indicate data, ora iniziale e finale, e gli atti specificamente consultati.

4. I difensori delle parti possono ascoltare le registrazioni con apparecchio a disposizione dell’archivio e possono ottenere copia delle registrazioni e degli atti quando acquisiti a norma degli articoli 268, 415 bis e 454 del codice. Ogni rilascio di copia è annotato in apposito registro, gestito con modalità informatiche; in esso sono indicate data e ora di rilascio e gli atti consegnati in copia.”

Provando a tirare le fila, appare sostenibile che

  • con il termine archivio si faccia riferimento sia a un luogo sia a uno strumento informatico sito in quel luogo ed entrambi dedicati alla gestione delle intercettazioni;
  • al Procuratore della Repubblica è demandato di vigilare sulle modalità di accesso al luogo e all’archivio digitale, affinché solo le persone autorizzate abbiano accesso al luogo e agli atti depositati e consultabili;
  • quanto al luogo, il Procuratore dovrà organizzarlo nel rispetto delle misure di sicurezza e di segretezza, prevedendo, con ordine di servizio, che il locale archivio sia presidiato da strumenti di video sorveglianza e di monitoraggio degli ingressi, nonché sia dotato di personale incaricato di accompagnarvi le persone legittimate ad accedervi (giudici, difensori, se del caso interpreti, personale di p.g.), di un registro informatico sul quale annotare i nominativi delle persone autorizzate, per legge o per disposizione del Procuratore, all’accesso, il giorno e l’ora di ciascun ingresso, il numero del procedimento per il quale l’accesso è stato consentito e dovrà anche dotarlo delle necessarie apparecchiature per l’ascolto delle registrazioni;
  • tra l’altro, queste disposizioni dovranno garantire che l’archivio sia gestito con modalità tali da assicurare “la segretezza della documentazione relativa alle intercettazioni non necessarie per il procedimento, ed a quelle irrilevanti o di cui è vietata l’utilizzazione ovvero riguardanti categorie particolari di dati personali come definiti dalla legge o dal regolamento in materia, ossia mantenere il segreto su quelle intercettazioni che non entreranno a far parte di quelle che saranno acquisite al procedimento e che dovranno restare custodite nell’archivio. Per tutte queste finalità, è previsto che, con Decreto ministeriale, da adottare dopo aver sentito il Garante per la protezione dei dati personali, siano fissati “i criteri per regolare le modalità di accesso all’archivio…nonché di consultazione e richiesta di copie, a tutela della riservatezza degli atti ivi custoditi” (art.2, comma 5 D.L. n.161/2019);
  • in questo luogo sarà installato l’archivio digitale delle intercettazioni;
  • nell’archivio digitale dovranno essere custoditi, in forma digitale, relativamente ad ogni singolo procedimento, i verbali (un tempo: brogliacci), le registrazioni e ogni altro atto inerente all’intercettazione (i decreti che hanno disposto, autorizzato, convalidato, prorogato le operazioni).

E’, inoltre, previsto che, con Decreto ministeriale “sono stabilite le modalità e i termini a decorrere dai quali il deposito degli atti e dei provvedimenti relativi alle intercettazioni è eseguito esclusivamente in forma telematica nel rispetto della normativa, anche regolamentare, concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici” (art.2, comma 5 D.L. n.161/2019).

L’art.89 bis disp.att.c.p.p. come introdotto dalla riforma stabiliva espressamente che anche le annotazioni della polizia giudiziaria dovevano ricomprendersi tra il materiale da conservare nell’archivio: “presso l’ufficio del pubblico ministero è costituito l’archivio…nel quale sono custoditi le annotazioni, i verbali, gli atti e le registrazioni delle intercettazioni a cui afferiscono”.

Il nuovo testo dell’articolo, come sostituito dal D.L.n.161/2019, si limita a disporre che nell’archivio “sono custoditi i verbali, gli atti e le registrazioni delle intercettazioni a cui afferiscono”.

Il fatto che sia stato eliminato l’espresso riferimento alle annotazioni della polizia giudiziaria fa sorgere il dubbio che debbano ancora comprendersi tra gli atti da custodire nell’archivio.

Se, però, la previsione dell’archivio persegue l’intento di evitare ogni pericolo di pubblicità del contenuto delle intercettazioni prima della procedura di scrutinio destinata a stabilire quali debbano fare formalmente ingresso nel compendio probatorio (v.infra), appare ragionevole ritenere che anche le annotazioni di p.g. che si riferiscano alle intercettazioni debbano essere custodite nell’archivio e non nel fascicolo del pubblico ministero, soprattutto tenendo conto che le annotazioni potrebbero contenere le trascrizioni integrali delle conservazioni registrate, non essendo più fatto divieto.

Del resto, l’art.269, comma 1 c.p.p. prevede che, oltre ai verbali e alle registrazioni, sia custodito nell’archivio anche ogni “altro atto” inerente alle intercettazioni o “ad esse relativo”.

Poiché l’art.268, comma 4 c.p.p., nell’indicare gli atti da conservare nell’archivio, si riferisce espressamente ai verbali, alle registrazioni e ai decreti che hanno disposto, autorizzato, convalidato o prorogato l’intercettazione, per logico coordinamento con l’art.269, comma 1 appena richiamato, è fondato ritenere che siano da destinarvi  anche le informative interlocutorie con le quali la p.g. abbia illustrato i risultati delle intercettazioni al fine di formulare richieste di proroga delle stesse, trattandosi di atti che normalmente contengono riferimenti espliciti al contenuto delle conversazioni intercettate.

14. Aspetti problematici dell’archivio delle intercettazioni.

La disciplina dedicata all’archivio delle intercettazioni non tiene adeguatamente in conto che seppur si riferisca ad un archivio digitale, tuttavia il formato cartaceo degli atti rappresenta ancora una tipologia prevista per legge nel procedimento penale.

Per questo si è annotato che col termine “archivio” si dovrà far riferimento anche ad un luogo.

E si tratta di un luogo dove dovranno essere custoditi tutti gli atti in formato cartaceo attinenti alle intercettazioni (e dovrà essere certamente un luogo capiente, valutando la mole di atti (fascicoli delle intercettazioni, annotazioni di p.g. con relative trascrizioni, decreti e quant’altro).

Si profilano difficoltà logistiche.

In questo luogo, come rilevato, troverà anche sede l’archivio digitale, ossia l’applicativo sul quale saranno “caricati” digitalmente gli atti inerenti alle intercettazioni e le fonie delle registrazioni (come noto è stato predisposto nel sistema informatico TIAP un sottoapplicativo dedicato “TIAP Intercettazioni”, nel quale saranno inseriti gli atti cartacei una volta resi in formato digitale).

Questa coabitazione forzosa trova eco nel disposto di cui all’art.267, comma 5 c.p.p., il quale prevede il registro delle intercettazioni:

“In apposito registro riservato gestito, anche con modalita’ informatiche, e tenuto sotto la direzione e la sorveglianza del Procuratore della Repubblica, sono annotati, secondo un ordine cronologico, i decreti che dispongono, autorizzano, convalidano o prorogano le intercettazioni e, per ciascuna intercettazione, l’inizio e il termine delle operazioni.”.

Significa che si prevede ancora un registro cartaceo deputato all’annotazione cronologica delle intercettazioni.

La finalità dell’archivio è di mantenere lo stretto riserbo (o meglio il segreto) sulle intercettazioni in corso e su quelle eseguite fino a quando non sarà necessario procedere al deposito degli atti alle difese.

Fino al deposito degli atti, sarà responsabilità dell’inquirente mantenere il segreto, immediatamente destinando all’archivio ogni “carta” relativa alle intercettazioni pervenutagli dalla p.g., non potendola trattenere nel fascicolo.

Si dovrà, inoltre e all’avvio della procedura di intercettazione, creare (anche) un formato digitale degli atti che troveranno sede nel sistema informatico dedicato (“TIAP Intercettazioni), destinato a custodire sia quelli del p.m. (le richieste di autorizzazione, i decreti d’urgenza, le richieste di proroga) sia quelli di competenza del gip (autorizzazioni, proroghe).

In sostanza, al formato cartaceo corrisponderà un formato digitale degli stessi atti.

In costanza di intercettazioni e/o fino al momento del deposito degli atti, l’inquirente potrà sempre accedere all’archivio, preferibilmente in modo telematico, ossia ricorrendo all’applicativo “TIAP intercettazioni”, per consultare i risultati delle intercettazioni e utilizzare il materiale necessario per eventuali richieste di proroga, per nuove richieste di estensione delle captazioni, per l’elaborazione di una richiesta cautelare.

E’ un prezzo che si deve pagare per evitare ogni ragionevole rischio di diffusività delle registrazioni fino al momento del deposito e per maggiormente responsabilizzare il p.m. e la p.g., posto che se tale rischio si verificasse non si potrebbe chiederne ragione anche alle difese.


[1] Cfr. Relazione illustrativa allo «Schema di decreto legislativo recante disposizioni in materia di intercettazione di conversazioni o comunicazioni» (472-bis), consultabile sui siti internet di Camera e Senato.

[2] E’ vietata la trascrizione, anche sommaria, delle comunicazioni o conversazioni irrilevanti ai fini delle indagini, sia per l’oggetto che per i soggetti coinvolti, nonche’ di quelle, parimenti non rilevanti, che riguardano dati personali definiti sensibili dalla legge. Nel verbale delle operazioni sono indicate, in tali casi, soltanto la data, l’ora e il dispositivo su cui la registrazione è intervenuta.”

(art.268, comma 2 bis c.p.p.).

“Non è consentita l’intercettazione relativa a conversazioni o comunicazioni dei difensori…e le persone da loro assistite…Fermo il divieto di utilizzazione di cui al primo periodo, quando le comunicazioni e conversazioni sono comunque intercettate, il loro contenuto non può essere trascritto, neanche sommariamente, e nel verbale delle operazioni sono indicate soltanto la data, l’ora e il dispositivo su cui la registrazione è intervenuta.”

(art.103, comma 5 e comma 7 c.p.p.).

[3] “..comunicazioni e conversazioni, queste, di difficile decifrazione in prima battuta e che solo in un secondo momento, quasi sempre coincidente con le fasi finali dell’indagine, consentono di avere il quadro complessivo del thema probandum e quindi di apprezzarne il valore ed esprimere fondatamente quel giudizio di pertinenza e rilevanza per i fatti oggetto di prova che, diversamente, il carattere ancora fluido dei momenti iniziali dell’indagine difficilmente consente. Solo allora la p.g. e il P.M. hanno tutti gli strumenti ermeneutici per poter decidere, con competenza e completezza, se una determinata conversazione sia o meno rilevante e debba perciò fare ingresso nei verbali di ascolto”, Pestelli “Brevi note sul nuovo Decreto legislativo in materia di intercettazioni: (poche) luci e (molte) ombre di una riforma frettolosa” in Diritto Penale Contemporaneo, n.1/2018, pag.173 ss.

[4] Quale il riferimento, in una registrazione, allo stato di tossicodipendenza di un terzo soggetto acquirente nell’ambito di un procedimento avente ad oggetto il reato di cui all’art. 73 DPR n.309/90, aggravato ex art. 80 comma 1 lett.f) stesso Decreto, come suggeriscono le “Linee guida per l’applicazione del decreto legislativo 29.12.2017 n.216 disposizioni in materia di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni” emesse dalla Procura di Sondrio il 10.4.2018. Ovvero l’appellativo infamante, la cosiddetta “ingiuria”, ad un individuo, in quanto dimostrativo dell’appartenenza ad un contesto criminale.

[5] C. Conti,  “La riservatezza delle intercettazioni nella “delega Orlando”, in Dir. pen. cont. – Riv. trim., 3/2017, 82 ss.

[6] Art.268, comma 4 c.p.p.: “Il pubblico ministero dispone con decreto il differimento della trasmissione dei verbali e delle registrazioni quando la prosecuzione delle operazioni rende necessario, in ragione della complessità delle indagini, che l’ufficiale di polizia giudiziaria delegato all’ascolto consulti le risultanze acquisite. Con lo stesso decreto fissa le prescrizioni per assicurare la tutela del segreto sul materiale non trasmesso”.

[7] Il testo originario della riforma prevedeva: “1. I verbali e le registrazioni, e ogni altro atto ad esse relativo, sono conservati integralmente in apposito archivio riservato presso l’ufficio del pubblico ministero che ha richiesto ed eseguito le intercettazioni, e sono coperti da segreto. Al giudice per le indagini preliminari è in ogni caso consentito l’accesso all’archivio e l’ascolto delle conversazioni o comunicazioni registrate.”

[8] Il testo dell’art.89 bis disp.att.c.p.p. originario così stabiliva:

Archivio riservato delle intercettazioni.

1. Presso l’ufficio del pubblico ministero è istituito l’archivio riservato previsto dall’articolo 269, comma 1, del codice, nel quale sono custoditi le annotazioni, i verbali, gli atti e le registrazioni delle intercettazioni a cui afferiscono.

2. L’archivio è gestito, anche con modalità informatiche, e tenuto sotto la direzione e la sorveglianza del procuratore della Repubblica, con modalità tali da assicurare la segretezza della documentazione custodita. Il procuratore della Repubblica impartisce, con particolare riguardo alle modalità di accesso, le prescrizioni necessarie a garantire la tutela del segreto su quanto i vi custodito.

3. All’archivio possono accedere, secondo quanto stabilito dal codice, il giudice che procede e i suoi ausiliari, il pubblico ministero e i suoi ausiliari, ivi compresi gli ufficiali di polizia giudiziaria delegati all’ascolto, i difensori delle parti, assistiti, se necessario, da un interprete. Ogni accesso è annotato in apposito registro, gestito con modalità informatiche; in esso sono indicate data, ora iniziale e finale, e gli atti specificamente consultati.

4. I difensori delle parti possono ascoltare le registrazioni con apparecchio a disposizione dell’archivio, ma non possono ottenere copia delle registrazioni e degli atti i vi custoditi.

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